LA CORSICA E GENOVA
( 1553 -1576 )

La Corsica era caduta sotto il dominio dei Genovesi nel 1481. Languiva miseramento gotto l'insopportabile giogo della repubblica da circa ottant'anni, quando sorse un uomo, dotato di grande valore e di straordinario amor patrio, che dedicò tutte le sue forze alla lìberazione della sua isola: SAMPIERO di BASTELICA. Nato in Corsica da povera famiglia, si era dato al mestiere delle armi, acquistandosi fama di prode capitano; nel 1536 era entrato al servizio della Francia combattendo contro la Spagna, e nel 1546 era tornato nella sua isola per congiungersi in matrimonio con la bella e ricca VANNINA d'ORNANO. Era amato moltissimo dai Corsi ed odiata a morte dai Genovesi che, fattolo arrestare a Bastia, lo avrebbero mandato a morte so non lo avesse salvato l'intervento di ENRICO II. Concepito il disegno di dare l'indipendenza alla sua patria, Sampiero organizzò nel 1553 quella spedizione di cui altrove abbiamo parlato e che portò alla liberazione di Bastia e di Bonifacio. La guerra tra i franco-turchi e gli ispano-genovesi con grande impeto durò fino a tutto il 1554, poi con minore intensità e con alterne vicende sì protrasse fino al 1559, fino a quando cioè, con il trattato di Cateau-Cambrésis 1' isola ritornò sotto la dominazione genovese. Quando la repubblica ritornò in possesso della Corsica, anziché ingraziarsi l'animo degli isolani con un buon governo, li trattò con una ferocia che sapeva di vendetta. Abolì le franchigie di cui essi godevano, proibì loro la navigazione e il commercio, li escluse dai pubblici uffici, aumentò le tasse e si rese più odiosa di prima con le confische, i bandi, le persecuzioni, gli arresti, le torture, le condanne. Sampiero, che si trovava allora al servizio della Francia, ancora giovare alla sua patria cercò in tutti i modi di farla passare sotto la signoria medicea e iniziando a questo scopo trattative con Cosimo I. Abbiamo parlato nel precedente capitolo dei tentativi fatti dal granduca di Toscana presso le corti di Madrid e di Vienna per l'acquisto dell'isola e abbiamo visto come andassero sempre falliti. Allora Sampiero si rivolse a CATERINA de' MEDICI, reggente di Francia, pregandola di liberare la Corsica dal giogo genovese; ma la sua preghiera non poteva essere accolta da Caterina, la quale, per le condizioni in cui si trovava il regno, non era propensa di tentare una impresa la quale avrebbe potuto scatenare una pericolosa guerra con gli imperiali. Il fallimento dei due tentativi non scoraggiò Sampiero, il quale si rivolse al duca di Parma, scrivendogli che oramai non era più possibile ai Corsi di sopportare la tirannide di Genova e che per non aver trovato aiuto presso i Cristiani egli si vedeva costretto a indirizzare le sue preghiere agli infedeli, ai Turchi. E al re d'Algeri e ai Turchi davvero si rivolse, spinto dalla disperazione. Le sue trattative con il sultano vennero però a conoscenza di Cosimo de' Medici, il quale, temendo che l' isola, dalla quale non aveva allontanato lo sguardo, cadesse nelle mani di una grande potenza, scrisse al suo plenipotenziario a Genova, l'abate De NEGRO, perché avvisasse il Senato della repubblica. Questo, messo sull'avviso, spedì a Costantinopoli un'ambasciata, la quale con regali e denaro guadagnò alla causa genovese i ministri del Sultano e fece così fallire l'ultimo tentativo di Sampiero di procurare alla sua patria un aiuto straniero. Tornato dall'Oriente, Sampiero seppe che le condizioni della Corsica erano divenute peggiori, che i suoi amici erano perseguitati dai Genovesi e che sua moglie, da