La Corsica era caduta sotto il dominio dei Genovesi nel 1481. Languiva
miseramento gotto l'insopportabile giogo della repubblica da circa ottant'anni, quando
sorse un uomo, dotato di grande valore e di straordinario amor patrio, che dedicò tutte
le sue forze alla lìberazione della sua isola: SAMPIERO di BASTELICA. Nato in Corsica da
povera famiglia, si era dato al mestiere delle armi, acquistandosi fama di prode capitano;
nel 1536 era entrato al servizio della Francia combattendo contro la Spagna, e nel 1546
era tornato nella sua isola per congiungersi in matrimonio con la bella e ricca VANNINA
d'ORNANO. Era amato moltissimo dai Corsi ed odiata a morte dai Genovesi che, fattolo
arrestare a Bastia, lo avrebbero mandato a morte so non lo avesse salvato l'intervento di
ENRICO II. Concepito il disegno di dare l'indipendenza alla sua patria, Sampiero
organizzò nel 1553 quella spedizione di cui altrove abbiamo parlato e che portò alla
liberazione di Bastia e di Bonifacio. La guerra tra i franco-turchi e gli ispano-genovesi
con grande impeto durò fino a tutto il 1554, poi con minore intensità e con alterne
vicende sì protrasse fino al 1559, fino a quando cioè, con il trattato di
Cateau-Cambrésis 1' isola ritornò sotto la dominazione genovese. Quando la repubblica
ritornò in possesso della Corsica, anziché ingraziarsi l'animo degli isolani con un buon
governo, li trattò con una ferocia che sapeva di vendetta. Abolì le franchigie di cui
essi godevano, proibì loro la navigazione e il commercio, li escluse dai pubblici uffici,
aumentò le tasse e si rese più odiosa di prima con le confische, i bandi, le
persecuzioni, gli arresti, le torture, le condanne. Sampiero, che si trovava allora al
servizio della Francia, ancora giovare alla sua patria cercò in tutti i modi di farla
passare sotto la signoria medicea e iniziando a questo scopo trattative con Cosimo I.
Abbiamo parlato nel precedente capitolo dei tentativi fatti dal granduca di Toscana presso
le corti di Madrid e di Vienna per l'acquisto dell'isola e abbiamo visto come andassero
sempre falliti. Allora Sampiero si rivolse a CATERINA de' MEDICI, reggente di Francia,
pregandola di liberare la Corsica dal giogo genovese; ma la sua preghiera non poteva
essere accolta da Caterina, la quale, per le condizioni in cui si trovava il regno, non
era propensa di tentare una impresa la quale avrebbe potuto scatenare una pericolosa
guerra con gli imperiali. Il fallimento dei due tentativi non scoraggiò Sampiero, il
quale si rivolse al duca di Parma, scrivendogli che oramai non era più possibile ai Corsi
di sopportare la tirannide di Genova e che per non aver trovato aiuto presso i Cristiani
egli si vedeva costretto a indirizzare le sue preghiere agli infedeli, ai Turchi. E al re
d'Algeri e ai Turchi davvero si rivolse, spinto dalla disperazione. Le sue trattative con
il sultano vennero però a conoscenza di Cosimo de' Medici, il quale, temendo che l'
isola, dalla quale non aveva allontanato lo sguardo, cadesse nelle mani di una grande
potenza, scrisse al suo plenipotenziario a Genova, l'abate De NEGRO, perché avvisasse il
Senato della repubblica. Questo, messo sull'avviso, spedì a Costantinopoli un'ambasciata,
la quale con regali e denaro guadagnò alla causa genovese i ministri del Sultano e fece
così fallire l'ultimo tentativo di Sampiero di procurare alla sua patria un aiuto
straniero. Tornato dall'Oriente, Sampiero seppe che le condizioni della Corsica erano
divenute peggiori, che i suoi amici erano perseguitati dai Genovesi e che sua moglie, da
lui lasciata a Marsiglia, lo tradiva con i nemici. Cieco dal furore a quest'ultima
notizia, Sampiero si recò presso Vannina e la strangolò, quindi, ottenuto il perdono
dalla corte di Francia per i preziosi servigi prestati, e deciso di liberare l'isola ad
ogni costo, seguito da venti córsi e da quarantacinque soldati provenzali, salpò per la
Corsica, approdò al golfo di Balinco e si impadronì del castello d'Istria. All'annuncio
dello sbarco di Sampiero, l'isola intera si sollevò contro i Genovesi al grido di Guerra
e Patria; l'esiguo drappello dell'eroe si ingrossò poi alla testa di cinquecento uomini
marciò su Corte, che, malamente difesa dalla guarnigione della repubblica, presto
capitolò. Così ricominciava la guerra. Genova prometteva un premio di quattromila scudi
d'oro a chi consegnasse vivo il ribelle, di duemila morto ed altri premi minori assegnava
per la cattura o l'uccisione dei principali seguaci di Sampiero: Achille Campobasso,
Antonio da S. Fiorenzo, Bartolomeo da Vivano e Battista della Pietra; intanto mandava
nell'isola una forza di milizie al comando di Niccolò Di Negro e Giovan Battista Fieschi.
La rivoluzione però si estendeva sempre di più, alimentata dall'arrivo di considerevole
quantità di munizioni mandate da Livorno; gli insorti, trascinati dal fascino del
condottiero, accorrevano sotto le sue bandiere e Sampiero poteva conquistare Vescovado
dopo un aspro combattimento e battere sanguinosamente i Genovesi presso Caccia. Ma per
quanto grande fosse il valore degli insorti, questi non potevano sperare di riuscire
vittoriosi con un nemico che mandava continui rinforzi alle sue truppe, mentre essi non
sapevano come colmare i vuoti prodotti dalle battaglie né come rifornirsi di munizioni.
Persuasi che senza l'aiuto di una potenza straniera la rivolta prima o poi sarebbe stata
domata, essi, nell'assemblea generale del 25 marzo del 1565 stabilirono di rivolgersi
nuovamente alla Francia. Sampiero inviò alla corte di Parigi Anton Padovano dal Pozzo, ma
questo ambasciatore non riuscì a muovere la Francia in aiuto della Corsica e dovette
ritornare in patria. Però portava con sè diecimila, talleri e conduceva Alfonso, il
diciottenne figlie di Sampiero. La guerra fino allora ora stata condotta con grandissimo
accanimento da una parte e dall'altra. A Vescovado i Genovesi avevano perso
millecinquecento uomini, a Bastia tremila. Stefano Doria, mandato a comandare le truppe
operanti, a Campiloro, il giorno stesso dello sbarco, aveva perduto duemilacinquecento
soldati, ma si era poi vendicato mettendo a ferro e a fuoco Bastilica. Dal canto suo
Sampiero aveva trucidato i presidi genovesi di Istria, Lerio ed altre fortezze cadute
nelle sue mani e, saputo che il nemico, si era proposto di bruciare le messi mature per
affamare gli insorti, era piombato sugli incendiari non risparmiando la vita a nessuno di
quelli che erano stati catturati. Credendo che il Doria non fosse capace di condurre a
buon fine la guerra, la repubblica lo sostituì prima col VIVALDI, poi con il FORNARI;
questi capitani fecero di tutto per domare la rivolta, incendiarono campagne e villaggi,
impiccarono numerosi abitanti, rinfocolarono gli odi tra le antiche fazioni dei Neri e dei
Rossi; ma non vennero a capo di nulla. Allora i Genovesi ricorsero per aiuto a Filippo II
e, poiché neppure con questi poterono avere ragione dei Còrsi, stabilirono di sopprimere
Sampiero con il tradimento. Francesco Fornari e Raffaello Giustiniani, che comandavano la
cavalleria genovese, trovarono presto i traditori. Questi furono due cugini di Vannina,
Giovali Antonio e Giovan Francesco d'Ornano, ai quali si unirono un Ercole d'Istria c un
Frate Ambrogio da Bastilica. I traditori, avendo corrotto Vittolo, fedele compagno di
Sampiero, riuscirono a sorprendere l'eroe mentre con pochi soldati e il figlio Alfonso
andava verso Cauro nel distretto di Aiaccio. Dopo averlo ammazzato, ne mandarono la testa
