LA VITA AMMINISTRATIVA DEI GIUSTINIANI A CHIOS
I possessi di Chio, sottratti alla giurisdizione del podestà di Pera e dei magistrati in
partibus
orientalibus, costituivano un organismo a sé stante, dipendente direttamente dal governo di
Genova. Nelle proprie colonie Genova si riservava il diritto di nominare le cariche più
importanti: podestà, consoli, scribi e tesorieri; tuttavia a Chio non si poteva intromettere negli
affari della Maona, la quale invece aveva una certa influenza su queste assegnazioni.
Il rapporto tra la Repubblica di Genova ed i Giustiniani venne codificato in modo che la
Maona assumesse tutti i compiti dell'amministrazione e della difesa del territorio di
Chios, delle due Focee e di alcune isole del gruppo delle Sporadi: Samo, Icaria, Eussa,
Santa Panagia, mentre la sovranità generale e i rapporti con gli Stati esteri, la
giurisdizione civile, compresa la nomina di podestà e castellani, previo accordo con la
Maona, rimanevano nelle mani della Repubblica.
I proventi commerciali e fiscali erano tutti devoluti alla Maona fino al raggiungimento
del debito contratto con la Repubblica valutato in prima istanza in 200.000 lire genovine
che avrebbe dovuto essere restituito in venti anni, ma che di fatto non lo fu mai.
Nell'atto di investitura della Maona la repubblica aveva introdotto una serie di
considerazioni che giustificavano l'occupazione di quei territori in base alla necessità
di difendere dai Turchi la cristianità.
Costumi genovesi a Chios nel XV secolo.
Tratto da P.P. Argenti "The custumes of Chios. Their development from the XVth
century to the XXth century"
La maona portò quindi avanti la sua attività di sfruttamento e controllo
dell'isola di Chios assegnando vari compiti di governo locale ai suoi fondatori che
avevano preso tutti il cognome di Giustiniani.
Iniziarono un importante opera di colonizzazione favorendo l'ingresso di famiglie Genovesi
a cui venivano assegnate case e terreni con l'obbligo di assumervi la residenza stabile
(non potevano allontanarsi per più di un anno).
La manodopera corrente era assunta localmente utilizzando anche i profughi, fuggiaschi dai
territori occupati dai turchi sulla terraferma.
Si valuta che queste attività nei periodi più floridi rendessero almeno 80.000 lire
genovine all'anno.
Dal punto di vista amministrativo, vediamo ora come era strutturata la Maona dei
Giustiniani.
La convenzione con la vecchia Maona nel 1347, rimase in pratica in vigore fino al 1566.
Lalto dominio civile e penale delle isole era riservato a Genova che nominava per
lesercizio di questi diritti un podestà, lunico doriente dipendente
direttamente da Genova, mentre gli altri dipendevano tutti da quello di Pera.
Tale podestà era scelto tra una lista di 20 popolani redatta da Genova e presentata alla
Maona che a sua volta ne selezionava quattro. Tra questi sei Genova sceglieva il podestà che
restava in carica per un anno. Egli era un ufficiale genovese, con carica inizialmente annuale, pagato dal
Comune al quale andava la sua stallia, la tassa sullo stipendio. Il podestà esercitava la giurisdizione civile e criminale conformemente agli statuti di Genova,
con le deroghe previste dalle convenzioni di Vignoso coi Chioti e della Maona col Comune, e in
seconda battuta seguendo il diritto romano. La legislazione genovese, a cui si aggiungevano
elementi ereditati dalla tradizione bizantina e adattati alle esigenze dei conquistatori, era estesa universalmente non solo a tutti i Genovesi, ma anche ai Greci, agli Ebrei e agli stranieri
di origine latina. Gli Orientali beneficiavano quindi, in materia di procedura, di diritti pari a
quelli dei Genovesi ed erano soggetti alle stesse leggi; le discriminazioni non erano determinate
da differenze di stato, ma di ordine sociale: i notabili locali erano in grado di difendere se stessi
e i loro beni e di trarre benefici dalla coabitazione coi Latini, il popolo invece non poteva che
subire o ribellarsi.
Il podestà aveva l’obbligo due volte l’anno (dal 1513 una volta sola) di percorrere l’isola, senza
essere accompagnato dai Maonesi, per ascoltare le rimostranze degli abitanti e punire i
funzionari colpevoli, e aveva la delega a battere moneta, secondo i tipi in uso in patria.
Il suo seguito era composto, come nelle altre colonie genovesi, da un vicario giurisperito, un miles, quattro paggi, un interprete, un cuoco, tre scudieri, due trombettieri e un tamburino,
oltre a 25 servitori chioti e 6 a cavallo per suo servizio personale. Era inoltre assistito dai
Gubernatores Mahone, inizialmente sei, poi aumentati, che dovevano essere consultati prima
di attuare qualunque provvedimento, tranne nell’amministrazione della giustizia.
Egli poteva convocare un debitore per saldare il debito, assegnare a un creditore i beni di un
debitore inadempiente, sanzionare l’emancipazione di un minore, ratificare gli arbitrati per le
cause minori che erano delegati al vicario. Riceveva gli appelli per le sentenze dei rettori,
mentre i ricorsi contro le sue decisioni venivano giudicati a Genova se il richiedente era di Chio,
altrimenti da una commissione formata da due genovesi e due greci dell’isola, nominati dal
nuovo podestà appena entrato in carica, che poi trasmetteva le decisioni alla madrepatria. La
necessità di recarsi a Genova, con le conseguenti difficoltà non solo finanziarie che questo
viaggio comportava, spingeva molti a rinunciare al diritto di appello. Per questo nel 1396 fu
deciso che, se l’importo economico della causa in discussione non avesse superato i 100 iperperi, l’appello si sarebbe svolto sull’isola.
Dal 24 gennaio 1558 tale carica passò a quattro anni. Nel 1529
il diritto di scelta fu ristretto tra i nobili iscritti al 1528 nei 28
alberghi riformati della repubblica Genovese.
A lui era subordinato il Castellano di Scio, comandante della cittadella e
della milizia dellisola. Nominato da Genova su una lista di sei popolani scelti
dalla Maona.
Il podestà ed il suo consiglio sceglievano il podestà e il castellano di Focea Nuova e
Focea Vecchia.
Il castellano della fortezza di Chio
(chiamata anche Colla) e di tutte le truppe sparse sull’isola. Egli doveva difendere il
castello, anche dalla stessa madrepatria: se gli fosse stato chiesto di restituirlo senza il consenso
della Maona, aveva il dovere di rifiutare e non sarebbe stato soggetto a nessuna azione
giudiziaria né considerato un ribelle perché, secondo la prima convenzione, il Comune avrebbe
ottenuto l’effettivo possesso di Chio, incluso il castello, solo dopo il pagamento delle 203.000
lire.
Eccetto il podestà, il castellano e i loro seguiti, la designazione degli altri funzionari
apparteneva alla Maona, che aveva una propria struttura interna e il cui organo più
rappresentativo era l’assemblea degli appaltatores, cioè dei partecipanti.
In base all’accordo del 1362 le azioni (duodena) e i dodici lotti, nei quali la concessione di
appalto era ripartita, potevano essere ceduti ciascuno esclusivamente ad un concessionario
affinché il numero dei soci rimanesse stabile. Già l’anno successivo però i duodena di spettanza
della Maona Nuova divennero suddivisibili e negoziabili. Nel corso del tempo ci furono
numerosi passaggi di proprietà (vendite o successioni ereditarie), anche in via frazionaria, tanto
che, al momento della conquista turca, più di 600 persone possedevano frazioni dei titoli.
L’amministrazione gravava su ciascuno dei soci per un dodicesimo a testa, anche qualora un
singolo fosse venuto in possesso di più parti azionarie, e l’isola era divisa in dodici distretti
amministrativi, otto nella regione settentrionale (Apanomorea) e quattro in quella meridionale
(Catamorea), di cui uno diviso in due per portare a tredici le sortes.
Gli arconti o rettori che li governavano erano detti codespotae o protogeronti a nord e
logariastai o logariastilae a sud.
I castellani a capo di queste circoscrizioni (ad eccezione di quella di Volissos, diretta da un
capitano) esercitavano compiti di polizia e di difesa contro i pirati, avevano il potere di
giudicare le dispute dei contadini e di imporre multe per conto dei Maonesi. Secondo la
convenzione del 1347 erano nominati dal podestà e dal suo consiglio, ma dopo il 1364 sembra
che fossero scelti dai Maonesi.
Gli altri incarichi amministrativi, castellanie, capitanati, scribanie, cariche militari e impieghi
pubblici, venivano assegnati per estrazione.
Nel 1364 gli uffici maggiori erano accoppiati e
distribuiti a sorte tra i dodici principali azionisti.
Dal 1379 le cariche relative alla galea della
Maona furono assegnate dai governatori e vennero pertanto aggiunti altri officia da sorteggiare
per l’amministrazione dei successivi sei anni. La durata aumentò nel 1391, quando è
documentata l’assegnazione di tredici paia di cariche per tredici anni.
Ogni tredici anni ciascun duodenarius ricopriva ogni mandato per un anno. Molte azioni però
non appartenevano a singoli individui, ma a gruppi di persone, spesso eredi o discendenti
dell’originale azionista; la carica perciò poteva essere esercitata da un rappresentante o venduta.
La vendita fu una questione controversa: permessa nel 1364 e in un’ordinanza del 1397, venne
vietata nel 1403, ma già lo stesso anno il provvedimento fu annullato. Di nuovo nel 1487 fu
proibito al podestà di vendere incarichi, ma il divieto fu abrogato prima del 1499.
Questa pratica era comune a tutte le magistrature d’Oriente, ma Chio sembrerebbe la più
soggetta ad assegnazioni clientelari e vendite. Molte notizie riguardano la trasgressione
all’obbligo per il quale le scribanie d’Oltremare dovevano essere conferite esclusivamente a
membri del collegio dei notai genovesi: lontane ma ben remunerate, generarono un commercio
illegale ma tollerato. La carenza di notai si registrava anche per quanto riguardava le necessità
quotidiane e si cercò di ovviare al problema con nomine effettuate sul posto, soprattutto dai
conti palatini, ma anche dal podestà e dal vescovo.
Naturalmente anche i responsabili della produzione del mastice avevano un ruolo molto
importante; nel 1379 gli ufficiali erano due: uno scriba masticis et ponderator e uno scriba
masticis pro vendentibus, con una separazione tra la produzione e la vendita del prodotto. Una volta scaduto l’anno di carica tutti i funzionari erano tenuti a rendere conto dell’operato,
presentando il resoconto dell’amministrazione ai loro successori; se le spese superavano il
limite stabilito, essi dovevano risarcire personalmente le eccedenze, se, al contrario, vi era un
surplus, questo andava alla Maona.
L’accentramento dei servizi amministrativi nelle mani della Maona si riflettè anche nelle poche
commissioni presenti nell’isola, numerose invece nelle altre colonie genoves. A Chio vi
erano l’Officium Turchie, l’Officium cavalerie Chii e soprattutto l’Officium Maris, che
controllava i trasporti e il commercio marittimo, e l’ Officium Provisionis, composto da Latini
non necessariamente membri della Maona, Greci o Ebrei, che si occupava degli
approvvigionamenti.
L’organizzazione della difesa era compito della Maona, che ne doveva sostenere le spese, ed
era affidata in genere a mercenari (stipendiarii) Latini, anche se i Chioti si erano formalmente
impegnati nelle convenzioni a difendere l’isola. All’inizio del XV secolo, in tempo di pace, la
città di Chio era difesa da più di 250 armati, tra i quali gli homines de Colla, i balestrieri addetti
alla sorveglianza della porta della cittadella, i cavalieri incaricati di accompagnare i Maonesi e
gli arcieri che seguivano i funzionari che lavoravano a contatto con la popolazione locale. La
convenzione del 1467 prevedeva che il podestà portasse con sé a Chio venti soldati, a cui se ne
aggiungevano altri venti scelti in loco, a spese dei Maonesi, i quali erano tenuti anche a
mantenere due soldati e un cavallo ciascuno.
Il dominio utile, dellisola spettava ai Giustiniani, associati nella
Maona.
Abbiamo ricordato che la Maona (nuova) nasce il 14 novembre 1362, si rinnoverà come
albergo il 21 gennaio 1373 per altri 20 anni ed il 10 febbraio 1391 per altri 25 anni, alla
data dei quali il 21 settembre1418 divenne perpetua.
Il numero originario delle quote era di 12 e 2/3, ogni azione
(duodeno) era divisa in 3 (Karatti grossi) divisi a loro volta in 24 altre parti (Karatti
piccoli), per un totale di 38 karatti grossi e 304 piccoli. Tutti titoli negoziabili e
trasmissibili agli eredi.