lui lasciata a Marsiglia, lo tradiva con i nemici. Cieco dal furore a quest'ultima notizia, Sampiero si recò presso Vannina e la strangolò, quindi, ottenuto il perdono dalla corte di Francia per i preziosi servigi prestati, e deciso di liberare l'isola ad ogni costo, seguito da venti córsi e da quarantacinque soldati provenzali, salpò per la Corsica, approdò al golfo di Balinco e si impadronì del castello d'Istria. All'annuncio dello sbarco di Sampiero, l'isola intera si sollevò contro i Genovesi al grido di Guerra e Patria; l'esiguo drappello dell'eroe si ingrossò poi alla testa di cinquecento uomini marciò su Corte, che, malamente difesa dalla guarnigione della repubblica, presto capitolò. Così ricominciava la guerra. Genova prometteva un premio di quattromila scudi d'oro a chi consegnasse vivo il ribelle, di duemila morto ed altri premi minori assegnava per la cattura o l'uccisione dei principali seguaci di Sampiero: Achille Campobasso, Antonio da S. Fiorenzo, Bartolomeo da Vivano e Battista della Pietra; intanto mandava nell'isola una forza di milizie al comando di Niccolò Di Negro e Giovan Battista Fieschi. La rivoluzione però si estendeva sempre di più, alimentata dall'arrivo di considerevole quantità di munizioni mandate da Livorno; gli insorti, trascinati dal fascino del condottiero, accorrevano sotto le sue bandiere e Sampiero poteva conquistare Vescovado dopo un aspro combattimento e battere sanguinosamente i Genovesi presso Caccia. Ma per quanto grande fosse il valore degli insorti, questi non potevano sperare di riuscire vittoriosi con un nemico che mandava continui rinforzi alle sue truppe, mentre essi non sapevano come colmare i vuoti prodotti dalle battaglie né come rifornirsi di munizioni. Persuasi che senza l'aiuto di una potenza straniera la rivolta prima o poi sarebbe stata domata, essi, nell'assemblea generale del 25 marzo del 1565 stabilirono di rivolgersi nuovamente alla Francia. Sampiero inviò alla corte di Parigi Anton Padovano dal Pozzo, ma questo ambasciatore non riuscì a muovere la Francia in aiuto della Corsica e dovette ritornare in patria. Però portava con sè diecimila, talleri e conduceva Alfonso, il diciottenne figlie di Sampiero. La guerra fino allora ora stata condotta con grandissimo accanimento da una parte e dall'altra. A Vescovado i Genovesi avevano perso millecinquecento uomini, a Bastia tremila. Stefano Doria, mandato a comandare le truppe operanti, a Campiloro, il giorno stesso dello sbarco, aveva perduto duemilacinquecento soldati, ma si era poi vendicato mettendo a ferro e a fuoco Bastilica. Dal canto suo Sampiero aveva trucidato i presidi genovesi di Istria, Lerio ed altre fortezze cadute nelle sue mani e, saputo che il nemico, si era proposto di bruciare le messi mature per affamare gli insorti, era piombato sugli incendiari non risparmiando la vita a nessuno di quelli che erano stati catturati. Credendo che il Doria non fosse capace di condurre a buon fine la guerra, la repubblica lo sostituì prima col VIVALDI, poi con il FORNARI; questi capitani fecero di tutto per domare la rivolta, incendiarono campagne e villaggi, impiccarono numerosi abitanti, rinfocolarono gli odi tra le antiche fazioni dei Neri e dei Rossi; ma non vennero a capo di nulla. Allora i Genovesi ricorsero per aiuto a Filippo II e, poiché neppure con questi poterono avere ragione dei Còrsi, stabilirono di sopprimere Sampiero con il tradimento. Francesco Fornari e Raffaello Giustiniani, che comandavano la cavalleria genovese, trovarono presto i traditori. Questi furono due cugini di Vannina, Giovali