Bovino - Monumento sepolcrale di monsignor Angelo Giustiniani

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A Bovino (Foggia) nel cappellone di San Marco attiguo alla Cattedrale c'è un imponente monumento sepolcrale di monsignor Angelo Giustiniani che ha retto la diocesi di Bovino dal 1578 al 1600. Tale monumento,a cura di Maria Elena Giustiniani nipote del vescovo, è stato realizzato nel 1609 dallo scultore marmoraro fiorentino Jacopo Lazzari. Inoltre nel Museo Diocesano,sito nel Castello Ducale,sono esposti paramenti e oggetti liturgici risalenti alla sua reggenza episcopale,connotata da grandi opere di carità e liberalità.
Angelo Giustiniani, nominato vescovo della diocesi da Papa Gregorio XIII, durante il suo vescovado, avviò a Bovino un processo di riforma della diocesi e di applicazione dei decreti tridentini. A lui si devono le prime visite delle parrocchie e la celebrazione dei sinodi diocesani.
Il "Cappellone di San Marco di Eca", è una piccola chiesetta romanica accanto al portale, sul lato destro della bella cattedrale di Bovino, edificata nel 1100 su una precedente cappella paleocristiana. La chiesa ha subito numerosi interventi fino a essere completamente inglobata nella cattedrale e attualmente è San Marco di Eca, scolpito sul portale, ad accogliere i visitatori all’interno, composto da una sola navata. L’altare è sormontato da una pala con la Visione di San Marco, attribuibile alla scuola di Paolo De Matteis, raffigurante il santo, sopra una nuvola e vestito di abiti pontificali, con la visione della Santissima Trinità circondata da angeli, mentre in basso vi è una rappresentazione del borgo medievale di Bovino. Sotto l’altare settecentesco a marmi policromi sono custodite le spoglie del santo, mentre a sinistra si ritrovano le due nicchie con i busti di San Marco di Eca e di San Marco l’Africano. Nel Cappellone trovano riposo, in quattro monumenti sepolcrali, anche le salme di altrettanti vescovi di Bovino tra cui Angelo Giustiniani.

Il monumento funerario del vescovo Angelo Giustiniani di Bovino si inserisce nel percorso artistico di Jacopo Lazzari come un episodio particolarmente interessante. Nel primo pagamento per il sepolcro, datato al 20 novembre 1606, già emergono dati del tutto pregnanti: “A Francesco Cecchi ducati 50 et per lui a monsignor Antonio Giustiniano, et per esso a Francesco e Jacovo Lazzari a ciascun di essi ce li paga à buon conto di ducati ducentonovanta per prezzo delli marmi et mischi della sepoltura che li deve fare senza le figure, ma però deve darli li marmi per le dette figure, et conforme al disegno datoli da Dionisio di Bartolomeo architetto sottoscritto di propria mano delli detti Francesco et Jacovo".
Jacopo veniva pagato insieme a Francesco Lazzari, nome che emerge per la prima volta negli studi, per la fornitura e messa in opera dei marmi di una sepoltura progettata da Dionisio di Bartolomeo e commissionata da don Antonio Giustiniani. Ai due marmorai, come è chiaramente specificato, non spettavano anche le sculture del monumento, ossia il ritratto del vescovo Angelo Giustiniani e il rilevo della Madonna con Bambino, ma furono comunque essi stessi a fornire i materiali per la loro esecuzione che quindi, come assai spesso accadeva, veniva affidata ad uno scultore specializzato. Come è chiaro in questo documento non viene anche specificata la destinazione dell’opera, resa nota soltanto attraverso un altro pagamento del 3 dicembre 1607: “A don Antonio Giustiniano ducati 17, et per lui a Francesco et Giacomo Lazzari disse ce li paga con patto che l’habbiano da fare buoni alli conti delli marmi della sepoltura che gli hanno fatta per Bovino [...]”.