Il numero complessivo dei partecipanti alla maona Giustiniani nel 1566 era,
come ricordato, di oltre 600.
Specie nei primi anni della Maona le quote vennero più volte compravendute. In allegato
un atto del notaio Paulus Savina
del 19 maggio 1381, che testimonia possessori e titolarietà.
Ecco lelenco delle famiglie che possedevano i 12 e 2/3 quote delle
azioni al 1497:
1 ) 1 duodeno ai CAMPI
2 ) 1 duodeno ai CAMPI
3 ) 1 duodeno ai ROCCA
4 ) 1 duodeno ai GARIBALDI
5 ) 1 duodeno ai BANCA
6 ) 1 duodeno ai RECANELLI
7 ) 1 duodeno ai LONGO
8 ) 8 karatti piccoli ai SAULI
8 karatti piccoli ai GIUSTINIANI
6 karatti piccoli agli ADORNO
9 ) 19 karatti ai LONGO
1 karatto piccolo agli ADORNO
3 karatti piccoli ai CAMPI
10) 20 karatti piccoli ai PATERII
1 karatto piccolo ai GIUSTINIANI
11) 18 karatti piccoli ai FURNETTO
1 karatto piccolo agli ADORNO
1 karatto piccolo ai CICERO
4 karatti piccoli ai SAULI
12) 22 karatti piccoli ai FURNETTO
2 karatti piccoli ai PATERII
13) 6 karatti ai PATERII
6 karatti piccoli ai FRANCHI
6 karatti piccoli ai DE PAOLO
6 karatti piccoli ai GIUSTINIANI
Chios - Palazzo Giustiniani sede del museo di storia antica e la porta
meridionale di accesso alla città muraria, la torre settentrionale e il
particolare degli stemmi sulla stessa.
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A BEST PRACTICE MANAGEMENT CASE AT THE PALAZZO GIUSTINIANI IN CHIOS, GREECE di Dorothea Papathanassiou-Zuhrt e Maria Doumi
Le decisioni fondamentali erano prese sulla base delle 13 quote originali.
La Maona aveva un Consiglio grande ed un Consiglio piccolo dei
quaranta.
Ciascuna azione aveva un voto. Ciascun karatto piccolo rappresentava 1/24 di voto.
9 era il numero legale per le novità. 10 per abrogare i decreti vigenti a
Scio.
In base alla divisione in tredicesimi, si dividevano oltre agli utili, le castellanie, i
capitanati, le scrivanie e tutti gli impegni pubblici.
Gli incari erano assegnati su una programmazione di una certo numeri di anni per
estrazione a sorte, con la disposizione che nessun Maonese potesse ricoprire lo stesso
incarico per due anni consecutivi.
Nel XV secolo, quando gli affari della Maona non erano molto floridi, tale prassi fu
sostituita dalla vera e propria vendita delle cariche al miglior offerente, ma
dal 24/11/1495 si ripristinò lantica usanza mediante il riparto a sorte per una
serie di 26 anni.
Oltre ad alcuni consiglieri ed al podestà, a Genova gli interessi dei
Giustiniani erano rappresentati da sei governatori (aumentati a 9 dal 19/11/1476) che
esercitavano il loro ufficio a turno.
Focea Vecchia era infeudata alla Maona, governata dai Gattilusi di Lesbo.
Focea Nuova ebbe diversi governatori: Pietro Recanelli (1364-1391), Raffaello Paterio
(1391-1395), Tommaso Paterio (1395-1405), Giovanni Adorno (1405-1424), Percivalle
Pallavicini (1425-1427), Enrico Giustiniani-Longo (20/9/1427 - 1437), Francesco Drapperio
(1437-1447) ed infine lultimo governatore Paride Giustiniani- Longo figlio di Enrico
dal 1447 al 1455 anno della conquista Turca.
Le finanze tranne un breve periodo nel XV secolo furono sempre molto floride, tali da
pagare sia i tributi a Genova che ai Turchi, sia da garantire un cospicuo utile annuo.
Le forze militari dellisola oscillavano tra i 300 e gli 800 uomini più un certo
numero di mercenari.
Oltre la cittadella cerano 36 siti tra castelli e rocche fortificate.
I quindici castelli di Scio oltre la Cittadella erano: Colla, Calomoti, Cardamile,
Lamista, Late, Lecovere, Melanete, Pannuccelli, Perparea, Pigri, Pitio, SantElena,
S.Giuliano, Valisso (il più fortificato) e Vigo.
Lisola di Scio aveva un proprio vescovo autonomo, il primo fu Manfredo de Coronato
nel 1363 i successivi furono tutti o dei Pallavicini o dei Giustiniani fino al 1879
(Ignazio Giustiniani).
Lisola aveva numerose Chiese, conventi ed ospedali. Uno di loro era anche a Roma per
i Maonesi indigenti, fondato nel 1530 dal vescovo Benedetto Giustiniani.
La famiglia ha vantato oltre a uomini di Chiesa, anche uomini darte, citiamo
Andreolo Banca (1385-1456) autore della storia in versi latini della guerra contro Venezia
del 1431, suo figlio Angelo Banca, Leonardo Garibaldi, latinista e vescovo di Lesbo morto
nel 1482, Girolamo Giustiniani (1544-1600) autore di una storia di Scio, il latinista
Alessandro Giustiniani (nato nel 1515) ed il botanico Francesco Giustiniani.
La popolazione di Scio nel XV secolo oscillava tra i 90.000 e i 120.000 abitanti, avendo
un costante incremento con i cristiani fuggiti dai serragli turchi o riscattati dalla
Maona.
Il ceto dominante, la prima classe, erano i Giustiniani con i loro famigliari.
Poi venivano, come seconda classe, i Burgenses, di sangue latino, quasi tutti
genovesi, per lo più commercianti o piccoli latifondisti. per conquistarsi posti di
rilievo avevo come unica strada quella di imparentarsi con i Giustiniani (tra loro le
famiglie Paterio, Navone, Sanginbene, Campanaro, Ciprocci, Cavallini, Coresio).
Al terzo livello gli Arconti Greci, la popolazione di sangue Greco per lo più
dedica a piccoli commerci.
Al quarto livello tutte le persone di origine greca dedite ai lavori servili, nelle cave
di mastice e nellagricoltura.
Al quinto livello gli ebrei, dediti per lo più allusura, costretti a vivere nel
ghetto (potevano uscire solo durante la settimana Santa), ed a portare un cappello giallo,
oltre a fare in certi momenti dellanno atto di sudditanza e sottomissione ai
Giustiniani.
Al sesto livello i forestieri non residenti nellisola.
Per quanto riguarda lo stato d'animo dei componenti della Maona si nota che essi non si
consideravano coloni provvisori con l'idea fondamentale di ritornare in patria non appena
raggiunta la prosperità economica. Al contrario si consideravano a tutti gli effetti
cittadini Scioti, pur non dimenticando la loro origine, tanto che le loro case portavano
gli stemmi Giustiniani.
I Giustiniani usavano per le scritture locali una curiosa lingua che era il greco scritto
in caratteri latini che i greci chiamavano "FRANCHIOTICO". Esempi
di questa lingua si trovano ancora in alcuni istituti religiosi dell'isola.
I PODESTA DI CHIOS DURANTE LAMMINISTRAZIONE GIUSTINIANI
1696, Isolario, Vincenzo Maria Coronelli
Nuclei famigliari da Genova a Chio nel
quattrocento
Il questo link uno studio di Laura Balletto su come i Giustiniani seppero interessare allo
sviluppo dei commerci di Chios anche i nativi isolani, che si sentirono così
gradualmente, per così dire, genovesizzati, anche attraverso vincoli familiari. Oltre a
tutto ciò, lisola di Chios divenne ben presto meta dun notevole afflusso
immigratorio, che vide arrivare in loco non solo gente proveniente da Genova e dalla
Liguria, ma altresì da altre regioni italiane ed anche extra italiane. Ed uno degli
elementi che caratterizzò questa immigrazione - e che storicamente appare fra i più
importanti ed interessanti - è rappresentato dallafflusso nellisola di Chio
di più membri di un medesimo gruppo familiare, i quali talvolta, dopo un certo tempo,
rientrarono in patria e talvolta, invece, restarono colà vita natural durante, vi
defunsero e vi vennero sepolti. Gli esempi che, circa questo fenomeno, si possono trarre
dalla lettura di anche soltanto una parte dei numerosissimi atti notarili pervenutici,
redatti da notai genovesi e/o liguri nellisola di Chios nel Quattrocento, sono molti
e si riferiscono ai più diversi livelli della scala sociale.
ECONOMIA E COMMERCIO DEL MASTICE SOTTO LA MAONA GIUSTINIANI
Trovandosi all’incrocio di diversi assi marittimi, l’isola fu un fondamentale punto di
ridistribuzione commerciale: prodotti locali e degli altri stanziamenti liguri del Levante, risorse
provenienti dall’Anatolia, dall’Armenia, da Cipro, Rodi2, Costantinopoli e dalla Crimea
destinati a Genova e ai mercanti occidentali, articoli del commercio internazionale verso l’Asia
Minore.
Il commercio di importazione ed esportazione, oltre a quello di transito (soprattutto dopo la
caduta in mano turca delle isole settentrionali del Mar Egeo) fu fonte di ricchezza, e fin dal
governo degli Zaccaria, l’esportazione del mastice e il traffico dell’allume diedero un forte
impulso commerciale all’isola, ma la struttura economica locale rimase per la massima parte
agricola.
Prima del 1346 la società chiota era formata da un ceto di contadini, uno di operai, artigiani e
commercianti che vivevano nella capitale e nei pochi centri maggiori, e dalla classe dominante,
legata alla tradizione feudale bizantina, proprietaria di terre e di palazzi, oltre che di mandrie,
greggi e armenti.
Per favorire la colonizzazione latina, Vignoso e compagni stabilirono di assegnare parte delle
terre confiscate ai greci coinvolti nella cosiddetta ‘congiura del metropolita’ ai propri
compatrioti a condizione che questi si stabilissero a Chio con le proprie famiglie, consentendo
loro di assentarsi per ragioni di commercio solo per un periodo di tempo limitato. Per avere
una presenza latina più diffusa sul territorio, gli immigrati ricevettero spesso appezzamenti
sparsi, anche di diverso tipo: vigne, frutteti, giardini, campi. Gli assegnatari, in genere artigiani
o commercianti, non avevano però conoscenze pratiche di agricoltura né delle tradizioni agrarie
locali utili a valorizzare al meglio i terreni ricevuti.
Per questo la soluzione adottata più comunemente, anche dai Maonesi divenuti ormai proprietari
fondiari, fu quella di lasciare lo sfruttamento agricolo in mano agli indigeni, limitandosi a
percepire tasse e affitti e a commercializzare i prodotti del suolo. La stessa situazione, con i
Latini presenti nella fase commerciale, ma non in quella produttiva, parrebbe presentarsi in tutte
le colonie genovesi di Levante per i prodotti cerealicoli e nell’attività ittica. I Genovesi cercarono anche di organizzare in modo razionale le colture agricole: nel nord
predominavano i vigneti, nella parte centrale dell’isola piantagioni di gelsi e nel sud il
mastice.
Il mastice, insieme all’allume, il sale e la pece fu uno dei monopoli in mano ai Maonesi.
Come abbiamo più volte ricordato, il ruolo principale della Maona Giustiniani era quello
dello sfruttamento del commercio del mastice nell'isola di Chios.
La Maona operava in un vero regime di monopolio. Parte dei profitti venivano comunque con
aliquote ben precisate stabilite secondo l'annata a difesa dell'isola. Chio produceva mastice in regime di monopolio naturale e ogni stadio della produzione era
severamente controllato dagli ufficiali «super laboreriis et recoleriis seu recolictis masticis in
insula Syi».
Nella convenzione stipulata con il Comune genovese il 26 febbraio 1347 fu stabilito il diritto
della Maona di sovrintendere alla coltura del lentisco e alla raccolta e commercializzazione del
mastice senza doverne rendere conto al Comune e ai suoi rappresentanti locali. Genova
probabilmente ereditò il sistema bizantino per la gestione dell'affare del mastice, con qualche
iniziale difficoltà dovuta all’inesperienza degli immigrati e per “talune sfasature tra l'operato
della lontana madre-patria e le azioni dei suoi rappresentanti in loco.
Nell'isola era prevista una struttura amministrativa ben organizzata con impiegati
incaricati dello stoccaggio del prodotto, contabili e procacciatori di noli per il
trasporto del prodotto.
Le attività di estrazione del prodotto e raffinamento erano supervisionate da
"potestà".