al Fornari (17 gennaio 1567). La morte di Sampiero non fece cedere i ribelli, che
nominarono loro capo ALFONSO, giovanissimo di anni ma valoroso e pieno di ardente amore
per la sua isola. Anche lui convinto che da soli non avrebbero potuto scuotere il giogo di
Genova, rinnovò il tentativo del padre presso Cosimo de' Medici; questi però non solo
rifiutò, ma informò, la corte di Madrid delle offerte che i ribelli gli avevano fatto di
unirsi alla Toscana. I Genovesi intanto, nulla potendo ottenere con le armi, avevano
cambiato tattica; da un canto avevano ridestato gli odi tra Neri e Rossi, dall'altro
avevano mandato nell' isola Giorgio Doria, il quale con la bontà seppe guadagnarsi la
simpatia dei Córsi, e per mezzo di Girolamo Leone d'Ancona, vescovo di Sagona, indurre
Alfonso a ritornare in Francia. Partito il capo, cessò la guerra e venne conclusa la
pace. Con essa si concedeva ad Alfonso e ai suoi seguaci l'amnistia, si dava libertà ai
Córsi che non volevano rimanere nell'isola di recarsi in Italia, si restituiva ad Alfonso
il feudo d'Ornano che gli era stato confiscato e ai suoi partigiani si assegnava fino alla
loro partenza la Pieve di Vico; venivano liberati alcuni prigionieri, condonati i debiti
verso il fisco, accordati cinque anni di proroga nel pagamento degli altri debiti e infine
si dava facoltà ai Còrsi di vendere o fare amministrare i loro beni. Con questo trattato
che venne stipulato il 1° aprile del 1569, la Corsica ebbe finalmente la pace; ma non il
benessere. I patti ad uno ad uno vennero violati, le tasse tornarono a gravare
sull'infelice popolazione, gli isolani furono da capo esclusi dagli uffici civili,
militari ed ecclesiastici, la navigazione continuò ad essere monopolio dei Genovesi, la
sicurezza delle coste scomparve per le frequenti incursioni dei barbareschi; l'isola
tutta, schiacciata nei suoi diritti, oppressa dalla tirannide dei padroni, afflitta dalla
peste, piombò nella più squallida miseria. Risorse allora nell'animo dei poveri Còrsi
il desiderio di sottrarsi a quel giogo che durava da tanti anni e di nuovo si
indirizzarono sulla corte medicea le speranze degli isolani; ma Francesco de' Medici,
sollecitato da Anton Francesco Cirni da Olmeta prima e da Anton Guglielmo da Bozzi poi,
non era l'uomo da mettersi in urto con la Spagna e non volle intervenire negli affari
dell' isola. Questa continuò per circa due secoli ad esser trattata come una terra di
conquista a, subire le persecuzioni, il mal governo, le ingiustizie, le angherie, la
atrocità dei Genovesi; i cui governatori la impoverivano, violavano le leggi,
proteggevano i delinquenti, fomentavano le fazioni, fino a quando ebbero inizio quelle
tragiche lotte che più avanti narreremo e che fecero cadere la Corsica sotto il dominio
dei Francesi. Nove anni prima che fosse conclusa la pace tra Corsi e Genovesi, e
precisamente il 25 gennaio del 1560, moriva in età di novantaquattro anni Andrea Doria.
Con lui Genova perdeva uno dei suoi più grandi figli, colui che aveva procurato libertà
alla patria pur mettendola sotto la protezione di Spagna, e questa perdeva un grandissimo
ammiraglio ed un amico fedele. La morte del Doria però non fece cessare l' influenza che
gli imperiali Spagnoli esercitavano sulla repubblica genovese, la quale, mentre si
sforzava di domare la Corsica ribelle, era dilaniata dalle proprie lotte intestine. I
vecchi nobili detti del Portico di San Luca, partigiani dei Doria e quindi rispettosi
verso la Spagna, e i nobili nuovi detti del Portico di San Pietro, spalleggiati dalla
Francia, erano in continua discordia e gli odi arrivarono a tal punto che fu necessario l'
intervento armato della Spagna e che don Giovanni d'Austria sperò di impadronirsi della
città quando, nel 1577, vi passò con la flotta che più tardi doveva sconfiggere i
Turchi a Lepanto. Per far cessare le lotte civili molto si diede da fare Papa GREGORIO
XIII, il quale ottenne che le fazioni rimettessero le loro contese nelle mani sue e in
quelle dell' imperatore. Per mezzo di questo triplice arbitrato, il 17 marzo del 1576 fu
pubblicato un compromesso, il quale stabiliva l'abolizione delle varie categorie di nobili
che erano divise in due fazioni. Li includeva tutti in un unico ordine e decretava che
soltanto essi fossero ammessi al governo con facoltà di aggregare ogni anno nuove
famiglie. Accontentò così un po' tutti. Così si inaugurava a Genova un periodo di
concordia e di tranquillità, che doveva, durare circa cinquant'anni, dopo i quali,
purtroppo, altre vicende, congiure, agitazioni, e guerre dovevano nuovamente turbare
quella pace che la vecchia repubblica per così poco tempo e così raramente nel corso
della sua esistenza aveva potuto godere.
Stemmi dei vescovi Corsi Giustiniani
LA CORSICA E GENOVA ( 1729 - 1769 ) SOLLEVAZIONE DELLA CORSICA - I CORSI OFFRONO LA CORONA
DELL'ISOLA A CLEMENTE III, I GENOVESI CHIEDONO AIUTO A CARLO VI - PACE DEL 1732 - NUOVA
INSURREZIONE: PROCLAMAZIONE DELL'INDIPENDENZA - TEODORO DI NEUHOFF SBARCA NELL'ISOLA -
TEODORO PROCLAMATO RE -COSTITUZIONE DEL REGNO DI CORSICA - TEODORO ABBANDONA L'ISOLA -
CONVENZIONE FRANCO-GENOVESE - RITORNO DI TEODORO E SUE ULTIME VICENDE - LA CORSICA E CASA
SAVOIA -SPEDIZIONE SARDA IN CORSICA - CONVENZIONE TRA CARLO EMANUELE III MARIA TERESA -
SECONDA SPEDIZIONE SARDA - PASQUALE PAOLI ALLA TESTA DEGLI INSORTI - SUE RIFORME -
CONQUISTA DI CAPRAIA - CONVENZIONE DI COMPIÈGNE E TRATTATO DI VERSAILLES TRA GENOVA E LA
FRANCIA - GUERRA TRA I CORSI E I FRANCESI - BATTAGLIE DI S. GIACOMO E PONTENUOVO - ESILIO
DEL PAOLI
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LA CORSICA CONTRO GENOVA - IL REGNO DI TEODORO NEUHOFF Ricaduta sotto il
dominio di Genova, dopo la lunga guerra che aveva avuto per eroe SAMPIERO di BASTELICA, la
Corsica non aveva avuto che pochi anni di benessere. Poi ricominciò il malgoverno dei
dominatori, i quali per quasi un secolo fu il vero responsabile della rovina dell'infelice
isola; e rinacque nei Corsi, per le infinite angherie subite, un odio così feroce contro
i Genovesi che doveva ben presto e fatalmente portare alla ribellione. Questa scoppiò nel
1729. Gli abitanti di Bustanica, sdegnati dalle angherie patite da un povero vecchio, si
levarono in armi al grido di Viva la libertà, viva il popolo e diedero addosso ai soldati
della repubblica, quindi, tratti alla rivolta, i paesi vicini, saccheggiarono l'arsenale e
guidati da un ufficiale corso, per nome POMPILIANI, mossero verso Bastia. FILIPPO PINELLI,
governatore dell'isola, non avendo forze sufficienti per respingere gli insorti, chiese
aiuto alla repubblica e nel medesimo tempo domandò al Pompiliani una tregua di
ventiquattro giorni per potere trasmettere a Genova le richieste degli isolani, i quali,
fra l'altro, volevano la soppressione di alcune imposte, l'abolizione del monopolio del
sale e la costituzione di certi pascoli comunali. La repubblica respinse con la solita
arroganza le domande degli insorti e nell'aprile del 1730, rotta la tregua., l'isola fu di
nuovo in armi. Ventimila Còrsi marciarono su Bastia. Li guidava il Pompiliani; ma questi,
poco dopo, cadde in un agguato tesogli dal Pinelli e rimase ucciso con molti dei suoi
uomini. Gli successe nel comando degli insorti LUIGI GIAFFERRI e ANDREA CECCALDI COLONNA,
i quali, sebbene disponessero di gente male armata e non avvezza alla guerra, in più
d'uno scontro riuscirono a sconfiggere i Genovesi. Gli insuccessi del Pinelli indussero
