Se infatti Roma costituisce per tutta la prima parte del XVII secolo un laboratorio di
sperimentazione artistica che vede all'opera pittori come Caravaggio e Annibale Carracci,
Nicolas Poussin e Claude Lorrain, ciò avviene anche grazie ad una fitta schiera di uomini
di potere, committenti e collezionisti, capaci di creare occasioni di lavoro per gli
artisti, procurandogli committenze, acquisendo loro opere per le proprie raccolte e
alimentando così il nascente mercato dell'arte. Benedetto e Vincenzo Giustiniani sono fra
i più attivi, aperti e creativi protettori delle arti della Roma di inizio Seicento. La
famiglia Giustiniani, di origine genovese, si trasferisce a Roma da Scio nell'ultimo
quarto del cinquecento e, una volta stabilito il Proprio ruolo istituzionale nella città
(Benedetto è cardinale e Vincenzo banchiere), costituisce un punto di riferimento
importante per la scena artistica della capitale. Il cardinal Benedetto e il marchese
Vincenzo esercitano un ruolo di grande peso nell'affermazione di Michelangelo Merisi da
Caravaggio a Roma (come dimostra l'acquisizione del primo S. Matteo per la cappella
Contarelli in S. Luigi dei Francesi), i due fratelli accolgono nella propria dimora, il
Palazzo Giustiniani a S. Luigi dei Francesi, numerosi artisti forestieri, attirati dal
Nord dal nuovo stile del Caravaggio (Gerrit van Honthorst, Dirck Baburen, David de Haen,
Nicolas Regnier), controllano alcune fra le più importanti imprese decorative cittadine
(Chiesa di S. Maria della Vallicella, S. Maria sopra Minerva, S. Maria della scala, S.
Prisca) e impiegano artisti promettenti ma non ancora affermati nel loro palazzo di
Bassano di Sutri (Domenichino, Francesco Albani).
La potenza della famiglia Giustiniani era legata alla ricchezza in un modo così geniale
da conferirle, se non ci tradisce la distanza dei tempi, un carattere agile, affabile,
spregiudicato. Siamo negli ultimi anni di Clemente VIII Aldobrandini, ai primi anni di
Paolo V Borghese. La controriforma non era ancora volta al termine a "la bella
gente" di Roma e di fuori non si era lasciata convincere che i beni di questo mondo
erano da buttar via. Anche Papa Sisto V, così sobrio ma santissimamente iracondo,
spianava piazze e giardini. In Europa intanto le Fiandre sono in subbuglio. Spagna ed
Inghilterra si giocano la supremazia sui mari. In Germania è lotta aperta tra luterani e
cattolici. Ma A Roma i cardinali cambiano casa ad ogni stagione, ambasciatori, i nipoti
del pontefici villeggiano da un giardino ad una vigna. Comici spagnoli danno a quei
signori e a quelle dame il gusto dello spettacolo di fuori via: infine tutti banchettano e
sono banchettati. Ma nel tourbillon dei grandi nomi, nel quotidiano gioco delle ambizioni
e delle prepotenze Romane non capita mai che l'attenzione pubblica centri men che
discretamente il casato dei Giustiniani. Erano ricchi, avevano palazzi e giardini famosi,
ma solo Benedetto, il cardinale, viene ricordato dalle cronache e proprio quando entra di
scena tutto il sacro collegio. Di Vincenzo si parla raramente, ed era gentiluomo
coltissimo, di un'originalità vitale e profonda, umana soprattutto. Quando partiva per la
sua terra di Bassano nessuno ne faceva parola: la sua carrozza non sollevava fragore ne
veniva mostrata a dito.
Benedetto Giustiniani di Bernardo Castello (1582 circa) - collezione Giustiniani. A destra una medaglia commemmorativa con S.Paolo decollato. Bologna, 1606.
Benedetto Giustiniani (Scio 5 Giugno 1554 - Roma 27 Marzo 1621)
Dopo gli studi universitari, Benedetto intraprese la carriera ecclesiastica: nel 1585
acquistò la carica di Tesoriere generale e nel 1586 fu fatto cardinale da Sisto V. Svolse
un ruolo significativo nella politica ecclesiastica di quegli anni; si ricorda in
particolare la sua opera per il riavvicinamento del re di Francia Enrico IV di Borbone
alla Chiesa cattolica.
Studiò a Perugia e Padova addottorandosi in legge a Genova nel 1577.
Entrato in prelatura gli vennero affidati numerosi incarichi da Gregorio XIII (come referendario delle due Segnature o di giudice delle Confidenze) che gli conferì i benefici di cui godeva suo zio quando questi morì (1583).
Nominato Tesoriere Generale da Sisto V nel 1586, venne da questi creato Cardinale con il titolo di S. Giorgio in Velabro, cambiato poi con quello di S. Prisca.