Alcuni dati sul commercio del mastice a Chios
IL MASTICE DI CHIOS
Il mastice (masticha in greco) è il prodotto tipico
dellisola. In particolare lo si produce nel sud dellisola in 24 villaggi nella
regione della Matichicoria (villaggi del mastice).
Il prodotto ha una denominazione di origine controllata (D.O.P.) come gomma e
può essere prodotto soltanto nellisola di Chios.
Lassociazione produttori del mastice Enosi Mastikhoparagogon Khiou
(Union of Khios mastic producers) indirizzo Monomakhos 1, nella Chora.
Un vecchia tradizione di Chios fornisce una spiegazione sul fatto che soltanto il lentisco
di Chio produca il prezioso Mastice e il perchè tutti i vari tentativi di produrlo
altrove effettuati dagli antichi Romani ai gorni nostri siano andati falliti.
Il 14 maggio dellanno 249 dopo Cristo sotto le persecuzioni cristiane
dellimperatore Decio, fu martirizzato San Isidoro soldato romano convertito
proveniente da una famiglia pagana. Accettò il martirio pur di non abiurare la Fede. Fu
trascinato legato per una mano e per un piede ad un cavallo selvaggio dalla Chora a
Neochori nel sud del paese, attraverso le foreste di lentisco.
Gli alberi come per miracolo, piansero alla visione della sua sofferenza, testimoni
pingenti e silenziosi della sofferenza del giovane cristiano.
Così spiegano il perché lo stesso albero il lentisco, che esiste in molti altri luoghi
del mediterraneo, produca lacrime di mastice solo a Chios.
Un'altra leggenda parla della sua diffusione. Il suo odore penetrante prodotto dai fiori
stregò la figlia del sultano Medjit: costui, alla fine del 700 ne ordinò la coltivazione
estesa di questa pianta su tutta l'isola e da allora Chios rimase nota come l'isola del
mastice (mastiha).
Oggi il clero utilizza il mastice anche nellincenso e nella preparazione
dellOlio Santo cresimale.
Più prosaicamente la scienza ha cercato la spiegazione di questa singolarità nelle
particolari condizioni climatiche della regione e nelle caratteristiche del suolo e nella
probabile presenza di correnti geotermiche legate alla natura vulcanica di Chios.
Il mastice deriva dalla pianta del Lentisco (Pistacia lentiscus Chia o latifolia)
della famiglia delle Anacardiacee. E un arbusto che cresce fino a 1 m di altezza. Le
foglie, che rimangono verdi tutto l'anno, sono coriacee e lisce. Il frutto è una bacca,
rossa o nera, delle dimensioni di un pisello. Originario delle isole della Grecia è ora
diffuso in tuta larea mediterranea, coltivato nei terreni secchi, tra carrubi o
lecci.
La parte utilizzata è la resina e le foglie raccolte in luglio-settembre praticando delle
incisioni sul tronco e sui rami: la resina che fuoriesce si rapprende all'aria sotto forma
di masserelle tondeggianti. Si presenta sia lacrime sia in pezzatura piccola di colore
giallastro tra il trasparente e lopaco, con un odore caratteristico.
La densità è di 1,06 e il suo punto di fusione e tra i 60 e 110 gradi, lacidità
tra 50 e 70.
La resina si lava delicatamente per asportare le impurità raccolte alla superficie,
quindi si essicca e si conserva in scatole di legno.
Il suo gusto è leggermente dolciastro, è utilizzato nellalimentazione (gomma da
masticare, aromatizzatore di bevande e gelati, liquori), nella cosmetica e nella
farmacologia.
Il mastice alimentare ha proprietà astringenti ed aromatizzanti oltre ad essere una
sostanza adesiva naturale.
Il Mastice contiene un acido aromatico e un'essenza ricca di pinene. Masticato diventa una
pasta malleabile come la cera, che aderisce ai denti. Grazie alla sua azione
antinfiammatoria e antisettica, combatte la piorrea e la gengivite (infiammazione delle
gengive). E' utile nella cura della paradontosi (infiammazione dei tessuti di sostegno del
dente), che è la principale causa della caduta dei denti. Inoltre, profuma l'alito,
producendo una sensazione di freschezza e di pulizia. Si utilizzano, al pari del mastice,
per sciacqui eseguiti con il decotto, per disinfiammare le gengive e rinforzare la
dentatura.
Il mastice viene utilizzato anche nella pittura. Disciolto a freddo o a caldo in essenza
di trementina fornisce un'ottima vernice finale per i dipinti a tempera e ad olio.
USO OMEOPATICO DEL MASTICE
Per le gengiviti, la piorrea e la paradontosi. Il mastice viene utilizzato masticato o in
pasta dentifricia.
Per i sciacqui utilizzare un decotto di foglie e fusti giovani (100 g per 1 litro d'acqua)
fino a un massimo di 5 volte al giorno.
LOUZO AROMATIZZATO AL MASTICE
Il Regolamento CEE N. 1576/89 del 29.51989, stabilisce le regole generali relative alla
definizione, alla designazione e alla presentazione delle bevande spiritose.
Per essere denominata ouzo la bevanda spiritosa aromatizzata con anice deve: essere
elaborata esclusivamente in Grecia; essere ottenuta dalla combinazione degli alcoli
aromatizzati per distillazione o macerazione, con l'impiego dei semi dell'anice ed
eventualmente del finocchio, del mastice derivante da un lentisco indigeno dell'isola di
Chios e di altri semi, piante e frutti aromatici; l'alcole aromatizzato per distillazione
deve rappresentare almeno il 20 % del titolo alcolometrico dell'ouzo.
Tale distillato deve: essere ottenuto per distillazione in alambicchi tradizionali
discontinui di rame di capacità uguale o inferiore a 1 000 litri, avere un titolo
alcometrico non inferiore a 55 % vol e non superiore a 80 % vol.
L'ouzo deve essere incolore, con un tenore di zucchero uguale o inferiore a 50 grammi a
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L'Europa alla fine del XV secolo
LA VITA A CHIOS AI TEMPI DEI GIUSTINIANI
Una divisione della popolazione in ceti risulterebbe troppo schematica per una società che,
mutevole per sua stessa natura, lo era ancor più nei domini genovesi, dove le diverse realtà di
genti, etnie e confessioni che vi transitavano e che li popolavano venivano accettate, anche, e
forse soprattutto, in nome di un “opportunismo empiristico”.
Tappa quasi obbligata per gli itinerari verso il Vicino Oriente, l’Anatolia turca o il Mar Nero,
Chio attirava una popolazione in movimento (mercantI, armatori, marinai), ma
incoraggiava l’insediamento stabile di nuovi abitanti, ad esempio garantendo esenzioni fiscali
agli immigrati, di qualsiasi etnia, che sposavano donne della masticaria.
Per ottenere una visione d’insieme di questa popolazione composita ed eterogenea è forse più
opportuno seguire una ripartizione per categorie etniche e per appartenenza religiosa, che
spesso si identificavano tra loro. Chio restò sempre un territorio con una popolazione prevalentemente di etnia greca e poi di
graduale e progressiva penetrazione turca, nel quale coesistevano anche l’elemento ebraico e
quello latino, insieme a un’esigua minoranza di maroniti.
Latini
Nella categoria dei Latini erano compresi i Maonesi e i burgenses (in genere Genovesi e
Liguri), coloro che provenivano da città italiane, da nazioni europee e dagli altri territori latini
nel Levante. Essi erano attratti dalla politica della Maona, interessata principalmente a stimolare
l’attività economica.
Dopo la prima dominazione genovese (1304-1329) la presenza occidentale defluì rapidamente e
non sembra che gli 800 soldati della guarnigione di Martino Zaccaria, come pure la
maggioranza dei residenti occidentali, siano rimasti nell’isola.
Una delle prime preoccupazioni di Simone Vignoso fu quella di favorire il popolamento latino,
ma malgrado gli sforzi e l’afflusso di più membri di un medesimo gruppo familiare, la presenza
degli occidentali restò minoritaria, concentrata nella capitale e più rarefatta nelle campagne,
anche se forse meno rada nella Mastichochora.
Con la requisizione delle 200 abitazioni nel castrum e la possibilità per i Genovesi (e Latini in
genere), negli otto mesi seguenti alla conquista, di comprare dai Greci altre dimore all’interno
delle mura a un prezzo fissato da un arbitrato, si facilitò l’insediamento dei Latini nella
cittadella, ma non si escluse che i Genovesi potessero stabilirsi fuori di questa, nei quartieri
dove i Greci erano in maggioranza.
Benché la cittadella diventasse il luogo privilegiato di residenza dei Latini, non fu l’origine
etnica degli abitanti che stabilì la distinzione tra questa e i burgi, ma piuttosto l’aspetto di questi
due insiemi urbani.
A differenza del monopolio istituito da Venezia nei suoi territori egei, nulla impediva ai nongenovesi
di dedicarsi al grande commercio: essi dovevano solo pagare i diritti di dogana,
mentre le merci dei genovesi ne erano esenti.
Che fossero di origine ligure o meno, i Latini possedevano un certo numero di privilegi, tra i
quali la possibilità di ricoprire cariche precluse ad altre etnie, soprattutto nell’apparato
amministrativo e militare: per esempio tutti gli uomini a cavallo in servizio a Chio dovevano
essere di stirpe latina come anche gli uomini del ‘Castro de Colla’. Nel 1410 tutti i dipendenti
del Podestà erano Latini e alcune cariche relative alla gestione del mastice erano aperte solo a
questa etnia.
La presenza genovese e ligure costituiva la maggioranza della popolazione di provenienza
occidentale, con individui originari non solo di Genova e dintorni, con nomi magnatizi quali
Giustiniani e Spinola, ma anche delle due Riviere (con una prevalenza degli oriundi da quella di
Levante, che aveva più basse condizioni economiche rispetto alla Riviera di Ponente),
dell’entroterra, dell’Oltregiogo e della Lunigiana.
Dopo la caduta di Costantinopoli furono molti i Genovesi e i Liguri, insieme ad altri occidentali,
che si rifugiarono a Chio, a volte nella speranza di poter ritornare a Pera o in patria, altre con
l’intenzione di continuare nell’isola la loro attività.
Nonostante gli oriundi spesso prendessero dimora stabile a Chio, morendovi e venendovi
sepolti, cercarono sempre di preservare la loro nazionalità e i legami con la madrepatria, ad
esempio mandando i figli in Italia per la loro educazione alle università di Pavia, Padova e
Bologna.
Era diffuso anche il ricorso al matrimonio per procura, che consentiva di sposare donne rimaste
in patria, e le chiese di Genova e delle città liguri erano spesso incluse tra i beneficiari dei
lasciti testamentari dei Genovesi d’Oriente, non solo di Chio.
Una clausola del testamento di Maria, figlia quondam domini Petri Iustiniani de Rocha e
vedova di Neapolioni Justiniani quondam domini Octoboni, redatto il 27 giugno 1456, riporta:
Item legavit voluit statuit et ordinavit quod dicantur seu
celebrentur in Ianua pro anima ipsius testatricis post mortem
suam mille misse […]
Fra le presenze occidentali più numerose dopo i Genovesi e i Liguri, vi erano quelli che
potremmo chiamare ‘italiani’: utilizzando le odierne denominazioni vi erano cittadini dal
Veneto (Venezia, Padova), dalla Lombardia (Milano, Pavia), dal Piemonte,
dall’Emilia Romagna (Parma, Bologna, Piacenza, Rimini), dalla Toscana (Firenze, Prato,
Pisa, Lucca, Siena), dalla Campania (Amalfi, Gaeta, Napoli), dalla Sicilia e dalla Sardegna,
ma anche da Ancona, Roma e, in numero inferiore, da altre città.
Altri occidentali provenivano dalla penisola iberica (soprattutto dalla Catalogna e dalla
Castiglia, ma anche da Siviglia, Saragozza e dalle isole, per esempio, Maiorca) e dal sud della
Francia (dalla Linguadoca con Montpellier, Carcassone, Narbona, Perpignano e dalla Costa
Azzurra con Marsiglia, l’isola di Hyeres, Nizza), insieme a presenze fiamminghe, soprattutto da
Bruges, e tedesche.
In maggioranza mercanti, talvolta erano anche artigiani e professionisti, come Periconus
ferrerius de Maiorica e il phisicus maestro Gabriele di Saragosa Aragonum; o avevano ruoli
nell’amministrazione, come Pietro Theothonicus e Anechino di Bruges, servienti del podestà nel
1381 e nel 1394.
A queste presenze andavano ad aggiungersi quelle di individui provenienti da altre località
dell’Oriente mediterraneo e della regione pontica; soprattutto nel Quattrocento immigrati da
Smirne, Rodi, Cipro, Caffa, Costanza, Candia, Famagosta, Teologo, Mitilene, Focea, Pera si
rifugiarono nell’isola man mano che l’avanzata turca procedeva e conquistava territori prima
soggetti ai Latini.