Antonio e Giovan Francesco d'Ornano, ai quali si unirono un Ercole d'Istria c un Frate Ambrogio da Bastilica. I traditori, avendo corrotto Vittolo, fedele compagno di Sampiero, riuscirono a sorprendere l'eroe mentre con pochi soldati e il figlio Alfonso andava verso Cauro nel distretto di Aiaccio. Dopo averlo ammazzato, ne mandarono la testa al Fornari (17 gennaio 1567). La morte di Sampiero non fece cedere i ribelli, che nominarono loro capo ALFONSO, giovanissimo di anni ma valoroso e pieno di ardente amore per la sua isola. Anche lui convinto che da soli non avrebbero potuto scuotere il giogo di Genova, rinnovò il tentativo del padre presso Cosimo de' Medici; questi però non solo rifiutò, ma informò, la corte di Madrid delle offerte che i ribelli gli avevano fatto di unirsi alla Toscana. I Genovesi intanto, nulla potendo ottenere con le armi, avevano cambiato tattica; da un canto avevano ridestato gli odi tra Neri e Rossi, dall'altro avevano mandato nell' isola Giorgio Doria, il quale con la bontà seppe guadagnarsi la simpatia dei Córsi, e per mezzo di Girolamo Leone d'Ancona, vescovo di Sagona, indurre Alfonso a ritornare in Francia. Partito il capo, cessò la guerra e venne conclusa la pace. Con essa si concedeva ad Alfonso e ai suoi seguaci l'amnistia, si dava libertà ai Córsi che non volevano rimanere nell'isola di recarsi in Italia, si restituiva ad Alfonso il feudo d'Ornano che gli era stato confiscato e ai suoi partigiani si assegnava fino alla loro partenza la Pieve di Vico; venivano liberati alcuni prigionieri, condonati i debiti verso il fisco, accordati cinque anni di proroga nel pagamento degli altri debiti e infine si dava facoltà ai Còrsi di vendere o fare amministrare i loro beni. Con questo trattato che venne stipulato il 1° aprile del 1569, la Corsica ebbe finalmente la pace; ma non il benessere. I patti ad uno ad uno vennero violati, le tasse tornarono a gravare sull'infelice popolazione, gli isolani furono da capo esclusi dagli uffici civili, militari ed ecclesiastici, la navigazione continuò ad essere monopolio dei Genovesi, la sicurezza delle coste scomparve per le frequenti incursioni dei barbareschi; l'isola tutta, schiacciata nei suoi diritti, oppressa dalla tirannide dei padroni, afflitta dalla peste, piombò nella più squallida miseria. Risorse allora nell'animo dei poveri Còrsi il desiderio di sottrarsi a quel giogo che durava da tanti anni e di nuovo si indirizzarono sulla corte medicea le speranze degli isolani; ma Francesco de' Medici, sollecitato da Anton Francesco Cirni da Olmeta prima e da Anton Guglielmo da Bozzi poi, non era l'uomo da mettersi in urto con la Spagna e non volle intervenire negli affari dell' isola. Questa continuò per circa due secoli ad esser trattata come una terra di conquista a, subire le persecuzioni, il mal governo, le ingiustizie, le angherie, la atrocità dei Genovesi; i cui governatori la impoverivano, violavano le leggi, proteggevano i delinquenti, fomentavano le fazioni, fino a quando ebbero inizio quelle tragiche lotte che più avanti narreremo e che fecero cadere la Corsica sotto il dominio dei Francesi. Nove anni prima che fosse conclusa la pace tra Corsi e Genovesi, e precisamente il 25 gennaio del 1560, moriva in età di novantaquattro anni Andrea Doria. Con lui Genova perdeva uno dei suoi più grandi figli, colui che aveva procurato libertà alla patria pur mettendola sotto la protezione di Spagna, e questa perdeva un grandissimo ammiraglio ed un amico fedele. La morte del Doria però non fece cessare l' influenza che gli imperiali Spagnoli