Gregorio XIV lo inviò Legato nelle Marche dove costruì in Macerata il Collegio dei Gesuiti.
Qui si occupò soprattutto della questione dei banditi. Infatti, il succedersi delle sedi vacanti fra il 1590 e il 1592, insieme a una carestia avevano reso la situazione gravosa, particolarmente nel Piceno. I provvedimenti tesi a spezzare il sostegno che la popolazione locale dava ai banditi non trovarono rispondenza.
Nel 1593 il Giustiniani affiancò il cardinale legato dell'umbria nell'incarico di provvedere all'Università di Perugia.
Quando Ferrara rientrò nei possedimenti della Chiesa, egli era al seguito di Clemente VIII allorché questi, nel 1598, entrò solennemente in città.
Prese poi il posto del Cardinal Caetani come legato in Francia e successivamente divenne presidente del tribunale della Segnatura di giustizia.
Nel 1599 fu incaricato di esaminare la validità del matrimonio fra Margherita di Valois ed Enrico IV.
Cardinale di curia molto influente e buon diplomatico, si adoperò per l'avvicinamento alla Chiesa di Enrico IV di Navarra che portò alla sua abiura ed alla sua assoluzione. Nel 1606 Paolo V lo inviò Legato a Bologna dove restò fino all'agosto del 1611, assolvendo la propria carica con
grande fermezza e rigore, come attestano le fonti contemporanee e come dimostra il Bando
generale promulgato a Bologna nel 1608.
Qui dovette affrontare innanzitutto il problema dell'approvvigionamento di grano, che risolse brillantemente.
Altrettanto impegno profuse nella gestione dell'ordine pubblico, limitando le possibilità di portare le armi, di frequentare le osterie per gli uomini sposati, proibendo il gioco ed espellendo vagabondi e forestieri.
Mise a morte per altro cinquanta persone per crimini contro il patrimonio o la persona.
Al termine della legazione rientrava a Roma.
Divenne poi Vescovo di Palestrina nel 1612 e successivamente della Diocesi di Sabina.
La sua attività di collezionista, spregiudicato al punto da far sostituire di nascosto il
S. Sebastiano del Francia nella Chiesa di S. Maria della Misericordia a Bologna con una
copia, e di appassionato promotore della arti è testimoniata, in particolare, dagli
scritti del bolognese Carlo Cesare Malvasia, il quale ci parla della passione del
cardinale per la pittura "tenebrosa" e ci descrive il suo carattere
"ritroso e severo" e impulsivo. Della sua abilità di inserirsi nel tessuto
politico e sociale dell'epoca è testimonianza una sua biografia anonima che lo definisce
così: "è officioso et efficace per l'amici. Ha molta solertia et è gran captatore
di benevolenza con i grandi, perché gli lusinga et si mostra tenace de loro
interessi, et sa facilmente interessarli conche s'ha guadagnata la confidenza del
Papa
". Morì il 27 marzo del 1621 a 67 anni e fu sepolto in S. Maria sopra Minerva.
Il cardinale Benedetto fu ritratto da Caravaggio, in un dipinto finora sconosciuto
menzionato nell'inventario della sua collezione.
Lo stemma di Benedetto Giustiniani è anche presente alla Biblioteca Archiginnasio di Bologna, dove fu legato Pontificio per cinque anni. Il cortile
della Biblioteca a doppio loggiato, risente dell'influenza dell'architettura dei collegi universitari, di cui a Bologna quello di Spagna rappresenta il prototipo, e ricorda i cortili dei palazzi nobiliari cittadini dove si svolgevano sontuose cerimonie anche di carattere pubblico. il cortile è adorno di stemmi e memorie scolpite o dipinte.
In una posizione di grande rilievo, campeggia l'affresco in onore del cardinale Benedetto Giustiniani, dedicatogli da Diego de Leon Garavito, uno studente spagnolo nativo di Lima in Perù, primo studente "americano" all'Università di Bologna
(qui in alto a sinistra nella versione anche con la spiegazione).
Il motto del Cardinale Benedetto è quello comunemente riportato per tutta la famiglia Giustiniani: SI JE PUIS, SUPREMA REQUIRO” (qui a sinistra nella Biblioteca Archiginnasio di Bologna): "suprema requiro; iustitia et pax propter te sese osculatae sunt; advocavit Bononia te coelum de sursum" (Esigo il massimo; la giustizia e la pace si sono unite per te; Bologna ti ha chiamato paradiso dall'alto). Nell'epigrafe sotto lo stemma: ADVOCAVIT BONONIA TE COELVM DE SVRSVM II IVSTITIA ET PAX PROPTER TE SESE OSCVLATAE SVNT// AVDIVIT ET LOETATA EST TERRA ET EXVLTAVIT POPVLVS/QVONIAM BENEDICTVS IVSTINIANVS NOBILISS. GENVEN./EX DOMINIS INSVLAE CHII ACER IVRIVM ECCLESIAE/PROPVGNATOR EST QVI VENIT A LATERE. IVSTE IVSTINIANVS/GVBERNAT. EXPANDIT ALAS SVAS, ET SVPER NOS VOLITANS,/IN SAPIENTIA SVRGIT. BONON. PONIT MENSAM NOVISSIMA/PROVIDENDO ("Bologna ti chiamò sommo cielo. Giustizia e pace vicino a te si baciarono. Udì l'annunzio e se ne rallegrò la terra ed esultò il popolo: colui che viene "a latere" è Benedetto Giustiniano, patrizio genovese, dei signori dell'isola di Chio, il forte difensore dei diritti della Chiesa. Il Giustiniano governa da giusto, apre le sue ali e, sopra noi volando, grandeggia in saviezza. A Bologna pone la sua sede, guardando molto lontano").
