I GIUSTINIANI DI GENOVA ED I GIUSTINIANI-BANDINI
La famiglia Bandini risulta stabilita a Camerino fin dal secolo XIII, dove si distingue per attività pubbliche e arti. Nel XVIII secolo la famiglia ingrandisce i suoi possedimenti. Filippo Bandini il 29 ottobre 1721 ottiene da Innocenzo XIII l’investitura della Rocca Varano. Benedetto XIV consente ad Alessandro di acquistare, il 30 maggio 1753, i feudi di Lanciano e Rustano, che vengono eretti in marchesato. Il legame con i Giustiniani si instaura nel 1815 con il matrimonio tra Carlo Bandini e Cecilia Giustiniani (figlia di Vincenzo VI e Nicoletta del Grillo duchessa di Mondragone, figlia a sua volta della Contessa di Newburgh) ultima discendente del ramo romano del - la famiglia principesca dei Giustiniani.
Sigismondo Giustiniani Bandini (1818-1908), a destra in un ritratto di Henry
Jones Thaddeus all'età di settantatre anni.
Dal matrimonio tra Cecilia Giustiniani e Carlo Bandini nasce Sigismondo, patrizio romano dal 1855 e principe romano dal 1863, al
quale il Beato Pio IX consente di inquartare lo stemma dei Bandini
con quello dei Giustiniani, provvedimento poi confermato con sentenza della Cassazione. Il primo a fregiarsi del cognome Giustiniani
Bandini è Sigismondo, che risolleva le sorti economiche della famiglia anche grazie alle notevoli amicizie.
La vicenda dell'acquisizione del titolo materno di "Principe" da parte di
Sigismondo Bandini fu alquanto tormentata.
Alla morte di tutti gli eredi maschi diretti del padre, leredità del titolo, dei
beni e del fidecommesso venne reclamata sia dal figlio di Cecilia e Carlo Bandini,
Sigismondo che da Alessandro Giustiniani-Recanelli di Genova.
Un breve di Pio IX (il 27 gennaio 1863) conferisce al Bandini il titolo di principe e
luso dello stemma Bandini inquartato con quello Giustiniani. II cognome Collaterali,
unito a quello dei Bandini sin dalla prima metà del XVIII secolo, fu definitivamente
dimesso e sostituito da quello da Giustiniani. Nel 1893 Sigismondo venne ufficialmente
iscritto nel Libro d'Oro e nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana, ma tra i tanti
titoli riportati manca quello di patrizio genovese ovvero quello che
conferisce lascendenza diretta con i Giustiniani di Genova, in quanto Sigismondo
Bandini non ne poteva avere diritto in quanto Giustiniani in linea materna e quindi non
acrivibile alla nobiltà Genovese. Occorre quindi distinguere la discendenza diciamo
testamentaria-succesoria da quella nobile che con la morte dellultimo
Leonardo Giustiniani estingue definitivamente la linea maschile dei rami Banca e Nigro.
Con la fine del dominio della Maona nel 1566 e la liberazione dei superstiti internati in
Crimea dei Turchi a Giustiniani che tornarono a Roma fecero rapidi fortune, Vincenzo
Giustiniani, Principe di Bassano, rimasto senza prole, istituì suo erede universale e
fedecommissario Andrea, figlio di Cassano e così via via fino alla morte di Vincenzo
Giustiniani ultimo principe di Bassano della linea Giustiniani-Banca, figlio di Benedetto
Duca di Corbara. Il titolo di Principe passò a Leone (o Leonardo) Giustiniani-Negro,
dellaltro ramo di Roma, ottavo nella serie dei principi di Bassano.
La grandezza della famiglia Giustiniani durata per tanti secoli si spegneva allorché
lEuropa usciva dalle guerre Napoleoniche. I tempi difficili della prima repubblica
romana (1798) avevano costretto Benedetto a cedere per alloggio ai cittadini
francesi a Roma e ai militari, sia la villa di San Giovanni che parte del palazzo.
Ora per ricostruire la vicenda Giustiniani-Bandini è necessario fare un passo indietro.
Benedetto Giustiniani duca di Corbara, a sua volta figlio del principe Girolamo di Bassano
di Sutri e della principessa Maria Ruspoli, sposa che il 18 maggio 1757, Cecilia unica
figlia del conte irlandese Giacomo Giuseppe Mahony, cavaliere del Real Ordine di S.Gennaro
e luogotenente della Cavalleria dei Dragoni in Francia, che sposò in seconde nozze a
Parigi, il 22 novembre 1739, Anne Clifford, figlia del conte Thomas Clifford di Chudieigh
nel Devon e di Charlotte Maria, contessa di Newburgh in Scozia, baronessa di Levingstone e
viscontessa di Rinwird, trasferitesi da poco a Napoli.
Dall'unione di Cecilia e Benedetto nacquero Vincenzo III, Lorenzo Benedetto, Giacomo
(asceso al soglio cardinalizio), Isabella e Caterina.
Vincenzo III figlio di Benedetto II, il sesto Principe Giustiniani, dissipate le ingenti
ricchezze ereditate dagli avi e ridotto il fedecommesso istituito da Vincenzo I il 22
gennaio 1631, quando ormai erano numerosi i suoi numerosi creditori che vantavano debiti
per 389.791 scudi ed ipoteche sui beni immobiliari, si spegneva a Bassano Romano il 16
novembre 1826, quando già era morto suo fratello Benedetto Lorenzo senza eredi maschi.
Laltro fratello Giacomo Tommaso, non poteva ereditare, essendo il cardinale di
Albano (nominato il 2 ottobre 1826).
Già sul finire del 700 la situazione economica della famiglia Giustiniani era
enormemente peggiorata al punto che Vincenzo, sposato a Nicoletta Grillo di Mondragone,
nel giro di meno di dieci anni aveva ottenuto da Pio VI (1775-1799) e Pio VII (1800-1823)
tre chirografari che lo autorizzavano il primo a contrarre debiti per 75.000 scudi (in
data 20 giugno1796), il secondo a vendere una delle tenute del patrimonio (in data 28
agosto 1800) e, infine, il terzo a vincolare la somma di 100.000 scudi (in data 28
agosto1803).
I tre chirografari papali si rilevarono una trappola quando Cecilia, unica erede di
Vincenzo e di tutto lasse Giustiniani di Roma nel 1815 dovrà procurarsi dote per
andare in sposa al nobile Carlo Bandini di Macerata. Nelle obiezioni esposte nella
supplica, emerge lomessa dichiarazione di Vincenzo, al momento del primo
chirografario nel Giugno 1796, di essere già padre di Cecilia, nata in febbraio di quello
stesso anno. Difatti se la nascita fosse avvenuta dopo la concessione del Papa
avrebbe ascoltata la sua richiesta di dote, è per questa ragione che, nel
1815, fidanzata al Bandini, intenta una dote congrua di paraggio oscillante
sui 50-70.000 scudi da trarre sopra i beni del fedecommesso, affinché restassero separate
le concessioni pontificie e le disgrazie domestiche.
Cecilia Giustiniani sposa il marchese Carlo Bandini di Urbisaglia e trasmetterà a suo
figlio Sigismondo i suoi titoli di del ducato di Mondragone eredito dai Grillo e la contea
di Newburg, ereditata dalla nonna, confluendo il tutto nel ramo dei Giustiniani Bandini.
Morto anche Leonardo Giustiniani e tutti i suoi fratelli senza prole, si estingue anche il
ramo dei Giustiniani-Negro ed il titolo del Principe di Bassano passò nel 1857 al ramo
dei Recanelli-Giustiniani di Genova con il marchese Pantaleone del fu Saverio della terza
linea che morì in Genova il 17 febbraio 1867 ed a lui successe il figlio Alessandro
Giustiniani, discendente diretto in dodicesimo grado del grande Pietro
Recanelli-Giustiniani.
Alla morte dei due zii Lorenzo Giustiniani ed il Cardinale Giacomo Tommaso Giustiniani,
Sigismondo Bandini, si vide subito contestata leredità del fedecommesso dai
Recanelli, il quale secondo le disposizioni del 1631, era il più prossimo ad accoglierla.
Nel 1857 Sigismondo si recò a Londra insieme alla moglie per raccogliere i documenti
relativi a dei lasciti ereditari spettanti alla madre Cecilia Giustiniani.