esercitavano sulla repubblica genovese, la quale, mentre si sforzava di domare la Corsica ribelle, era dilaniata dalle proprie lotte intestine. I vecchi nobili detti del Portico di San Luca, partigiani dei Doria e quindi rispettosi verso la Spagna, e i nobili nuovi detti del Portico di San Pietro, spalleggiati dalla Francia, erano in continua discordia e gli odi arrivarono a tal punto che fu necessario l' intervento armato della Spagna e che don Giovanni d'Austria sperò di impadronirsi della città quando, nel 1577, vi passò con la flotta che più tardi doveva sconfiggere i Turchi a Lepanto. Per far cessare le lotte civili molto si diede da fare Papa GREGORIO XIII, il quale ottenne che le fazioni rimettessero le loro contese nelle mani sue e in quelle dell' imperatore. Per mezzo di questo triplice arbitrato, il 17 marzo del 1576 fu pubblicato un compromesso, il quale stabiliva l'abolizione delle varie categorie di nobili che erano divise in due fazioni. Li includeva tutti in un unico ordine e decretava che soltanto essi fossero ammessi al governo con facoltà di aggregare ogni anno nuove famiglie. Accontentò così un po' tutti. Così si inaugurava a Genova un periodo di concordia e di tranquillità, che doveva, durare circa cinquant'anni, dopo i quali, purtroppo, altre vicende, congiure, agitazioni, e guerre dovevano nuovamente turbare quella pace che la vecchia repubblica per così poco tempo e così raramente nel corso della sua esistenza aveva potuto godere.

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Stemmi dei vescovi Corsi Giustiniani


LA CORSICA E GENOVA
( 1729 - 1769 )


LA CORSICA E GENOVA ( 1729 - 1769 ) SOLLEVAZIONE DELLA CORSICA - I CORSI OFFRONO LA CORONA DELL'ISOLA A CLEMENTE III, I GENOVESI CHIEDONO AIUTO A CARLO VI - PACE DEL 1732 - NUOVA INSURREZIONE: PROCLAMAZIONE DELL'INDIPENDENZA - TEODORO DI NEUHOFF SBARCA NELL'ISOLA - TEODORO PROCLAMATO RE -COSTITUZIONE DEL REGNO DI CORSICA - TEODORO ABBANDONA L'ISOLA - CONVENZIONE FRANCO-GENOVESE - RITORNO DI TEODORO E SUE ULTIME VICENDE - LA CORSICA E CASA SAVOIA -SPEDIZIONE SARDA IN CORSICA - CONVENZIONE TRA CARLO EMANUELE III MARIA TERESA - SECONDA SPEDIZIONE SARDA - PASQUALE PAOLI ALLA TESTA DEGLI INSORTI - SUE RIFORME - CONQUISTA DI CAPRAIA - CONVENZIONE DI COMPIÈGNE E TRATTATO DI VERSAILLES TRA GENOVA E LA FRANCIA - GUERRA TRA I CORSI E I FRANCESI - BATTAGLIE DI S. GIACOMO E PONTENUOVO - ESILIO DEL PAOLI

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LA CORSICA CONTRO GENOVA - IL REGNO DI TEODORO NEUHOFF Ricaduta sotto il dominio di Genova, dopo la lunga guerra che aveva avuto per eroe SAMPIERO di BASTELICA, la Corsica non aveva avuto che pochi anni di benessere. Poi ricominciò il malgoverno dei dominatori, i quali per quasi un secolo fu il vero responsabile della rovina dell'infelice isola; e rinacque nei Corsi, per le infinite angherie subite, un odio così feroce contro i Genovesi che doveva ben presto e fatalmente portare alla ribellione. Questa scoppiò nel 1729. Gli abitanti di Bustanica, sdegnati dalle angherie patite da un povero vecchio, si levarono in armi al grido di Viva la libertà, viva il popolo e diedero addosso ai soldati della repubblica, quindi, tratti alla rivolta, i paesi vicini, saccheggiarono l'arsenale e guidati da un ufficiale corso, per nome POMPILIANI, mossero verso Bastia. FILIPPO PINELLI, governatore dell'isola, non avendo forze sufficienti per respingere gli insorti, chiese aiuto alla repubblica e nel medesimo tempo domandò al Pompiliani una tregua di ventiquattro giorni per potere trasmettere a Genova le richieste