http://www.archiginnasio.it/storia_palazzo/visita2.htm
Bando generale
dell'illustrissimo e reverendissimo sig. Benedetto cardinal Giustiniano, legato di
Bologna, pubblicato alli 23 di Giugno, & reiterato alli 24 di Luglio, 1610
S.Prisca sulla
facciata l'iscrizione del Cardinale Benedetto Giustiniani titolare dal 1599 al 1611
che rifece la facciata nel 1600 (Anno Santo), la cui
iscrizione è ancora visibile oggi.
Basilica di S.Maria sopra
Minerva : la storia della Basilica, la
Cappella Giustiniani dove è sepolto Benedetto Giustiniani
Dal sito dell’enciclopedia Treccani :
Dizionario biografico degli Italiani, è presente la biografia di
Benedetto Giustiniani (Chio 5 luglio 1554 – Roma il 27 marzo 1621)
Chiesa soppressa di San Nicolò di San Felice: la Croce. Arcivescovo Prospero Lambertini iscrizione sulla lapide: D(EO) O(PTIMO) M(AXIMO) A(ETERNO)
PAULO V PONT(IFICE) OPT(IMO)
ET MAX(IMO)
BENEDICTO CARD(INALE) IUSTINIANO
DE LAT(ERE) LEG(ATO)
SUMMA CUM SENATU
CONCORDIA FELICISS(IMA)
BONON(IENSEM) CIVITATEM
MODERANTIBUS
Via San Felice 39. Anno di posa tra il 1606 ed il 1611.
Traduzione
“A Dio Ottimo Massimo Eterno.
Sotto Paolo V Pontefice Ottimo e Massimo, e Benedetto Giustiniani, cardinale legato a latere, che governano la città di Bologna in grandissimo e felicissimo accordo con il Senato”.
Il Marchese Vincenzo Giustiniani di Nicolas Regner (1630 circa) - collezione
Giustiniani (a sinistra), a destra un "bustino" marmoreo del Marchese Vincenzo delle
dimensioni di un bustino "du Nain de Créquy" di François Duquesnoy (Bruxelles, 12 gennaio 1597 – Livorno, 12 luglio 1643), scultore Fiammingo, citato
da Sandrart di cui si erano perdute le tracce ed ora facente parte della
collezione di A.Deckers ad
Heerlen in Olanda (per sua gentile concessione)
Vincenzo Giustiniani (Scio 13 Settembre 1564 - Roma 27 Dicembre 1637)
Nato nel 1564 dal piccolo sovrano di Scio, il padre Giuseppe. Arriva a Roma con la
famiglia a due anni nel 1566 scacciato dai Turchi. La famiglia si stabilì a Roma e romana
fu la sua educazione, sia nel senso di un legame molto forte con i modelli ecclesiastici
delleducazione e della formazione dei giovani in età controriformista, sia di
apertura verso le nuove ricerche scientifiche.
Il Marchese è a Faenza nel 1606 in compagnia di Cristofano Roncalli detto il Pomarancio,
uomo dottissimo, grande pittore. I due entrano nel Duomo e si fermano a guardare la
Disputa nel tempio, una tela sul primo altare. Pomarancio pretende di illustrarlo al
marchese, formulando ipotesi sull'autore. Ma le ipotesi sono sbagliate. Vincenzo, invece,
riconosce la mano di Dosso Dossi e possiamo dire oggi che l'attribuzione era esatta.
Il piccolo aneddoto spiega chi fosse il Marchese e quanto di arte se ne intendesse sul
serio. Lui e il fratello maggiore Benedetto avevano raccolto l'aspetto più bello e
nobilitante dell'eredità paterna. Giuseppe Giustiniani aveva infatti destinato parte
delle sue fortune a una piccola collezione che il cardinale Benedetto aveva accresciuto
con scelte innovative e intelligenti. Alla sua morte, nel 1621, Vincenzo aveva sviluppato
enormemente questo retaggio, costituendo un insieme di quadri e sculture ben documentato
dall'inventario del 1638.