Genova a mandare in Corsica per domarvi la ribellione il generale CAMILLO DORIA, il quale
tentò di venire ad un accordo con gl'insorti ottenendo una tregua di quattro mesi ed
aprendo trattative. Fallite queste, allo spirare dell'armistizio la guerra si riaccese
più furiosa. Ma sia i Córsi che i Genovesi non erano in grado di conseguire la vittoria,
gli uni perché sprovvisti di armi non potevano espugnare le piazzeforti, gli altri
perché, disponendo di scarse forze, erano incapaci di debellare un nemico numeroso oltre
che essere molto mobile nel proprio ambiente. Desiderosi di scuotere il giogo di Genova,
gli insorti si rivolsero per aiuti al Papa CLEMENTE XII offrendogli la corona della
Corsica, ma il Pontefice rifiutò; i Genovesi, decisi a domare l'isola ad ogni costo,
chiesero aiuto all'imperatore CARLO VI e ottennero che questi fornisse loro ottomila
uomini dietro il pagamento di sessantamila fiorini e di cento scudi per ogni soldato
morto. Nell'agosto del 1731 sbarcò nell'isola un primo contingente di quattromila
tedeschi comandati dal generale Wachtendonch, il quale si unì ai diecimila uomini del
Doria. Contro un esercito regolare così numeroso e ben armato si sarebbe certamente
infranto l'impeto dei Corsi se questi avessero accettato battaglia campale; ma gl'insorti
accortamente frazionarono le loro forze, costringendo i nemici a subire una guerriglia a
base di improvvisi agguati e di sorprese che cagionarono non poche disfatte e numerose
perdite ai Genovesi e ai Tedeschi. Nonostante l'ardita resistenza dei Corsi, questa
situazione non poteva durare a lungo; venne perciò volentieri accolta la mediazione
dell'imperatore e l'11 maggio del 1732 fu conclusa la pace tra la repubblica e gli insorti
alle seguenti condizioni: i Corsi non dovevano pagare alcune indennità di guerra; Genova
prometteva di non ostacolare la nomina di vescovi di nazionalità corsa; si sarebbe
istituito nell'isola un ordine di nobiltà con tutte le prerogative di quella ligure;
sarebbe stato ammesso presso il senato genovese un oratore per patrocinare gli interessi
degli isolani; sarebbe stata data facoltà ai Corsi di essere ammessi agli uffici
governativi; sarebbero stati eletti ogni tre anni dei magistrati che dovevano promuovere
le arti e il commercio e, infine, Genova avrebbe concorso nel promuovere la pubblica
istruzione nella Corsica. Un mese circa dopo, i soldati imperiali lasciavano l'isola. Ma
per la slealtà del governo genovese che violò i patti, la pace durò poco e all'inizio
del 1735 la guerra si riaccese. In un'assemblea che fu tenuta a Corte, fu proclamata
l'indipendenza della Corsica, la quale fu messa sotto l'alta protezione della Vergine, fu
stabilito di bruciare pubblicamente le leggi e gli statuti genovesi perché non rimanesse
traccia del passato governo, di condannare alla pena capitale chiunque avesse proposto di
venire ad accordi con Genova, di confiscare tutti i beni che i Genovesi possedevano
nell'isola. Poi furono proclamati primati del regno di Corsica con il titolo d'Altezza
reale LUIGI GIAFFERRI, GIACINTO PAOLI ed ANDREA CECCALDI e ai primi due fu affidato il
comando di tutte le forze armate della nazione; infine si stabilì che vi fosse una dieta
generale detta Serenissima di rappresentanti di ogni città e villaggio con facoltà di
decidere su tutti gli affari, da convocarsi dietro ordine dei primati; che per fare
eseguire le leggi e nominare i magistrati e gli ufficiali civili e militari si creasse una
giunta di sei membri, che doveva durare in carica tre mesi, e che un magistrato
soprintendesse agli affari della guerra, uno all'abbondanza, uno ai comuni, uno alle
monete, uno alla giustizia criminale con la facoltà di sottoporre a processo e di
condannare i traditori della patria. Gli avvenimenti della Corsica destarono un interesse
vivissimo nella penisola, che manifestò la sua simpatia per i fieri e sventurati isolani,
esaltandone gli eroi, attendendo ansiosamente le notizie e mandando navi con viveri e con
munizioni per alimentare la rivolta. Ma queste navi difficilmente potevano approdare alle
coste corse vigilate attentamente dai vascelli genovesi, e gli insorti non tardarono a
trovarsi in una situazione insostenibile, privi com'erano di vettovaglie e di armi. Si
tentò ancora una volta di scendere ad accordi con Genova, ma le condizioni imposte dalla
repubblica furono così gravi che sdegnosamente vennero rigettate e la guerra continuò.
Stavano a questo punto le cose quando il 12 marzo del 1736, fece la comparsa nell'isola
uno strano tipo di avventuriero. Era costui un nobile alemanno, nato forse a Metz intorno
al 1692 e si chiamava TEODORO di NEUHOFF. Mortogli il padre, era stato paggio della
duchessa d'Orléans, aveva servito come luogotenente nel reggimento d'Alzazia, era stato
al servizio dell'Elettore di Baviera ed aveva combattuto sotto Eugenio di Savoia contro i
Turchi; rifugiatosi in Svezia per un duello avuto con un suo superiore, aveva lavorato con
l'Alberoni e col Ministro Gortz per rimettere sul trono d'Inghilterra lo Stuart, poi era
passato in Spagna e quindi in Francia; aveva peregrinato per l'Europa, era stato fatto
prigioniero dei barbareschi, aveva sposato la figlia di un lord e, arraffatagli la dote,
se n'era andato in Olanda. A Livorno aveva conosciuto alcuni Corsi fuorusciti e per mezzo
di loro si era accordato con i capi dell'isola promettendo di portare aiuti alla Corsica a
condizione che lo proclamassero sovrano. Era questa l'ultima e più grande avventura del
NEUHOFF. Sbarcò sulla spiaggia d'Aleria con mezza dozzina di compagni, dieci cannoni,
quattromila fucili, vettovaglie e denari; i capi del paese gli andarono incontro e un mese
dopo, il 15 aprile, un'assemblea riunita ad Alessani lo proclamò re col nome di TEODORO
I. Dalla medesima assemblea fu poi approvata la nuova costituzione del regno. La monarchia
doveva essere ereditaria; il re doveva esser cattolico e risiedere nell'isola; spentasi la
discendenza di Teodoro, i Corsi potevano scegliersi un altro sovrano o darsi la forma di
governo che a loro piaceva; nel regno doveva esservi una dieta di ventiquattro membri, tre
dei quali dovevano risiedere alla corte con facoltà di dare o negare al sovrano l'assenso
nelle risoluzioni riguardanti la guerra, la pace, le imposizioni e le gabelle; ogni carica
e dignità spettava ai Corsi; e sempre Corsi dovevano essere i soldati, eccettuata la
guardia reale che poteva esser composta di forestieri purché non Genovesi, dei quali
nessuno poteva risiedere nell'isola; i diritti municipali non dovevano esser toccati,
infine doveva esser fondata un'università e formato un ordine di nobiltà. Alla carica di
gran cancelliere fu assunto l'avvocato SEBASTIANO COSTA, a quella di gran tesoriere il
generale GIACINTO PAOLI, a quella di maresciallo LUIGI GIAFFERRI. Per appagare le
ambizioni, Teodoro I creò numerosi conti, marchesi e baroni e istituì l'ordine
cavalleresco della Liberazione, che in due mesi riuscì a contare quasi quattrocento
membri, ciascuno dei quali aveva pagato mille scudi per l'entrata. Ad organizzare
l'esercito ci pensò il nuovo re e in breve tempo ebbe sotto di sé trentamila uomini, di
cui quattromila e quattrocento costituivano ventiquattro compagnie di milizia regolare.
Né solo a questo si limitò l'attività del sovrano: istituì fabbriche di armi e di
stoffe, fece batter monete con il motto "pro bono et libertate" sulla faccia
posteriore e uno scudo cinte d'alloro sormontato da una corona con le cifre T. R.