Alla morte della contessa Charlotte Maria, nonna di Sigismondo da parte materna, avvenuta
nel 1786, la dignità di Earl of Newburgh passò al figlio Giovanni Bartolomeo, avuto in
seconde nozze dall'ufficiale Charles Radclyffe che venne decapitato per lesa maestà nel
1716 per aver appoggiato gli Stuart. Giovanni Barlolomeo trasferì il titolo al
primogenito Giovanni, che mori senza aver avuto prole nel 1814.
Il titolo relativo alla paria di Newburgh fu trasmesso allora al primogenito di Cecilia
Mahony, ovvero Vincenzo Giustiniani, la cui unica figlia, Cecilia, il 21 settembre 1815
sposò il marchese Carlo Bandini.
Acquisiti Ì titoli relativi all'eredità Mahony ed alla conica di Newburgh, tutti gli
sforzi di Sigismondo furono tesi ad ottenere il riconoscimento del titolo principesco
derivantegli da parte materna.
Sigismondo Bandini si avocava nelle relazioni sociali il titolo di Giustiniani Bandini,
coronato poi con un breve di Pio IX (il 27 gennaio 1863) che gli conferiva il titolo di
principe e luso dello stemma Bandini inquartato con quello Giustiniani. Nascerà per
questo una lunghissima lite giudiziaria che si snoderà in varie fasi con udienze
successive nel 1860, 1886, 1887, 1889, in cui il ramo genovese richiederà che quello
romano non si fregi del titolo; soltanto nel 1891 si arrivò alla sentenza definitiva in
Cassazione che autorizzava i Bandini a fregiarsi del titolo di principi Giustiniani,
mentre patrimonio, palazzo compreso, tornava al ramo dei Giustiniani Recanelli con
Francesco, fratello di Pantaleo.
Interessante al riguardo il parere "per la verità" dell'Avvocato Vittorio
Scialoja sul Diritto al nome e
allo stemma del 1889 in merito proprio all'uso della cognomizzazione e dello stemma
Giustiniani da parte di Sigismondo Bandini.
Il 28 marzo 1863, Sigismondo Bandini-Giustiniani, varcò la soglia del Palazzo Apostolico,
dove venne ricevuto dal papa ed ossequiò gli influenti religiosi che avevano perorato la
sua causa, il Cardinal Mattei, decano del Sacro Collegio Romano, ed il discusso quanto
temuto Segretario di Stato Cardinal Antonelli, che aveva avuto un ruolo di non scarso
rilievo nello scandalo sollevato dal processo per il riconoscimento della paternità del
duca Lorenzo Sforza Cesarini.
II cognome Collaterali, unito a quello dei Bandini sin dalla prima metà del XVIII secolo,
fu definitivamente dimesso e sostituito da quello da Giustiniani. Nel 1893 Sigismondo
venne ufficialmente iscritto nel Libro d'Oro e nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà
Italiana con i titoli di Principe, Nobile Romano Coscritto, Duca di Mondragone, Marchese
di Lanciano e Rustano, Conte di Carinola, Conte di Newburgh, Visconte di Kinnaird, Barone
di Levingstone e Hacreiaig, Patrizio di Macerata, Nobile di Camerino, Nobile di Nocera
Umbra, Nobile di Norcia.
Risulta piuttosto arduo ricostruire la posizione assunta dai Giustiniani-Bandini
all'interno della nobiltà romana, Ugo Pesci, un memorialista del primo periodo della Roma
capitale, scriveva: ........Oltre le antiche famiglie baronali e le famiglie
principesche di origine pontificia, esistevano ed esistono in Roma molte altre famiglie
nobili, iscrìtte e non iscrìtte del libro d'oro del patriziato romano, di antica
orìgine e provenienti da altre parti degli antichi stati della Chiesa o da altre regioni
italiane, delle quali non è sempre facile fissare il colore politico, o perché miste, a
perché avvicinatesi a poro a poco al nuovo ordine di cose, dopo essere, rimaste,
nell'ombra. Citerò i Giustiniani-Bandini duchi di Mondragone, pari di Scozia per eredità
e principi romani dal 1863..
Fatto certo è che per la fedeltà dimostrata alla causa della Chiesa, Sigismondo fu
ammesso nella ristretta cerchia del patriziato romano che il 2 febbraio 1878 si strinse
intorno a Pio IX; nella camera del pontefice agonizzante vegliarono insieme a Sigismondo
il principe di Sulmona, il duca dì Bomarzo, il duca di Sora ed il principe Altieri. La
morte di Pio IX segnava simbolicamente il tramonto di un'epoca e delle fortune di gran
parte di quella nobiltà di cui il D'Azeglio annotava sprezzantemente nelle sue Memorie :
.........il clericato, che la fece ricca, l'ebbe in sospetto e non la volle potente
e, l'escluse da ogni influenza politica; spense nel lusso, ed in ozio forzato, ogni sua
virtù.' Sigismondo, intuendo i profondi cambiamenti che si stavano verificando in
campo economico, seppe imprimere un indirizzo innovativo alla tradizionale gestione
patrimoniale.
Sigismondo Giustiniani Bandini nacque nel 1818 ed in gioventù partecipò
attivamente alla vita politica di Macerata, dove risiedeva parte della famiglia.
Nel 1848 partì volontario arruolandosi nella compagnia del battaglione
maceratese in difesa del Veneto insorto contro l'Austria, dopo sposato, giunge a
Roma e seppe ben interpretare la nuova situazione politica e sociale derivante
dall'Unità d'Italia acquisendo visibilità e patrimoni a Roma.
Tra il 1884 ed il 1890 rivestì la carica di presidente del Consiglio di Amministrazione
della Società Anonima Acqua Pia Antica Marcia e di presidente della Cassa di Risparmio
e tra i fondatori della Banca di Roma,
inoltre compì vari investimenti all'estero, tra cui l'acquisto di 500 azioni della
miniera inglese The Booysen I.and and Mining Company.
Con la sua oculata amministrazione potè riportare in attivo le tenute marchigiane, date
in affitto a partire dal 1868 e rimaste esenti da ipoteche fino al 1886.
Tra il 1880 ed il 1895 il principe era giunto a possedere a Roma un considerevole numero
di edifici, in parte acquistati ed in parte derivanti dall'eredità Giustiniani, tra cui i
palazzi Altieri, Paladini e Mignanelli, varie case in via S. Maria del Sudario ed in via
De' Specchi e la cappella Bandini nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale. Il 17 maggio
1886 acquistò dal marchese Francesco Saverio Lavaggi-Vìdoni il palazzo al corso Vittorio
Emanuele che sarebbe stato per oltre dieci anni la residenza ufficiale della famiglia.
L'edificio, in cui nel 1536 aveva soggiornato l'imperatore Carlo V, era stato eretto per
gli Schinchinelli e prima di passare alla famiglia Vidoni era appartenuto ai duchi
Caffarelli ed al Cardinal Stoppani.
Sigismondo ne curò il rifacimento della facciata affidando i lavori agli architetti
romani Settimi e Sansimoni. A Roma, Sigismondo promosse, insieme ai principi
Marcantonio e Paolo Borghese e con il conte Campello, l’Unione Romana per le
elezioni amministrative, appoggiando i cattolici moderati. Più volte consigliere
comunale e provinciale. I debiti di gioco del primogenito Carlo costrinsero poi
il principe alla vendita di gran parte del patrimonio accumulato, compreso il
palazzo di famiglia nel 1903 dal conte Filippo Vitali, che fece eseguire altri restauri,
(e da lui passò al marchese Giorgio Guglielmi di Vulci; dopo un decennio divenne proprietario lo Stato Italiano e quindi il Partito Nazionale Fascista che vi insediò la sua segreteria. Attualmente è sede del Dipartimento della Funzione Pubblica),
tra le sale più importanti il "Gabinetto della Signora", appartamento della duchessa Giustiniani Bandini che nel corso del XVIII secolo lo volle riccamente decorato con stucchi di color verde mare e specchi alle pareti,
mentre sul soffitto un amorino con il suo arco e le sue frecce gioca insieme a due colombe.