Quest'amore per il bello lo porterà a diventare uno dei più grandi collezionisti d'opere
d'arte del secolo XVII. Il marchese è talmente orgoglioso della sua collezione che si
preoccupa di proteggerla anche dopo la morte.
Nel testamento affida le opere agli eredi e successori con clausole severe e minacce
morali affinché la collezione non sia dispersa o tanto meno alienata. Ma circa
cinquant' anni dopo la sua morte, la raccolta è venduta.
Il marchese Vincenzo fu uno dei principali protagonisti del collezionismo romano di primo
Seicento. Come scrisse il suo amico Theodor Ameyden egli "
di tutto discorreva,
di tutto s'intendeva, anche delle scienze più recondite".
Accorto collezionista dotato di fine intuito si accostò alle correnti più innovative
della pittura del suo tempo, sostenendo nel suo ruolo di mecenate la diffusione del
realismo di matrice caravaggesca e dimostrando in più occasioni un'apertura alle novità
che pochi suoi contemporanei seppero condividere.
Al contempo, Vincenzo coltivò una viva passione per l'antico, accumulando una
straordinaria quantità di sculture e bassorilievi che letteralmente invasero tutti gli
spazi delle sue residenze. La natura eclettica dei suoi interessi è dimostrata dall'
inventario della sua biblioteca, nel quale sono elencati volumi di storia, di filosofia,
ma anche di astrologia, medicina e divinazione.
Per comprendere meglio il profilo intellettuale del marchese, è utile esaminare anche i
volumi presenti nella sua biblioteca e riportati nell'inventario redatto nel 1638.
La "libraria" del suo palazzo in Roma comprende circa 376 opere, alle quali
vanno aggiunti circa venti volumi conservati nel palazzo di Bassano.
Nella biblioteca sono assenti, per esempio, testi di musica, disciplina che per la verità
interessa molto Vincenzo; prevalgono invece trattati filosofici d'impostazione neostoica,
volumi concernenti l'astrologia, le scienze naturali, l'astronomia e testi scientifici
d'argomento esoterico ed occulto. L'interesse per l'occultismo è testimoniato dalla
presenza di un volume sulle profezie di Nostradamus. Inoltre questa passione per la
cultura scientifica trova conferma anche negli affreschi presenti nel palazzo di Bassano.
La volta della "Galleria" dipinta da Francesco Albani raffigura pianeti,
costellazioni e segni zodiacali. La composizione iconografica delle grottesche affrescate
nelle stanze delle stagioni suscita, invece, sensazioni esoteriche ed occulte. Vincenzo
Giustiniani è un personaggio erudito e dotto, incline ad accogliere senza pregiudizi, le
novità culturali della sua epoca.
Nel 1606 Vincenzo intraprese un viaggio nel Nord Europa che, passando per la Germania, lo
condusse fino in Inghilterra e quindi, sulla via del ritorno, in Francia.
Le tappe del suo itinerario, i luoghi e gli incontri che lo colpirono maggiormente, sono
riportati nel diario che ne dà il resoconto (Diario di viaggio di Vincenzo Giustiniani di
Bernardo Bizoni). Vincenzo Giustiniani riconosce nel viaggio un valore assoluto per la formazione dell’individuo. L’esperienza delle cose non si conquista senza uscire dalla patria: è necessario, quindi, sprovincializzarsi per
aprire la mente, sviluppare una «vera cognizione delli vari costumi, del vario
modo di governare, del guerreggiare, […] delle diversità delle province e delle
città […]» come scrive lo stesso marchese. Il suo pensiero si spinge oltre:
per acquistar l’esperienza che sia sufficiente alla prudenza, - afferma -
sarà
necessaria la peregrinazione per mare e per terra, secondo varie e diverse regioni,
per mera elezione, però non per necessità, e con tale osservazione di tutte le cose
importanti che occorrono, che si possa soddisfare alla curiosità del peregrino.
Il viaggio autentico, dunque, è quello che si intraprende per elezione, per libera e
incondizionata scelta, per amore della conoscenza, per curiosità: colui che viaggia
per necessità non può veramente conoscere, perché il suo animo non sarà sgombro
da affanni e pregiudizi, teso al perseguimento di un fine immediato e materiale.
È un pensiero straordinariamente moderno che accoglie lo spirito della
rivoluzione scientifica affermatosi proprio nel XVII secolo e che fa di Giustiniani
un precursore: nel 1625, a Londra, Francesco Bacone pubblicherà Of Travel,
proclamando il viaggio un percorso obbligato per la formazione della futura classe
dirigente, ribadendo, però, che «a pochi è dato di ricercare, esplorare, imparare e
raggiungere la vera accortezza e la saggezza che è il vero viaggiare».