sull'anteriore; scrisse sulla bandiera nazionale che era verde e gialla, il motto in te
"Domine speravi", e quando Genova inviò truppe contro di lui, Teodoro alla
testa delle sue milizie le affrontò e più volte le sconfisse. Fin dal suo sbarco in
Corsica, Teodoro di Neuhoff aveva detto agli isolani di avere avuto dall'Austria, dalla
Spagna, dall'Inghilterra, dalla Turchia e dal bey di Tunisi promesse di aiuti di uomini e
di denaro, ma questi che erano solo parto della fantasia dell'avventuriero, non venivano
mai e intanto cominciavano a mancare i denari, né bastavano le armi per sostenere la
guerra contro Genova. Per alcuni mesi Teodoro riuscì a far credere agl'isolani che gli
aiuti sarebbero venuti, ma quando si accorse che i sudditi cominciavano a diffidar di lui,
e convinto che prima o poi gli si sarebbero rivoltati, riunì il parlamento e dichiarò
che se fra due mesi non fossero giunti gli aiuti o avrebbe abdicato o si sarebbe recato
nel continente per sollecitarli. Essendo trascorso il termine stabilito, nominò una
reggenza presieduta dal Giafferri, dal Paoli e da Luca, Ornani e l'11 settembre del 1736,
accompagnato dal Costa, partì da Aleria per Livorno. I Corsi, non credendo nel successo
del viaggio di Neuhoff, chiesero a Genova la pace, ma i tentativi di ottenerla a buoni
patti fallirono e la guerra continuò. Genova assoldò tre reggimenti svizzeri con i quali
rafforzò le guarnigioni delle fortezze che ancora le rimanevano, prelevò dal banco di
San Giorgio mezzo milione di scudi per le spese di guerra, strinse il blocco navale
intorno all'isola, mise una taglia sul capo di Teodoro e dei principali suoi collaboratori
e nel febbraio del 1737 mandò a Bastia il senatore MARI con altre truppe. Nonostante gli
sforzi fatti dalla repubblica per uscire vittoriosa dalla guerra, i Corsi non accennavano
a cedere, anzi prendevano nuovo vigore, incitati alla resistenza dal re Teodoro, il quale
era riuscito a far pervenire alle coste dell'isola quattro navi cariche di munizioni e di
viveri. Convinti i Genovesi che da soli non sarebbero riusciti a domare i ribelli, si
rivolsero alla Francia e il 12 luglio del 1737 stipularono con i francesi una convenzione
con la quale Luigi XV, assicurando di rispettare la sovranità della repubblica
sull'isola, si obbligava di mandare in Corsica, dietro compenso di settecentomila
genovine, tremila soldati e, se questi non bastavano, altri cinquemila uomini pei quali di
genovine ne avrebbe ricevute altre duecentomila. Il 1° febbraio del 1738 salparono da
Antibo cinque reggimenti francesi con dodici cannoni da montagna e una gran quantità di
munizioni. Li comandava il conte di BOISSIEUX, il quale, appena giunto nell'isola, fece
sapere ai ribelli di essere animato dall'intenzione di conciliar la Corsica con Genova; ma
il suo contegno non valse a piegare i Corsi; questi anzi si mostrarono maggiormente
risoluti a continuare la guerra quando seppero che Teodoro stana per giungere con rinforzi
di uomini, di armi e di munizioni. Il re giunse ad Aleria il 14 settembre del 1738. Aveva
con sé ventiquattro cannoni, tre colubrine, seimila fucili, milletrecentottanta
moschetti, quattromila pistole, duemila baionette, duemila granate, polvere, piombo,
ferro, pietre focaie, uniformi, scarpe, tamburi, trombe, bandiere. Il popolo salutò la
venuta del sovrano con grandi dimostrazioni di gioia, i capi dell'isola però si
mostrarono freddi e del loro contegno approfittò il Boissieug per intimare ai Corsi di
consegnare il Neuhoff entro una settimana. Teodoro, vedendo che i capi non lo sostenevano
più e temendo di esser catturato dai Francesi, si allontanò dall'isola e dal 1739 al
1743 andò peregrinando per l'Europa per raccogliere soccorsi con i quali ritornare in
Corsica, mentre i ribelli, vinti più volte dal Maillebois, successo al Boissieug,
facevano atto di sottomissione, indotti, oltre che dagli insuccessi militari, anche dal
contegno del generale francese che si era mostrato giusto e leale. Scoppiata la guerra per
la successione austriaca, la Francia richiamò le truppe dall'isola credendola pacificata.
Invece i Corsi per insorgere non aspettavano che la partenza dei Francesi e, grande fu il
loro entusiasmo quando Teodoro fece ritorno. Ancora una volta egli cominciò a promettere
che sarebbero giunte navi inglesi con truppe, e con queste promesse tenne desto per un
certo tempo, l'entusiasmo, ma poiché anche questa volta gli aiuti non giungevano, gli
isolani si raffreddarono e il Neuhoff, abbandonata la Corsica, ritornò nel continente e
vivendo di stenti finì i suoi giorni a Londra l'11 dicembre del 1756. LA CORSICA E LA
CASA SAVOIA - PASQUALE PAOLI GENOVA CEDE L'ISOLA ALLA FRANCIA BATTAGLIA DI PONTENUOVO ED
ESILIO DEL PAOLI Perduta la speranza di una monarchia nazionale, i Corsi si rivolsero a
CARLO EMANUELE III. Non era la prima volta che pensavano di offrire l'isola alla Casa
Savoia: nel 1714 invano un certo un Paolo Domenico Pozzi e un Francesco Parato si erano
rivolti a Vittorio Amedeo II; nel 1722 l'offerta era stata rinnovata al medesimo con il
patto che giurasse di non cedere mai la Corsica, "
sotto il Dominio di Genova,
né per aggiustamento di pace né per dono di denaro o sia per vendita neppure ad altri
stati, fortezze o altre esibizioni, né in qualunque altra forma di negozio "; ma
Vittorio Amedeo l'offerta l'aveva respinta. Salito sul trono Carlo Emanuele III, i Corsi
si rivolsero a lui, il quale prima non volle accettare le proposte fattegli, poi, saputo
che Genova si era messa sotto la protezione della Francia ed essendogli stata rinnovata
nel luglio del 1745 l'offerta, con il consenso dell'Austria e dell'Inghilterra,
nell'ottobre dello stesso anno mandò nell'isola un corpo di truppe capitanato dal conte
DOMENICO RIVAROLA. La spedizione non fu coronata dal successo, ma non per la sconfitta
Carlo Emanuele III abbandonò il proposito d'impadronirsi dell'isola. II 29 febbraio del
1748 stipulò una convenzione con l'Austria con la quale le corti di Torino e di Vienna si
obbligavano ciascuna di destinare tremila zecchini, un battaglione di cinquecento soldati
e parecchi cannoni per l'impresa, e tre mesi dopo, una nuova spedizione, comandata dal
brigadiere cavalier di CUMIANA, salpava dal porto di Savona. Ma neppure questa volta
l'isola riuscì a rimuovere il giogo dei Genovesi. Si erano iniziate le trattative che
dovevano portare alla pace di Aquisgrana e Carlo Emanuele III aveva promesso agli isolani
di fare inserire nel trattato un articolo a loro favore; ma al momento di parlarne i Corsi
furono dimenticati: Genova rientrò in possesso di tutti i suoi domini, e il 17 novembre
il Cumiana abbandonava la Corsica, dove rimaneva il Coursay con un corpo di truppe
francesi per consegnar l'isola ai Genovesi. I Corsi non si rassegnarono alla loro sorte e
ripresero le armi acclamando loro generale il patriota GIAMPIERO GAFFORI. Per merito di
quest'uomo valoroso, le cose dei Genovesi e dei Francesi presero una brutta piega e la
causa dei ribelli stava per trionfare, quando venne a mancare improvvisamente il Gaffori,
che il 3 ottobre del 1753 fu assassinato. L'isola era stremata dalla lunga guerra e dai
partiti che dividevano in due campi i ribelli, tuttavia incrollabile era il proposito di
acquistare la libertà e con gran tenacia e coraggio, i Corsi si batterono contro i loro
oppressori. Ad accrescere quest'entusiasmo giunse, un anno e mezzo dopo l'assassinio del
Gaffori, colui che nell'isola doveva essere l'eroe più grande dell'indipendenza corsa. Si
chiamava PASQUALE PAOLI ed era figlio di quel Giacinto accennato più sopra. Il 10 luglio
del 1739, all'età di quattordici anni, in compagnia del padre, di Luigi Giafferri e di
molti altri esuli, da Padulella era andato a Napoli e qui era rimasto per oltre quindici
anni, pensando sempre alla liberazione della sua patria. II 29 aprile del 1755, invitato
dagli isolani, Pasquale Paoli sbarcò a Porraggia, alla foce del Golo, e il 15 luglio del
medesimo anno da un'assemblea di maggiorenti riunita nel convento di Casabianca fu
nominato generale delle armi della nazione corsa. Anzitutto il Paoli dovette lottare
contro il partito dei feudatari capitanato da Mario Emanuele Matra, poi, quando questa
fazione fu debellata con la morte del suo capo, riuscì a dedicarsi interamente alla
