Mi sono deciso a buttare giù questa breve nota per la simpatica insistenza dallamico Enrico Giustiniani, verso il quale sono debitore di molte informazioni sul protagonista della nostra vicenda e che mi ha convinto a superare alcune mie riserve dovute alla temporanea incompletezza dei dati documentali in mio possesso, spingendomi a dare una notizia almeno preliminare su un argomento che siamo certi possa riscuotere linteresse dei Bassanesi. Nelle collezioni del Museo Nazionale dArtiglieria di Torino, sono conservate quattro bocche da fuoco genovesi prodotte nella prima metà del Settecento, che erano temporaneamente ritornate alla loro città di origine in occasione della mostra El Siglo de los Genoveses, tenutasi nel palazzo ducale di Genova tra il dicembre 1999 e il luglio 2000; uno di questi cannoni in bronzo di pregevole fattura, è caratterizzato dalla presenza, in luogo del tipico e semplice bottone di culatta sferico, del busto di un personaggio in età avanzata, che ci colpisce per la dignità del tratto e leleganza del pur sobrio abbigliamento. Avremmo tuttavia non poche difficoltà ad identificarlo se non ci venisse in soccorso liscrizione incisa nel bronzo, che recita VINCENTIUS IUSTINIANI MARCHIO BASSANI: dobbiamo a questo punto ritenere di trovarci di fronte al primo dei Marchesi Giustiniani di Bassano, cioè quel Vincenzo, vissuto tra il 1564 e il 1637, grande collezionista darte e mecenate. Si giunge a questa considerazione sia guardando allacconciatura e alla foggia degli abiti, sia tenendo conto che il Feudo venne elevato a Principato solo alcuni anni dopo la sua morte, cioè nel 1644, e pertanto un suo omonimo successore avrebbe dovuto in questo caso essere nominato con il nuovo titolo. Questultima eventualità poteva tuttavia esserci suggerita dallanno di fusione del pezzo, il 1747, indicato di seguito alliscrizione del fonditore, visibile sullanello di culatta: ALOYSIVS ROCCA FECIT MDCCXLVII. Il problema rappresentato da un pezzo dartiglieria appartenente di certo alle dotazioni dello Stato genovese, come ci testimonia lo stemma della Repubblica presente sulla volata, prodotto oltre un secolo dopo la morte di chi ragionevolmente ne dovrebbe impersonare il donatore ufficiale, veniva indubbiamente a costituire uno stimolante motivo di indagine. Che larma fosse frutto del gesto di munificenza da parte di un Giustiniani di Bassano verso la città dorigine del casato, oltre che nelliscrizione trova conferma nella compresenza su di essa dello stemma nobiliare della famiglia e questa donazione, inserendosi in un particolare momento storico per la città stessa, viene a rivestire la valenza di un vero e proprio atto di soccorso. In quellanno, il 1747 appunto, Genova si trovava a dover sostenere una grave minaccia: la Repubblica era stata infatti coinvolta suo malgrado nella Guerra di Successione Austriaca (1740-1748), a causa della promessa fatta dallImperatrice Maria Teresa di trasferire linvestitura del Marchesato del Finale (Finale Ligure - SV), acquistato a caro prezzo dai genovesi soltanto pochi decenni prima, al Re di Sardegna, Carlo Emanuele III, in cambio della sua alleanza contro i regni borbonici di Francia e Spagna. Dopo i successi iniziali della campagna condotta nella Padana occidentale dagli eserciti di questi stati, supportati da un contingente fornito dalla Repubblica, questultima era rimasta a fronteggiare praticamente da sola loffensiva austro-sabauda dellestate 1746 ed aveva dovuto capitolare a discrezione, conoscendo lonta delloccupazione da parte delle truppe imperiali oltre a pesantissime contribuzioni riparatorie. Cacciati gli invasori con la famosa insurrezione del 5 Dicembre, detta poi del Balilla, nella primavera dellanno successivo la città appariva stretta dallassedio terrestre degli eserciti piemontesi e austriaci e dal blocco marittimo operato dalla flotta britannica. Soltanto grazie ad una straordinaria coesione interna che vide tutte le categorie cittadine partecipare attivamente alla difesa - si pensi che anche una compagnia composta da sacerdoti e religiosi era coinvolta nel presidio armato delle mura -, unita a consistenti aiuti in truppe, armi e finanziamenti, forniti stavolta dagli alleati franco-ispanici, i genovesi furono in grado di resitere agli attacchi fino a che unoffensiva francese sulle Alpi occidentali, contrastata dai Sabaudi nella famosa Battaglia dellAssietta, spinse questi ultimi a togliere lassedio, subito imitati anche dagli Austriaci. Considerando questi dati, avevo inizialmente ritenuto che il finanziamento per la produzione del cannone fosse stato deciso da un Giustiniani di Bassano contemporaneo a quegli accadimenti, nella fattispecie Giovanbattista Vincenzo II, che avrebbe onorato la memoria del capostipite del ramo bassanese facendone riprodurre limmagine e il titolo sul pezzo stesso; tuttavia, leggendo la versione a stampa del testamento di Vincenzo I su una copia conservata nellArchivio di Stato di Genova, ho maturato una diversa ipotesi. In questo atto, reso pubblico dal notaio romano Demofonte Ferrino il 28 dicembre 1637, cioè il giorno successivo alla morte del Marchese, questultimo, tra gli altri legati, lasciava incarico ai responsabili della famiglia Giustiniani in Genova di ricevere e gestire un fondo fruttifero che, una volta giunto a maturare complessivamente 100.000 scudi tra capitale e interessi, doveva essere per circa la metà tenuto a disposizione e impiegato per opere di bene; un terzo di questultima somma, cioè 16.600 scudi, poteva essere impiegata in aiuto dello Stato genovese in quelle occasioni, le quali alla detta Congregatione e Governatori della Famiglia Giustiniana pareranno più necessarie et favorevoli alla detta Serenissima Republica. E pertanto molto probabile, che vista la situazione di pericolo in cui si trovava appunto la Repubblica nei primi mesi del 1747, si sia deciso di impiegare questa frazione del lascito per rinforzarne le capacità militari, finanziando la costruzione di un certo numero di pezzi dartiglieria, dei quali il nostro e quasi sicuramente un altro, foggiato nello stesso anno sempre da Luigi Rocca con limmagine di Santa Caterina da Genova e presente anchesso nel Museo di Torino, dovrebbero aver fatto parte.