degli isolani, i quali, fra l'altro, volevano la soppressione di alcune imposte, l'abolizione del monopolio del sale e la costituzione di certi pascoli comunali. La repubblica respinse con la solita arroganza le domande degli insorti e nell'aprile del 1730, rotta la tregua., l'isola fu di nuovo in armi. Ventimila Còrsi marciarono su Bastia. Li guidava il Pompiliani; ma questi, poco dopo, cadde in un agguato tesogli dal Pinelli e rimase ucciso con molti dei suoi uomini. Gli successe nel comando degli insorti LUIGI GIAFFERRI e ANDREA CECCALDI COLONNA, i quali, sebbene disponessero di gente male armata e non avvezza alla guerra, in più d'uno scontro riuscirono a sconfiggere i Genovesi. Gli insuccessi del Pinelli indussero Genova a mandare in Corsica per domarvi la ribellione il generale CAMILLO DORIA, il quale tentò di venire ad un accordo con gl'insorti ottenendo una tregua di quattro mesi ed aprendo trattative. Fallite queste, allo spirare dell'armistizio la guerra si riaccese più furiosa. Ma sia i Córsi che i Genovesi non erano in grado di conseguire la vittoria, gli uni perché sprovvisti di armi non potevano espugnare le piazzeforti, gli altri perché, disponendo di scarse forze, erano incapaci di debellare un nemico numeroso oltre che essere molto mobile nel proprio ambiente. Desiderosi di scuotere il giogo di Genova, gli insorti si rivolsero per aiuti al Papa CLEMENTE XII offrendogli la corona della Corsica, ma il Pontefice rifiutò; i Genovesi, decisi a domare l'isola ad ogni costo, chiesero aiuto all'imperatore CARLO VI e ottennero che questi fornisse loro ottomila uomini dietro il pagamento di sessantamila fiorini e di cento scudi per ogni soldato morto. Nell'agosto del 1731 sbarcò nell'isola un primo contingente di quattromila tedeschi comandati dal generale Wachtendonch, il quale si unì ai diecimila uomini del Doria. Contro un esercito regolare così numeroso e ben armato si sarebbe certamente infranto l'impeto dei Corsi se questi avessero accettato battaglia campale; ma gl'insorti accortamente frazionarono le loro forze, costringendo i nemici a subire una guerriglia a base di improvvisi agguati e di sorprese che cagionarono non poche disfatte e numerose perdite ai Genovesi e ai Tedeschi. Nonostante l'ardita resistenza dei Corsi, questa situazione non poteva durare a lungo; venne perciò volentieri accolta la mediazione dell'imperatore e l'11 maggio del 1732 fu conclusa la pace tra la repubblica e gli insorti alle seguenti condizioni: i Corsi non dovevano pagare alcune indennità di guerra; Genova prometteva di non ostacolare la nomina di vescovi di nazionalità corsa; si sarebbe istituito nell'isola un ordine di nobiltà con tutte le prerogative di quella ligure; sarebbe stato ammesso presso il senato genovese un oratore per patrocinare gli interessi degli isolani; sarebbe stata data facoltà ai Corsi di essere ammessi agli uffici governativi; sarebbero stati eletti ogni tre anni dei magistrati che dovevano promuovere le arti e il commercio e, infine, Genova avrebbe concorso nel promuovere la pubblica istruzione nella Corsica. Un mese circa dopo, i soldati imperiali lasciavano l'isola. Ma per la slealtà del governo genovese che violò i patti, la pace durò poco e all'inizio del 1735 la guerra si riaccese. In un'assemblea che fu tenuta a Corte, fu proclamata l'indipendenza della Corsica, la quale fu messa sotto l'alta protezione della Vergine, fu stabilito di bruciare pubblicamente le leggi e gli statuti genovesi perché non rimanesse traccia del passato governo, di condannare alla pena capitale chiunque