rigenerazione ed all'organizzazione del paese. ""
E veramente - scrive il
Callegari - la sua opera di redenzione produceva i suoi frutti, perché le finanze e le
amministrazioni erano ordinate; fiorivano l'agricoltura e le arti; l'isola purgata dagli
odi domestici, era difesa da un buon esercito e da una sufficiente marina. Fu promulgata
una costituzione, per la quale tutti i cittadini a venticinque anni potevano prender parte
all'adunanza generale, che aveva il compito di fissare le imposte, decidere della pace e
della guerra, nominare il Consiglio Supremo, rappresentante le nove province dell'isola,
che compiva gli atti d'ordinaria autorità, convocava l'adunanza generale, vegliava alla
sicurezza del paese e manteneva le relazioni estere
"". " In quanto
all'ordinamento giudiziario, era riservato ai podestà il diritto di giudicare fino al
valore di dieci lire, e al tribunale della provincia per somme superiori, alle trenta;
contro le loro sentenze si poteva ricorrere alla "rota civile", supremo
tribunale composto di tre dottori di diritto nominati a vita". " Tutti i Corsi
erano dichiarati soggetti alle armi dai sedici ai vent'anni e si riunivano in compagnie;
l'intera milizia si distingueva in tre bandi, ognuno dei quali durava quindici giorni; i
soldati, che vegliavano sulle fortezze, ricevevano un soldo annuale, gli altri solo per
quel tempo, che stavano in campo. Per sopperire a tutte le spese dello Stato s'era
istituita l'imposta annua di due lire per famiglia, oltre ai diritti, che esso si
riservava del sale, della pesca, dei coralli ed altre imposte indirette. Non trascurò il
Paoli la cultura del suo popolo, e nel gennaio del 1761 fu aperta un'università in Corte,
nella quale non potevano insegnare che professori corsi ". " Alla fine di ogni
corso di studi si teneva un esame solenne dinanzi ai membri della generale adunanza e
delle reggenze; l'aspetto dei più nobili cittadini accresceva il biasimo come la lode;
alla presenza loro la gioventù si vedeva considerata come la giovane cittadinanza,
chiamata presto o tardi all'opera della liberazione del proprio paese ". Nel febbraio
del 1767 Pasquale Paoli ordinò la conquista dell'isola di Capraia, dando il comando
dell'impresa ad ACHILLE MURATTI. Questi con duecento uomini e due cannoni sbarcò
nell'isola, penetrò nel capoluogo e costrinse BERNARDO OTTONE, che comandava il presidio
genovese, a chiudersi nel castello e quindi a capitolare prima che giungessero aiuti da
Genova. La perdita di Capraia e la difficoltà di sottomettere i ribelli indussero la
repubblica genovese a concludere quell' ignobile trattato che doveva strappare all'Italia
la nobile Corsica e darla per danaro alla Francia. Nel 1764 (7 agosto) veniva stipulata a
Compiègne una convenzione con la quale si era stabilito che le piazze di Bastia, San
Fiorenzo, Calir, Algaiola, Ajaccio e Bonifacio dovessero esser presidiate, oltre che dai
Genovesi, da tremila francesi comandati dal generale Marboeuf. Il termine della
convenzione scadeva nel 1768, epoca in cui le truppe francesi avrebbero dovuto lasciar
l'isola. Il 15 maggio di quest'anno tra il duca di Choiseul ed Agostino Paolo Domenico
Sorba, plenipotenziario Genovese, si stipulò un trattato a Versailles con il quale la
Corsica veniva venduta alla Francia. La notizia di quel mercato fu accolta con grandissimo
sdegno dai fieri abitanti della Corsica. Fu tenuta a Corte un'assemblea, nella quale venne
deciso, di lottare con ogni sforzo per non cadere nelle mani della Francia; campi di
osservazione furono messi davanti a San Fiorenzo, Calir, Bastia ed Ajaccio; venne armata
la piccola flotta e tutti i cittadini abili furono chiamati sotto le bandiere della
libertà. La Francia impiegò tutti i mezzi per sottomettere l'isola: promise che il re
per molti anni non avrebbe imposto ai nuovi sudditi alcun tributo, mandò nuove e numerose
truppe al comando del marchese di Chauvelin, tentò di vincere la resistenza degli isolani
con promesse di onori e d'impieghi e profondendo a piene mani il denaro; ma i suoi sforzi
non riuscirono a domare i Corsi che si battevano come dei leoni e si sentivano animati
verso i Francesi dallo stesso odio che prima avevano nutrito per i Genovesi. Pur di
fiaccare la resistenza, la Francia non disdegnò di ricorrere al tradimento. Un certo
Matteo Maffesi, istigato dal Chauvelin, si impegnò di consegnar vivo o morto Pasquale
Paoli nelle mani dei Francesi; e l'infame disegno sarebbe indubbiamente riuscito se un
onesto ufficiale francese, rimasto prigioniero dei Corsi l'8 ottobre del 1768, il
cavaliere di Ludre, colonnello della Legione Reale, non avesse avvertito il Paoli, il
quale riuscì a sfuggire all'ignobile trama ordita contro di lui. La Francia allora mandò
altre truppe comandate dal generale de Vaux, ma i Corsi non si sgomentarono e in
un'assemblea tenuta a Casinea decisero di lottare fino all'ultimo sangue, chiamarono alle
armi, tutti gli uomini validi e stabilirono che le famiglie povere venissero mantenute a
spese dello stato. Purtroppo però le forze di cui i Corsi potevano disporre non erano
pari alla loro fierezza, al loro valore ed alla loro tenacia. Il Paoli non aveva sotto di
sé che otto o novemila uomini male armati, mentre i Francesi avevano cannoni, munizioni
in abbondanza, viveri a profusione e circa cinquantamila soldati. In un combattimento
avvenuto a S. Giacomo i Corsi ebbero la peggio, in un'altra battaglia combattuta il 9
maggio del 1769 a Pontenuovo fra trentamila Francesi e ottomila Corsi, questi ultimi,
nonostante il grande valore spiegato, furono sconfitti. Pontenuovo fu la tomba della
libertà corsa. Ogni resistenza era oramai inutile; le terre, una dopo l'altra, caddero in
potere degli oppressori e Pasquale Paoli, sciolte le poche milizie che ancora gli
rimanevano, prese la via dell'esilio, imbarcandosi a Portovecchio il 13 giugno del 1769.
Per la stessa via dell'esilio, sopra una nave inglese, partivano anche settecento Corsi,
fra cui degni d'essere ricordati sono CLEMENTE PAOLI, fratello del generale, GIANCARLO
GIAFFERRI, GIULIO SERPENTINI, PIETRO COLLE, FRANCESCO PIETRI, GIACOMO FILIPPO GAFFORI,
CARLO RAFFAELLI e FRANCESCO PORTIGIANI. Il sogno indipendentista degli isolani era
infranto. Era il giorno - ripetiamo- 9 maggio del 1769. Fra questi partigiani desiderosi
di libertà che lottavano sulle montagne fra i boschi e i sassi, c'è anche un giovane
irrequieto partigiano, CARLO BUONAPARTE, aiutante di Paoli, seguito da sua moglie LETIZIA
RAMORINO (sposati nel 1764 - 18 anni lui, 14 anni lei); nessuno immagina lontanamente che
questa donna porta in grembo da sei mesi il futuro imperatore che andrà a sconvolgere
già a poco più di vent'anni, l'Europa. Infatti tre mesi dopo, il 15 agosto, Letizia
darà alla luce un bambino, che viene chiamato NAPOLIONE BUONAPARTE (questo il nome
originario). Pasquale Paoli, esiliato tornerà sull'Isola dopo la Rivoluzione francese. Ma
si scontrò con la Convenzione. Sperando di ottenere qualcosa da altre potenze, favorì
l'occupazione degli inglesi che crearono una costituzione che prevedeva l'unione della
Corsica alla Gran Bretagna. Paoli fu però deluso per non aver ricevuto dagli inglesi la
nomina a vicerè. Aveva sempre sperato e lottato tutta la vita per questa sua ambizione.
Si ritirò nuovamente a Londra dove morì nel 1807. Per le vicende invece di Carlo
Buonaparte, e del famoso figlio, vedi la biografia di Napoleone, nei Personaggi, o nei
relativi anni, con i rimandi.
Cronica di A
Corsica
Personaggi
storici della Corsica: i Giustiniani
Su questo sito, molto dettagliato storicamente, dedicato alla Corsica, ho
estratto tutti i Giustiniani che in qualche modo hanno avuto a che fare con la Corsica che
ricordo esser stata dominio dei Genovesi per più di sei secoli. Le prime testimonianze di
Genovesi sul suolo Corso sono datate 1132.
Il testo è in parte in lingua Francese tratto da: Cronica di A Corsica di
Orsu Ghjuvanni Caporossi
GIUSTINIANI Antonio: (seizième siècle) Génois. En 1563, il est le secrétaire du
Lieutenant du Dilà, Geronimo Giustiniani.
GIUSTINIANI Baldassare: (dix-septième siècle) Génois. En 1631, commissaire syndicateur,
il est indigné que les notables corses ne se déplacent que suivis de cortèges armés,
signe de leurs puissances et de leurs divisions. Il en fait rapport à Gênes.