Sigismondo
Giustiniani Bandini
era considerato uno degli uomini più belli e corteggiati di Roma anche in virtù
della sua somiglianza col principe Alberto. Il 15 novembre 1848 sposa a Roma Maria Sofia Massani, figlia del Cavaliere Giuseppe Maria Massani, Maggiordomo di Sua Santità.
La nobildonna fu ritratta in un busto di marmo dal Bertel Thorvaldsen ancora bambina (attualmente esposto al museo di Roma di Palazzo Braschi
e successivamente fanciulla in un ritratto a china di Filippo Agricola sempre esposti presso lo stesso museo (lascito testamentario Maria Sofia Giustiniani Bandini, 1979).
Sigismondo e Maria ebbero nove figli, otto femmine di cui alcune morte
in tenere età ed un unico maschio Carlo. Maria
Massani tenne anche uno dei più celebri e rinomati salotti di Roma, ricordato da Gabriele D’Annunzio nel romanzo Il piacere e da Emma Parodi nelle sue cronache. Scrive a tal proposito il conte russo Vasili: "la Principessa Bandini Giustiniani, sebbene figlia di un vecchio maggiordomo di Gregorio XVI, ha la distinzione ed il garbo di una gran dama... Ho sentito i giudici più esperti dichiarare che nessuno riceve con arte maggiore della sua... La loro condizione sociale
è molto alta: i loro figli e le loro figlie frequentano il Quirinale, essi, invece si tengono lontani sia dal Quirinale che dal Vaticano". I coniugi Giustiniani Bandini erano esponenti di spicco dell'aristocrazia romana e ricordato, oltre per le innumerevoli occasioni mondane, anche per i suoi rapporti con l'Inghilterra
in virtù dei possedimenti in Scozia ereditati della madre Cecilia Giustiniani contessa di Newburgh,
una delle loro figlie,
Isabella, sposò il barone inglese
William Howard.
Molti personaggi illustri furono ospitati dai Giustiiani-Bandini nel palazzo Vidoni, si ricorda Arthur d'Inghilterra,
terzogenito maschio della regina Vittoria, in onore del quale il principe tenne un
ricevimento a cui furono invitati gli esponenti di spicco della aristocrazia nera. Il
primo piano del palazzo fu per vari anni affittato all'ambasciatore degli Stati Uniti Wayne Mac Vergh. Assidui frequentatori del teatro Argentina e delle feste da ballo che si
tenevano a palazzo Torlonia-Chigi all'epoca in cui impazzavano i balli a waltz e del
cotillion, i Giustiniani-Bandini non varcarono mai la soglia al palazzo del liberale
Michelangelo Caetani duca di Sermoneta, dove per ironia della sorte è oggi conservato
l'archivio di famiglia; Quasi a sottolineare la crescente distanza creatasi nell'ambito
delle relazioni parentelari con le Marche in seguito alla nuova dimensione aristocratica
raggiunta, tra il 1872 ed il 1881 il principe stipulò i matrimoni delle fìglie Carolina,
Elena, Isabella, Maria Cecilia e Nicoletta con rampolli dell'alta nobiltà romana.
Sigismondo e Maria sono anche ritratti in età matura in due dipinti al Museo di
Roma di Palazzo Braschi (poco sotto a sinistra).
Il primogenito maschio, Carlo, sposò nel 1885 la bellissima figlia del principe Don Pietro Lanza
Galeotti di Trabia, Maria Luisa (Palermo 16-VII-1866, +Roma 22-I-1949) qui
ritratta in un pastello di Franz Seraph Von Lenbach al Museo di Roma di Palazzo
Braschi e sotto ancora in un cammeo in avorio in età più matura.
Carlo tornò poi da Napoli, dove aveva conseguito la laurea in
Giurisprudenza. L'erede designato di Sigismondo fece ben presto parlare di sé negli
ambienti
gaudenti della Belle Epoque romana,
Per chi credmassan e al temuto nomen omen degli antichi, in
Carlo rivisse la libertà di spirito del nonno paterno piuttosto che la misurata ambizione
di quello materno, Giuseppe Massani, che nella Sala del Capitolo dell'Abbadia di Fiastra
volle lasciare il perentorio molto della
sua famiglia: Parla poco, odi assai, pensa al fine di ciò che fai.
Carlo Giustiniani Bandini e Maria Lanza di Trabia ebbero quattro figli:
Sigismondo, Giuseppe, Maria Sofia e Lorenzo Maria.
Oltre ai vari duelli ed alle cause di diffamazione che lo videro protagonista
Carlo, un episodio
in particolare contribuì a screditare la reputazione di questo giovane dal temperamento
irruento. Aspirando ad essere investito della Croce di Devozione del Supremo Ordine
Sovrano di S. Giovanni di Gerusalemme, ma non potendo attestare i due quarti di nobiltà
relativi alla genealogia materna, egli produsse una notevole mole di documenti falsi che,
nonostante la mediazione del Cardinale Ricci e l'interessamento dello stesso pontefice,
non ebbero altro effetto se non quello di suscitare le ire del Gran Maestro, che con
lettera del 28 marzo 1886 oppose un netto rifiuto alla sua richiesta, di aggregazione
all'Ordine. La circostanza contribuì a rafforzare in Carlo quella sorta di inferiorità
psicologica che sempre nutrì nei confronti del padre, il quale ben conoscendo la tendenza
del figlio alla prodigalità cercò, finché la salute glielo consentì, di tenerlo
lontano dall'amministrazione del patrimonio.
L'ultimo decennio dell'esistenza del principe Sigismondo, su cui grava la coscienza di
essere alla fine di un ciclo storico, fu segnato da una serie di eventi dolorosi. Avevano
fatto ritorno alla casa paterna le figlie Nicoletta, il cui matrimonio con il duca Mario
Grazioli di Magliano si era concluso con un sofferto divorzio e Maria Cristina, che nel
1897 aveva lasciato l'Ordine Domenicano del Sacro Cuore di Trinità dei Monti per gravi
motivi di salute.
L'improvvisa morte della moglie, avvenuta il 15 dicembre 1898, lo gettò in un profondo
stato di prostrazione.
L'anziano principe non riuscì ad arginare i vertiginosi debiti di gioco contratti dal
figlio e a sottrarsi all'umiliazione di vedersi costretto a vendere Palazzo Vidoni, ceduto
nel 1903 al conte Filippo Vitali. Non furono risparmiate neppure le quattro preziose
Tavole
Prenestine, ossia Ì frammenti di Quinto Valerio Fiacco, vanto della raccolta
archeologica allestita dal Cardinal Stoppani nel salone del piano nobile affrescato dal
Mengs, che furono acquistate dal Ministero della Pubblica Istruzione per l'irrisoria cifra
di £ 10.000. Dopo la vendita di altri stabili minori e di palazzo Mignanelli, rilevato
nel 1903 dal principe Massimo, la nuova residenza della famiglia divenne un grazioso
villino in Via Virginio Orsini immerso tra i lillà. Ulteriori preoccupazioni giungevano a
Sigismondo dalla tenuta di Fiastra. Nella notte dell' 11 febbraio 1904 un'impetuosa
corrente di libeccio spirante da sud-ovest atterrò la torre campanaria della chiesa
provocando il crollo del tetto della navata traversa, della sacrestia e di parte della
navata media in corrispondenza della cappella delle Anime Sante.
I lavori di restauro progettati dall'Ing. Filippo Rabbaglietti, per i quali il principe si
accollò la spesa di £ 970.369 senza ricevere alcun sussidio dalla Soprintendenza ai Beni
Artistici e Monumentali di Ancona, si svolsero sotto la vigilanza del Cav. Aristide
Gentiloni-Silverj del Regio Ispettorato per gli Scavi ed i Monumenti di Tolentino. Dopo la
morte del padre, avvenuta nel 1908, Carlo, che non aveva mai rivestito un vero e proprio
ruolo portante in seno alla famiglia, si trovò in una posizione sempre più debole ed
isolala.
Con rogito del 2 aprile 1910 e del 30 gennaio 1912 egli rinunciò rispettivamente ad 1/4
dell'usufrutto delle tenute di Fiastra e S. Maria in Selva in favore del primogenito
Sigismondo, che l'anno successivo venne nominato dal Tribunale di Roma amministratore del
patrimonio di famiglia.