Si ravvisa in questi due piccoli trattati una “concezione aristocratica” del
viaggio, nel senso platonico del termine: la conoscenza autentica è prerogativa di
una mente libera, viaggiare è aprirsi all’esterno, alienandosi con la partenza per
ritornare migliori di come si parte. Il filosofo Seneca, infatti, ammoniva Lucilio a
denudarsi prima di partire senza portare se stesso in viaggio. Vincenzo
«poneva chiaramente l’accento sul fatto di essere divenuto a sua volta strumento di conoscenza e dunque di essere in grado di trasmettere «a quelli che non ne sono mai partiti» la sua
stessa «curiosità del peregrino». La conoscenza del già “vissuto”, l’esperienza
del già “praticato”, diviene così trasmissione del sapere e condivisione di ciò che si è visto durante il viaggio.
Vincenzo è anche autore di una serie di scritti sulle arti e sui mestieri, elaborati in forma
di lettere indirizzate a Theodor Ameyden.
Tra questi sono di fondamentale importanza, non soltanto per la comprensione del suo gusto
artistico ma anche per le molte informazioni che se ne possono trarre, i Discorsi sulla
pittura, sulla scultura, sulla musica e sull'architettura.
Alcuni discorsi del marchese Vincenzo, non ancora conosciuti, sono stati
recentemente pubblicati a cura di Silvia Danesi Squarzina e Luisa Capoduro per la Tipografia della Biblioteca Apostolica Vaticana
SCRITTI EDITI E INEDITI.
Il manoscritto è il più ricco e completo fra quelli contenenti i Discorsi
di Vincenzo Giustiniani già pubblicati, raccogliendo otto Discorsi inediti insieme a sette degli otto
già noti del Marchese che, in tarda età, nella tranquillità della grande dimora
di Bassano volle riordinare, correggendo di suo pugno, e completando
testi e pensieri che avevano attraversato la sua intera esistenza. Viaggi,
vita di corte, antichità di Roma (l’inedito più importante), pittura, scultura,
architettura, conversazione, musica, il gioco del pallamaglio, i puledri
nel dialogo tra Renzo romano et Aniello napolitano, mura di Genova,
podagra, caccia, cavalli, cani (da lui molto amati), sono gli argomenti via
via trattati con semplicità e sapere, destinati a intrattenere uno scelto pubblico
di amici. Il prezioso documento aggiunge spessore a un personaggio
già famoso per la sua straordinaria raccolta di dipinti e di marmi antichi e
va letto nell’ottica degli studi sul collezionismo che, oltre a privilegiare la
frequentazione degli archivi, non possono trascurare di volgere l’attenzione
a quegli uomini che seppero unire intelligenza e cultura per scegliere e
raccogliere opere che sono capisaldi della nostra storia dell’arte. Discorsi (parola di per sé eloquente) qui raccolti ci fanno penetrare in
un mondo non solo di immagini ma anche di idee, un mondo conviviale,
dove la musica, l’arte, la letteratura (conosciamo i libri che componevano
la biblioteca del gentiluomo) erano i temi di una elitaria conversazione
rivolta a una cerchia irripetibile. Nella serie dei Discorsi pubblicati da Squarzina-Capoduro si legge l’itinerario interiore di
un uomo che comprese lo spirito del tempo e, con discrezione e rigore
assoluti, seppe influenzare la cultura artistica romana (e non solo) della
prima metà del Seicento. Sulla sinistra il brevissimo testo (biblioteca
Apostolica Vaticana 12670, f.268r) fa in qualche modo da preambolo a tutti i
discorsi del marchese Vincenzo che sembrano avere un destinatario unico anche se
alcuni sono indirizzati nel preambolo a persone diverse, probabilmente il nipote
Camillo Massimi con cui il marchese aveva un grande affetto e affinità sia
intellettuale sia per i gusti collezionistici.
Vincenzo Giustiniani Scritti editi e inediti (di Maria Giulia Aurigemma)
Il suo interesse per la medicina è testimoniato dal ritrovamento di un prezioso cofanetto di medicinali da viaggio appartenuto al marchese Vincenzo, che oltre a fornire un prezioso
contributo circa la sua preparazione medica, ci fornisce una testimonianza sulla
conoscenza dei rimedi medicinali dell'epoca (The Giustiniani medicine chest articolo
di J Burnet in inglese su Medical History 1982 July; 26(3): 325333).
Vincenzo è una figura emblematica della cultura umanistica quando questa è ormai al suo
tramonto. Roma visse una sorta di secondo Rinascimento nei primi venticinque, trenta anni
del Seicento e Vincenzo ne fu un altissimo esponente. Proseguiva la tradizione familiare
dedita alla vita politica ed economica. Ma chiarissima è la sua dedizione verso la
cultura, ben documentata dai Discorsi dedicati alla pittura, alla musica,
all'architettura, alla scultura, ma anche alla caccia e all'arte di viaggiare, agli usi e
costumi di Roma e Napoli e all'arte di servire in tavola. Di grande rilievo è il Discorso
sopra la pittura in cui Giustiniani dimostra una vastissima competenza. Se ne ricava
l'immagine di un Thomas Buddenbrook del Seicento, preoccupato di conservare la
strabiliante fortuna economica, ma in realtà tutto concentrato sulla piacevolezza del
vivere, sulle soddisfazioni dell'intelletto, e nutrito di un eletto dilettantismo.