In particolare per gli esuli peroti, Chio fu il rifugio più vicino e sicuro. Nonostante solo una
piccola percentuale di fuggiaschi (circa l’8%) non fece poi ritorno a Pera o a Costantinopoli,
l’arrivo dei profughi ebbe conseguenze spesso problematiche, dal punto di vista delle esigenze
immediate della vita quotidiana e sotto l’aspetto economico (strascichi di problemi finanziari
non risolti, affari in sospeso, procure rilasciate ad individui che erano rimasti nella città
conquistata e che vennero poi revocate).
Dagli atti leggiamo che Antonius de Cabella, considerato il 15 gennaio 1454 ancora burgensis
Pere, il 26 febbraio seguente è olim habitatore Pere et macellario e che Bonum de Costa,
burgensem Pere il 18 giugno 1453, il 2 marzo 1454 è habitator Chii.
Abbiamo poi i testimoni in un atto del 5 febbraio 1454 Nicolao de Filippis, Nicolao Macagna et
Bartholomeo de Rapallo calligario et Dimitri Fabio de Langasco, olim habitatoribus Pere, ma
anche Antonius de Luco e Iohannes Iorno de Finario, pelliparius, entrambi indicati come olim
habitator Pere.
Greci
La grande maggioranza della popolazione era costituita da Greci, con una naturale prevalenza
dei nativi di Chio, ma vi erano anche quelli di origine straniera, dalla Morea, da Mitilene,
Costantinopoli e Salonicco, che aumentarono con l’avanzata turca del XV secolo, quando
individui provenienti ad esempio da Caffa e Pera, si rifugiarono nell’isola insieme ai profughi
latini.
I Greci erano socialmente divisi tra la nobiltà locale, una media borghesia e la massa che viveva
nelle campagne; questa distinzione riprendeva in parte quella della società bizantina di Chio in
dynatoi, aristocratici che detenevano le ricchezze e le terre, e penetes, coloro che le
coltivavano.
I nobili che avevano concluso il trattato del 1346 con Vignoso, pur avendo mantenuto alcuni dei
privilegi concessi dagli imperatori bizantini, costituivano una classe inferiore rispetto ai
burgenses latini, a meno che non fossero questi stessi burgenses. Avevano garantiti la libera
disposizione dei beni, oltre che le rendite delle loro chiese e dei loro monasteri, e avevano
interessi comuni all’aristocrazia mercantile genovese, con la quale condividevano i profitti del
commercio marittimo.
La maggior parte della popolazione era impiegata nell’agricoltura, in particolare nell’estrazione
del mastice, e nell’allevamento, ma i Greci occupavano anche un posto di rilievo nel piccolo
commercio e nelle produzioni artigianali, nella distribuzione e nel settore alimentare. Si
occupavano del trasporto interno dei prodotti agricoli fino alla città, del traffico di cabotaggio
locale ed erano spesso reclutati come equipaggi delle navi. Svolgevano anche professioni
quali banchiere, macellaio, calzolaio, panettiere, locandiere, muratore, maestro d’ascia; in
particolare sappiamo che magistri antelami, masachani e samdarii erano per lo più greci.
Era comune che donne greche si ponessero al servizio di occidentali per il disbrigo di faccende
domestiche, ma vi erano anche servitori maschi, come Giorgio, figlio di Constantinus
Nacaratus habitator Syi, che venne impegnato dal padre come famullo per 8 anni presso
Ambrosio Vegio civi Ianue.
Benchè esclusi da certe cariche, in alcune liste di stipendiati risulta che i Greci potevano
ricoprirne altre. Almeno fino all’inizio del XV secolo furono autorizzati a partecipare alle aste
per l’appalto della riscossione delle tasse: nel 1404 l’imposta sull’olio era riscossa da Stephano
Triantaphylos, e un greco nel 1413 divideva la responsabilità per il comerchium angariae con
un Latino.
Nel 1409 con il cambio di regime i Greci furono privati non solo delle posizioni all’interno del
Consiglio del Podestà assegnate dal Boucicaut, ma anche dell’eleggibilità per quelle cariche
amministrative precedentemente a loro accessibili, e un regolamento del 1428 proibì
l’iscrizione di Greci nei registri della cancelleria:
Item deliberaverunt quod dicti domini gubernatores non scribi
faciant in eorum cartulario cancellarie nomen alicuius Greci
qui (qui) non serviat vel tiret stipendium de quo scribitur in
cartulario cancellarie ipsum habere et hoc ut dicti Greci non
possint recusare eorum goardias et angarias solvere.
Essi potevano essere testimoni e arbitri in controversie civili tra greci, ma anche tra greci e latini
o ebrei, e da questi potevano ricevere procure, come il papas Leo di Costantinopoli da parte
di Elia Moscholia, iudeus.
Erano inoltre proprietari della maggior parte delle botteghe in burgis, che affittavano
indifferentemente a connazionali o, più spesso, a Latini; in generale le condizioni di vita dei
Greci che erano dediti ad attività finanziarie, professionali e artigianali erano paragonabili a
quelle dei loro pari latini.
I Greci avevano propri notai, ma questi erano utilizzati di preferenza quando erano coinvolte
solo parti greche, nonostante un rogito di un notaio greco avesse valore legale e fosse produttivo
di obblighi e diritti anche per i contraenti latini.
Anche quando si rivolgevano a notai occidentali essi mantenevano le loro modalità di
giuramento:
Qui omnes iuraverunt ad sancta Dei evangelia videlicet dictus
Johannes Franciscus et ceteri greci super figura Jhesu Christi
et eius Matrus corporaliter tactis scripturis et figuris predictis
de veritate dicenda admoniti ut moris est.
Compaiono anche le formule:
iurantes more grecorum osculando maiestatem; more grecorum super imaginibus
sanctorurn, corporaliter tactis; ad Sancta Dei Evangelia, corporaliter tacti Maiestatibu more
greco; super maiestate more Grecorum; ad sancta dei evangelia, super pectus sive more
Grecorum o ad sancta Dei Evangelia, tactis corporaliter ymaginibus Sanctorum, more
Grecorum
e alcuni pensano che il notaio o gli autori degli atti portassero con loro le icone per la
stipulazione giuridica o che a volte i rogiti si svolgessero in chiese ortodosse.
Altra consuetudine conservata dai notai greci fu quella di datare i propri atti secondo l’era
bizantina, che iniziava nel 5508 a.C. e il cui anno incominciava il primo settembre423.
[…] erat vigore publici instrumenti scripti et compositi manu
Nicole Plasmi Canavuri, notarii greci, anno
VI°DCCCLXXXVIIII, die VII° ianuarii, secundum cursum
Grecorum, et de ipsis dictus Georgius se a dicto Iane bene
contentum et soluturn vocavit et vocat. […].
Ebrei
Quando i Genovesi arrivarono nel Levante, gli Ebrei vi si erano già stabiliti da tempo,
costituendo un ceto indigeno influente nel campo finanziario e commerciale, e sotto il dominio
genovese continuarono a svolgere le loro attività, talvolta essendo persino ammessi a cariche
pubbliche.
Sappiamo che a Chio nel XI secolo vi erano una quindicina di famiglie ebree e verso il 1160
Beniamino de Tudela riporta la presenza di circa 400 giudei; la prima testimonianza della loro
presenza nell’isola dopo la conquista di Vignoso è del 1362.
Nel 1394 esisteva già una ‘piazza degli ebrei’ e sempre nell’ultimo decennio del XIV secolo si
hanno notizie di una ‘giudecca’. Il nucleo ebraico permanente risiedeva infatti in una parte di
castrum compresa tra il piccolo palazzo della cancelleria e una delle porte della cittadella ed era
denominata Judaica o contratta Judaiche.
Almeno dall’inizio del XV secolo il quartiere ebraico, dove si trovava tra l’altro la sinagoga,
era aperto ad altre etnie: Maonesi e Greci possedevano beni all’interno del perimetro della
Giudecca e vi abitavano, e ugualmente ebrei possedevano beni e risiedevano in altre zone.
Pur concentrata nella contrata Iudaice la comunità ebraica non sembra essere stato oggetto di
discriminazioni come durante il periodo bizantino, al contrario di quanto affermavano autori di
fine ‘800 quali Finlay e Hopf, secondo i quali gli ebrei erano confinati in un ghetto e obbligati a
portare un berretto giallo come segno di riconoscimento. Da una lettera di papa Martino V a
Leonardo, vescovo di Chio, risulta che nel 1423 nessun segno esteriore distingueva i cristiani
dagli ebrei e la prima testimonianza del contrario è del 1551.
Tra gli obblighi a cui dovevano ottemperare vi era invece un donativo annuale di una bandiera
di Genova (bianca con croce rossa) per la Chiesa di San Giorgio e la recita di preghiere per il
papa in occasione delle festività natalizie e pasquali.
Sintomi rilevanti del regime di tolleranza adottato dalla dominazione genovese furono la
possibilità di matrimoni misti, nonostante l’autorità ecclesiastica condannasse le unioni con
ebrei, e la concessione ad alcuni membri della qualifica di burgenses di Chio.
Spesso alla pari dell’elemento latino, gli ebrei a Chio godevano in ogni caso di diritti uguali alla
minoranza greca: avevano sinagoghe, rabbini e anch’essi giuravano secondo le loro usanze:
super licteris ebraicis, more iudeorum o super litteris ebraicis, more ebraico o super litteris
ebraycis, more Ebreorum; tactis corporaliter libris ebruaicis biblie more ebreorum o
iurantium super biblia more ebreorum o ancora tactis eorum propriis manibus scripturibus
ebraicis, more Iudeorum.
Entrambe le minoranze erano soggette al pagamento del kharaj (caragium in latino), tassa su
case e terre che serviva a pagare il tributo dovuto ai Turchi, e dovevano fornire una quota
annuale di grano; solo in seguito alla caduta in mano turca di Pera e delle altre colonie genovesi,
la popolazione latina di Chio non fu più esentata da questi obblighi.
In generale usufruivano della legislazione genovese, potevano effettuare affari e agire come
curatori di terzi, anche cristiani. Documenti riportano di prestiti effettuati da esponenti della
comunità ebraica ai massarii et gubernatores della Maona, che li ricevevano in nome e per
conto di quest’ultima; spesso in cambio di prestiti immediati concessi da ebrei venivano
ipotecate quantità di mastice dei raccolti futuri. Non erano però unicamente prestatori: vi era
una considerevole presenza ebraica nel campo della navigazione, nella tratta degli schiavi
(seconda solo a quella catalana e genovese) e nelle professioni liberali, in particolare come
medici. Vi erano anche tintori, maestri d’ascia e altri artigiani, e mercanti, che trafficavano in
sapone, olio vegetale, sego, pellicce, tappeti, farina, grano, lino, coloranti, vino.
Il ruolo che i giudei occupavano nella società chiota è testimoniato oltre che dall’urbanistica,
anche dal coinvolgimento nell’amministrazione dell’isola, seppure a condizioni non
vantaggiose.
Parliamo in particolare dell’ Officium provisionis grani civitatis Syi, che si occupava
principalmente dell’approvvigionamento annonario, fondamentale dato il tipo di agricoltura
sviluppata sull’isola. L’incarico era gravoso, dovendo provvedere a generi di prima necessità
“in una situazione di bisogno perennemente insoddisfacibile o quasi” e per questo la rinuncia
alla nomina, che poteva ricadere su Ebrei, Greci o Latini, comportava una multa.
L’integrazione è testimoniata inoltre da lasciti testamentari a dominacio Syi, dalle
collaborazioni tra ebrei e latini e greci in campo economico e dalla presenza di testimoni latini
in atti riguardanti contraenti giudei.
Pur essendo la più antica minoranza religiosa, presente sull’isola fin dall’epoca romana, gli
israeliti furono sempre la più piccola delle comunità organizzate. In genere essi sembrano
essere appartenuti alla categoria degli stranieri non soggetti al kapnikon e pertanto difficilmente
censibili, considerando anche che non tutti erano residenti in Chio e, soprattutto per quanto riguarda gli ebrei di provenienza straniera menzionati negli atti, è difficile distinguere tra gli
abitanti e coloro che erano di passaggio.
Sappiamo però che il loro numero aumentò in seguito all’espulsione degli ebrei dalla Spagna
del 1492, quando molti sefarditi si rifugiarono nell’isola e vennero a costituire la maggioranza
della comunità ebraica chiota.
Altre comunità, stranieri e schiavi
Esigue minoranze erano costituite dai maroniti, i quali possedevano un monastero nella città di
Chio, e dagli armeni, che però non sembrano comparire negli atti della fine del XIV secolo.