La breve esistenza di questo giovane principe fu animata da un singolare fervore
religioso, Legato da un particolare amore alla proprietà di Fiastra, dove seppure con
ristrette risorse portò a termine i lavori di sistemazione del palazzo che abbellì con i
tromp l'oeil della Sala delle Tenute e gli affreschi della scala nobile, si rivelò un
sensibile promotore di varie iniziative a carattere filantropico, tra cui l'istituzione
dell'Opera Nazionale per l'Assistenza Civile e Religiosa degli Orfani di Guerra della
sessione di Macerata, della quale divenne socio benemerito.
L'impegno sociale di Sigismondo, come pure quello di sua sorella Maria Sofia, fu
idealmente ispiralo da colei che insieme alla madre ebbe ad esercitare un'indubbia
influenza sull'educazione dei giovane, la zia Maria Cristina, presidente dell'Unione delle
Donne Cattoliche d'Italia dal 1909 al 1918.
Nel 1910 Sigismondo Giustiniani Bandini sposò Teresa Boncompagni-Ludovisi (1889-1969) dei principi di Piombino e Venosa
(immagine a destra), una
bellezza distaccata che ricordava molto la grazia dimessa della nonna paterna, Teresa dei
conti Marescotti, la musa del conte Gegè Primoli consacrata dalle pagine della
"Cronaca bizantina" come una delle dame più ammirate della capitale.
Nella rassegnata attesa di un erede che tardava ad arrivare e che non avrebbe mai avuto,
Sigismondo fu duramente provato dalla perdita del fratello Giuseppe, in cui riponeva tutte
le speranze per la continuazione del casato. Iscrittosi al I anno di Chimica a Roma,
Giuseppe abbandonò ben presto gli studi per arruolarsi; nel marzo del 1915 fu nominato
sottotenente d'armata e nel gennaio 1916 sottotenente di cavalleria (più sotto a
destra la piccola lapide che lo ricorda sulla tomba di famiglia al cimitero Verano di Roma.
Giuseppe è anche ricordato nella lapide dedicata agli ex alunni caduti nella
"grande guerra" nell'atrio all'ingresso del liceo Visconti di Roma).
La cui morte lo colse,1'8 agosto 1916 mentre combatteva valorosamente alle porte di Gorizia.
Assistito dall'avvocato Carlo Santucci di Macerata Sigismondo affrontò gli ultimi
sofferti anni di vita coltivando il sogno di veder sorgere a Fiastra una scuola per
giovani agenti rurali, Intendo .. che essa sia.., scriveva in un passo del
testamento stilato il 15 agosto 1917, .... una specie di semenzaio dal quale
dovranno sbocciare uomini che unendo a sani principi cristiani, francamente professati,
una congrua erudizione di cose agricole, possano spargere nelle aziende che saranno
chiamati, a dirigere oltre che i buoni germi di una sana istruzione e organizzazione
agricola anche la parabola del "Pastor Bonus.
II 27 gennaio 1918, quando non erano ancora manifesti i sintomi della febbre spagnola che
contrasse a Fiastra al ritorno da una partita di caccia e che il 4 novembre successivo lo
avrebbe portalo alla morte, il principe si fece recapitare da Roma un manoscritto
contenente le memorie di famiglia, forse nell'intento di consegnarlo alle stampe e
preservare la gloria del casato dall'oblio del tempo.
Il manoscritto, come altre testimonianze dello splendore dei Giustiniani-Bandini, e andato
irrimediabilmente perduto.
Dal matrimonio Sigismondo e Teresa non si ebbero eredi, per cui Sigismondo fu ancor più provato dalla perdita del fratello Giuseppe, morto a Gorizia il 16 agosto del 1916, nel quale riponeva la speranza per la continuazione del casato. Aveva già nel 1917 stilato il suo testamento, una memoria dove traspare la nobiltà d’animo più di quella del casato, dove mette per iscritto i suoi sentimenti di dolore per la perdita del fratello e la mancanza di eredi, l’affetto per la moglie, la sorella, i genitori, gli amici, e quanto importante fosse per lui la tenuta di Fiastra che desidera rimanga indivisa: nomina erede usufruttuaria la moglie, e in mancanza di prole, erede proprietario di tutto il patrimonio l’eventuale figlio della sorella Maria Sofia.
Anche la sorella Sofia non ebbe eredi e quindi quanto previsto per testamento
olografo del 15 agosto 1917 (notaio Gerolamo Buttaoni di Roma) andò beni alla Fondazione Giustiniani - Bandini
con lo scopo di amministrare l'enorme proprietà che si estende in ben
cinque comuni in Provincia di Macerata.
Il Principe Sigismondo Giustiniani - Bandini, Duca di Mondragone, volle essere sepolto
nella sua cara Abbazia di Chiaravalle di Fiastra accanto ai suoi amati
contadini. Nell'ultima colonna a destra nella navata centrale
dell'Abbazia di Fiastra, una lapide spiga perché Sigismondo è stato sepolto lì ai piedi dell'altare. Lo fa con le stesse parole del duca tratte dal suo testamento:
"desidero che il mio corpo sia
sepolto nella chiesa dell'Abbadia di
Fiastra in mezzo ai miei cari contadini
che ho considerato ed amato come figli
perché in mancanza di mia prole possano
ogni tanto ricordarsi di me e pregare
per l'anima mia." Ogni anno, nel giorno della sua morte (4 novembre), si celebra una messa in ricordo di Sigismondo Bandini e poi, terminata la funzione religiosa, viene offerta una frugale colazione a base di "pagnotta, salsiccia e vino" nel refettorio dei monaci. Non c'è più l'affluenza di una volta ma è comunque una tradizione ancora viva anche per un sentimento di riconoscenza, di chi ha qualche legame con l'Abbadia, per quanto il duca fece per i suoi dipendenti e collaboratori non solo del luogo ma anche delle zone circostanti.
La moglie di Sigismondo, Teresa Boncompagni-Ludovisi , visse a Roma gli
ultimi anni della sua vita e vi morì nel 1969. Anche la sorella di Sigismondo, Maria Sofia,
si trasferì a Roma e rimase usufruttuaria del patrimonio che, alla sua morte avvenuta nel 1977, divenne una fondazione, come era nel desiderio di Sigismondo. Sofia Giustiniani - Bandini
(nel ritratto e nella foto a sinistra)
aveva sposato il Conte Manfredi Gravina di Ramacca (1888-1977), ma non ebbe figli, ed in ossequio ai desideri del fratello, espressi nel testamento,
vincola un suo ulteriore legato (15 settembre 1972) alla Fondazione stessa accrescendone il patrimonio.
La Fondazione si trova incastonata nella proprietà è l'Abbadia Circerstense di Fiastra
, che dal 1985
ha nuovamente una Comunità di Monaci che ha ridato un'impronta di grande spiritualità a
tutta la zona. La tenuta è attualmente curata e promossa con dedizione dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giustiniani Bandini, istituita dopo la morte della contessa Maria Sofia, ultima componente della famiglia.
Con delibera n. 46 del 27.03.2001, il Comune di Castelraimondo approva il Protocollo d’intesa tra l’Arcidiocesi di Camerino – San Severino Marche, la Fondazione MA.SO.GI.BA. e lo stesso
Comune, relativamente all’allestimento e alla gestione del Museo del Castello di Lanciano, la cui ufficiale apertura al pubblico avviene il 24 Settembre 2005.
L’istituzione aderisce alla Rete dei musei civici e diocesani dei Comuni di Camerino, Castelraimondo e Visso, secondo il modello del Museo diffuso.
Il Museo si intitola alla Principessa Maria Sofia Giustiniani Bandini. L’insieme architettonico-decorativo, conservato pressoché integralmente nelle forme, nelle suppellettili, nella quadreria e negli arredi, così come si sono
stratificati nel tempo, fa del Castello di Lanciano un unicum nelle Marche. Al Museo sono destinati sedici vasti ambienti di rappresentanza, nonché dieci stanze costituenti l’appartamento della
principessa.
LAbbazia di Fiastra era stata ottenuta dalla famiglia Bandini nel 1773, quando il
marchese Alessandro Bandini ottenne in enfiteusi dalla Camera Apostolica le tenute di
Chiaravalle di Fiastra, Sarrocciano e S. Maria in Selva.