Vincenzo non è un tecnico, ma colui che sa cogliere la quintessenza delle arti al di là
delle regole che le amministrano, di cui, peraltro, dubita acutamente. A proposito della
musica, scrive infatti che persino la consonanza, quale principio indimostrabile di
necessità del comporre, può essere messo in discussione, se la musica non consonante
risulti in definitiva bella.
E' convinto che il suo tempo sia quello delle novità. E l'arte è il campo sovrano dove
il concetto della novità deve essere cercato. Può sorgere l'ipotesi che trovare la
novità coincida con l'idea stessa della bellezza. Vincenzo non è però un teorico,
scrive per capire e far capire, come quando spiega le tante maniere con cui si può
dipingere. La sua prospettiva è piuttosto quella del gusto. Non predilige nulla in
assoluto anche se porta in palmo di mano un eroe dell'arte come Caravaggio.
Vincenzo è amico degli intellettuali e degli artisti. La ricostruzione della mirabile
Galleria di Palazzo Giustiniani, strapiena di statue e di dipinti, non è oggi facile,
come non è facile coglierne il senso che doveva esprimere. Anzi le fonti che conosciamo e
che sono state sviscerate da Danesi Squarzina, danno l'impressione di un accumulo enorme e
quasi disordinato. Quello che si capisce leggendo gli scritti del marchese, si riscontrava
forse anche nella Galleria dove si moltiplicavano tantissime cose e molto varie. Un
modello per gli altri che infatti lo imitarono e basterebbe il caso di Scipione Borghese.
Forse c'era una suprema sprezzatura, proprio nel senso rinascimentale del termine,
sovrastante alle scelte e ai comportamenti del marchese, che leggeva Galilei ma non era
certo uno scienziato. Teneva l'Amore Vincitore velato perché è talmente bello quel
quadro del Caravaggio che i visitatori del palazzo, da lui accolti ben volentieri, si
sarebbero fermati lì davanti e non avrebbero visto altro. Ma certo quando lo mostrava lo
stupore e l'ammirazione dovevano essere notevoli, perché il putto alato sembra venirci
addosso, ma ride e prende in giro tutto il mondo o, forse, esprime sensi così remoti e
ancestrali da intimorire. Le spiegazioni restavano incerte, difficili e arcane ma non per
questo meno divertenti. Ha fatto scuola a tutto il mondo ma non ha mai chiarito come
stessero davvero le cose.
Vincenzo Giustiniani dimostrò vaste competenze architettoniche, una puntigliosa
conoscenza della scultura - di materiali e tecniche -, nonché un raffinato gusto
nellideare giardini, fra calibrate geometrie del verde e suggestioni letterarie.
Laffascinante complessità di questo "incomparabile ingegno" traspare
appieno dagli acuti e brillanti "Discorsi" sullarchitettura, la pittura e
la scultura (ripubblicati nelle edizioni Città del Silenzio con una
prefazione di Lauro Magnani).
Discorso sulla pittura di Vincenzo Giustiniani
Durante i suoi studi, Vincenzo, per volere del padre, fu vicino ad Arcadelt e di Lasso,
allora massimi musicisti viventi. La frequentazione dei due compositori gli ha permesso di
conoscere i progressi in atto a Venezia, Ferrara e soprattutto Mantova, dove soprattutto
de Wert stava istituzionalizzando i modi del «componere a più voci». È dunque evidente
che Giustiniani ha conseguito, non solo una solida conoscenza delle tecniche della
composizione, ma che anche ha vissuto dallinterno la rivoluzione delle scuole
musicali regionali che alla fine del Cinquecento investe Roma, Venezia, Napoli. Grazie
alla preparazione conseguita, alle personali ed indubbie capacità musicali ed agli
interessi coltivati, Vincenzo sviluppò una viva passione per l'antico, che non si
riversò soltanto nel collezionismo, ma anche nella catalogazione e nello studio della
maniera; non solo, ma fu proprio la particolare strutturazione degli interessi e degli
studi che permise al marchese di considerare larte prodotta dalla sua epoca e dal
passato, non come opera a sé stante, indipendente da tutto e tutti, ma come finalizzata
ad un pubblico, con ciò considerando larte stessa come modello propositivo e non
come prodotto indiscutibile. Non deve stupire perciò se, ad una natura eclettica dei suoi
interessi (dimostrata dall'inventario della biblioteca, nel quale sono elencati volumi di
storia, filosofia, astrologia, medicina e divinazione), non corrispondano però volumi e
testi correlati agli interessi da lui coltivati. Ad esempio, non sono presenti nella
Libraria di Palazzo Giustiniani, testi di musica, disciplina che egli amava e che
proponeva anche ai propri ospiti, soprattutto in sostituzione dei soliti giochi e/o
intrattenimenti di corte.