GIUSTINIANI Bartolomeo: (seizième siècle) Génois. En 1501, il est gouverneur de la
Corse à la suite de Cristoforo Centurione. Il est remplacé en 1502 par Domenico Lercari.
GIUSTINIANI Bonifazio: (seizième siècle) Génois. Frère de Leonardo. En 1556, il fait
régner l'ordre en Casinca contre le Corse Altobellu de Gentile. Il le blesse grièvement
dans une embuscade tendue près de La Canonica.
GIUSTINIANI Carlo Fabrizio: (1656-1683) Génois. Evêque de Mariana Accia de 1656 à 1683.
Il succède à Giovanni Augustino Marliani. Auteur des Constituzioni, véritable charte de
morale religieuse de l'Eglise Corse. En 1651, à Bastia, il est à l'origine de la
fondation de l'Accademia dei Vagabondi. En 1657, il tient son premier synode dans son
nouveau diocèse. En 1664, il publie Constituzioni e Decreti Sinodadi fatti e publiati nel
primo Sinodo diocesano, un compte rendu de son premier synode. En 1677, à Lavasina, il
inaugure le sanctuaire de Nostra Signora di Lavasina. Il décède en 1683. Son mausolée
est construit à Lavasina.
GIUSTINIANI Cosimo Damiano: (seizième siècle) Génois. En 1530, il est gouverneur de la
Corse à la suite de Sebastiano Doria. Il est remplacé en 1531 par Piergiovanni de
Salvago.
GIUSTINIANI Dezio: (mort en 1642) Génois. Evêque d'Aleria de 1612 à 1642, en
remplacement de Giovanni Francesco Morta.
GIUSTINIANI Domenico: (dix-huitième siècle) Génois. Commissaire du Dilà. En Février
1753, à la Cunsulta di Sari dUrcinu, le Celavu, la Cinarca, Vicu, Cavru et
Bastergà se soumettent à son autorité.
GIUSTINIANI Fabianu: (1578-1627) Né à Aiacciu. Evêque d'Aiacciu de 1616 à 1627, en
remplacement de Giulio Giustiniani, décédé. Il est lauteur douvrages latins
en théologie. En 1620, il effectue une visite apostolique de lIle. En 1621, il
écrit Tobias Explanationibus Historicis.
GIUSTINIANI Francesco: (seizième siècle) Génois. En 1507, il est gouverneur de la
Corse. Il succède à Ambroggio de Salvago. Il est remplacé en 1508 par Emmanuelle de
Grimaldi.
GIUSTINIANI Francesco Maria: (dix-septième siècle) Génois. En 1639, il est nommé
commissaire à lagriculture en Corse. Il a pour mission de faire greffer oliviers et
châtaigniers, de défricher le maquis et de la mettre en culture.
GIUSTINIANI Geronimo: (seizième siècle) Génois. En 1562, il est commissaire
dAiacciu. Il pousse à lexil le Corse Bartolomeu di Vivariu. En 1563, il est
nommé lieutenant du Dilà.
GIUSTINIANI Giulio: (1543-1616) Evêque d'Aiacciu de 1587 à 1616. En 1593, il consacre
l'église San Francescu du couvent de Santa Lucia di Tallà. En 1615, à Aiacciu, il
consacre loratoire de San Filippu Neri é du Buon Jesù. En 1616, jugé trop proche
des Corses, il est embarqué de force par les Génois. Il meurt à Livourne, dun
cancer du rein. Sa dépouille est inhumée dans la cathédrale dAiacciu, en 1621.
Cattedrale di Ajaccio, tomba di Giulio Giustiniani, calice, Giulio Giustiniani
GIUSTINIANI, Giulio (sito biografia degli Italiani Treccani) - Nacque nel 1539, o, più probabilmente, nel 1543, a Chio, da Pietro e da Maria Giustiniani. I genitori appartenevano a due diversi rami della famiglia Giustiniani di Genova.
Oltre a esercitare la signoria dell'isola greca, la famiglia godeva di un ruolo preminente nella vita politica genovese. Lo zio paterno, Ansaldo, svolse incarichi diplomatici al servizio della Repubblica. La madre, inoltre, era sorella del cardinale Vincenzo Giustiniani e zia di un altro cardinale, Benedetto.
Trascorsa la giovinezza a Chio, Giulio desiderava recarsi in Italia per completare gli studi, come già avevano fatto i fratelli maggiori: Baldassarre, poi vescovo di Venosa; Orazio, cavaliere gerosolimitano; Marco Aurelio e Pompeo. Il suo progetto, tuttavia, fu impedito dalla drammatica fine della signoria dei Giustiniani: nel 1566 il sultano Sulaimān I, prendendo a pretesto alcuni ritardi nel pagamento del tributo dovuto alla Sublime Porta, occupò l'isola e fece deportare a Costantinopoli i Giustiniani. Nella capitale ottomana la famiglia venne divisa: Giulio e i membri anziani furono relegati in Crimea, a Caffa (Feodosija), mentre i fratelli minori Scipione, Cornelio, Ercole e Ippolito rimasero a corte e furono uccisi per essersi rifiutati di abiurare la fede cristiana e di entrare al servizio del sultano.
Dopo quattro anni di relegazione, il re di Francia Carlo IX ottenne dal sultano Selīm II la liberazione dei Giustiniani e la restituzione dei loro beni privati, ma non della signoria di Chio. Giulio decise a questo punto di abbandonare per sempre l'isola e partì per l'Italia insieme con il padre, che probabilmente intendeva recarsi a Genova. L'improvvisa morte del genitore indusse Giulio ad affidarsi alla protezione dello zio Vincenzo, che lo incoraggiò a proseguire gli studi, prima a Perugia e poi a Pisa. Conseguita la laurea in utroque iure nel 1572, ricevette da Gregorio XIII alcuni benefici ecclesiastici, ma non riuscì a ottenere alcuna carica. Perciò, all'inizio degli anni Ottanta, si ritirò presso il fratello Baldassarre, vescovo di Venosa. Il 28 sett. 1587, piuttosto inaspettatamente, Sisto V lo nominò vescovo di Ajaccio, su istanza del cugino, il cardinale Benedetto Giustiniani. Ricevuti gli ordini da Angelo Giustiniani, vescovo di Bovino, Giulio partì immediatamente per la sua diocesi, che raggiunse nel 1588.
Ad Ajaccio il nuovo vescovo trovò una situazione di povertà e disordine, a causa delle distruzioni provocate dalla rivolta di Sampiero Corso (Sampiero da Bastelica: 1684) e della vacanza seguita alla morte del vescovo Cristoforo Guidiccioni (1582). La stessa cattedrale, trasformata in fortificazione nei decenni precedenti, non era stata ricostruita, nonostante l'impegno profuso dal commissario apostolico Giuseppe Mascardi. Nel suo lungo episcopato
Giulio affrontò con energia i gravi problemi della diocesi, dando prova di un ethos pienamente controriformistico, che coniugava un rigido ascetismo a un notevole dinamismo nel governo pastorale. Oltre a praticare numerose opere di pietà, Giulio riorganizzò le strutture religiose della diocesi: la cattedrale fu ricostruita, il capitolo del duomo fu accresciuto di cinque canonici, ai quali furono assegnati i redditi della mensa vescovile, fu rafforzata la presenza di predicatori francescani e gesuiti. Non ebbe invece alcun esito l'ambizioso progetto di costruire ad Ajaccio un seminario e un collegio dei gesuiti.
Nel suo sforzo di applicare le normative tridentine Giulio assunse un atteggiamento di rigida difesa delle immunità ecclesiastiche, che condusse a continui contrasti giurisdizionali con i poteri civili. Già nel 1592 un lungo memoriale del governatore di Corsica denunciava l'uso eccessivo delle censure ecclesiastiche, l'abusivo ampliamento dell'immunità locale, lo scarso rispetto per i commissari genovesi. Le tensioni giurisdizionali, peraltro, non traevano origine solo dal carattere spigoloso del vescovo, ma erano piuttosto la conseguenza della tradizionale renitenza del clero di Corsica a sottomettersi all'autorità civile e del ruolo politico che
Giulio aveva finito per assumere.
Nonostante i frequenti contrasti, i rapporti tra Giulio e le autorità genovesi non sfociarono in aperto conflitto fino al 1614-15, quando la situazione precipitò improvvisamente. La causa scatenante del contrasto fu il rifiuto degli abitanti di alcune pievi di versare le "taglie" (tributi feudali) ai feudatari di Bozi e Ornano. Il commissario genovese Giorgio Centurione cercò di favorire un accordo amichevole, temendo una recrudescenza della violenza endemica che caratterizzava la zona, e convinse i rappresentanti delle pievi ad accettare una concordia che alleggeriva in maniera consistente il tributo. La sentenza di concordia, però, incontrò una fortissima opposizione e si verificarono atti di ribellione contro i feudatari e il governo genovese, capeggiati da alcuni esponenti del clero. Le fonti non chiariscono in maniera esauriente quale sia stato il ruolo del vescovo in questa difficile situazione, ma è certo che
Giulio, pur non appoggiando apertamente i rivoltosi, prese più volte posizione contro le pretese dei feudatari e protesse i preti implicati nelle sommosse, tra i quali vi era anche il suo ex vicario, G.B. Roccaserra, uomo di dubbia moralità, già condannato per concubinaggio.