L’associazione con il bel monumento eretto alla memoria del vescovo Angelo Giustiniani all’interno della Cattedrale di Bovino è stata immediata. L’associazione con il bel monumento eretto alla memoria del vescovo Angelo Giustiniani all’interno della Cattedrale di Bovino è stata immediata. Questa chiesa vanta antichissime origini, come del resto la sua diocesi che, dipendendo direttamente da quella longobarda di Benevento, esisteva già prima dell’anno Mille. Nel XIII secolo, quando l’edificio fu trasformato in stile romanico, fu inglobata nella cattedrale l’adiacente chiesetta di San Marco d'Eca, protettore della città, sorta già nel V-VI secolo per ospitare le reliquie del santo, all’epoca traslate dalla vicina Troia. Il nostro sepolcro sorge proprio all’interno di quello spazio, poi conosciuto col nome di Cappellone di San Marco. Vescovo di Bovino dal 1578 al 1600, Angelo proveniva dalla nobile famiglia dei Giustiniani, signori dell’isola greca di Chio. La prima fonte letteraria ad informarci sul presule fu, nel 1615, Francesco Zazzera, il quale scriveva che “infiniti altri vescovi, e moderni, ed antichi, ha havuto la casa Giostiniana, e a tempi a noi più vicini [...] Angelo Giostiniani, vescovo di Bovino, huomo molto ricco”.
Domenico Pietro Paoli, autore nel 1631 del libro sulla vita di San Marco d’Eca, presentando in appendice notizie su alcuni vescovi di Bovino, fornisce le prime informazioni più dettagliate su Angelo Giustiniani. Secondo l’autore questi nacque a Chio e studiò diritto canonico a Genova, città in cui si trasferì in seguito alla presa dell’isola da parte dei turchi. Fu fatto vescovo di Bovino all’età di 27 anni, in anticipo di tre anni rispetto a quanto si richiedeva per l’ammissione a questa carica, grazie ad una dispensa di Gregorio XIII, emanata nell’anno stesso della sua salita al soglio pontificio, appunto il 1578. Tale privilegio si spiega anche in base al fatto che a Roma il Giustiniani si presentava benissimo: a caldeggiare l’incarico furono due illustri suoi parenti, i cardinali romani Vincenzo e Benedetto Giustiniani, zii di Angelo. In aggiunta a ciò, da Ferdinando Ughelli sappiamo che fu anche zio paterno di Giulio Giustiniani, vescovo di Ajaccio.
L’arrivo nella diocesi del nuovo presule, benché molto giovane e sprovvisto della necessaria esperienza, doveva essere funzionale, attraverso la creazione di un ponte Roma - Bovino – utile a garantire il controllo della Curia romana sulla diocesi –, ad instaurare il clima e le condizioni tali da permettere l’applicazione dei decreti tridentini.147 Il Gustiniani si distinse per il suo buon governo e per un’azione apostolica particolarmente attenta e persuasiva. Pietro Paoli riferiva ancora al riguardo: “Fè venire di Roma un ampissimo privilegio, il quale poche chiese credo che l’habbiano nel Regno di Napoli, che ogni giorno, e ogni volta che da chiunque sacerdote si celebra il santo sacrificio della messa nell’altare del Santissimo Sacramento del Duomo, si cava un’anima dal Purgatorio, ad intentione dell’offerente, come dal Breve appare, che sta intagliato in marmo nella suddetta cappella”.
Di questo privilegio si conserva tutt’oggi memoria in cattedrale attraverso un’epigrafe collocata sulla parete laterale dell’altare della cappella di San Marco. Angelo Giustiniani non mancò, infine, di arricchire la sua chiesa di tesori quali “panni d’altare, pianete, dalmatiche e piviali di prezzo, e baldacchini per l’altare maggiore, come dalle sue arme e imprese si vede”; tra le altre opere che gli vengono attribuite vi sono poi “le porte del duomo di Bovino, nelle quali oltre le sue arme vi sta scritto il suo nome, e di duo cardinali suoi zii, e l’anno [1588]”, e il restauro del “piè dell’organo”, che fece realizzare nel 1597 “alla moderna”.