Si veda sull'argomento lo stralcio del pregevole saggio: Preliminari all'edizione critica del
Discorso sopra la musica de' suoi tempi di Vincenzo Giustiniani (1628) a cura di
Gennaro Tallini. (vedi anche
RIVISTA DI
STUDI ITALIANI Anno XXVI n.1 giugno 2008)
A conferma della sua grande sensibilità artistica, allinizio del Seicento, con
estrema perizia ed ancora attualità si era autorevolmente espresso sul tema della pittura
dei fiori, in questo modo: Il saper ritrarre fiori ed altre cose minute, due cose
particolarmente si richiedono: la prima, che il pittore sappia di lunga mano maneggiare i
colori, e cheffetto fanno, per poter arrivare al disegno vario delle molte posizioni
de piccoli oggetti e alla varietà de lumi: e riesce cosa assai difficile
unire queste due circostanze e condizioni a chi non possiede bene questo modo di
dipingere, e sopra tutto vi si ricerca straordinaria pazienza: ed il Caravaggio disse che
tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure.
Così scriveva a Roma, all'inizio del Seicento, un grande collezionista ed esperto d'arte,
il marchese Vincenzo Giustiniani. L'autorevole richiamo alla secca e profonda sentenza di
Caravaggio segna, di fatto, l'investitura ufficiale, l'atto di battesimo della natura
morta.
Questo genere pittorico, inteso come soggetto autonomo e perfettamente autosufficiente,
non come "contorno" a una storia, stava muovendo i primi ma decisivi passi. Era
importantissimo rigettare fin dall'origine l'ipotesi che potesse trattarsi di un tipo di
pittura "minore", secondaria rispetto ai temi nobili e "alti" della
religione e del mito, della letteratura e della storia affrontati nelle accademie di Belle
Arti.
"Fare un quadro buono" (memorabile è il tono pratico, materiale, diretto
usato dallo stesso Caravaggio) è lo scopo di tutti i pittori, e il soggetto diventa
irrilevante. Fin dai primi decenni del Seicento, la natura morta sboccia con una forza
dirompente, diventando il più importante fenomeno nella cultura pittorica europea e del
mercato dell'arte internazionale tra la fine del Rinascimento e l'inizio dell'età
barocca.
Bastano pochi anni e le composizioni di fiori, di frutti, di armi, di libri, di strumenti
musicali, di curiosità esotiche e di ogni altro possibile tipo di oggetti inanimati
entrano trionfalmente nelle gallerie principesche e nelle raccolte più selezionate.
Un successo dilagante si diffonde nei Paesi cattolici come nell'Europa protestante e
calvinista, unisce le nazioni e gli artisti più diversi nella ricerca di raffinatezze
seducenti e di sottili simbologie, fino all'inganno ottico e all'allegoria esoterica.
Quel genere inaugurato da Caravaggio e dai maestri fiammingo-olandesi di fine Cinquecento,
inizialmente riservato a pochi raffinati cultori, in grado di spendere somme elevatissime
per assicurarsi i primi, rari esempi di natura morta, si espande fino alle case borghesi,
diventa il soggetto prediletto anche nelle dimore comuni: e ha mantenuto questo ruolo fino
ai nostri giorni, senza cedimenti.
D'altro canto, si deve ammettere che la preoccupazione del marchese Giustiniani era in
parte giustificata: soprattutto durante il XIX secolo, mentre si formavano i grandi musei
nazionali e prendeva corpo una manualistica di storia dell'arte, la natura morta (figlia
prediletta di un secolo poco amato, come il Seicento) viene emarginata. Di molti
specialisti si perdono le tracce, si dimentica la vita, si oscura l'identità. Centinaia
di tele, in alcuni casi ritenute oggi memorabili capolavori, finiscono nell'oblio dei
depositi.
Con fatica ma con crescente passione, i critici del Novecento hanno via via riscoperto i
maestri, i momenti culminanti, le opere-simbolo, i significati nascosti nella natura
morta. A poco a poco si è riannodato il filo di un discorso interrotto e frammentato:
negli ultimi dieci anni, una serie quasi ininterrotta di mostre, studi, pubblicazioni ha
riportato in auge il genere della natura morta, rilanciato ai vertici dell'attenzione del
pubblico, dei critici, del mercato.
Saper ritrarre fiori: sembra un modo di dire, ma invece è la chiave
dellintera frase. Il marchese Giustiniani usa per i fiori il verbo
ritrarre, come se si trattasse di persone: significa che i fiori non hanno
solo unapparenza fenomenica, ma anche, come tutti noi un anima,
uninteriorità segreta, che si manifesta in ciò che noi vediamo.