Per due secoli le vicende della famiglia sono rimaste strettamente legate alla più bella
e vasta delle proprietà, quella nobilitata dalla presenza della prestigiosa abbazia
cistercense di Fiastra. Qui, verso la metà del secolo scorso, il marchese Sigismondo
Bandini, fece ristrutturare, su disegno dell'Aleandri, il preesistente Palazzo abbaziale
che divenne residenza e centro amministrativo dei cospicui possedimenti della famiglia.
L'archivio dell'azienda agricola contiene una vasta, ordinata e, interessantissima
documentazione a disposizione dì chi sia interessato a studiare una grande proprietà del
Maceratese dal punto di vista delle tecniche agrarie, dell'organizzazione e dell'economia.
Da diversi anni si sta lavorando ad ampi interventi di restauro conservativo, alla
ristrutturazione di immobili, alla sistemazione delle pertinenze dell'abbazia, del palazzo
Bandini e dell'annesso parco. Promotore appassionalo, stimolo e guida sicura nell'opera di
recupero tutt'ora in corso, è il Consiglio di Amministrazione, ispirato sia dalla
consapevolezza di dover rivalutare e tramandare l'ingente patrimonio, artistico, culturale
e naturalistico con oltre sette secoli di storia, sia dalla lungimirante prospettiva di
voler assicurare un futuro serio all'intero complesso.
informazioni in parte tratte da: Un grande Casato scomparso: i Principi
Giustiniani-Bandini di Paola Consolati, a cura STUDI SULLA NOBILTA'
MARCHIGIANA, Tipografia GL di URBISAGLIA - Settembre 1999 dal sito web: www.associazioneleopardi.it
(altre Fonti sui Giustiniani Bandini: Maura Chiavari – C’era una volta… l’Abbadia (2011 edizioni simple)
Paola Consolati . I Giustiniani -Bandini (1999)
Aldo Chiavari – l’abbazia di Fiastra, La Rancia e Canalecchio (2016)
G.Alimenti-S.Pasquali – Fondazione Giustiniani Bandini cronache di 40 anni (2014)
Otello Gentili – Abbazia di Chiaravalle di Fiastra (1984)
Giovanni Carnevale – La scoperta di Aquisgrana in Val di Chienti (2010)
Simonetta Torresi – II+II la storia dei popoli delle Marche (2016)).
SCIALOJA V. Sul
diritto al nome ed allo stemma nella causa tra il principe Sigismondo Giustiniani Bandini
e il marchese Alessandro Giustiniani : parere per la verità. Pubblicazione Roma : tip.
F.lli Pallotta, 1889 (testo in pdf online su Open library)
Presso la Fondazione Caetani a Roma è depositato il primo troncone dell'archivio Giustiniani-Bandini
a seguito del lascito testamentario della contessa Maria Sofia nel 1977. Il fondo, ordinato e inventariato nel 1928, è stato articolato in due sezioni, storica ed amministrativa, secondo criteri del tutto arbitrari. Nelle due sezioni, infatti, è possibile trovare documentazione analoga: nella sezione storica si sono individuate in prevalenza le carte relative alle più antiche vicende della casata (testamenti, diplomi, atti giudiziari) ma anche atti amministrativi; in quella amministrativa si trovano i documenti che riguardano la gestione del patrimonio (tenute di Fiastra, S. Maria in Selva, Sarrocciano, Lanciano e Rustano) e la contabilità familiare, ma anche la corrispondenza personale, testamenti ed atti giudiziari.
Al momento del trasferimento dell'archivio presso la Fondazione Caetani, è stata trovata altra documentazione che è stata riordinata e descritta, a cura della Soprintendenza Archivistica per il Lazio, in un'appendice all'inventario del 1928.
L'appendice, costituita in gran parte di corrispondenza relativa ai secc. XIX e XX, carte amministrative e materiale fotografico, si articola in sei sezioni. Presso la Fondazione Giustiniani Bandini all’abbadia di Fiastra è conservato il il secondo troncone dell'archivio Giustiniani-Bandini
DORMONO LE DUE NICOLETTE
Nei pressi di Treja in provincia di Macerata, nella chiesa di Santa Maria in Selva vi è la sepoltura gentilizia di “due Nicolette”. La giovane diciannovenne Nicoletta (1817-1836), figlia primogenita di Cecilia Giustiniani e di Carlo Bandini, che sposò diciottenne il marchese Carlo di Santacroce di Villahermosa
(qui ritratto in basso a sinistra) morendo soltanto un anno dopo e Nicoletta Grillo duchessa di Mondragone (Napoli 27-XII-1772, 1826) moglie di Vincenzo Giustiniani e nonna della più giovane.
Nicoletta Giustiniani, moglie di Vincenzo VI ultimo principe Giustiniani, alla morte del marito nel 1826, decise di andare a vivere accanto alla sua unica figlia Cecilia nelle Marche, che nel 1815 aveva sposato il marchese Carlo Bandini.
Nicoletta Giustiniani acquistò un possedimento in contrada Abbadiola
e quando morì nel 1833, venne sepolta nella chiesa della tenuta di famiglia
Bandini-Giustiniani.
Due anni dopo, nel 1835, la primogenita di Carlo Bandini e Maria Massani,
sposò il marchese Carlo di Santacroce di Villahermosa, consigliere di
legazione di casa Savoia, si trasferì a Torino dove morì il 1 gennaio del
1836. Accogliendo il desiderio della moglie, Carlo acconsentì alla
tumulazione della giovanissima Nicoletta accanto a quella dell'adorata nonna
di cui aveva preso il nome e l'aveva tenuta a battesimo.
Curiosa l’iscrizione sulla lastra tombale, opera di Pietro Tenerani (1789-1869), allievo di Thorvaldsen, nel 1836 (il cui calco è presso il museo di Roma
in misure leggermente più piccole con una variante nell'acconciatura dei
capelli della giovane Nicoletta),
ad opera del drammaturgo Luigi Bioni, che recita:
Furono esempi di virtù e di bellezza le due Nicolette
ava e nipote/ questa desiderò che le sue spoglie mortali
a quelle dell’ava fossero ricongiunte / come le anime si ricongiunsero in
Dio al qual desiderio/
ahi troppo immaturamente/ soddisfecero gli inconsolabili genitori/
fratello e le sorelle / e il vedovo marito
e lo zio paterno Giuseppe / essi questo monumento posero / piccola testimonianza di gran dolore.
Di fronte alla tomba delle "due Nicolette" il monumento funerario di
Carlo Bandini e della moglie Cecilia Giustiniani fatto erigere dal figlio
Sigismondo a memoria dei genitori.
LA CAPPELLA BANDINI GIUSTINIANI AL CIMITERO VERANO DI ROMA
La tomba fu
Commissionata da Sigismondo Giustiniani Bandini nel 1898 al poliedrico artista Alessandro Morani (Roma 1859-1941).
Abbellita probabilmente con la collaborazione di De Carolis, è posta su due livelli e simula
nella parte alta un enorme sarcofago bizantino con coperchio a baule, spartito in arcate che ospitano – o meglio avrebbero dovuto ospitare, poiché il mausoleo è incompiuto – tre angeli realizzati a mosaico, mentre al centro dell’arca
spicca una grata in metallo, arricchito con inserti in madreperla, con un motivo decorativo già pienamente art nouveau a nastri intrecciati, con
due pavoni affrontanti e grappoli d’uva. Dovrebbero esser proprio gli angeli in mosaico ad essere eseguiti da De Carolis per via delle differenze stilistiche con il progetto iniziale ancora conservato presso l’archivio del Verano.