Il Giustiniani morì improvvisamente a Diliceto il 19 agosto del 1600, durante una visita pastorale, dopo 22 anni e tre mesi di governo della sua chiesa. Il suo corpo fu quindi trasportato nella cattedrale di Bovino, dove poi fu fatto fare il monumento alla sua memoria. L’epigrafe posta in data 1609 sulla sua tomba chiarisce che fu Benedetto Giustiniani, nipote del vescovo, a dedicare il monumento all’illustre parente: Ad Angelo Giustiniani, vescovo di Bovino, molto riconoscente nelle cose più grandi, di medio valore e le più basse. Dopo aver tenuto il vescovato esattamente per ventitré anni in assoluta santità, ed essersi guadagnato la benevolenza della città di Bovino per tutti gli impegni di amore e liberalità, mutò la caducità della vita con l’eternità della virtù all’età di cinquant’anni. Il nipote Benedetto Giustiniani pose [questo monumento] all’ottimo zio.
E lui stesso, giovane davvero eccellente di ventidue anni, e nato [per conseguire] i traguardi più alti, morì nel fior fiore tanto del valore quanto dell’età, mentre allestiva questa memoria dedicata allo zio vescovo, dopo che proprio in questa sepoltura erano stati deposti il padre, alcuni antenati, la nonna e qualche altro parente. Maria Elena, figlia di Benedetto, portò a termine il monumento alla riconoscente memoria dei familiari tanto rimpianti nell’anno del Signore 1609.
I documenti che si sono offerti alla nostra indagine, del resto, chiariscono che tutte le operazioni finanziarie relative al sepolcro venivano chiaramente sbrigate da monsignor Antonio Giustiniano, del quale sappiamo che Benedetto era nipote, o da tale Francesco Cecchi per esso. Non è stato possibile rintracciare nella letteratura sulla famiglia Giustiniani notizie più specifiche né su Benedetto, né su monsignor Antonio. Dai documenti sappiamo che a Napoli, tra 1606 e 1608 entrambi erano titolari di più di un conto presso vari banchi. In particolare, notizie più consistenti sono emerse in riferimento a monsignor Antonio Giustiniani, per il quale non si esclude la possibilità che fosse fratello del nostro vescovo, essendo entrambi legati a Benedetto dallo stesso grado di parentela. Benedetto Giustiniani visse a Bovino, dove si era trasferito al seguito del vescovo suo zio insieme con altri membri della famiglia, indicati sepolti in cattedrale nell’iscrizione sull’epigrafe. Questo potrebbe spiegare il motivo per il quale egli non risulta mai direttamente implicato nei pagamenti per il sepolcro: possiamo credere, infatti, che si servisse della mediazione del suo “Illustrissimo et Reverendissimo” parente monsignore Antonio Giustiniani per pagare i lavori che si eseguivano a Napoli per il monumento destinato alla cattedrale di Bovino. Che Antonio Giustiniani vivesse nella capitale vicereale, o che avesse comunque più fitte relazioni con questa città, è dato certo: dal 1606 al 1608, quindi esattamente negli stessi anni in cui i Lazzari lavoravano alla tomba di Bovino, egli pagava una serie di maestranze per i lavori che faceva realizzare in una sua casa sita al Borgo dei Vergini. Ed è significativo che a dirigere quell’impresa, come rivelano diverse partite di banco, fosse proprio l’architetto che aveva progettato il sepolcro bovinese, e cioè Dionisio di Bartolomeo. Non è escluso, quindi, che fosse partito proprio dal monsignor Giustiniani l’incarico all’architetto fiorentino, già al suo servizio per i lavori nella sua casa, per il monumento che il nipote Benedetto doveva dedicare alla memoria dello zio vescovo. Ed è altrettanto probabile che i due Lazzari operassero accanto al di Bartolomeo già nel cantiere dei Vergini, come sembrerebbe provare un pagamento diretto a Francesco Lazzari in riferimento a questa impresa.
