I GIUSTINIANI DI CAPRARICA (LECCE)


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Comune di Caprarica (Lecce), a destra il castello baronale Giustiniani

Anche a Lecce, e nella sua contea, questo casato ha lasciato la sua impronta di dinamici affaristi, commercianti e baroni. Secondo il FOSCARINI (Op. cit.) questa nobile famiglia, originaria di Genova, è importata in Lecce, nella prima metà del secolo XVII, da Stefano Vincenzo GIUSTINIANI il quale soggiorna, dapprima, qualche tempo, in Lequile, ove rimane un suo discendente, il cui ramo si estingue, nel 1725, con Matteo, il quale ha in moglie Giovanna CAPOCCIA di Lequile. Questo ramo leccese era imparentato coi baroni locali GIORGIO, TAFURO, BRUNETTO, CASTRIOTA, TRANI, SARACENO, BOZZICOLONNA, CHINCHIGLIA, VENTIMIGLIA, TRESCA e con altri. Si estingue con Francesco verso la fine del secolo XVIII. La famiglia è iscritta nel Libro d’Oro della Nobiltà italiana e nell’Elenco Ufficiale dei Nobili italiani coi titoli di marchese, conte, patrizio genovese.

Già dal tempo di Gualtiero VI di BRIENNE (XIV sec.) e della regina Maria D'ENGHIEN (XIV-XV sec.), molti ricchi mercanti italiani, provenienti, soprattutto, dalle potenti repubbliche marinare, pervengono nella contea di Lecce perchè ritenuto un feudo molto ricco sia dal punto di vista agricolo che commerciale. Questa sua ricchezza è tanto vera che l'imperatore Carlo V, con privilegio del 1539, dichiara Lecce "Caput Apuliae", dandole giurisdizione anche sull'intera provincia di Bari e su parte della Basilicata, giurisdizione ristretta, poi, alla sola Terra d'Otranto. In quest'ottica, molto probabilmente, vedono la contea di Lecce i ricchi mercanti genovesi ADORNO, i quali nel XVI sec. qui si stanziano divenendo baroni di Lecce, Caprarica ed altri feudi.

Il casale di Caprarica sotto i baroni GIUSTINIANI.

Quando i componenti del casato dei GIUSTINIANI, ramo di Lecce, s’insediano nella contea, tramite il loro capostipite Stefano Vincenzo, oltre ad alcuni possedimenti in Lecce e nel casale di Lequile (dove dimora a partire dal 1641, a quanto afferma il FOSCARINI in “Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di terra d’Otranto estinte e vivente”, Vol. I, Tavv. II e III), acquistano - com’è stato già detto - anche il casale di Caprarica di Lecce; l'acquisto avviene nel 1675, con istrumento redatto in Napoli dal dott. Francesco Maria GIUSTINIANI il quale prende possesso del casale con istrumento del 12 novembre dello stesso anno per notar Vincenzo STAIBANO di Lecce. Sul casale di Caprarica ai GIUSTINIANI viene concesso, con