Il modello è palesemente ravennate e il riferimento è individuabile nel sarcofago di San
Barbaziano nel duomo del capoluogo romagnolo. Se la suddivisione della cassa in arcate con figure al centro è comune ai
sarcofagi alto medievali, il coperchio a baule
con motivo speculare delle croci tra la corona
d’alloro con monogramma di Cristo e nastro
terminante con foglia di edera, sembra derivare direttamente da quello. Questi elementi, uniti ai mosaici dell’arca, confermano un
riferimento ideale e nondimeno esplicito alla
Ravenna bizantina. Il revival bizantino del monumento rifletteva sia un gusto diffuso nell’Italia di quegli anni
sia, nello specifico romano, quanto poco prima era stato realizzato nella vicina
basilica di San Lorenzo fuori le mura, vale a dire
la cappella funeraria di Pio IX, costruita su progetto di Raffaele Cattaneo tra il 1882 e il 1894, e
decorata con mosaici di ispirazione ravennate su
cartoni di Ludovico Seitz. La cappella funeraria del Verano si
poneva a conclusione di una campagna di decorazioni per la famiglia Giustiniani-Bandini nel piano nobile di Palazzo Caffarelli Vidoni, acquistato
nel 1886, che si inseriva evidentemente nel programma di trasformazione dell’edificio a opera
dell’architetto Francesco Settimj contestuali alla
sistemazione di corso Vittorio Emanuele II. (tratto da: Alessandro Morani e il passato
Copia, revival e arte decorativa nella Roma di fine Ottocento di Mateo Piccioni
e Il Verano: Percorsi della memoria, Cardilli, Luisa (a cura di) (1995). Roma
edizioni Palombi).
Attualmente la tomba versa in grave stato di abbandono, i mosaici della parte superiore sono in grave stato di degrado. La cappella al piano superiore
è vuota e fortemente danneggiata, come al al piano terra dove ci sono i sepolcri della famiglia: Carlo Bandini
(Roma 1-I-1862, +Roma 14-VI-1941) e la consorte Maria Lanza di Trabia (Palermo 16-VII-1866, +Roma 22-I-1949) sulla sinistra e Sigismondo
Bandini (Roma 30-VI-1818, +Roma 4-VIII-1908) padre di Carlo, e Nicoletta Giustiniani (Roma 23-X-1860, +Roma 26-VI-1938),
sorella di Carlo, sulla destra.
La cappella Bandini Giustiniani nel cimitero Verano è posta sul "Viale delle Cappelle 22" nel riquadro 115 al "Pincetto nuovo" (per orientarsi prendere a riferimento la fermata 18 dell'autobus interno, nella
piazzetta
passare sotto l'arco della "Rampa Caracciolo" (indicata da una freccia), percorrere
la salitella fino all'inizio della scalinata che porta al Pincetto, fatta la prima rampa andare verso destra e già in alto si vede la tomba di tufo scuro
che si estende su due livelli, salendo la rampa accanto si accede alla parte superiore dove si notano i mosaici).
Alessandro Morani (Roma 1859-1941)
ebbe una formazione culturale fuori della norma. Formatosi alla bottega dello scultore Giovan Battista Lombardi, dal 1877 seguì i corsi dell’Accademia di Belle Arti e si inserì in un circolo di artisti che, oltre a studiare dal vero la natura, si rivolgevano alle istanze preraffaellite, incentrate sul recupero dell’arte del Quattrocento. Questo indirizzo, promosso a Roma dal pittore Nino Costa, confluì nella società In arte libertas, fondata da Morani e Ricci nel 1886, che, con numerose esposizioni, intendeva aprire il chiuso ambiente romano alle tendenze artistiche internazionali e antiaccademiche. Proprio in quegli anni si delinearono i due principali filoni dell’attività di Morani: quello legato alla pittura di paesaggio dal vero e quello impegnato nella decorazione architettonica. Grazie al suo specifico interesse per l’arte applicata all’architettura, ottenne nel 1894 la cattedra di Composizione decorativa pittorica al Museo artistico industriale. Questa scuola, istituita nel 1874 dal Comune di Roma con l’intento di formare una generazione di artigiani legata alla produzione artistica del paese, si aprì in quegli anni a istanze più vicine al modernismo. All’insegnamento Morani affiancò l’attività di decoratore, valendosi della collaborazione dell’allievo Adolfo De Carolis, con il quale eseguì a Roma le parti decorative di villa Blanc (1895-1897) e del villino Manzi (1900). Nell’ambito del recupero della cultura figurativa del primo Rinascimento si collocano inoltre i suoi interventi di restauro. Si ricorda, in particolare, quello eseguito, tra il 1895 e il 1897, su incarico di Ludovico Seitz e sempre in collaborazione con De Carolis, sugli affreschi di Pinturicchio nell’appartamento Borgia in Vaticano ove Morani completò la decorazione delle pareti della sala del Credo. Alle Sibille del Pinturicchio è ispirata la decorazione con teste femminili e motivi floreali che nello stesso anno egli dipinse in un soffitto di Palazzo Vidoni, proprietà di Sigismondo Giustiniani Bandini. È probabile che il rapporto dell’artista con la famiglia Giustiniani-Bandini sia dovuto al suo matrimonio con la bellissima pittrice Lily Helbig, figlia dell’omonimo archeologo tedesco e di una principessa russa, grazie al quale Morani venne introdotto nell’ambiente degli intellettuali stranieri a Roma e nel mondo del patriziato romano.
GIUSTINIANI DE BANCA
(con la successione Bandini)
Andreolo, Consignore di Chios fino al 1566, fugge davanti allavanzata turca e ripara a Messina, Patrizio Genovese (*Chios 15 , +Messina 15 )
= Luchinetta, detta Giustina, Giustiniani de Banca, figlia di Cassano Giustiniani de Banca, Patrizio Genovese, e di Chiara Giustiniani de Banca (v.)
A1. Giovanni Battista, Patrizio Genovese
B1. [naturale da
..] Tommaso
B2. [naturale da
..] Luca
A2. Cassano, Patrizio Genovese, Senatore di Messina (+post 1618)
= Caterina de Bellis, figlia del Conte Palatino .. de Bellis (ex Predovich), Principe di Chelm, di famiglia che pretendeva di discendere dai Re di Bosnia
B1. Don Andrea, nominato erede con testamento del 22-I-1631 da Vincenzo I Giustiniani, 1° Marchese di Bassano, succede a questi nel titolo e nel feudo il 27-XII-1638, 1° Principe di Bassano e Principe Assistente al Soglio Pontificio per Breve Pontificio datato Roma 21-XI-1644, acquista il feudo di Corbara, ottenendovi il titolo Ducale per Breve Pontificio il 22-XI-1644, ed è anche insignito del Titolo di Marchese del Monte dei Billi durante il Pontificato di Innocenzo X, Patrizio Genovese, ascritto alla Nobiltà Romana nel 1644, Prefetto e Governatore di Castel SantAngelo 1644 (*Messina 1605, +Roma 1676, sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva di Roma)
= Roma 12-X-1640 Donna Maria Flaminia Pamphili dei Principi
di San Martino al Cimino, figlia di Pamphilio Pamphili, Nobile Romano, e di Olimpia
Maidalchini (*Roma 1619, +1682) (v.)
= Roma 15-VI-1653 Don Maffeo
Barberini, 2° Principe di Palestrina, Duca di Neroli e Montelibretti, Marchese di
Cortese, Nobile Romano (*Roma 19-VIII-1631, +28-XI-1685) (v.)
C2. Don Vincenzo II, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*Roma 27-IX-1643, +giovane)
C3. Don Giovanni
Battista, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*Roma
26-XII-1644, +1676)
C4. Don Giuseppe
Benedetto, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*Roma
20-III-1646, +giovane)
C5. Don Gerolamo, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*Roma 17-V-1647, +giovane)
C6. Donna Caterina (*Roma 17-VII-1648, +7-I-1724)
= 2-IX-1663 Don Giulio Savelli, 3° Principe di Albano, Principe di Venafro, 2° Duca di Ariccia, Grande di Spagna di Prima Classe e Nobile Romano (*Roma 5-II-1626, +Roma 5-III-1712) (v.)
C7. Don Carlo Benedetto, 2° Principe di Bassano (confermato nel titolo e nei privilegi il 15-III-1677), 2° Duca di Corbara, Marchese del Monte dei Billi, Patrizio Genovese, Nobile Romano, Principe Assistente al Soglio Pontificio (*Roma 9-XI-1649, +Bassano 25-XI-1679, sepolto nel Monastero di San Vincenzo di Bassano)
= 15-IV-1661 Caterina Gonzaga,
figlia di Alfonso II, Gonzaga, 6° Conte di Novellara, e di Ricciarda Cybo Malaspina,
Principessa di Massa (*Novellara 1653, +Bassano 17-VII-1723) (v.)