La presenza dell’elemento ottomano era consistente: al tempo di Cristoforo Colombo nel
capoluogo erano stanziati un migliaio di turchi e vi risiedeva un kadi (giudice religioso a capo
di un distretto amministrativo) che a partire dalla fine del XV secolo era stipendiato dalla
Maona.
Non mancavano nell’isola gli agentes serenissimi regis Turcharum e nel 1413
Cagi Sati ogli
Turchus lugatus [!] et ambaxiator magnifici domini Joanit Turchi a proposito di un caso
riguardante Cagi Sorti de Theologo presentava al podestà Paolo di Montaldo literas tenori
infrascriptis [credencie] representans in literis grecis redatas in literis latinis.
Gli stranieri residenti a Chio erano principalmente mercanti, ma non sempre ciò è specificato,
come nel caso di Giovanni de Etiopia, Niger, Christianus catolicus, che il 9 luglio 1465 si
dichiara debitore verso un cittadino genovese.
A rendere ancor più composito il quadro etnico della società chiota vi erano gli schiavi, con
un’estrema varietà di provenienze: tartari, bulgari, greci, turchi, circassi, russi, armeni, saraceni,
bosniaci, albanesi, mingreli (sottogruppo etnico dei georgiani), valacchi. Chio conosceva il commercio e la presenza di schiavi fin dall’epoca classica e i genovesi erano
abituati alla presenza di schiavi in patria, per questo sia latini sia greci erano coinvolti negli
scambi. Ego Sergi Carvogni, grecus de Syo qu. Nicole, Caloceti, vendo,
cedo, mando et traddo tibi Conradino de Mari, filio Gandi,
civis Janue, sclavum unum meum de genere Turcorum ettatis
annorum viginti octo vel circa, nomine Aycat, sanum et
integrum omnibus suis membris.
Dopo il 1381 gli schiavi greci sembrano scomparire, in concomitanza con la diffusione, negli
ultimi decenni del secolo, dell’idea che i latini e i cristiani, quanto meno i cattolici, non
potessero essere ridotti in servitù. Vi sono infatti documenti nei quali schiavi riconosciuti di
religione cattolica venivano dichiarati liberi:
[…] sclavum de proienie Tartarorum etatis annorum XXIIII [..]
se presentasse in Syo coram domino potestate Syi in eius curia,
asserens se esse christianum ab nacione catolicum et nunquam
fuisse sclavum ymo liberum, francum et hominem sui iuri . Qui
dominus potestas Syi, visis testibus productis per dictum
sclavum liberavit ipsum […].
Un esempio altrettanto interessante è quello presentato da un atto del 1 ottobre 1453 con cui una
schiava venne manomessa a condizione che mantenesse la religione cattolica:
Domina Isabella, filia condam Borruellis Salvaighi et uxor
condam Ambrosii de Nigro, per se et suos heredes manumissit,
quitavit, liberavit et absolvit a sua potestate et dominio et omni
vinculo et iugo servitutis
Caterinam, Iarcasiam seu Zicam, suam servam, absentem
tanquam presentem, cum hac tamen conditione et lege, quod
dicta Caterina teneat semper fidem catolicam; quam si
mutaverit, cadat a presenti manumissione et sit semper serva.
Le informazioni sugli schiavi ci vengono in massima parte dalle numerose minute redatte dai
notai genovesi concernenti la vendita, l’affitto o l’affrancamento.
Data la scarsa presenza dell’elemento femminile latino, nell’isola le schiave avevano un rilievo
particolare, non solo come domestiche e balie, ma anche in qualità di compagne e madri,
come si vede dai casi di convivenza e di prole illegittima, talvolta legittimata.
Item dicit dicta Elena quod habuit et habet filios duos naturales
ex semine suprascripti quondam Petri de Ripalta olim domini
dicte Elene […] Baptista de Vignana tabernarius burgensis Chii quondam
Rainaldi habens sclavam natam ex Cateria eius sclava vocatam
Teodosiam ad presens etatis mensium sex vel circa […]
Un’incidenza nel tessuto economico-sociale l’avevano anche i liberti, che aumentarono di
numero quando la minaccia turca si fece più pressante e le manomissioni più frequenti.
Nonostante la richiesta di manodopera, soprattutto maschile, dagli atti non sembrerebbe risultare
la presenza di schiavi nelle campagne, mentre ve ne erano al servizio di artigiani; talvolta dopo
l’affrancamento questi entravano in società con l’ex-padrone, mettendo a frutto i segreti
dell’arte imparata.
Un esempio è quello di Manoli Morayto de Achaya, detto Varentino, schiavo greco al servizio
del tintore Diego di Siviglia, che una volta manomesso rimase a lavorare come tinctor
pannorum con l’ex-padrone diventando socio di minoranza dell’azienda (il suo compenso
sarebbe stato un terzo di ciò che guadagnavano).
La clausola che impegnava Manolo a non insegnare a nessun altro nell'isola l'arte della tintoria
fa pensare che il maestro occidentale abbia insegnato i segreti del mestiere al proprio servo, poi
elevato a collega, ma Balletto non esclude che possa essere avvenuto il contrario.
Oltre a compravendite di interesse locale, Chio era punto di passaggio per il commercio di
esportazione degli schiavi diretti soprattutto verso l’Occidente, ma anche verso l’Egitto.
Cives, burgenses, habitatores… I documenti notarili
Negli atti notarili gli individui citati vengono in genere identificati, oltre che con nome e
cognome (e a volte patronimico), con la menzione della loro provenienza e del loro status. A
partire dal 1359-1360 troviamo termini quali cives, burgenses, habitatores, incolae e subditi.
Il termine cives non aveva un significato univoco: se era seguito da Ianue indicava i cittadini a
tutti gli effetti, genovesi d’origine che usufruivano di tutti i diritti politici ed economici, se era
invece accompagnato dal nome di una località o regione sotto il dominio della Superba non
implicava la cittadinanza genovese. La definizione della città di Chio come civitas aveva una
valenza talvolta solo territoriale: i suoi abitanti non erano qualificati come cittadini di pieni
diritti e la rara designazione di civis Chii indicava la residenza permanente sull’isola, per la
precisione all’interno del castrum, senza avere connotazioni giuridiche di cittadinanza.
Pasqualino di Pontremoli in un atto del 25 giugno 1394 è indicato come burgensis Syi mentre il
4 febbraio 1398 troviamo presentibus testibus Nicolao Rechanello et Pasqualino de Pontremulo
civibus Syi, ma non si tratta di un cambiamento di status, in quanto il 12 febbraio seguente
compare nuovamente come Pasqualinum de Pontremulo, burgensem Syi.
Altri esempi sono Cosma Cigalla et Iacobus de Valeperga, cives Chii, duo publici extimatores
civitatis et insu1e Chii, Enrico Goasaegoa, Angelo de Tacio e Gregorio de Turrillia, Francisco
Alberico, Johanne Pezono et Lazarino de Rappalo, civibus civitatis Chij.
Molti privilegi erano concessi alla borghesia, tra i quali l’esenzione dal pagamento dell’angaria
e di altre tariffe sull’attività commerciale e la possibilità di essere consultati su questioni
importanti, ma la pienezza dei diritti, come l’accesso agli uffici governativi, apparteneva solo ai
Maonesi. Questa situazione cambiò temporaneamente quando il maresciallo Boucicaut concesse
quattro posti nel consiglio del Podestà ai borghesi, ma al successivo cambiamento di governo la
misura fu annullata.
La distinzione tra Maonesi e burgenses non era però netta, in quanto un membro della Maona
poteva essere un borghese, così come lo erano molti membri di famiglie nobili: si tratta di un
termine legale, non sociale.
Dal XV troviamo designati in questo modo non solo Latini (in maggioranza genovesi), ma
anche membri delle comunità orientali, greci ed ebrei, che venivano ricompensati della loro
lealtà al governo con privilegi tra i quali l’esenzione da alcune tasse.
Questa designazione non implicava però che fossero nativi dell’isola e non era neppure una
semplice constatazione di domicilio, benché i diritti di cui godevano fossero connessi con la
residenza in loco.
Tra gli occidentali non liguri presenti negli atti solo una piccola percentuale portava il titolo di
‘borghese di Chio’, come Laurentio de Terdona, Johanne de Ast burgensibus Syi e Bernardum
de Cesena, burgensem Syi, i due publici extimatores comunis Syi, Raffael Ioxepe et Ianotus de
Mediolano, [bu]rgensses Syi, Iohanne de Ancona condam Petri, Colla Boçutus de Neapoli,
speciarius, ma anche Manuel de Parma, Bartholomeus de Padua, Thomas de Loreto, tutti
burgensis Syi.
La restante parte indicava invece al notaio la città di provenienza: Simon de Aversa regni Neapolit qu. Henrici e Jacobus de Simonino de Anchona, Jacobum Faxolum d’Ast , Ambrosia
Prana de Mediolano. Lo stesso facevano i greci non nativi: Anthonius Petri, balistarius de
Constantinopoli, Michael de Famagusta quondam Georgii, Antonio de Iacobo de Metelino e
gli stranieri come Catip Bassa Turchi de Bergamo.
Mentre la qualifica di burgensis o civis era legata a specifiche condizioni di nascita o
acquisizione ed era in genere definitiva, quella di habitator sembra fosse temporanea e
dipendente della residenza: per questo troviamo oriundi di Pera o Genova chiamati
habitor
Crete o habitator Veneciarum e molti habitatores Chii, in genere provenienti da aree non
genovesi, inclusi greci ed ebrei.
Era inoltre possibile che, avendo un recapito sull’isola, un individuo fosse considerato
habitator Chii pur mantenendo la propria cittadinanza d’origine, oppure avesse una doppia
qualifica di civis et habitator Syi (come Donainus de Via e Thomas de Pergamo o l’ebreo Moyses de Meir) o di
burgensis et habitator, distinguendo chiaramente l’appartenenza alla
comunità cittadina dalla residenza.
Più numerosi i soggetti qualificati in questo secondo modo, come i testimoni dell’atto del 8
novembre 1359, Nicolaus Bergadanus, Nicolaus Torrelus, Julianus Badachinus, Nicolau
Rezanus, faber, burgenses et habitatores Syi498 o del 16 marzo 1381:
[…] presentibus testibus Richiardo de Nigro, Archerio de
Nigro, fratribus, Nicolao Lagorio de Saona quondam Iacobi,
burgensibus et habitatoribus Syi.
Non si tratta di una particolarità di Chio, in quanto troviamo anche:
[…] presentibus testibus Laurentio Carena quondam Gabrieli ,
Iohanne Logio de Arenzano et Paulo Savina, notario, civibus et
habitatoribus Ianue, o Iohanne de Goascho , Paulo Savina,
notarii et Iohanne de Goano, civibus et habitatoribus Ianue.
Da notare infine che la doppia qualifica non era ad esclusivo appannaggio dei latini:
[…] presentibus testibus dicto Nicolao Moschambario,
interpetre, Anthonio de Pinu quondam Dominici et Sergio
Protomastro,magistro axie, habitatoribus et burgensibus Syi, ad
hec vocatis et rogatis.
Il resto della popolazione rientrava nelle categorie subditi et incolae, dove i primi erano i greci,
soggetti alla dominazione genovese definiti normalmente grecus de Syo o grecus Chiensis, e
i secondi gli abitanti stabili dell’isola non greci.
L’importanza degli atti non toglie tuttavia i dubbi sulla loro precisione, dati i numerosi casi nei
quali mancano elementi di qualificazione dei soggetti o quelli in cui uno stesso individuo
compare con qualifiche differenti.
Oltre a Pasqualino di Pontremoli vi sono i casi di Andriolus de Castiliono quondam Bernabe
che il 13 marzo 1381 viene indicato come burgensis Syi e il 26 marzo habitator Syi; di Anthonius de Turri, interpres curie Syi che il 9 gennaio 1381 è habitatore civitatis Syi, il 10
burgensis Syi e il 7 febbraio di nuovo habitator, e di Antonius Sagimbem che risulta il 4 marzo 1394 burgensis Syi, il 10 marzo habitator Syi e il 30 luglio di nuovo burgenssi. È lecito
dubitare che si tratti di un cambiamento di status giuridico.
Vi sono infine termini generici quali grecus o de Chio, per i quali possono solo essere avanzate
ipotesi: de Syo potrebbe essere stato usato sia per i greci (come Iane Coresio) sia per individui
di altre nazioni, mentre grecus per allogeni dall’isola.
Un altro aspetto problematico dell’utilizzo di documenti notarili si riscontra negli studi
toponomastici: in genere venivano mantenuti i nomi originari, ma trascritti come intesi dai
latini, e spesso con un’approssimazione e variabilità che fanno pensare si tratti di denominazioni
occasionali e non codificate stabilmente.