avesse proposto di venire ad accordi con Genova, di confiscare tutti i beni che i Genovesi possedevano nell'isola. Poi furono proclamati primati del regno di Corsica con il titolo d'Altezza reale LUIGI GIAFFERRI, GIACINTO PAOLI ed ANDREA CECCALDI e ai primi due fu affidato il comando di tutte le forze armate della nazione; infine si stabilì che vi fosse una dieta generale detta Serenissima di rappresentanti di ogni città e villaggio con facoltà di decidere su tutti gli affari, da convocarsi dietro ordine dei primati; che per fare eseguire le leggi e nominare i magistrati e gli ufficiali civili e militari si creasse una giunta di sei membri, che doveva durare in carica tre mesi, e che un magistrato soprintendesse agli affari della guerra, uno all'abbondanza, uno ai comuni, uno alle monete, uno alla giustizia criminale con la facoltà di sottoporre a processo e di condannare i traditori della patria. Gli avvenimenti della Corsica destarono un interesse vivissimo nella penisola, che manifestò la sua simpatia per i fieri e sventurati isolani, esaltandone gli eroi, attendendo ansiosamente le notizie e mandando navi con viveri e con munizioni per alimentare la rivolta. Ma queste navi difficilmente potevano approdare alle coste corse vigilate attentamente dai vascelli genovesi, e gli insorti non tardarono a trovarsi in una situazione insostenibile, privi com'erano di vettovaglie e di armi. Si tentò ancora una volta di scendere ad accordi con Genova, ma le condizioni imposte dalla repubblica furono così gravi che sdegnosamente vennero rigettate e la guerra continuò. Stavano a questo punto le cose quando il 12 marzo del 1736, fece la comparsa nell'isola uno strano tipo di avventuriero. Era costui un nobile alemanno, nato forse a Metz intorno al 1692 e si chiamava TEODORO di NEUHOFF. Mortogli il padre, era stato paggio della duchessa d'Orléans, aveva servito come luogotenente nel reggimento d'Alzazia, era stato al servizio dell'Elettore di Baviera ed aveva combattuto sotto Eugenio di Savoia contro i Turchi; rifugiatosi in Svezia per un duello avuto con un suo superiore, aveva lavorato con l'Alberoni e col Ministro Gortz per rimettere sul trono d'Inghilterra lo Stuart, poi era passato in Spagna e quindi in Francia; aveva peregrinato per l'Europa, era stato fatto prigioniero dei barbareschi, aveva sposato la figlia di un lord e, arraffatagli la dote, se n'era andato in Olanda. A Livorno aveva conosciuto alcuni Corsi fuorusciti e per mezzo di loro si era accordato con i capi dell'isola promettendo di portare aiuti alla Corsica a condizione che lo proclamassero sovrano. Era questa l'ultima e più grande avventura del NEUHOFF. Sbarcò sulla spiaggia d'Aleria con mezza dozzina di compagni, dieci cannoni, quattromila fucili, vettovaglie e denari; i capi del paese gli andarono incontro e un mese dopo, il 15 aprile, un'assemblea riunita ad Alessani lo proclamò re col nome di TEODORO I. Dalla medesima assemblea fu poi approvata la nuova costituzione del regno. La monarchia doveva essere ereditaria; il re doveva esser cattolico e risiedere nell'isola; spentasi la discendenza di Teodoro, i Corsi potevano scegliersi un altro sovrano o darsi la forma di governo che a loro piaceva; nel regno doveva esservi una dieta di ventiquattro membri, tre dei quali dovevano risiedere alla corte con facoltà di dare o negare al sovrano l'assenso nelle risoluzioni riguardanti la guerra, la pace, le imposizioni e le gabelle; ogni carica e dignità spettava ai Corsi; e sempre Corsi dovevano essere i soldati, eccettuata la guardia reale che poteva esser