Il marchese Vincenzo Giustiniani è aggiornato sulle scoperte di Galilei: conosce il Dialogo sui massimi sistemi e, ancora dopo l’abiura, incoraggia Galileo a pubblicare le sue ricerche sul moto116. Inoltre, sviluppa un rapporto di guida metodologica al quale sono molto sensibili i giovani pittori stranieri, in Italia per viaggio d’istruzione. Nella cerchia del marchese si colloca Nicolas Poussin (Les Andelys, 1593/4-Roma, 1665). Grazie al potere acquisito da Benedetto Giustiniani all’interno della curia pontificia, dal papato di Sisto V in poi (1585-1590) Vincenzo, viene inserito in commissioni chiamate a giudicare importanti opere di Caravaggio. Per Caravaggio il rapporto con i due fratelli Giustiniani - Vincenzo e Benedetto è fondamentale, non solo per l’ampiezza del mecenatismo, ma anche per gli stimoli eruditi. Infatti, gli scritti di Vincenzo sono testi fondamentali per la produzione di pittura e scultura dei primi trenta anni del Seicento. Nella galleria di Palazzo Giustiniani la fruizione è basilare dato il ruolo di exemplum che essa riveste per il suo tempo. Nella cerchia del marchese vi è Cassiano dal Pozzo (1588 – 1657), collezionista, erudito, antiquario, formatosi alla corte di Toscana in un clima di continuo sperimentalismo scientifico, familiare all’uso degli strumenti scientifici e alla consultazione di atlanti ed erbari. Ha ideato il progetto del Museum Chartaceum, uno sterminato archivio di disegni che vogliono rappresentare in maniera esaustiva storia naturale e antichità. <
Dal sito dell’enciclopedia Treccani :
Dizionario biografico degli Italiani, è presente la biografia di
Vincenzo Giustiniani (Chio 13 sett. 1564 - Roma il 27 dic. 1637)
MUSICA E MECENATISMO A ROMA
NEL PRIMO SEICENTO. VINCENZO GIUSTINIANI E IL
“DISCORSO SOPRA LA MUSICA DE’ SUOI TEMPI” di Gennaro Tallini
Vite che non sono la tua: il marchese Vincenzo Giustiniani
Podcast audio de "Rai play sound" del 1 giugno 2019 (di Costantino D'Orazio)
Europa 1606
Diario di viaggio di Bernardo Bizoni a cura di Anna Banti, regia di Pietro Masserano Taricco
Podcast audio de "Rai play sound" del 25 ottobre 2018
(Nel cast Aroldo Tieri (07/08/1958)
Vincenzo Giustiniani manoscritti ed edizioni di Maria Giulia Aurigemma (in "Caravaggio e i Giustiniani Toccar con mano una collezione
del Seicento" a cura di Silvia Danesi Squarzina edizioni Electa 2001)
Recensione al volume Vincenzo Giustiniani Scritti editi e inediti in "Storia dell'arte" in tempo reale
Anticipazioni e ricerche in corso, affacci sull'attualità, scoperte, nuove letture, di Maria Giulia Aurigemma
Giustiniani, l’arte dell’occhio nelle stanze dei quadri antichi di Stefano Pierguidi (Il Manifesto 17 settembre 2023)
Marchese Vincenzo Giustiniani (13
September 1564 - 27 December 1637)
Vincenzo's father,
Giuseppe Giustiniani, had been the last Genoese ruler of the Aegean
Giustiniani followed his
father into the family business, while Benedetto entered the Church and became a cardinal
himself by 1587. Both brothers were keen supporters of art, and the collection they
established became one of the most important in its age. On Giustiniani's death -
Benedetto died in 1621 - it contained over 300 paintings (15 by Caravaggio) and more than
1200 pieces of sculpture, and the various catalogues constitute an invaluable resource for
early 17th century art. The collection itself was broken up at the beginning of the 19th
century, when the king of Prussia acquired over 160 paintings, the most important of which
were destined for museums in
Vincenzo Giustiniani der Jüngere (* 13. September 1564 in Chios,
27. Dezember 1637 in Rom), genannt Marchese Giustiniani, Neffe des gleichnamigen
Kardinals Vincenzo Giustiniani, war ein wichtiger römischer Gemäldesammler.
Im Jahre 1566, als Chios von genuesischem Besitz an das Osmanische
Reich überging, gelangte er mit seiner Familie nach Rom, wo er aufwuchs. 1606 ist seine
Anwesenheit in Faenza bezeugt, wo er im dortigen Dom ein Bild Dosso Dossi zugeordnet haben
soll. Im selben Jahr unternahm er eine fünfmonatige Reise, die ihn über Deutschland nach
England und auf dem Rückweg über Frankreich führte. Sein Reisebegleiter Bernardo Bizoni
führte darüber ein Tagebuch.
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