La casa del Borgo dei Vergini non è stata individuata; di essa sappiamo che si trovava vicino alla chiesa di San Severo, e che il suo giardino confinava con quello del palazzo Carmignano, non più esistente. Antonio Giustiniani negli stessi anni pensava anche di fornirla con dipinti, pagando un altro artista fiorentino, Giovanni Balducci, “per alcune pitture fatte in una cappella di sua casa” e per due “telari con quadri et colori”.
Tornando alla tomba di Bovino, come spesso accade per le opere confinate nella provincia del viceregno, è molto raro imbattersi in testimonianze scritte di un certo interesse storico-artistico. La prima descrizione si deve proprio al citato Pietro Paoli, il quale scriveva al riguardo: “fu poi subbito trasferito il suo corpo [di Angelo Giustiniani] nella cattedrale, ove sta sepolto in un bellissimo monumento di bianco marmo e porfido, e vi sta distesa sopra una sua statua al vivo con la pianeta e mitra similmente di marmo, con la mano destra alla guancia e con un guanciale sotto il gomito in forma d’un huomo che riposa, con l’iscrittione d’un epitafio il quale, per essere molto bello ed elegante, composto da un padre della Compagnia del Giesù nomato Berardino Stefonio, mi piace qui interiamente riferirlo [omissis]”.
Riconosciuta l’eleganza del monumento nella sua complessità, l’autore si sofferma principalmente sulla tipologia di ritratto, descrivendo nei particolari l’effige del vescovo. Di certo, sin da quando fu posto in cattedrale nel 1609 il monumento fu riconosciuto come particolarmente innovativo. Non risulta, infatti, che in città fossero stati eretti prima di allora sepolcri di questo tipo, e a darcene conferma è, a metà Ottocento, l’abate Vincenzo d’Avino, che nel suo studio sulle chiese vescovili del Regno delle Due Sicilie, in riferimento al “magnifico” mausoleo di Angelo Giustiniani, asseriva che fosse uno dei primi mai realizzati nella diocesi.
Possiamo in tal modo pensare che al vescovo che diede nuova vita alla circoscrizione vescovile di Bovino, garantendo su di essa il controllo da parte della curia pontificia, fu posto un monumento che dialogasse con l’arte dei principali centri religiosi e culturali dell’epoca, quali Roma, Firenze e Napoli in primis. Venendo alla tipologia del sepolcro, essa viene riconosciuta come “sansoviniana” nelle guide più moderne. Il ‘tipo’ di figura reclinata appoggiata al proprio gomito può essere rintracciato in Italia a partire dai monumenti funebri dei cardinali Girolamo Basso della Rovere e Ascanio Sforza, realizzati da Andrea Sansovino in Santa Maria del Popolo a Roma, tra 1505 e 1507. La tipologia trova quindi la sua giusta collocazione cronologia nel XVI secolo, e cioè in un momento in cui veniva riscoperto l’interesse per i sarcofagi antichi di ispirazione ellenistica, in cui si registra una analoga posizione del defunto. L’effigiato veniva inserito all’interno di un’architettura ad arco trionfale o, come nei casi successivi all’opera di Sansovino, a forma di edicola, disteso su una tomba e sovrastato per lo più dall’immagine di una Madonna con Bambino. A Roma abbiamo diversi esempi di monumento su questa scia, dal Sepolcro del Vescovo Elvino di Guglielmo della Porta in Santa Maria del Popolo, a quello del Cardinale Ciocchi del Monte di Bartolomeo Ammannati in San Pietro in Montorio. Anche Giovan Antonio Dosio negli anni ’60 del Cinquecento, e quindi agli inizi della sua esperienza romana, si cimentava in questa tipologia di 44 monumento funerario con il Sepolcro di Bartolomeo Farratini nel Duomo di Amelia. E con Dosio l’autore del progetto dell’opera di Bovino, appunto Dionisio di Bartolomeo, condivise non poco: a partire dall’ultimo decennio del Cinquecento i due architetti si confrontarono all’interno del cantiere dei Girolamini, il primo come autore del progetto della chiesa, il secondo come supervisore dei lavori.