Per confermare oggettivamente questa supposizione, sono al momento impegnato nella ricerca
darchivio dei relativi documenti di ordine per la fornitura e di quelli di
pagamento: spero quindi di riuscire nellimpresa al fine di pubblicare presto notizie
più dettagliate su questinteressante vicenda. Prima di concludere vorrei fornire
solo alcuni cenni sul fonditore di questi cannoni. Luigi Rocca è lultimo
rappresentante di una famiglia di tecnici-imprenditori attiva nella produzione di bocche
da fuoco in bronzo e di campane, a partire dalla seconda metà del Seicento: suo nonno
Giuseppe (c.a 1645 - 1702), figlio di un povero pescatore trasferitosi a Genova dalla
vicina Riviera di Levante (forse da Chiavari), aveva compiuto il suo apprendistato nella
fonderia di Domenico Ramone, e quando questultimo era stato assunto come fonditore
camerale della Repubblica nel 1665, lo aveva seguito in qualità di paghetta,
cioè come aiutante stipendiato. Essendo in seguito aumentato il carico di lavoro, anche
il fratello Giacomo I (1648 - 1730) era entrato in organico, divenendo ben presto molto
abile professionalmente e riuscendo addirittura a mettere in secondo piano lo stesso
Giuseppe, grazie soprattutto alla sua spregiudicatezza; sta di fatto che quando il Ramone,
anziano e malato, si ritira dallattività, è proprio Giacomo a prendere le redini
della fonderia e a dare il via al successo della famiglia. Il momento è infatti
particolarmente favorevole dal punto di vista produttivo, poiché coincide con
lepoca del disastroso bombardamento navale francese su Genova del maggio 1684: gli
anni immediatamente precedenti e ancor più quelli successivi vedono continue commesse di
nuove bocche da fuoco ai fonditori, che oltre allo stipendio mensile percepivano anche una
provvigione commisurata al peso del bronzo gettato. Dallofficina dei Rocca escono
allora i nuovi modelli di artiglierie, ispirati a quelli del potente ed ostile vicino
doltralpe e destinati ad adeguare le capacità difensive della Repubblica: si
producono grosse Colubrine pesanti fino a 5 tonnellate, Mezzi Cannoni rinforzati e
colubrinati da 27 libbre di palla, Cannoni da 36 libbre come il nostro e Mortai da Bombe
da 200, 300 e 500 libbre. Anche la richiesta di campane subisce un incremento: molte
parrocchie e conventi della città e delle Riviere rinnovano i loro concerti e la stessa
cattedrale genovese di S. Lorenzo sostituisce le quattro più grandi del suo campanile.
Alla morte di Giuseppe gli subentra il figlio Giacomo II (1680 - 1738), nonché padre del
nostro Luigi, ma il suo omonimo zio, superattivo e autoritario, gli dovette lasciare ben
poco spazio per emergere autonomamente; si pensi infatti che nel 1727, alletà di 79
anni, egli si rendeva disponibile di persona per una trasferta a Modena, dove avrebbe
dovuto produrre artiglierie per il Duca Rinaldo DEste, anziché delegare il compito
al nipote ormai quasi cinquantenne. Su Luigi Rocca, che dovrebbe aver preso la conduzione
della fonderia pubblica alla scomparsa del padre, la mia ricerca è solo agli inizi e
procede parallela con la ricostruzione della storia dei suoi cannoni recanti leffige
di Santa Caterina e di Vincenzo I Giustiniani.
Scheda tecnica del Cannone Giustiniani |
|
Località di conservazione |
Torino - Museo Nazionale dArtiglieria
(Inventario 139 P127)
|
Calibro |
mm 155 |
Portata di palla |
|
Lunghezza totale |
cm 363 |
Lunghezza convenzionale
|
cm 326 (21 calibri) |
Peso |
69 Cantari genovesi (Kg 3289) |
Si tratta di un Cannone
moderno rinforzato da |
|
Bibiografia: C. MONTU, Storia
dellArtiglieria Italiana, Roma, 1934, pp. 1094-1095. |
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