diploma 8 maggio 1682, il titolo di marchese. L’evoluzione storica del casato dei GIUSTINIANI sul feudo e la Terra di Caprarica avviene in questo modo: il primo marchese è Francesco che nasce, da Giovan Andrea Fabiano e Lucrezia TAFURO (baroni di Lequile), il 07/10/1643; egli sposa Margherita TRANE, dei duchi di Corigliano, da cui nascono: Fabiano, Ambrogio, Stefano, che è padre gesuita, Benedetto che è chierico. Il MONTEFUSCO (Op. cit., pp.19-20) afferma che i laghi Alimini sono di proprietà del marchese di Caprarica Francesco GIUSTINIANI e che alla sua morte, avvenuta il 13/07/1669, passano ad un tal figlio Orazio che a noi, in verità, non risulta. Alla morte di Francesco, succede il figlio primogenito Fabiano che diviene, perciò, il secondo marchese di Caprarica; egli sposa Fortunata CHINCHIGLIA-VENTIMIGLIA, da cui, però, non ha figli, per cui alla sua morte succede il fratello Ambrogio. Si deve dire, in verità, che dal marchese Fabiano GIUSTINIANI e dalla sua consorte nasce il figlio Francesco ma, essendo affetto da morbo incurabile, per quel periodo, se ne muore alcuni giorni dopo la nascita. Questo è il documento reperito presso l’A.P.C.: “Il giorno sette del mese di giugno dell’anno 1738 è nato, alle ore 10 del predetto giorno, Carmelo, Maria, Francesco, Ignazio, Lorenzo, Pietro, Gaetano, Antonio, Pasquale, Salvatore figlio dell’eccellentissimo signor Don Fabiano GIUSTINIANI e dell’eccellentissima Donna…. Fortunata Chinchiglia VENTIMIGLIA, coniugi, dei marchesi della Terra di Caprarica; io sottoscritto arciprete, costatato l’imminente pericolo di vita (del bambino) è stato da me battezzato in casa (castello baronale) e, a lui, ho amministrato anche i Sacramenti degli Infermi. I padrini sono: il signor duca di Corigliano Francesco TRANE e la sua consorte. In fede, don Leonardo VIZZI, arciprete”. A Fabiano GIUSTINIANI, dunque, succede, come terzo marchese, il fratello Ambrogio, nato nel 1695; egli sposa, nel 1732, Irene di Isidoro BOZZICOLONNA, da cui nascono: Anna Maria, nata il 22/08/1743 e morta il 29/11/1743, e Francesco, nato il 07/08/1736 che succede, alla sua morte, nel 1783. Francesco è il quarto ed ultimo marchese della Terra di Caprarica; sposa, il 12/04/1762, Francesca TRESCA, da cui, però, non ha figli; dispone, perciò, che alla sua morte succeda, nel titolo e nella parte dei suoi beni, il nipote della moglie, Francesco TRESCA; mentre l’ultimo GIUSTINIANI, nel 1759, vende il feudo nella sola parte allodiale (senza titolo) a Giovan Battista ROSSI, i cui eredi si fregiano del titolo di baroni di Caprarica.