In modo analogo l’uso degli stessi per effettuare un computo della popolazione può solo dare
risultati approssimativi e limitati all’arco di tempo degli atti analizzati: le percentuali calcolate
da Balard in base agli atti redatti tra il 1394 e il 1408 non saranno valide per i periodi
seguenti, dovendo tener conto di numerose variabili tra le quali emigrazioni, immigrazioni,
pestilenze, incursioni piratesche, guerre.
Altre fonti non presentano minori problemi, come si nota dalla discordanza tra un manoscritto
anonimo di metà XVI che parla di 120.000 abitanti e Umberto Foglietta che nel 1575 ne calcola
90.000.
Risulta in ogni caso particolarmente interessante il rapporto del podestà Fatinanti del 1395 che,
a fini esattoriali, riporta dati numerici relativi anche alla popolazione greca, con 2.142
capifamiglia greci e circa 400 di origine occidentale, per un totale approssimativo
rispettivamente di 10.000 e 2.000 persone. Alla fine del XIV secolo i Latini corrispondevano
quindi a un quinto della popolazione greca locale, a metà XV risulterebbero circa 4.000 su
50-60.000 abitanti mentre nel 1566 da rilevamenti turchi i non-greci dell’isola sarebbero stati
500.
Questo tipo di calcoli inoltre deve tener conto che i documenti studiati sono solo una parte di
quelli originariamente redatti dai notai latini, la cui clientela era costituita principalmente da
Occidentali.
I vincoli a proposito della residenza nell’isola rendevano Greci ed Ebrei poco propensi a
considerare le proprietà immobiliari come investimenti commerciali e ciò spiega il loro minor
coinvolgimento nelle negoziazioni di immobili, ma la ragione principale della carenza di atti
che li riguardano è un’altra. Benché essi ricorressero talvolta a notai latini ( anche quando le
parti in causa appartenevano entrambe alla medesima comunità), è probabile che ciò avvenisse
principalmente quando era coinvolta una corte di giustizia genovese.
Se sono noti vari nomi di notai greci, diversa è la situazione per la comunità giudaica: si
pensa che anche loro avessero notai propri che gestivano le questioni riguardanti solo ebrei, ma
al momento non risultano esserci documenti che lo possano provare.
Il ricorso da parte dei greci al notariato latino, la diffusione del plurilinguismo e
dell’interculturalismo, la partecipazione dei nativi alla vita economica e amministrativa
dell’isola, i matrimoni misti e la convivenza dal punto di vista religioso e urbanistico
rappresentano gli elementi più evidenti della commistione tra le principali etnie chiote.
Aspetti giuridici
La legislazione genovese, a cui si aggiungevano in circostanze particolari gli editti promulgati
dai podestà, era estesa anche agli stranieri di origine latina, ai Greci e agli Ebrei; il ricorso
a notai genovesi implicava anche l’accettazione di usi e norme occidentali.
Abbiamo ad esempio l’istituzione di dote ed antefatto (controdote) anche in matrimoni tra e con
ebrei e greci:
Lazarino Nicolao de Rapallo interpretante, Nicolaus Francus, quondam Georgii Carvegni
Franchi, habitator Syi riconosce di aver ricevuto da Christoforo de Costa, burgensi Syi, 250
iperperi di Chio, come dote di Mariete filie quondam Iohanis de Costa,
[…] et fecit dictus Nicolaus antefactum sive donacionem
propter nupcias dicte Mariete secundum morem et formam
capitulorum civitatis Ianue.
La legislazione genovese si applicava alla concessione della maggiore età a 18 anni, e non a 25
(come da tradizione imperiale greca), e all’emancipazione dei minori sia occidentali, come
Raffael de Podio quondam Guliermi, etatis veniam consequtus e Iacobus Torsellus filius
emancipatus, sia greci: Theodorum Tetragoniti, filium quondam Georgii Agelastri,
petentem et requirentem sibi etatis veniam dari […] testificatis
fuerunt dictum Theodorum complevisse dictam etatem annorurn
decemocto et esse sapientem, instruosum et discretum ac
sagace ad ornnia et singula sua gerenda, tractanda et
administranda negotia in iudicio et extra, absque aminiculo
curatoris et cuiusvis alterius aministratoris, et viso et cognito
ex aspectu prefacti Theodori quod ipse dictam complevit
etatem, ac viso capitulo posito sub rubrica "De venia etatis
minoribus concedenda", et volens unicuique de sui iusticia
providere causa plene cognita, dedit, tribuit et concesit predicto Theodoro, presenti, petenti et volenti, etatis veniam. […] non
obstante quod dictus Theodorus sit minor annis
vigintiquinque[…]
Al contrario di quanto avveniva a Genova non si riscontra quasi per nulla la partecipazione
femminile al mondo degli affari, principalmente per la scarsa presenza sull’isola dell’elemento
muliebre occidentale e non per particolari restrizioni dei diritti delle donne, che potevano anche
avere la cittadinanza.
Troviamo però donne greche ed ebree che, alla pari di quelle occidentali, erano tutrici dei propri
figli, esecutrici testamentarie delle volontà dei mariti, destinatarie di eredità, legati e doni e che
a loro volta lasciavano testamento.
Domina Petra filia quondam Petri Justiniani et uxor domini
Pantaleonis Argenti quondam Johannis per dei gratiam sana
mente et intellectu volens testari per presens nuncupativum
testamentum quod sine scriptis dicitur de se et de bonis suis
disposuit et ordinavit ut infra.
Se il marito voleva vendere una parte dei beni della coppia, la donna doveva dare
l’autorizzazione e rinunciare ai propri diritti a favore del coniuge e in caso di assenza
prolungata dello sposo, occasione frequente in una società mercantile come quella chiota, egli
poteva autorizzare la moglie a intraprendere azioni legali, le quali però dovevano sempre essere
approvate da due parenti o vicini:
[…] faciens in presentia hec omnia et singula et cum consensu
et consilio Michali Carvogni Scrigni et dicti Vataci de Folia,
suorum vicinorum, proximiorum et viri sui, ut dixit , loco
propinquorum, quos ad presens non valet habere, iurantium ad
Sancta Dei Evangelia, corporaliter tactis Scripturis, se credere
hec omnia fore ad utilitatem et commodum dicte Marie et non
ad ipsius damnum nec lesionem, necnon de adventu viri sui
infra menses sex non speratur.
I diritti femminili erano così limitati dalla necessità del consenso del marito o di parenti maschi
o di vicini, anche se si trattava di disporre di beni personali; le donne dovevano farsi quindi
rappresentare da procuratori, membri della famiglia o uomini di fiducia:
Mariola filia quondam Aloscij Pisis et uxor Anthonj de
Meteleno speciarij non valens in judicio accedere quia mulier
omni modo jure via et forma quo ut melius potuit et potest fecit
et constituit ac loco sui posuit et ponit suum certum nuntium et
procuratorem filipum de Meteleno filium dicti Antoni et
generum ipsius Mariole absentem tamquam presentem.
Il 18 giugno 1453 Marola, presunta vedova di Micali Apacsi, in presentia Luce de Luco,
Teodori Dromaeati et Leonini Terandafilo Greci, vicinorum dicte Marole, loco propinquorum,
nominò suo procuratore l’occidentale Angelo di Langasco con la condizione che
si dictus Micali Apacsi, vir suu , viveret, presens in
instrumentum procure locum non habeat, sed sit cassum,
nullum et irritum tanquam factum non fuisset; si vero mortuus
erit, locum habeat presens instrumentum.
Il 17 giugno 1394 il medico ebreo Eliseo Calaihi compare in un atto di vendita come
“procurator et procuratorio nomine Meliche, filie quondam Ellie Salomonis iudei, et uxoris
quondam magistri Ismail iudei” e qualche mese prima risulta: Magister Elixeus Calaihi, iudeus, phisicus, actor et actorio
nomine Meliche, filie quondam Elie Salomonis iudei et uxoris
quondam magistri Ismaili iudeo, tutricis testamentarie et
tutorio nomine Godidie, fillii et heredis in solidum dicti
quondam magistri Ismail […]Et de aprhensione hereditatis
dicti quondam magistri Ismail, aprehense per dictam Melicham
tutricem, nomine dicti Godidie, filii sui minoris […] Le stesse formule le troviamo riguardanti donne occidentali:
[…] actorio nomine domine Branchaleone, matris, tutricis et
curatricis filiorum suorum et filiorum et heredum quondam
domini Nicolai Iustiniani […] nella procura che alcuni Maonesi rilasciarono nel per trattare con il comune di Genova il
rinnovo della convenzione:
[…] procurator domine Theodorulle, uxoris condam domini
Hieronimi Paterii, tutricis et pro tempore curatricis filiorum et
heredum dicti condam domini Hieronimi.
Data la maggior mortalità maschile e la legislazione riguardante le vedove, non è raro trovare
donne che avevano contratto seconde nozze, come Thedora, filia quondam Georgii Foliarani,
uxor quondam Francisci Celesie, et nunc uxor Dominici de Calizano, burgensis Syi; Giamidena, prima uxore condam magistri Solomie Salonichey et ultimate uxore condam Gigel
de El; Mareta filia q. Guillelmi Domice olim uxor Marcii balador de moia et nunc uxor
Nicolai de Recho e Antonucia quondam Antonii Catalani burgensis Chii et olim uxor Michelini
de Landriano et nunc uxor Baptiste de Marcha de Ancona speciarii in Chio.
Eccezionalmente alcune addirittura arrivarono al terzo matrimonio, come Ginevra , figlia di
Domenico Bexegninus, vedova di Giacomo Romano e poi di Michele de Insula di Savona,
sposata poi con Giacomo Vinacia di Albenga.
Aspetti linguistici
La stipulazione di contratti tra soggetti di etnie e idiomi differenti rendeva talvolta necessario il
ricorso all’interprete. Erano in genere di origine occidentale e spesso genovese, ma potevano
anche essere greci, come Leon Vastarchi, scriba di Chio, greco al servizio dei Maonesi.
La lingua ufficiale nella pubblica amministrazione era il latino, nei rapporti ufficiali e nei bandi
pubblici veniva spesso usato l’italiano-genovese, ma nell’isola la maggior parte della
popolazione parlava greco. Per questo tra gli stipendiati della Maona vi erano interpreti ufficiali
della curia e banditori in lingua greca.
Costa Campanari placerius curie Syi retulit se hodie de
mandato dicti domini potestatis publice et alta voce
proclamasse et exposuisse per Bazale Syi et alia loca consueta
in lingua greca in omnibus et per omnia prout superius
continetur.
Da una delibera del 23 luglio 1417 a proposito dell’amministrazione dell’isola e in particolare
sul numero e lo stipendio dei dipendenti:
[…] Item deliberaverunt quod interpretes, placerii, substaliarius, tubatores et sonatores
elligantur et ponantur more solito et ad stipendia et salaria solita. […]
L’interprete ufficiale interveniva anche in atti tra privati, come Nicholao Moschambario,
interpretante Teofilatto di Cipro, che recedeva da un acquisto immobiliare e cedeva i propri
diritti al socio ligure, o Anthonio de Turri, interpetre curie Syi per Georgius Cosonergi, grecus
de Syi.
In genere l’incarico dell’ interpres era quello di traduttore, si suppone non solo dalla lingua dei
contraenti al latino per trasporre la loro testimonianza, ma anche l’inverso, per garantire la
comprensione vicendevole e l’esattezza del contenuto555. Ciò accadeva quando i soggetti erano
di etnie diverse tra loro, ma anche tra membri della stessa comunità, ad esempio greca, che
ricorrevano a notai latini.
Benché non siano noti documenti in doppia copia bilingue, sappiamo che talvolta veniva
richiesta la redazione ‘more ianuensi, in lingua latina et in greca’ e abbiamo atti con parti in
greco, a volte semplici sottoscrizioni, a volte testimonianze.
Da un atto del 18 novembre 1450:
[…] Qui quidem Johannes [Paterius] ipsum Matheum [Chalori]
convocari fecit coram dicto domino vicario pro ratione et
actione ipsius Johannis et ipsum Matheum interrogari fecit
singulatim de partitis predictis et tam de forma securitatis
predicte quam non potuti illo pretio et sub illa forma reperiri
quam pro se assicurari faciat more nostro januensi quam in
lingua latina et in greca pro cautela et interpretante Angelo de
Rimini sponte confessus est […]
Anche gli ebrei ricorrevano a notai occidentali e ugualmente necessitavano a volte dell’aiuto di
un’interprete, anche se non è specificato se questo traducesse dall’ebraico o se i contraenti
giudei parlassero greco.