D1. Don Vincenzo III, 3° Principe di Bassano, 3° Duca di Corbara, Marchese del Monte dei Billi, Patrizio Genovese, Nobile Romano, Principe Assistente al Soglio Pontificio (*Roma 30-VIII-1673, +16-III-1754, sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva di Roma)
= 15-IV-1706 Donna Costanza
Boncompagni-Ludovisi, figlia del Principe Don Gregorio Boncompagni, Duca di Sora ed Arce,
Principe Sovrano di Piombino e Principe del Sacro Romano Impero, e di Donna Olimpia
Ippolita Ludovisi, Principessa Sovrana di Piombino (*Isola del Liri 10-IV-1686,
+6-II-1768) (v.)
= Roma 1726 Don Sforza Giuseppe
I Sforza-Cesarini-Savelli, 3° Duca Sforza Cesarini, 3° Duca di Segni, Principe di
Genzano, Duca di Civitalavinia, Ginestra e Torricella, Grande di Spagna di Prima Classe e
Nobile Romano (*Roma 10-VI-1707, +Roma 11-VIII-1744) (v.)
E2. Don Giuseppe,
Sacerdote (*18-I-1710, +22-XII-1741)
E3. Don Francesco,
Patrizio Genovese e Nobile Romano (*22-VIII-1711,
+giovane)
E4. Don Gerolamo Vincenzo IV, detto il Duca di Corbara (titolo che portò sino alletà di 40 anni in attesa di succedere al padre), 4° Principe di Bassano, 4° Duca di Corbara, Marchese del Monte dei Billi, Patrizio Genovese, Nobile Romano, Principe Assistente al Soglio Pontificio (*2-IX-1714, +26-II-1757, sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva di Roma)
= 1734 Donna Anna Maria Angelica
Ruspoli, figlia di Don Francesco Ruspoli, 1° Principe di Cerveteri e Principe Romano, e
di Donna Isabella Cesi dei Duchi di Acquasparta (*1707, +21-II-1766) (v.)
= Napoli 18-V-1757 la Contessa Cecilia Carlotta Mahony, figlia del Conte John Joseph James Mahony, 2° Conte di Mahony, Cavaliere dellOrdine di San Gennaro, Tenente Generale dellEsercito Reale Napoletano, e di Lady Anne dei Baroni Clifford di Chudleigh, erede della Contea di Newburgh (*Napoli 27-XII-1740, +18-II-1780)
G1. Don Vincenzo V, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*1-II-1759, +1759)
G2. Don Giuseppe, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*1760, +giovane)
G3. Donna Caterina Valeria (*Roma 26-VIII-1761, +23-XI-1813)
= 1777 il Principe Don
Baldassarre II Erba-Odescalchi, 3° Principe Odescalchi del Sacro Romano Impero, 4° Duca
di Bracciano e 4° Duca di Sirmio, Nobile Romano (*Roma 1748, +Roma 10-VIII-1810) (v.)
G4. Don Andrea Vincenzo VI, 6° Principe di Bassano, 6° Duca di Corbara, Marchese del Monte dei Billi, 6° Conte di Newburgh dal 1818 (non riconosciuto in Gran Bretagna), Visconte Kynnaird, Barone Livingstone di Flacraig tra i Pari di Scozia, Duca di Mondragone e Conte di Carinola maritali nomine, Patrizio Genovese, Nobile Romano, Principe Assistente al Soglio Pontificio, alla sua morte non potendo ereditare i feudi i fratelli in stato religioso, eredita in virtù del fidecommesso del 22-I-1631 i feudi di Bassano e Corbara ed il titolo di Marchese del Monte dei Billi il Marchese Andrea Giustiniani Recanelli di Genova, riconosciuto con sentenza della Sacra Rota Romana del 14-VI-1839 (*Roma 2-XI-1762, +Roma 13-XI-1826, sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva di Roma)
= Napoli 21-V-1789 Donna Nicoletta Grillo, figlia di Don Domenico Grillo, Duca di Mondragone, Grande di Spagna di Prima Classe, Marchese di Clarafuentes, Conte di Carinola, Magnate dUngheria, Patrizio Genovese e Napoletano, e di Donna Maria Rosa Sanseverino dei Principi di Bisignano (*1771, +1826)
H2. (Lady) Donna Cecilia, Duchessa di Mondragone e Contessa di Carinola dal 1863 (per successione alla cugina Donna Maria Rosa Grillo, vedova Doria dAngri), 7° Contessa di Newburgh, Viscontessa Kynnaird, Baronessa Livingstone di Flacraig tra i Pari di Scozia, riconosciuta nei titoli scozzesi nel 1858 dalla Commissione per i Privilegi della Camera dei Comuni, Patrizia Genovese e Nobile Romana (*Roma 5-VI-1796, +Roma 2-I-1877)
= Roma 21-IX-1815 Carlo Bandini, 4° Marchese di Lanciano e Rustano, Patrizio di Macerata, Nobile di Camerino e di Nocera Umbra (*Fiastra 3-IX-1779, +Roma 5-VI-1850)
I1. Nicoletta (*1817, +1836)
= 1835 il Marchese Don Carlo Santacroce, Nobile Romano
I2. Principe Don Sigismondo GIUSTINIANI
BANDINI, 5° Marchese di Lanciano e Rustano dal
1850, Patrizio di Macerata, Nobile di Camerino e di Nocera Umbra, riconosciuto Nobile
Romano Coscritto con Senato Consulto di Roma in data 2-V-1855, creato Principe Romano con
Breve Pontificio datato 27-I-1863 che lo autorizzava ad inquartare lo stemma Giustiniani
con quello Bandini, autorizzato con Dispaccio del Ministero degli Interni Pontificio
datato 17-I-1866 a godere degli onori e dei privilegi spettanti ai Principi Giustiniani,
succede nei titoli materni nel 1877 ed è riconosciuto con Decreto Ministeriale datato
Roma 9-VI-1893 come 1° Principe Giustiniani Bandini, Nobile Romano Coscritto, Duca di
Mondragone e Conte di Carinola, 5° Marchese di Lanciano e Rustano, 8° Conte di Newburgh,
Visconte Kynnaird, Barone Livingstone di Flacraig tra i
Pari di Scozia, Patrizio di Macerata, Nobile di Camerino e Nobile di Nocera Umbra (*Roma
30-VI-1818, +Roma 4-VIII-1908)
= Roma 14-IX-1848 Maria Sofia Massani, figlia del Cavaliere Giuseppe Maria Massani, Maggiordomo di Sua Santità, e di Elena Battistini (*Roma 13-V-1830, +Roma 15-XII-1898) (nella foto a sinistra Maria Sofia Massani con in braccio la piccola Nicoletta).
J2.
(Lady) Donna Carolina (*Roma 10-VI-1851, +Roma 1-III-1942)
=
Roma 8-IV-1872 il Conte e Nobile Vincenzo Guardino Colleoni-Porto, 7° Conte di Solza e
Conte dellImpero Austriaco (*Vicenza 13-VI-1846, +Roma 19-XII-1918) (v.)
J3.
(Lady) Donna Elena (*Roma 8-VI-1853, +Roma 1-V-1950)
= Roma 25-VI-1876 il Principe Don Camillo Rospigliosi (*Firenze
15-X-1850, +Roma 6-VI-1915) (v.)
J4. (Hon.) Don Carlo, Nobile Romano, Patrizio di Macerata,
Nobile di Camerino e di Nocera Umbra (*29-IV-1860, +2-IX-1861)
J5.
(Lady) Donna Nicoletta (*Roma 23-X-1860, +Roma 26-VI-1938)
J6. Principe Don Carlo, 2° Principe Giustiniani Bandini, Nobile
Romano Coscritto, Duca di Mondragone e Conte di Carinola, 6° Marchese di Lanciano e
Rustano, 9° Conte di Newburgh, Visconte Kynnaird, Barone Livingstone
di Flacraig tra i Pari di Scozia, Patrizio di Macerata, Nobile di Camerino e Nobile di
Nocera Umbra (*Roma 1-I-1862, +Roma 14-VI-1941)
=
Firenze 8-VIII-1885 Donna Maria Lanza Branciforte, figlia di Don Giuseppe Lanza
Branciforte, 10° Principe di Trabia, e della Contessa Sofia Galeotti (*Palermo
16-VII-1866, +Roma 22-I-1949) (v.)