Castello baronale di Caprarica.

La prima struttura fortificata di Caprarica, molto probabilmente, risale al XII sec., quando i Normanni, conti di Lecce, e, soprattutto, Tancredi d’Altavilla, incentivano ed incoraggiano al massimo lo sviluppo dell’edilizia a scopo difensivo e religioso. La Torre fortificata, sita nel giardino del castello e che confina con la retrostante (attuale) via Martano, è sicuramente la prima struttura costruita a scopo di avvistamento e di difesa in Caprarica; d’altra parte, anche in Lecce i Normanni hanno costruito un’imponente Torre difensiva poi inglobata, verso la metà del ‘500, dall’architetto imperiale, Gian Giacomo DELL’ACAYA, all’interno dell’intera struttura rinascimentale del castello, oggi detto, di Carlo V; così come anche nella città ideale del Rinascimento, Acaya, costruita dallo stesso architetto imperiale, una precedente Torre difensiva, angioina, costruita dal suo antenato Gervasio DELL’ACAYA, è stata inglobata nella struttura del castello. Tale torre fortificata, in Caprarica, è stata ristrutturata e potenziata dai baroni GUARINI, all’indomani dell’invasione turca del 1480, per poter meglio rispondere alle eventuali, nuove incursioni levantine. Il Castello. Considerando che dal XV sec. in poi, le invasioni e le scorrerie di pirati levantini diventano una spina nel fianco per le derelitte popolazioni del Salento, molto probabilmente, il barone di Caprarica Antonello GUARINI, per meglio difendere il suo casale ed i suoi possedimenti, decide di costruire, nei pressi della torre fortificata, un imponente castello. Ai GUARINI, infatti, si può imputare la prima costruzione del maniero locale, almeno, a giudicare dallo stemma impresso sia sulla torretta di avvistamento posta a destra del castello che, un secondo, posto al centro della gran torre fortificata ubicata nel giardino del medesimo maniero.
Allo stato, non si hanno documenti circa l’autore del progetto di questo castello, ma non è improbabile ipotizzare che l'architetto sia stato lo stesso Gian Giacomo DELL’ACAYA, considerando che tra i due casati vi era anche una certa parentela, in quanto uno zio di Antonello, Giovanni Maria GUARINI (figlio del nonno, omonimo, Antonello maior), barone di Acquarica di Lecce, aveva sposato la sorella di Gian Giacomo, Aurelia DELL’ACAYA. L’intervento di Gian Giacomo DELL’ACAYA sembra ancora più verosimile se si va a considerare la struttura architettonica del castello, che coagula in sé tutta l’arte dell’architetto. Il castello presenta le seguenti caratteristiche: il portale d’ingresso ha un bel bugnato liscio; l’interno del portale d’accesso, detto in vernacolo “simporto”, presenta una bella volta a schifo affine a quella dell’Ospedale dello Spirito Santo di Lecce; due angeli posti sull’architrave esterna del portale d’ingresso, che l’architetto pone come numi tutelari su ogni struttura che egli compie, sono gli archetipi (o se si vuole la firma) che quelle strutture sono proprio sue.
D’altra parte, nelle immediate vicinanze del castello vi è una casa, attualmente ristrutturata con l’architettura contemporanea, di proprietà del dr. TURCO, dove appare lo stemma dei CASTRIOTA-SCANDEMBERG ed alcuni capitelli voltati, miracolosamente scampati allo scempio dei secoli, che raffigurano le foglie d’acqua, altro elemento caratteristico dell’arte dell’architetto di Carlo V. Questa struttura abitativa, molto probabilmente, in origine, può essere stata collegata col castello e può aver avuto una funzione di servizio come stalla, deposito o altro; appartenuta, successivamente, ai detti CASTRIOTA-SCANDEMBERG, è stata certamente ristrutturata. Sulla base di questa asserzione, si nota una vicinanza d’intenti e di eventi sia baronali che architettonici che accomunano il castello di Caprarica con il Palazzo Adorni di Lecce. Questa eguaglianza architettonica rafforza l’ipotesi, secondo cui, anche sul castello di Caprarica di Lecce - di proprietà dei GUARINI, prima, e degli ADORNO, poi - sia intervenuto, il grande architetto imperiale, Gian Giacomo DELL’ACAYA; infatti, il bugnato liscio che arreda il portale d’ingresso del castello di Caprarica e di palazzo Adorni, è come una firma, che fa pensare all’intervento del DELL’ACAYA. Nei secoli successivi, i baroni che si sono succeduti sono intervenuti a consolidare e ristrutturare più volte il castello, con l’arte ed il gusto del momento. E’ stato, molto probabilmente, nel XVII sec. che i GIUSTINIANI, baroni locali, ristrutturando il castello alla maniera di costruzione, allo stesso tempo, militare e gentilizia, lo decorano con bellissime balconate rococò, con due torri laterali, con feritoie, e lo rendono conforme ad un fortino vero e proprio. Si ritiene che il castello, nel periodo di massimo splendore, abbia avuto 99 ambienti; vi era il famoso salone detto “degli Specchi” arredato con mobili sei-settecenteschi ed annessa quadreria; vi era una stanza destinata agli indesiderati i quali venivano fatti cadere, attraverso una botola o trabocchetto (“trabuccu”), in un pozzo dove erano presenti delle lance acuminate, infisse ben salde nel terreno e rivolte, con la punta, verso la parte alta, dove venivano infilzati i malcapitati destinati a morte sicura. Per sfuggire ad eventuali assalitori, il castello è dotato financo di un passaggio sotterraneo dal quale, dopo un lungo percorso, si esce nella campagna.

Il casato della famiglia GIUSTINIANI.