L’impostazione architettonica del sepolcro del Giustiniani si può infatti confrontare, a mio avviso, con prototipi dosiani, e specificamente con due delle sue più celebri opere fiorentine: la Cappella Gaddi in Santa Maria Novella (1575-1577) e la Cappella Niccolini in Santa Croce. Per quel che riguarda Napoli, questa tipologia di monumento funerario trovò una gran fortuna tra Cinque e Seicento, ma venendo a tempi più vicini alla realizzazione dell’opera bovinese, citeremo qualche esempio più specifico. Tra 1602 e 1603 lo scultore fiorentino Michelangelo Naccherino realizzava il Monumento funebre del Vescovo Alfonso Gesualdo in Duomo, al quale il sepolcro Giustiniani è vicino per tipologia e per concezione architettonica, molto sobria ed elegante anche per l’uso di poche qualità di marmo, quali il bardiglio, il broccatello, il verde di Calabria e il giallo di Siena. Il prototipo naccheriniano della tomba Gesualdo avrebbe ispirato tutta una serie di opere realizzate a Napoli in quello stesso periodo: da avvicinare ad esso è anche il Monumento funebre del Vescovo Giulio Cesare Riccardo nella chiesa dello Spirito Santo, opera di Girolamo d’Auria e Costantino Marasi realizzata tra 1604 e 1607, quindi proprio negli stessi anni in cui i Lazzari lavoravano al mausoleo Giustiniani. Il Vescovo Riccardo è comunque un prodotto diverso dal Vescovo Giustiniani perché nell’opera napoletana il linguaggio decorativo prende il sopravvento su quello architettonico, e il disegno geometrico dei marmi colorati diventa protagonista assoluto dell’opera. (tratto da Tesi di dottorato JACOPO LAZZARI E L’ARTE DEL COMMESSO MARMOREO A NAPOLI. 1600-1640 di Sabrina Iorio Università degli Studi Federico II Napoli, Dottorato di ricerca in Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche Indirizzo: Discipline storico-artistiche)

Un approfondimento nel libro La visita pastorale del 1579 del vescovo Angelo Giustiniani a Sant’Agata di Puglia a cura di Luciana Del Vecchio e Dora Donofrio (edito nel 2017 a cura di Cladio Grenzi Editore), tratta della visita pastorale del 1579 a Sant’Agata di Puglia del vescovo Angelo Giustiniani va vista nella temperie storica, politica, religiosa che caratterizzò la stagione pre e postconciliare nel Regno di Napoli ove frenarono lo slancio riformatore non pochi ostacoli tra cui il giurisdizionalismo spagnolo, la resistenza della chiesa ricettizia e delle strutture feudali. A livello locale essa va inquadrata nella storia della diocesi di Bovino, in Capitanata, di cui Sant’Agata fa parte, che veniva fuori da un periodo travagliato dall’eresia protestante, dal succedersi di vescovi poco presenti e spesso in conflitto con la Curia romana. La nomina a vescovo della diocesi, nel 1578, da parte di Gregorio XIII di Angelo Giustiniani, della nobile famiglia Giustinani di Genova, sostenuto dagli zii cardinali Lorenzo e Benedetto, ristabilisce equilibrio fra i poteri e determina una svolta nella Chiesa di Bovino, messa sulla strada delle riforme proposte dal Concilio di Trento. Un anno dopo la sua nomina il prelato effettua la visita pastorale: a Sant’Agata di Puglia da giovedì 15 a lunedì 18 maggio 1579. In cinque giorni, esclusa domenica 17, visita tre chiese parrocchiali, 13 chiese non parrocchiali ed extra moenia, di cui una dei frati minori francescani (l’Annunziata), una dei benedettini di Montevergine (S. Maria della Grazia), due chiese abbaziali (S. Giovanni Battista S. Antonio dei