Di fronte al rischio di un allargamento della rivolta, la Repubblica di Genova prese provvedimenti drastici: ordinò l'arresto del Roccaserra, che fu immediatamente trasferito a Roma e consegnato all'autorità ecclesiastica, e inviò al papa un ambasciatore straordinario, Manfredo Ravaschieri, con il compito di chiedere l'allontanamento del vescovo di Ajaccio. Le trattative tra la Repubblica e la Curia proseguirono, con alterne vicende, per tutta l'estate del 1615 e furono ostacolate dagli interventi del cardinale Benedetto Giustiniani, che intendeva assolutamente evitare la rimozione del cugino, e dalla scarsa disponibilità di Paolo V ad accettare le richieste genovesi. Ma nell'agosto 1615 l'uccisione di alcuni feudatari e delle loro famiglie da parte dei ribelli indusse il papa ad abbandonare gli indugi e a rimuovere
Giulio dalla sede di Ajaccio.
In tutta la vicenda l'ormai anziano vescovo assunse un atteggiamento di resistenza passiva, negando di aver protetto i responsabili delle sommosse e rifiutando di abbandonare la diocesi, ma la sua posizione divenne progressivamente insostenibile, anche perché il cardinal Giustiniani rifiutò di appoggiarlo ulteriormente. All'inizio del 1616
Giulio dovette perciò piegarsi a un ordine esplicito del papa, che gli ingiungeva di recarsi immediatamente a Roma.
Lasciata Ajaccio, Giulio giunse a Livorno, ma improvvisamente si ammalò e morì, il 18 apr. 1616.
Dopo la morte, Giulio fu oggetto di un certo culto popolare, alimentato anche dai prelati di casa Giustiniani che gli successero nel vescovato. Nel 1620 il suo corpo fu solennemente traslato da Livorno ad Ajaccio e sepolto nella cattedrale.
Fonti e Bibl.: C.F. Giustiniani, Vita di monsignor G. G. vescovo di Ajaccio, Roma 1667; A. Lucci, I riflessi sopra la vita e costumi del servo di Dio mons. G. G., Roma 1667; I. Rinieri, I vescovi della Corsica, Livorno 1934, ad indicem (con notevoli imprecisioni); V. Vitale, Un'ambasceria genovese a Roma e il clero di Corsica (1615), in Arch. stor. di Corsica, X (1934), pp. 1-53; K. Jaitner, Il nepotismo di papa Clemente VIII (1592-1605): il dramma del cardinale Cinzio Aldobrandini, in Arch. stor. italiano, CXLVI (1988), p. 77; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, III, Vene-tiis 1718, coll. 497-499; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 94.
GIUSTINIANI Leonardo, dit Grechetto: (seizième siècle) Génois. En 1555, il est sous les
ordres de Giovanni Andrea Doria. Il commande une des deux compagnies destinées à Calvi.
Il est le sergent major, avec huit cents hommes, de Calvi, assiégée par les troupes
royales françaises de Giordano Orsini. Il remplace le commissaire Nicolo Pallavicini,
rappelé à Gênes. En 1556, à son tour, il est rappelé à Gênes, et remplacé par
Cristoforo de Negri.
GIUSTINIANI Marco Antonio: (dix-septième siècle) Génois. En 1599, gouverneur de la
Corse, il succède à Carlo Pallavicini. Il est remplacé, en 1601, par Nicolo Fieschi. En
1602, il est à nouveau gouverneur, remplacé, en 1603, par Avelino Lercaro.
GIUSTINIANI Nicolo: (quinzième siècle) Magistrat génois. En 1433, il fait partie du
Conseil des Huit Magistrats de Gênes, qui juge et condamne à mort Vincentellu
dIstria.
GGIUSTINIANI Pantaleone, dit GIUSTINIANI Agostino: (1470-1536) Génois. Auteur dune
Bible polyglotte, de travaux sur les textes sacrés, et de Dialogo Nominato Corsica, dans
lequel il fait une description très détaillée de la Corse. En 1488, il entre chez les
Dominicains du couvent Saint Apollinaire, près de Pavie. En 1512, il est admis à
luniversité de Bologne comme bachelier de cours. En 1514, il est évêque du
Nebbiu, où il remplace Battista Saluni, décédé. En 1515, il participe au cinquième
Concile de Latran, en tant quévêque du Nebbiu. En 1518, il est titulaire de la
chaire de langues orientales au Collège de France à Paris. En 1522, il rejoint son
diocèse du Nebbiu. Dans son Dialogo nominato Corsica, il estime la population de l'Ile à
trente mille feux, soit à cent vingt mille habitants. Il écrit également que la vallée
de Siscu est un centre important du travail des métaux (forgerons, armuriers, orfèvres,
etc.). Il décrit la Corse ainsi: six évêchés, soixante six pièves (quarante cinq dans
le Diquà, vingt et une dans le Dilà), très inégalement réparties par diocèse (ou
évêché): dix neuf à Aleria, seize à Mariana, douze à Aiacciu, douze à Sagone, cinq
dans le Nebbiu, et deux à Accia. Le Dilà dei Monti comporte huit mille feux (trente cinq
mille habitants environ), le Diquà dei Monti, vingt deux mille feux (quatre vingt dix
mille habitants). En 1531, il quitte la Corse pour Gênes. Il revient en Corse en 1532,
puis rentre définitivement à Gênes. Il meurt en 1536, lors dun naufrage
quil fera en se rendant une ultime fois sur lIle.
GIUSTINIANI Pier Maria, dit LAnticurzio: (dix-huitième siècle) Génois. Evêque de
Sagone de 1721 à 1741. Il remplace Giovanni Battista Costa. En 1727, il interdit le droit
aux prêtres de porter une lance. La même année, il adresse à ses piévans une sorte de
mandement annonçant sa prochaine tournée épiscopale. Pour préparer cette visite, il
leur communique un questionnaire concernant les m½urs de ses paroissiens. En 1730, il
adresse un nouveau questionnaire à ses piévans. En Août 1734, alarmée par une
intervention possible de lEspagne en Corse, Gênes rappelle le gouverneur
Pallavicini, et lui demande de le remplacer, en tant que commissaire général, tout en
restant évêque de Sagone. Il se proclame comme un conciliateur. Il invite tous les
notables corses à se présenter devant lui pour exprimer leurs doléances, et pour
accorder un pardon général à ceux qui feront leur soumission. En Octobre, il reçoit
Ghjuvan Petru Gaffori envoyé auprès de lui comme député de la Nazione. Son action,
toute de négociations, de concessions et darrangements, commence à faire son
effet: des querelles surgissent parmi les chefs corses, la résistance saffaiblit,
linsurrection perd son élan. En Juin 1735, arrivé en fin de mandat, il est
remplacé par Felice Pinelli. En Juin 1736, il doit quitter la Corse pour raison de santé
et de finances. En 1737, on lui attribue la paternité de lAnticurzio, opuscule
publié à Gênes, pour répondre à la deuxième édition du Disinganno intorno alla
guerra di Corsica scoperto da Curzio Tulliano Corso ad un suo Amico dimorante
nellIsola, de Ghjuliu Matteu Natali. En Décembre 1741, fin de son sacerdoce en
Corse. Il devient évêque de Vintimille. En Février 1743, il remplace Domenico Maria
Spinola, décédé, comme gouverneur de la Corse. Il arrive à Bastia en Juin. Francescu
Matteu Limperani, député par la Reggenza, lui demande une réponse aux demandes faites
par les Naziunali. Il fait part des propositions, les Concessioni, en huit articles, de
Gênes (Articoli mandati della Republica di Genova, per concludere la Pace col Regno di
Corsica). En réponse, les Naziunali envoient dix députés pour le rencontrer à Bastia.