La professoressa
Balletto definisce Simone Perello di Voltri “interprete di ebraico” ma nei documenti in cui
sono coinvolti ebrei compare solo Simon Perellus de Vulturo interpetre in predictis o interpretante in predictis, mentre altrove viene indicato come Simone Perello de Vulturo,
notario, presente interpretrante de greco in latinum.
Similmente Pistarino, riportando della presenza di Lazzarino di Rapallo come interprete in un
contratto tra ebrei, afferma “Lazzarino conosce quindi l'ebraico” benché nell’atto egli venga
menzionato, tra i testimoni, solo come Lazarino de Rappalo interpretre.
Elemento a favore di questa ipotesi potrebbe però essere la presenza di una casa in contracta
Iudayce, cui coheret […]ab oriente domus dicte Nachama et in parte domus heredis condam
Lazarini de Rapalo. Se Lazzarino abitava nella Giudecca, è possibile, ma non certo, che egli
sapesse l’ebraico.
La presenza di interpreti che conoscevano il greco anche in atti riguardanti giudei, senza però
alcun indizio che possa far pensare ad una conoscenza dell’ebraico, potrebbe significare che
questi giudei parlassero greco.
Bartolomeo di Pontremoli, interprete ufficiale della curia, e il notaio Antonio de Florio,
entrambi intepretanti in atti riguardanti ebrei, come anche Dominicus Gardinuus interpres
curie spectati domini potestatis predicta interpretans costituiscono altri esempi.
Anche a Chio, come nel resto del mondo genovese, vi erano i dragomanni (o turchimanni),
interpreti tra Europei e popoli mediorientali, che secondo Buongiorno erano “l'unico pubblico
ufficiale in Oriente (ma ciò doveva valere anche per resto del mondo allora noto) per lo più
privo di cittadinanza genovese”.
Oltre all’ interprete comunis, dipendente della curia genovese di Chio, e a coloro che
svolgevano in proprio l’attività, vi erano interpreti occasionali, come Vassalo de Sigestro,
interpetrante de greca lingua in latina per Ihera Michelina che era comito galee Maone Syi.
Anche questi potevano essere di origine sia greca sia latina: troviamo Vatacio quondam Georgii
de Folia, interpretante de latina in greca locucione e Sidero Criti Scharamanga , greco,
locucionis latine gnaro, interpetrante de greca in latina locutione e Antonio Martello e
Giovanni di Rodi, interpreti de lingua morescha in latina et converso fra un turco ed alcuni mori
dei Tripoli di Barberia.
A volte gli interpreti, soprattutto se interpres curie Chii, appaiono tra i testimoni senza alcun
esplicito riferimento alla loro funzione, come la dicitura ‘interpretante’, e quando i contraenti
sono tutti latini, come nel rogito a cui assistette l’interprete ufficiale della curia Raffaele de
Assereto, pare incontrovertibile che questi fossero semplici testimoni.
Balard sembra ritenere che a volte la funzione di interprete possa essere implicita, come a
proposito del notaio greco Giovanni Coressi , spesso usato come testimone dai suoi colleghi
genovesi, “senza dubbio per l’assistenza linguistica che rendeva ai suoi compatrioti”.
Bisogna però considerare che egli è presente non solo in atti nei quali sono coinvolti greci, come
Micali Neamoni, ma anche in transazioni commerciali tra occidentali: Petrus Gallus, burgensis Chii, vendidit, cessit et tradidit
Gabrieli Castagner de Maiorica, presenti et ementi, quemdam
sclavum de proienie Burgarorum,[…] Testes Iohannes
Coressius notarius et Iohannes Tondus censsarius.
Differente la situazione riguardante Lazarinus Nicolao de Rapalo (o Lazarinus Nicolaus de
Rapallo), che abbiamo visto fungere da interprete e notaio, ma che molto più spesso figura
come testimone.
Balletto, considerate anche le date topiche della maggior parte degli atti nei quali compare,
ipotizza che Lazzarino (o Lazzaro) di Nicola di Rapallo ricoprisse qualche carica nella curia
podestarile. Si potrebbe quindi prendere in considerazione l’eventualità che pubblici
dipendenti, di provata fede e già presenti sul posto, venissero utilizzati come testimoni.
È interessante notare infine la possibilità che vi fosse una sorta di tradizione familiare, in quanto
in documenti del 1394 sono presenti come testimoni Nicolao de Rapallo, interpetre, cive Syi, et
Lazarino de Rapallo , quest’ultimo essendo Lazarinus de Rapallo, filius Nicolai.
Esistono anche numerosi atti, stipulati tra membri di comunità diverse, senza la presenza di
interpreti, perché i contraenti conoscevano il latino, come Costa Gordatus, campanarius,
grecus, habitator insule Syi, latine locucionis gnarus.
Il ricorso agli interpreti sembra poi diminuire nel corso del tempo, nonostante l’ufficio
dell’interprete della curia continuasse ad esistere, ed è plausibile che il fatto sia da attribuire alla
diffusione di una sorta di lingua franca e del bilinguismo.
Nel 1544 il viaggiatore francese Pierre Balon aveva notato infatti come, accanto al greco, gli
abitanti di Chio parlassero “un italien corrumpu, comme est le genovois”.
La lunga coabitazione ed i contatti quotidiani fra le varie componenti etniche portarono inoltre
all’inserimento di nuovi termini nei rispettivi dialetti.
Negli atti dei notai ritroviamo parole dal mondo arabo (ad esempio calafactus, per qualificare
gli artigiani che catramavano le navi), turco (turcheschum, per indicare una barca di 15 banchi
usata dai Turchi), tartaro, armeno e naturalmente greco:
[…] Chilisima τῆς paradaghmas habet […]
[…] Chisilima τοῦ Maurogordato habet in Lemene unum
modium. […]
[…] domu diruta, sita in burgo Chii, in contracta de Egrerno,
cui eonfinis est ab una parte domus Costa tou papa Nicola
[…].
Verosimilmente l’influenza nella lingua parlata dagli Occidentali fu ancora maggiore. Allo
stesso modo i Greci di Chio adottarono elementi del vocabolario genovese come di quello
armeno o tartaro; ancora oggi nella parlata neogreca di Chio sono riscontrabili numerosi
ligurismi, conseguenza del radicamento del genovese a livello popolare e della diffusione del
bilinguismo in epoca ‘latina’.
Aspetti economici e politici
La convivenza tra Occidentali ed Orientali si estendeva anche in campo economico e, in misura
minore, in quello amministrativo.
Oltre ad essere ufficiali di provvisione e scribi presso la curia, i Greci potevano far parte di
alcune commissioni insieme ai Latini già dal 1346, quando una commissione mista si occupò di
stabilire il prezzo delle 200 abitazioni all’interno del castrum che i Greci dovettero consegnare
ai conquistatori.
Una commissione, formata da due genovesi e da due Chioti, giudicava i ricorsi contro le
decisioni del Podestà se i richiedenti non erano di Chio598; un’altra, composta da due Maonesi,
un borghese e un arconte greco, si occupava dell’edilizia.
Abbiamo notizia di greci tra i membri dell’Officium Maris negli anni 1526-1527, e come
ufficiali dell’akrostikon.
Anche se alcuni notabili chioti partecipavano alle attività commerciali a fianco dei Genovesi ,
come Leonida Argenti nel commercio del mastice e Antonio Argenti in società con Niccolò di
Olliverio e Giacomo Coronato, la maggior parte degli uomini d’affari greci, come molti
banchieri, appartenevano ad altri ambienti, meno elevati.
Anche membri di altre comunità orientali, come gli Ebrei, collaboravano con i Latini: il rabbino
Elias investì nel grande commercio fornendo 300 ducati ad una societas di 8.800 ducati formata
da mercanti genovesi; mastro Eliseo, un altro ebreo, partecipò con alcuni occidentali
all’assicurazione della cocha di Bernabò Dentuto; il suo correligionario Natam s’impegnò a
trasportare 200 barili di grano per conto dell’ Officium provisionis de Chio.
Alcuni atti testimoniano anche di rapporti economici con i musulmani: Cagi Mostaffa turchus
de Bursia rilasciava una quietanza liberatoria al già nominato Elie sacerdote iudeo, il quale
riconosceva di dovere al turco 13 casse di mastice e nel 1414 Domenico Giustiniani
commerciava con Sapihi Bayazit quondam Jhacsi, Turchus de Cazali isich obasi.
In particolare l’atto di Giovanni Balbi è interessante per la varietà etnica dei testimoni , incluso
un interprete de linqua turcha in latina:
Presentibus testibus, Galvaro de Levento, Bartholomeo de
Portufino notario, Lanfranco Paterio, Micalli Verioti de Foliis
veteribus Grecho, Bayrambey Turcho de Smirris quondam
Ezedim, Elies Turcho de Smirris quondam Tagdira et
Cristoforo Picenino interpetre civem Chii lingue turche ex
parto interpretante ad instanciam dicti Sapihi Bayazit de linqua
turcha in latina […]
Alcuni Chioti si associavano ai Latini nell’effettuare assicurazioni o investimenti commerciali,
nel noleggio e nella proprietà di imbarcazioni, ma queste compagnie miste operavano solo con
navi di piccole o medie dimensioni.
Tenendo conto che nella documentazione presa in esame compare di preferenza l’elemento
latino perché quello greco si serviva di propri notai, le professioni artigianali e le attività
bottegaie sembrerebbero per la maggior parte in mano a occidentali, ma vi erano sicuramente
anche maestranze locali: Greci speziali, bazarioti, sarti, magistri axie, macellai, fabbri.
Talvolta i maestri di una stessa arte per aiutarsi vicendevolmente si univano in una sorta di
associazione, che poteva comprendere etnie diverse, come nel caso dei falegnami Paolo di
Rapallo del fu Giovanni e Filippo di Prato del fu Battista, abitanti a Chio, che fornirono aiuti
pecuniari al falegname Manoli di Costantinopoli; di un fabbro latino in società con uno greco, e
di un altro, originario di Costantinopoli, che divenne debitore di due colleghi latini che vivevano
a Chio.
Aspetti religiosi
La volontà di favorire le attività economiche, soprattutto mercantili, comportò la concessione di
privilegi anche a non-genovesi, permettendo la nascita di un ceto dirigente multietnico che
prosperava e si rafforzava grazie ad alleanze di tipo economico e a matrimoni misti tra
appartenenti a differenti gruppi etnici, ma in genere del medesimo ceto sociale ed economico.
Le unioni latino-orientali erano molto frequenti nella cerchia dei Maonesi: Perpetua, figlia di
Francesco Giustiniani olim de Campis, sposò Iane Demerode de Pera e Nicola Pallavicino si
unì a Mariola, figlia di Iane Catracari Petrocochino e di Calicardina filia Georgii Catacato.
Giovanni Giustiniani olim de Furneto lasciò vedova la greca Angelina, figlia di maestro Siderus,
e la loro figlia Genevra nel 1408 si dichiarava vedova di Giovanni, figlio di Georgios de Lo
Gramatichi, abitante di Andros.
Nel 1450 Benedetta, figlia di Cristoforo Giustiniani de Garibaldo sposò Lazzaro Argenti del fu
Stefano; nel 1472 Pantaleo Argenti del fu Giovanni ereditò tutti i beni della moglie Pietra,
figlia del fu Pietro Giustiniani, e Johanne Argenti era cognato di due Giustiniani.
Si trattava di scelte politiche ed economiche: tali unioni creavano connessioni tra l’élite della
società genovese e la nobiltà di Chio, contribuivano a soffocare l’eventuale ostilità degli arconti
greci, associandoli con legami di parentela alla fortuna dei nuovi padroni, e permettevano alle
famiglie latine di acquisire possessi fondiari.
I Latini si ellenizzarono e i Greci vennero talvolta insigniti della cittadinanza genovese o
addirittura accolti negli alberghi, come i Coressi nei Calvi, gli Argenti nei Gentile, i Paterio di
Chio nei Grimaldi, i Casanova di Chio nei Sauli.
Gli esempi in nostro possesso si riferiscono per la maggior parte al ceto medio-alto, ma è
probabile che unioni miste si verificassero a tutti i livelli sociali, con una prevalenza di legami
tra donne greche e uomini latini.
Le donne occidentali, già non molto numerose, pare fossero più propense a contrarre matrimoni
con compatrioti, ma la popolazione maschile latina, a cui si aggiungevano gli immigrati, che
arrivavano in genere scapoli, era molto maggiore e ricercava le proprie mogli nella media
borghesia chiota.
Nel 1381 Angelus de Siena lasciò vedova Calogrea Evedochia, figlia di un papas; Niccolò de
Passano sposò nel 1404 Therana Gomarina; Paolo Dante era sposato a Vedochia maistra, figlia
di un notaio greco a Focea e nel 1466 Giovanni de Moncelis divenne il marito di
una donna greca di Volissos.