= Roma 4-IV-1910 la Principessa Donna Teresa Boncompagni-Ludovisi, figlia del Principe Don Ugo Boncompagni-Ludovisi, Duca di Sora, e di Donna Laura Altieri dei Principi di Viano ed Oriolo (*Roma 20-I-1889 +Roma 1-V-1969) (v.) - Sigismondo e Teresa nella foto a destra
K2. (Lady) Donna Maria Sofia, 11° Contessa di Newburgh,
Viscontessa Kynnaird, Baronessa Livingstone di Flacraig tra i Pari di Scozia, Nobile
Romana, Patrizia di Macerata, Nobile di Camerino e Nocera Umbra, i titoli italiani
(Mondragone e Cerinola si estinguono) (*Roma 4-V-1889, test. 3-XI-1972, +30-IV-1977)
=
Roma 3-V-1922 il Conte Don Manfredo Gravina dei Principi di Ramacca (*Palermo 14-VI-1883,
+Danzica 19-IX-1932)
K3. (Hon.) Don Giuseppe, Nobile Romano, Patrizio di Macerata,
Nobile di Camerino e di Nocera Umbra, Ufficiale del Regio Esercito Italiano (*Roma
3-IX-1896, +in battaglia, presso Gorizia 8-IX-1916)
K4. (Hon.) Don Lorenzo Maria, Nobile Romano, Patrizio di
Macerata, Nobile di Camerino e di Nocera Umbra (*14-IV-1898, +in infanzia)
J7. (Lady) Donna Maria Cristina, Dama del Sacro Cuore nel
Convento di Trinità dei Monti di Roma dal 1884 al 1895, entra poi nel TerzOrdine
Domenicano, Presidentessa dellUnione delle Donne Cattoliche dItalia dal
21-XI-1909 al 1917, Membro della Giunta Direttiva dellAzione Cattolica dal
?-III-1915, Segretaria dellAmbasciatore Paolucci de Calboli, Sottosegretario
Generale della Società delle Nazioni, dal 1926 al 1935 (*Roma 20-II-1866, +Roma
28-XI-1959)
J8. (Lady) Donna Maria Isabella (*Roma 17-IV-1867, +Hampton
Court 20-I-1963)
=
Roma 17-XI-1898 Hon. Sir Esmé William Howard dei Duchi di Norfolk, 1° Barone Howard di
Penrith (*castello di Greystoke 15-IX-1863, +Ridgecombe-Hindhead, Surrey 1-VIII-1939)
J9.
(Lady) Donna Maria Cecilia (*Roma 20-XI-1871, +?)
=
Roma 18-XII-1920 il Conte Paolo Piella (*Bologna 3-I-1873, +Roma 1-IV-1952)
J10. (Lady) Donna Anna Maria (*19-VII-1874, +29-VII-1874)
I3. Donna Elisabetta (*1820, +?)
= 1841 il Marchese Agostino Trionfi, Patrizio di Ancona
I4. Cristina (*1821, +21-VII-1851)
= 1845 il Conte Marcello Marcelli-Flori, Nobile di Jesi
I5. Donna Maria (*1825, +?)
= 1851 il Cavaliere Federico dei Conti Pucci Boncambi, Patrizio di
Perugia
H3. [da
Teresa Cammilleri da Malta, sposata ad Antonio Cammilleri, paternità incerta] Teresa CAMMILLERI
= Nobile
Giuseppe Galea Feriol dei Baroni di San Marciano
H4. [da
Teresa Cammilleri da Malta, sposata ad Antonio Cammilleri, paternità incerta] Giovanni
CAMMILLERI
= 1819 Maria Borg, figlia di Giuseppe Borg e di Elena Casha
I1. Elena
= 1839 il Conte
Gaetano Farrugia
= 1781 Don Francesco Ruspoli,
3° Principe di Cerveteri e Principe Romano, Patrizio Romano Coscritto (*19-II-1752,
+8-III-1829) (v.)
G6. Don Lorenzo, Cavaliere Professo dellOrdine di Malta, Commendatore di SantAntonio di Vienna dellOrdine Gerosolimitano (*Roma 1-X-1767, +Roma ?-I-1843, sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva di Roma)
G7. Don Giacomo, Cardinale di Santa Romana Chiesa 2-X-1826, Cardinale Prete del Titolo dei Santi Pietro e Marcellino dal 17-IX-1827 al 22-XI-1839, Cardinale Vescovo della Diocesi Suburbicaria di Albano 22-XI-1839, Arcivescovo Titolare di Tiro dal 14-IV-1817 (consacrato il 20-IV-1817) al 13-V-1826, Vescovo di Imola (col titolo personale di Arcivescovo) dal 13-V-1826 al 16-XII-1832 (rinuncia al governo pastorale della Diocesi), Abate Commendatario di Farfa 1831-1833, Arciprete della Basilica Vaticana 1-VII-1837, ordinato Sacerdote il 21-XII-1816, Protonotario Apostolico Partecipante, Prelato Domestico di Sua Santità, Nunzio Apostolico in Spagna dal 14-IV-1817, Segretario Pontificio dei Memoriali 5-II-1831, Prefetto della Congregazione dellIndice 21-XI-1834, Prefetto della Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro 1-VII-1837, Camerlengo di Santa Romana Chiesa dal 2-X-1837 (*Roma 20-XII-1769, +Roma 24-II-1843, sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva di Roma)
G8. Don Giuseppe,
Patrizio Genovese e Nobile Romano (*1775, +17
)
D3. Don Giovanni Battista, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*19-IX-1675, +6-XI-1751)
= 1726 Donna Giulia
Boncompagni-Ludovisi, vedova del N.H. Don Marco Ottoboni, 1° Duca di Fiano, Patrizio
Veneto e Nobile Romano, figlia del Principe Don Gregorio Boncompagni, Duca di Sora ed
Arce, Principe Sovrano di Piombino e Principe del Sacro Romano Impero, e di Donna Olimpia
Ippolita Ludovisi, Principessa Sovrana di Piombino (*Roma 22-I-1695, +Rustigné 3-XI-1751)
(v.)
D4. Don Gerolamo, Patrizio Genovese e Nobile Romano (*20-IX-1676, +1676)
D5. Don Alessandro,
Cavaliere dellOrdine di Malta (*11-XI-1677, +1756)
D6. Don Carlo, Cavaliere dellOrdine di Malta (*14-II-1679, +1758)
D7. Don Alfonso,
Abate Laico (*postumo, 23-IV-1680, +?-VII-1749)
C8. Donna Laura (*Roma 5-XI-1655, +di peste Roma 1657)
B3. Maria
= il Cavaliere Antonio
Messina
B4. Costanza (+post 1685)
= il Marchese Marco de
Gregorio, Marchese di Poggiogregorio e Marchese del Sacro Romano Impero
B5. Bianca
= Giuseppe Guasconi,
Nobile di Messina
A3. Bernardo,
Vescovo di Anglona e Tursi 1609, Canonico della Cattedrale di Messina (*Messina 1574,
+1616)
A4. Paolo, Patrizio Genovese
B1. [naturale da
] Fabio
A5. Brancaleona
= Bernardo Giustiniani
Garibaldi, Patrizio Genovese
A6. Geronima
= Giovanni Giustiniani
Garibaldi, Patrizio Genovese
LINK UTILI
Il sito di Enrico Giustiniani
sullAbbazia di Fiastra
http://www.sinp.net/areaa/ci_tr_tu/Giubileo/CITTA'/abbaziafiastra/Fiastr.htm
http://www.mercurio.it/ales/abbazia/abframe.htm
http://www.regione.marche.it/giubileo/duemila/abbazie/fiastra.htm
http://www.data.it/marche/provmc/abbadia/abbadia.htm
Maria Cristina Bandini
Giustiniani
Schema genealogico dei due rami
Bandini-Giustiniani (archivio Fondazione Camillo Gaetani - Roma)
Dal sito: www.sardimpex.com, a cura di Davide
Shamà e Andrea Dominici Battelli su loro gentile concessione, è presente lalbero
genealogico dei Giustiniani - De
Banca e successione Bandini
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