La discussion porte sur toute une série darticles et de règlements, faisant la
matière dun gros volume, et qui liquiderait, dun coup, le contentieux entre
la Corse et Gênes. Il fait tout ce quil peut pour sattacher les Nobili
Dodeci, les podestats, et même les membres de la Reggenza. En Mai 1744, Il tente de
gagner les populations avec laide des pro-Génois Ghjacumu Martinetti, Carlu Cotoni,
Don Filippu Grimaldi, Carlu Filippu Panzani, et le concours spirituel du Père Léonard de
Port Maurice. Les habitants de lAlta Rocca ayant demandé, pour des raisons de
commodités, que la lieutenance de Sarté soit divisée avec Carbini, Taddà ou Scupamena,
il accepte à la condition que les communautés prennent les frais daménagement à
leur charge. En Septembre 1745, à la Cunsulta di Oletta, malgré ses pressions sur les
pièves de Casinca et du long du littoral, les habitants du Nebbiu accordent leur
confiance à Ghjuvan Petru Gaffori. Il fait enlever par Giuliano Birio, commandant de la
place de Corti, le fils de Ghjuvan Petru Gaffori, Francescu, âgé de treize mois, afin
davoir un moyen de pression sur le père. En Octobre, il est remplacé par Stefano
de Mari. En 1760, à Vintimiglia, il entreprend de réfuter la Giustificazione della
Rivoluzione di Corsica e della ferma risoluzione presa daCorsi di mai piu
sottomettersi an dominio di Genova, de labbé Gregoriu Salvini, dans des Riflessioni
intorno ad un libro intitulato Giustificazione della Rivoluzione di Corsica
En Mai
1764, à Corti, publication de ses Riflessioni di un Genovese et Osservazioni di un Corso.
GIUSTINIANI Pietro: (dix-septième siècle) Génois. Administrateur désigné, par Gênes,
pour gérer la colonie grecque installée en 1676 à Paomia, dans la juridiction de Vicu.
GIUSTINIANI Pompeu, dit Bras de Fer: (1569-1617) Né à Aiacciu. général dans l'armée
vénitienne, et auteur de L'Histoire des Guerres de Flandres. En 1609, édition à Anvers,
de son ouvrage, traduit en latin par Gamburini, sous le nom de Bellum Belgium. Il décède
en 1617.
A sinistra, la lapide commemorativa di Pompeo Giustiniani a Bonifacio a
destra il portale della cattedrale di Ajaccio
GIUSTINIANI Raffaello: (quinzième siècle) Magistrat génois. Podestat d'Aiacciu. En
1497, il signale au gouverneur Raffaelle Odone l'imminence d'un débarquement de Ghjuvan
Paulu di Leca.
GIUSTINIANI Raffaello: (seizième siècle) Officier Génois. Commandant de chevau-légers.
En 1564, il défend Campora contre Sampieru Corsu. A Campu di lOru, il tue au combat
Bartolomeu di Vivariu. Puis il saffronte à Sampieru Corsu, à Aiacciu, où celui ci
est battu. D'Aiacciu, avec ses cavaliers, il marche sur Porti Vechju, pour rejoindre les
troupes de Giovanni Andrea Doria. En 1565, il est à San Fiurenzu. En 1566, à Bastelica,
il fomente un complot contre Sampieru Corsu. Ce complot est déjoué par le Corse. Le
Cinarchese Ercole dIstria, allié des Génois et ennemi de Sampieru Corsu, le
prévient alors quune délégation, envoyée par le Corse, vient de quitter Sagone.
Il lattaque avec une galère génoise, et tous ses membres sont, soit noyés, soit
tués, soit emprisonnés, soit parviennent à regagner la côte. En 1567, il est
commandant de la garnison d'Aiacciu. Après la mort de Sampieru Corsu, avec Ercole
dIstria et dautres Caporali, il marche sur Rennu pour s'en emparer. De Vicu,
Alfonsu dOrnanu et ses hommes tentent de lempêcher d'atteindre Rennu; le
combat a lieu près de l'église de SantAntoniu, faisant sept tués chez les Corses,
et vingt six chez les Génois; il est parmi les blessés. A MacaCroci, il affronte
trois compagnies corses qui se rendent dans le Dilà pour tenter de reconquérir l'Istria
et La Rocca. Les Corses sont battus; les survivants se retirent en Cinarca. Il obtient le
grade de colonel. Il commande trois navires génois, avec trois cents cinquante
fantassins, qui font voile vers San Fiurenzu et Aiacciu. Puis, il est dans le golfe de
Sagone, où la garnison corse du fort se rend rapidement. En 1573, il lève un régiment
de mercenaires corses pour le compte de Gênes: il réunit dans la plaine de San Fiurenzu
huit compagnies, soit huit cents vingt neuf hommes, toutes sous le commandement
d'officiers corses. En 1608, il est gouverneur de la Corse. Il succède à Agostino
Pallavicini. Il est remplacé, en 1609, par Giovanni Pietro Serra.
GIUSTINIANI Rizio: (dix-huitième siècle) Génois. En 1729, Gênes ayant promulgué un
édit dont le but est la mise en valeur de la Corse, tout un programme de location de
terres et dinféodation est offert aux ressortissants génois: il en profite et
acquiert des terres à Porti Vechju.
GIUSTINIANI Silvestro: (seizième siècle) Génois. En 1501, il est envoyé en Corse en
tant que commissaire de lUfficio di San Giorgio, pour combattre Ghjuvan Paulu di
Leca.
GIUSTINIANI Simone Ghjuvanni: (dix-huitième siècle) Député pour la communauté
dArbiddali, en Juin 1794, il participe à la Cunsulta Generale di Corti, qui
approuve laction de Pasquale Paoli et se prononce pour la rupture avec la France. Il
adopte la Constitution du Royaume de Corse (anglo-corse), votée par la Cunsulta Generale,
qui est une Constitution Monarchique, en 12 titres et 75 articles.
Augustin Giustiniani vescovo di Corsica XIX secolo.
lapide del sepolcro di Monsignor Augustin Giustiniani a Lavasina (Corsica)
Frontespizio del libro di Agostino Giustiniani sulla Corsica descrizione della Corsica
Monsignore Agostino GIUSTINIANI (1470-1536),
prefazione e traduzione di Antoine-Marie Graziani edizioni Piazzola
Il testo descrive scrupolosamente con dovizia di particolari,spesso sotto forma di dialogo
la Corsica.
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I resti di un insediamento di epoca romana più che di origine genovese,
chiamato Villaggio Giustiniani ,
è anche presente nel
Comune di Speloncato nel
nord dell'isola. Maggiori dettagli sul sito dellAccademia Corsa (Speloncato
au fil du temps passe)
A Notte di a Memoria di Bastia et I Mercatini del seicento de Bassano-Romano : Jumelage effectif
(Rédigé par Charles Monti le Dimanche 24 Mars 2019 Corsenetinfos.corsica
)
Bastia : Les Giustiniani traits d'union entre deux associations corse et italienne
(Rédigé par Philippe Jammes le Vendredi 19 Juillet 2019 Corsenetinfos.corsica
)
Bastia : L'association du comité du patrimoine signe une charte de jumelage avec l'Italie
(Rédigé par Livia Santana le Samedi 20 Juillet 2019
Corsenetinfos.corsica
)
Bassano-Romano et Bastia : l'Histoire en héritage
(Rédigé par Charles Monti le Mercredi 31 Juillet 2019
Corsenetinfos.corsica
Una delegazione di Bastia in vistia a Bassano Romano (Tuscia web)
Patto di Amicizia tra Bassano Romano e Bastia (Corsica) (NewTuscia.it)
IL PROGETTO DELLA RETE GIUSTINIANI
Un filo rosso unisce alcuni piccoli comuni Italiani ed Europei, la presenza nel corso dei secoli della Famiglia Genovese dei Giustiniani, importanti tracce architettonicche ed antropologiche da valorizzare e da collegare nel tempo e nello spazio, percorsi turistici comuni per uno scambio di idee e confronti per riallacciare gli antichi legami in uno spirito Europeista.
Grazie all'iniziativa dell'Assessore al patrimonio della municipalità Francese di
Bastia, è recentemente uscito (gennaio 2008), prodotto da Vision Internationale e da
France 3 per la regia di Andrè Waksman il documentario "Les Giustiniani une saga
méditerranéenne". Il documentario di circa un ora, a cui ho fattivamente
collaborato, ha richiesto quasi due anni di lavori; l'opera, in francese (con alcuni brani
in Italiano sottotitolati) traccia il lungo percorso antropologico e storico della
famiglia Giustiniani, toccando le località dove più si è sentita la presenza di questa
famiglia: Genova, il levante ligure, Chios, Roma, Palermo, la Corsica e Bassano Romano.
Sono in possesso della copia, informalmente potrei accontentare, nei limiti del possibile,
chi me ne facesse gentile richiesta.
Il film, apparso sulla trasmissione "Orizzonti" su France3-Corse il 10 maggio
2008 è online sul sito della France 3 - corse in questo link:
"I Giustiniani, une saga méditerranéenne"
(100508)