L’origine di questa famiglia, a quanto afferma lo SPRETI (Op. cit., vol. III, pp.495-498), non si basa su vincoli di sangue ma su rapporti commerciali, esistenti tra varie famiglie genovesi, armatrici delle navi che Simone VIGNOSO conduce contro i greci per la riconquista di Scio e di Focea. La Repubblica di Genova, non potendo soddisfare i soci (Mahonenses) delle spese sostenute, stabilisce un compromesso il 26/02/1347, per il quale il “dominio utile” delle dette località (con diritto di batter monete) passa temporaneamente alla “Maonata”, pur rimanendo l’ “alto dominio” a Genova. La “Maona vecchia” (una specie di Società per Azioni dell’epoca) si dà allo sfruttamento diretto del mastice e di altre risorse nell’isola di Scio, concedendo in appalto le cave di allume di Focea. Sostiene varie e vittoriose vicende, con i greci ed i turchi, fino a che il grande Pietro RECANELLI non riprende ai primi le due Focee (1348-1350). Morto il VIGNOSO, la “Maona vecchia” appalta la riscossione delle rendite ad una “Maona nuova”, diretta da Pasquale FORNETO e da Giovanni OLIVERIO. I soci della prima Maona, i quali, per maggior speditezza commerciale, nel 1359, unificano i loro diversi cognomi in quello non bene definito di GIUSTINIANI, si rinnovano, avendo ceduto le loro azioni; e di essi non rimane a far parte della nuova Maona che Pasquale DRIZZACORNE; questa cessione si ripete anche in seguito, determinando l’uscita di alcune famiglie e l’entrata di altre, fino a che nel 1528 i GIUSTINIANI sono ascritti al nuovo Albergo e ad esso sono aggregate altre famiglie non compartecipi della Maona. Varie questioni sorte tra le due maone, sfociano nel compromesso dell’8 marzo 1362, con cui Scio passa in possesso della nuova Maona, i cui componenti (tutti popolari), riassumono il cognome GIUSTINIANI; sono essi Nicolò di CANETO, Giovanni CAMPI, Francesco ARANGIO, Nicolò da S. Teodoro, Gabriele ADORNO (che mantiene il proprio cognome), Paolo BANCA, Tomaso LONGO, Andriolo CAMPI, Raffaello de FORNETO, Luchino NEGRO, Pietro LIVIERO, Francesco GARIBALDO. Pietro RECANELLI è capo della Maona e sostituisce il VIGNOSO nella luogotenenza di Scio. Nel 1361 è luogotenente papale in Smirne; nel 1363 consolida definitivamente i possessi non solo di Scio ma anche di Samo, Santa Panagia e di Focea, che l’imperatore di Bisanzio Giovanni PALEOLOGO cede con esplicita rinuncia. Nel 1365, a Genova, sposa Margherita, figlia del doge Gabriele ADORNO; nel 1365-66 è ammiraglio della Repubblica e reprime i tumulti dei DORIA; nel 1367 tratta in Cipro la pace con i Mammalucchi; muore nel 1380. In questo periodo i GIUSTINIANI vengono continuamente molestati dai Turchi, che tolgono loro Samo ed in seguito Focea, rendendoli tributari, ma si riappacificano grazie all’intervento veneto. Fra continui ed alterni scontri con i Turchi, nel 1455, l’ammiraglio turco Junusberg prende Focea nuova, dove Paride GIUSTINIANI si arrende. Nel 1481, i GIUSTINIANI abbandonano Nicaria ai Cavalieri di San Giovanni, come già prima hanno abbandonato loro Cos. Il 14 aprile 1566 l’ammiraglio Piali Pascià conquista l’isola, sottoponendola ad orrendo saccheggio. Vengono fatti prigionieri il podestà Vincenzo GIUSTINIANI, i dodici governatori e molti altri. Tra i GIUSTINIANI si ricordano ancora letterati, tra i quali Andreolo BANCA e suo figlio Angelo (1385-1456), Pier Giuseppe, dell’Accademia degli “Addormentati”, Serafino, monaco olivetano, autore della tragedia il “Numitore”; storici, tra cui Leonardo GARIBALDO, Agostino BANCA, vescovo di Nebbio, autore degli annali, Jacopo de FORNETO, al quale re Alfonso d’Aragona s’arrende come “a sovrano di Scio” (1435). Sono dogi di Genova: Francesco Domenico GARIBALDO (1393); Andrea LONGO (1539); Paolo MONEGLIA (1569); Giovanni Agostino CAMPI (1591); Alessandro LONGO (1611); Luca suo figlio (1645); Giovanni Antonio GIUSTINIANO (1713); Brizio GIUSTINIANO (1775). Sono cardinali: Vincenzo (1570); Benedetto (1585); Orazio (1645); Giacomo (1826); Alessandro (1831). Infine, si trovano una moltitudine di anziani, senatori, governatori in Corsica ed altrove, ambasciatori, ed uomini munifici. Risultano oggi esistenti vari rami sparsi in tutta Italia, patrizi genovesi, ferraresi, livornesi, romani, a Smirne, a Firenze, a Lecce, a Caprarica di Lecce, Savona, ecc.
(vedi CAPRARICA BARONALE DAL XV AL XVIII SECOLO)