Le unioni tra Latini e donne orientali contribuivano in maniera minore al processo di
assimilazione a causa del ‘potere’ paterno che faceva sì che i bambini fossero naturalmente
portati ad adottare i costumi e i modi di vita occidentali.
Vi erano, anche se forse più rari, matrimoni tra ebrei e latini: Isolta del fu Antonio de Bozolo
nel 1436 risulta essere vedova di Melchione Josep, senza dubbio ebreo. Una delle loro figlie,
Diamante, sposò Anfreono Cattaneo del fu Lodisio, cittadino genovese, e un'altra un ligure.
La presenza di 7 famiglie di stirpe genovese tra le 37 che componevano l’aristocrazia isolana
dopo il 1566 è indice di un’integrazione riuscita, che proseguì con matrimoni misti tra Chioti e
Genovesi anche dopo la fine del dominio dei Giustiniani.
Le unioni miste non determinavano necessariamente la conversione di uno dei due coniugi. Se
Michele Arglero lasciò il culto ortodosso per quello cattolico della moglie, in alcune chiese a
doppia navata, probabilmente costruite da famiglie nobili nelle quali erano avvenuti matrimoni
misti, praticavano sia gli Ortodossi sia i Cattolici Romani.
La convivenza non era naturalmente esente da difficoltà, molte proprio in ambito religioso.
La religione fu uno degli strumenti utilizzati da Genova e dalla Maona per cercare di assimilare
e stabilizzare il territorio conquistato, ad esempio insediando ordini monastici occidentali in sedi
dalle quali erano stati espulsi monaci orientali.
Le maggiori chiese, monasteri e conventi erano in mano agli ordini dei frati minori, di San
Francesco, San Domenico e San Agostino, e accanto al vescovo ortodosso l’isola aveva un
vescovo latino.
Dopo la caduta di Costantinopoli, nonostante la chiesa greca di Chio avesse prestato atto di
obbedienza a papa Nicolò V, le chiese romane e quelle ortodosse continuarono a rimanere
separate. Le prime, rappresentanti il ‘partito’ dei vincitori, erano prevalenti nei centri urbani,
mentre gli ‘sconfitti’, soprattutto nelle campagne, restarono legati alla propria fede.
Benché i Greci fossero riluttanti a pagare le decime che contribuivano al mantenimento della
curia latina, i contrasti tra ortodossi e cattolici non riguardavano tanto la popolazione quanto i
due cleri, con il coinvolgimento del governo dell’isola.
Fonte di dissidi erano i beni ecclesiastici ortodossi, per esempio quelli confiscati dalla Maona di
cui la Chiesa latina reclamava il possesso. Il monastero di San Giorgio de Sycosii o Sichesy, fu
causa di tensione tra clero greco e latino, quando nel 1460 venne decretata l’espulsione del
papas greco Cachanato e di Calogero Lambino e riconosciuta ad alcuni membri di famiglie
genovesi la facoltà di nominare il gamonum et rectorem. Nel 1509 fu trasferito d’autorità dal
clero ortodosso al clero romano, insieme ai ricchi proventi, il monastero di Nea Moni (Νέα
Μονή), il principale centro religioso di Chio per secoli e uno dei più importanti monumenti
bizantini in Grecia.
Il clima si fece più teso negli ultimi anni della dominazione genovese a causa dell’opera di
alcuni esponenti di rilievo del clero cattolico.
Negli anni 1558-1562 l’inquisitore Antonio Giustiniani guidò la ricerca di eretici e,
considerando tali anche i musulmani, propose di sottoporli al tribunale dell’Inquisizione,
causando forti tensioni con il sultanato turco.
Il vescovo Timoteo Giustiniani, che cercò di estendere la propria giurisdizione anche sul clero
greco e nel 1564 fece pubblicare nell'isola i decreti del Concilio di Trento, fu protagonista di
un conflitto giurisdizionale con il Podestà Vincenzo Giustiniani che era ancora in corso quando
i Turchi conquistarono Chio.
In generale per quanto riguarda la popolazione si può però parlare di tolleranza religiosa, che
insieme ai matrimoni misti e alla convivenza quotidiana, anche sotto l’aspetto urbanistico,
crearono le condizioni per una concreta assimilazione.
Se inizialmente vi era una separazione più marcata tra genovesi e non (centro e periferia), col
tempo le distinzioni divennero di carattere socio-economico.
I greci continuarono a vivere a fianco degli Occidentali, in case e botteghe confinanti, nel
castrum e soprattutto fuori dalle mura, dove la commistione etnica era maggiore, ad esempio nei
quartieri di Vlataria, Parrichia e Neocorio.
In contrata Neocorio ad esempio a metà del XV secolo il fabbro Giovanni di Molassana
vendette una casa a Sargi Gordati e il tintore Ambrogio di Milano comprò da Antonio de
Bozolo un’abitazione
cui coheret antea via publica retro Jane Angelus ab uno latere
Comenena uxor quondam Cupohari et ab alio latere Georgius
Tritachi.
Nel 1381 Tomena quondam Marchi Pilosi, vedova di Cristoforo Trotti di Alessandria vendette
ad Antonio Menini di Rapallo una casa posita in civitate Syi, prope contratam Mastici, cui
coherent a duabus partibus via, ab uno latere domus Coste Rodei, retro domus domini Anthonii
de Rocha.
Nel 1394 papa Nicola Triandafilo de Crionia possedeva una casa in contrada Sant’Antonio, la
cui proprietà confinava con quella di due occidentali: […] positam in castro
Syi, in contracta sancti Antonii, cui toti coheret antea via publica, retro in
parte quedam domus sancti Antonii et in parte allia domus Bartholomei de Loxis
de Finario et ab a11io latere domus Georgii de Sadra,[…].
La vedova di Giovanni di Luna viveva accanto a Goardatus Tisplasmisas nella strada principale
della cittadella, il carrubeus rectus, e possedeva nel bazar una bottega vicina a una posseduta
dalla famiglia Argenti (apotheca Argenti Livii).
Nel 1450 Paolo Campi Giustiniani quondam domini Baptiste vendette
apothece quam ipse Paulus habet pro indiviso cum Enrico et
Edoardo Justinianis fratribus filiis et heredibus quondam
domini Francisci cui coheret ab uno latere Costa Caranoni
quondam Chrotochi et ab alio latere megazenus Ducha
Petrocochino […]
Nel 1452 il negozio di Georgius Coressi in contrada S. Georgii si trovava accanto a quello di
Paolo Giustiniani de Furneto e nel 1461 la vedova di Iohannes Ducas Petrocochini
possedeva una casa dentro le mura.
Ugualmente troviamo: Tommaso Spinola, que domus est Cimito Iudei, sita prope muro Chii, in
extremitate Iudaiche , l’ebrea Jhera Michelina che nel 1381 condivideva con Giorgio
Virmilia, ‘borghese’ di Chio, una casa nella contratta di Giovanni Giustiniani de Campis,
all’interno della cittadella, e Enrico Giustiniani e Giacomo di Passano che abitavano in due
case nella Giudaica.
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LAVANZATA TURCA (1453-1473) di Giustina Olgiati (in inglese).
NUCLEI FAMIGLIARI DA GENOVA A CHIO NEL
QUATTROCENTO
Il questo link uno studio di Laura Balletto su come i Giustiniani seppero interessare allo
sviluppo dei commerci di Chios anche i nativi isolani, che si sentirono così
gradualmente, per così dire, genovesizzati, anche attraverso vincoli familiari. Oltre a
tutto ciò, lisola di Chios divenne ben presto meta dun notevole afflusso
immigratorio, che vide arrivare in loco non solo gente proveniente da Genova e dalla
Liguria, ma altresì da altre regioni italiane ed anche extra italiane. Ed uno degli
elementi che caratterizzò questa immigrazione - e che storicamente appare fra i più
importanti ed interessanti - è rappresentato dallafflusso nellisola di Chio
di più membri di un medesimo gruppo familiare, i quali talvolta, dopo un certo tempo,
rientrarono in patria e talvolta, invece, restarono colà vita natural durante, vi
defunsero e vi vennero sepolti. Gli esempi che, circa questo fenomeno, si possono trarre
dalla lettura di anche soltanto una parte dei numerosissimi atti notarili pervenutici,
redatti da notai genovesi e/o liguri nellisola di Chios nel Quattrocento, sono molti
e si riferiscono ai più diversi livelli della scala sociale.
GLI ORIZZONTI APERTI. PROFILI
DEL MERCANTE MEDIEVALE , a cura di G. Airaldi, Torino 1997 © degli autori e
dell'editore. (Indice. - Gabriella Airaldi, Introduzione. Per la storia dellidea di
Europa: economia di mercato e capitalismo. - Jacques Le Goff, Nel Medioevo: tempo della
Chiesa e tempo del mercante. - Roberto S. Lopez, Le influenze orientali e il risveglio
economico dellOccidente. - Eliyahu Ashtor, Gli ebrei nel commercio mediterraneo
nellalto medioevo (secc. X-XI). - Abraham L. Udovitch, Banchieri senza banche:
commercio, attività bancarie e società nel mondo islamico del Medioevo. - Nicolas
Oikonomides, Luomo daffari. - Armando Sapori, La cultura del mercante
medievale italiano. - David Abulafia, Gli italiani fuori dItalia. - Gabriella
Airaldi, Modelli coloniali e modelli culturali dal Mediterraneo allAtlantico. -
Jacques Heers, Il ruolo dei capitali internazionali nei viaggi di scoperta nei secoli XV e
XVI. - Gabriella Airaldi, Leco della scoperta dellAmerica: uomini
daffari italiani, qualità e rapidità dellinformazione)
LOCHIO DRITO DE LA CITÀ
NOSTRA DE ZENOA IL PROBLEMA DELLA DIFESA DI CHIO NEGLI ULTIMI ANNI DEL DOMINIO
GENOVESE. di Enrico Basso tratto da: Associazione di
studi storici militari
LE MONETE A CHIOS AL TEMPO DEI
GIUSTINIANI
Si ringrazia in particolar modo il Prof. Andreas Mazarakis per il suo contributo alla
stesura di questo paragrafo
MONNAIS INEDITES DE CHIO di P.
Lambros, Parigi 1877 (testo in francese)
LEVANTINE HERITAGEE diversi
contributi in inglese sulla storia delle famiglie levantine
I GENOVESI A CHIO (1346-1566).
LA FORMAZIONE DI UNA SOCIETÀ PLURALE di Chiara Ravera.
NOTIZIE ARALDICHE E VICISSITUDINI
STORICHE DELLE FAMIGLIE DI ORIGINE GENOVESE A CHIOS DOPO IL 1566
I GENOVESI D'OLTREMARE I PRIMI COLONI
MODERNI
STORIA DELLA CITTA DI GENOVA DALLE
SUE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA MARINARA
LINEE GUIDA DELLA STORIA GENOVESE
1339-1528
Presso la Libreria Bozzi
di Genova si può trovare un ricco assortimento di testi sulla storia della Città e
Ligure
LA BATTAGLIA DI LEPANTO 7 OTTOBRE 1571 (Pietro
Giustiniani, Veneziano, Ammiraglio della flotta dei Cavalieri di Malta e Gran Priore
dellOrdine).
STORIA DI GENOVA, DEL REGNO DI
SPAGNA IN ITALIA DAL 1600 AL 1750
MEMORIE DI GENOVA (1624 -
1647) di Agostino Schiaffino a cura e con introduzione di Carlo Cabella in Prima
edizione nei "Quaderni di Storia e Letteratura": Settembre 1996. Opera completa.
IL REGNO VENEZIANO DI MOREA E
LULTIMA GUERRA CRISTIANA CONTRO I TURCHI A SCIO DEL 1695
PIRATI E PIRATERIA NEL MEDITERRANEO
MEDIEVALE: IL CASO DI GIULIANO GATTILUSIO di Enrico Basso. Stampa in Praktika
Synedriou Oi Gatelouzoi tìs Lesbou, 9-11 septembríou 1994, Mytilini, a cura
di A. Mazarakis, Atene 1996 (Mesaionikà Tetradia, 1), pp. 343-371 ©
dellautore - Distribuito in formato digitale da Reti Medievali
HISTORE DE LA RÉPUBLIQUE
DE GÊNES di Émile Vincens, un testo in francese del 1843, scaricabile gratuitamente
su internet
CASTIGATISSIMI ANNALI
DELLA REPUBBLICA DI GENOVA di Agostino Giustiniani, versione integrale del libro
Molto documentazione su questo periodo storico su:
Associazione Culturale Bisanzio Reti Mediovali
DISCLAIMER WWW.GIUSTINIANI.INFO
Veduta di Chios - Cristoforo Buondelmonti, Liber insularum archipelagi XV secolo