Pontoni), due ospedali. Esattamente un anno dopo, nel 1580, effettua la “tornata di visita” per verificare quanto e come quello da lui consigliato ed ordinato al clero sia stato eseguito. La santa visita costituisce una documentazione nuova e del tutto inedita su Sant’Agata di Puglia ed è una fonte storica di grande importanza perché fornisce una sorprendente ricchezza di informazioni sull’organizzazione parrocchiale, sui benefici ecclesiastici, sulla consistenza dotale e patrimoniale dell’asse ecclesiastico, sul clero ricettizio, sulla sua formazione religiosa e culturale, sulla partecipazione e sulla presenza dei laici nella vita religiosa, sulla rete associativa ed assistenziale. Dettagliate e preziose sono le notizie sulle chiese parrocchiali, su chiese e cappelle urbane e rurali, sulla loro architettura, sugli arredi e sulle suppellettili, sulle devozioni, sulle reliquie, sugli altari, sui committenti e sulle opere d’arte che, ove conservate, costituiscono oggi un patrimonio artistico di incalcolabile valore, non ancora del tutto conosciuto e classificato proprio per mancanza di documentazione. Ma oltre a ciò, gli atti visitali ci consentono di delineare la conformazione del paese nel secolo XVI, il paesaggio agrario, di conoscere la struttura sociale, le occupazioni prevalenti, le condizioni di vita della comunità. È la Sant’Agata di Puglia dei marchesi Loffredo, ereditata dai duchi Orsini di Gravina in Puglia nel 1576. Il lavoro si articola in due parti: la prima, introdotta dalle informazioni sul manoscritto e sui criteri di trascrizione, riporta note storiche su Sant’Agata di Puglia e la sua secolare storia di fede, sulla Diocesi di Bovino, sulla visita pastorale dopo il Concilio di Trento, sul vescovo Angelo Giustiniani (capitoli I-IV). Il Capitolo V è interamente dedicato alla santa visita, cui seguono gli ordini del vescovo, la “tornata” di visita del 1580, la visita personale al clero (capitoli VI-VIII). Il Capitolo IX riporta le conclusioni delle autrici. Ampie note esplicative di carattere storico forniscono informazioni dettagliate sui luoghi di culto di cui parla la santa visita e un ricco ed interessantissimo apparato iconografico, costituito anche da immagini d’epoca, completa la documentazione La seconda parte è costituita dalla trascrizione dei documenti. Gli atti della santa visita consentono di leggere un capitolo importante per la storia religiosa e sociale della diocesi bovinese e di Sant’Agata di Puglia, storia per molti aspetti non dissimile da quella di altre diocesi ed altre comunità del Mezzogiorno.

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Nella scritta: D.O.M. ANGELO JUSTINIANO EPISCOPO BOVINENSI/ SUMMIS, MEDIIS INFIMIS ACQUE GRATISSIMO, POST/ QUAM EPISCOPATUM VIGINTI TRES IPSOS AN: NOS SANCTISSIM E ADMINISTRASSET, SIBIQUE CIVI/ TATEM BOVINENSEM OMNIBUS AMORIS ET LI/ BE RALITATIS OFFIVIIS DEMERISSET, VITAE MORTA: LITATEM VIRTUTIS IMMORTALITAT E MUTAVIT, ANNUS NATUS QUINQUAGINTA. BENEDICTUS JUSTINIANUS NEPOS OPTIMO PATRUO POSUIT ED IPSE/ JUVENIS DUORUM ET VIGINTI ANNORUM LECTISSIMUS ET A D OMNIA SUMMA NATUS IN IPSO FLO/ RE TAM VIRTUTIS QUAM ACTATIS EXTINGUITUR / IBI POST PATREM, ALTERUMQUE PATRUM, AVIAMQUE, NONNULLOSQIE ALIOS PROPRI NQUOS/ HOC IPSO IN TUMULO COMPOSITOS, HANC EPISCO/ PO PATRUO MEMORIAM EXA RAVIT, MARIA ELENA BENEDICTI FILIA GENTILIBUS OPTIMIS GRA/ TAE MEMORIAE M ONUMENTUM ABSOLVIT.



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