La Chiesa del S.S. Crocifisso

la mia fotoLa Chiesa è attualmente in fase di restauro dopo decenni di incuria ed abbandono. “A circa 200 metri dall’abitato verso borea sorge un’acconcia chiesina titolata al SS. Crocifisso, nella quale esiste in legno, e si tiene in pregio di arte, un Gesù spirante che dicesi di scarpello Veneziano” così scriveva Giacomo Arditi (1815-1891) di Presicce nella sua monumentale “Coreografia fisica e storica della provincia di Terra d’Otranto” pubblicata in dispense dal 1879 al 1885, dopo anni di studi e ricerche, annoverata tra i classici della storiografia salentina. Posta alla periferia del paese, laddove cominciano le campagne, un tempo si poteva scorgere tutt’attorno un paesaggio rurale tranquillo, diverso dall’attuale; circondata da masserie, come la "Crucimuzza", "Lu Moru," si ha memoria delle masserie "li Quarti" e "Sciardine", con gli animali domestici, la “ngegna” ovvero la ruota fatta girare da un asino per tirare fuori l’acqua dalla fonte sorgiva, i pozzi e le cisterne, e poi frantoi ipogei, aie di campagna, distese di uliveti, pajari e muretti a secco, giardini signorili, alti pini, agrumeti, coltivazioni varie, il bosco (le Palatej), la macchia mediterranea, sterrati polverosi e “brecciati”, ed un Convento dell’ordine dei Carmelitani, di cui ora non rimane che un'altra piccola Chiesa dedicata alla Madonna del Carmine e luogo di culto durante i festeggiamenti in onore di San Marco e Santa Lucia, le antiche fiere del paese. Sul poggio, verso sud, dominava l’antico palazzo Baronale circondato dalle case del Casale. “Stassi a sud di Lecce sopra un altipiano circondato da giardini alberati a fichi e mandorli, sollevato 55 metri sul mare (…) L’aria vi è buona, l’acqua di uso, pluviale nell’interno, sorgiva e potabile fuori verso nord-est alla profondità di circa metri 27; i venti dominanti il sud ed il nord” scriveva l’Arditi. Il paese o come venivano denominati in passato i centri abitati, Casale (Caprarice, Creparica) era piccolo e dedito all’agricoltura e alla pastorizia. Vi lavoravano per lo più braccianti, pastori, contadini, “massari”, lavoratori stagionali nei frantoi, pochi gli artigiani come muratori, fornai, fabbri, falegnami e cavatori di pietre. Le donne erano in gran parte massaie e contadine. Coltivazioni di uliveti, tabacco, grano, orzo, biada, legumi, mandorleti, ficheti, scandivano le stagioni degli abitanti del paese. Buona e varia era la produzione di formaggi. Qui, la piccola Chiesa settecentesca con una base a croce latina, ben visibile anche dall’esterno, presenta una facciata in uno stile misto tra il tardo rinascimentale e il barocco leccese, orientata verso occidente. Risplende illuminata dal sole, nelle ultime ore di luce della giornata, prima del tramonto. Due gradini danno accesso al portale sormontato da un piccolo timpano e due nicchie laterali, attualmente vuote, occupano gran parte del primo ordine della Chiesa. Quattro pilastri (paraste) incastonati nei muri danno alla facciata della Chiesa la forma di un antico tempio. I pilastri sono in stile toscano nella parte inferiore della facciata e in stile ionico in quella superiore, una trabeazione (architrave) li separa facendoli apparire sovrapposti. Nel secondo ordine un finestrone rettangolare con archetto (monofora) occupa buona parte della facciata, sulla sommità, sopra la seconda trabeazione, anche essa con il fregio decorato, vi è un timpano tronco, che probabilmente conteneva o avrebbe dovuto contenere una statua di pietra o una croce. Altre decorazioni impreziosiscono la Chiesa, costruita in pietra leccese e carparo (tufi calcarei). Sopra la Chiesa vi è una terrazza, al centro della stessa, sulla parte più alta della volta (crociera della chiesa), vi è una croce in pietra su un basamento. Nella parte posteriore destra della terrazza, un campanile a vela con una piccola campana completa la struttura principale della Chiesa. Da una piccola scala interna si può accedere alla terrazza e al campanile. L’interno è a una navata, dove prendono posto i fedeli, il soffitto a volta, il pavimento attualmente lastricato, due gli altari presenti finemente decorati in stile barocco leccese, l’altare maggiore dedicato a Gesù Crocifisso e l’altare di San Michele, dietro all’altare maggiore la Chiesa finisce con il coro. Due porticine poste a sinistra e a destra del transetto si affacciano all’esterno della Chiesa, sul lato anteriore. Sopra l’altare maggiore si può ammirare un pregevole Cristo spirante ligneo di scuola veneziana, tutto l’altare è decorato con i caratteristici motivi del Barocco leccese e presenta due statue ai piedi del Crocifisso, la Madonna alla sua destra e San Giovanni alla sua sinistra, l’insieme dà vita ad una scena intensa della Passione di Cristo. Sull’altare posto nell’ala sinistra del transetto vi è una tela che raffigura l’Arcangelo Michele con la spada nell’atto di schiacciare il diavolo. In origine e per circa un secolo l’altare era dedicato a San Lorenzo Giustiniani, parente della famiglia nobiliare del paese, in seguito l’altare fu dedicato all’Arcangelo. Sopra la tela di San Michele Arcangelo (copia dell’opera di Guido Reni del 1636) vi è una piccola effigie raffigurante un Santo, l’altare è impreziosito da due pregevoli colonne tortili in barocco leccese. Sotto la Chiesa si dice che ci fosse un ossario o fossa comune, dove vi tumulavano i defunti fino a quando non fu abolito, alla fine dell’Ottocento. Di certo c’è la tomba dell’allora arciprete Nicola Marulli, sepolto nel 1888. La Chiesa, essendo privata e di piccole dimensioni, nel paese è conosciuta più semplicemente come Cappella del Crocifisso. E’ certo che vi fosse un cappellano quando i proprietari erano i marchesi Giustiniani , dal 1845 la cappellania sarebbe passata al Capitolo di Caprarica per ragioni testamentarie. La chiesa fu costruita, secondo alcune date, nel 1701 dal marchese Fabiano Giustiniani, allora feudatario del Casale appartenente alla contea di Lecce in Terra d’Otranto. I Giustiniani ne furono i feudatari a partire dal 1675 e fino all’estinzione della famiglia, avvenuta pare nel 1759. “Cappellam hanc erexerat et dotaverat anno 1701 familia Giustiniani” (Visitatio IV Parochiae Capraricae facta anno 1845 ab Ill.mo ac Rev.mo Domino Vincentio Andrea Grande) si leggeva su un documento in possesso del parroco canonico Don Oronzo Verri (1880–1955), ricevuto dalla Curia arcivescovile di Otranto. Costruita quindi tra la fine del XVII e l’inizio XVIII secolo, venne presumibilmente inaugurata nel 1701, divenne poi di proprietà della famiglia Tresca, ereditata all’estinzione della famiglia Giustiniani, ed infine della famiglia Greco (Don Paolo). Intorno agli anni ’40 il Crocifisso ligneo (o in cartapesta) dell’altare maggiore fu restaurato dall’artigiano Carmelo Calasso per volontà del sacerdote Don Luigi Verri (1909-1972). Per gli attuali lavori di restauro, cominciati il 25 marzo 2021, è stata incaricata la ditta Marullo, con l’intervento tecnico dell’architetto della curia Fiorillo e dell’architetto Delle Donne. I restauri sono seguiti dalla Soprintendenza ai Beni Culturali (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi e Lecce) e realizzati con finanziamenti statali e regionali, una volta finiti la Chiesa del Crocifisso apparterrà al patrimonio comunale per 30 anni. Passando per Caprarica possiamo vedere inoltre il palazzo Baronale che si affaccia sulla piazza principale, piazza Vittoria, piazza Garibaldi (lu Criscere), la Chiesa della Madonna del Carmine, la chiesetta di Santa Maria, alcuni frantoi ipogei (trappiti) e pittoresche case a corte (Curti) nel centro storico. (di S.B.)


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