composta di forestieri purché non Genovesi, dei quali nessuno poteva risiedere nell'isola; i diritti municipali non dovevano esser toccati, infine doveva esser fondata un'università e formato un ordine di nobiltà. Alla carica di gran cancelliere fu assunto l'avvocato SEBASTIANO COSTA, a quella di gran tesoriere il generale GIACINTO PAOLI, a quella di maresciallo LUIGI GIAFFERRI. Per appagare le ambizioni, Teodoro I creò numerosi conti, marchesi e baroni e istituì l'ordine cavalleresco della Liberazione, che in due mesi riuscì a contare quasi quattrocento membri, ciascuno dei quali aveva pagato mille scudi per l'entrata. Ad organizzare l'esercito ci pensò il nuovo re e in breve tempo ebbe sotto di sé trentamila uomini, di cui quattromila e quattrocento costituivano ventiquattro compagnie di milizia regolare. Né solo a questo si limitò l'attività del sovrano: istituì fabbriche di armi e di stoffe, fece batter monete con il motto "pro bono et libertate" sulla faccia posteriore e uno scudo cinte d'alloro sormontato da una corona con le cifre T. R. sull'anteriore; scrisse sulla bandiera nazionale che era verde e gialla, il motto in te "Domine speravi", e quando Genova inviò truppe contro di lui, Teodoro alla testa delle sue milizie le affrontò e più volte le sconfisse. Fin dal suo sbarco in Corsica, Teodoro di Neuhoff aveva detto agli isolani di avere avuto dall'Austria, dalla Spagna, dall'Inghilterra, dalla Turchia e dal bey di Tunisi promesse di aiuti di uomini e di denaro, ma questi che erano solo parto della fantasia dell'avventuriero, non venivano mai e intanto cominciavano a mancare i denari, né bastavano le armi per sostenere la guerra contro Genova. Per alcuni mesi Teodoro riuscì a far credere agl'isolani che gli aiuti sarebbero venuti, ma quando si accorse che i sudditi cominciavano a diffidar di lui, e convinto che prima o poi gli si sarebbero rivoltati, riunì il parlamento e dichiarò che se fra due mesi non fossero giunti gli aiuti o avrebbe abdicato o si sarebbe recato nel continente per sollecitarli. Essendo trascorso il termine stabilito, nominò una reggenza presieduta dal Giafferri, dal Paoli e da Luca, Ornani e l'11 settembre del 1736, accompagnato dal Costa, partì da Aleria per Livorno. I Corsi, non credendo nel successo del viaggio di Neuhoff, chiesero a Genova la pace, ma i tentativi di ottenerla a buoni patti fallirono e la guerra continuò. Genova assoldò tre reggimenti svizzeri con i quali rafforzò le guarnigioni delle fortezze che ancora le rimanevano, prelevò dal banco di San Giorgio mezzo milione di scudi per le spese di guerra, strinse il blocco navale intorno all'isola, mise una taglia sul capo di Teodoro e dei principali suoi collaboratori e nel febbraio del 1737 mandò a Bastia il senatore MARI con altre truppe. Nonostante gli sforzi fatti dalla repubblica per uscire vittoriosa dalla guerra, i Corsi non accennavano a cedere, anzi prendevano nuovo vigore, incitati alla resistenza dal re Teodoro, il quale era riuscito a far pervenire alle coste dell'isola quattro navi cariche di munizioni e di viveri. Convinti i Genovesi che da soli non sarebbero riusciti a domare i ribelli, si rivolsero alla Francia e il 12 luglio del 1737 stipularono con i francesi una convenzione con la quale Luigi XV, assicurando di rispettare la sovranità della repubblica sull'isola, si obbligava di mandare in Corsica, dietro compenso di settecentomila genovine, tremila soldati e, se questi non bastavano, altri cinquemila uomini pei quali di genovine ne avrebbe ricevute altre duecentomila. Il 1° febbraio del 1738 salparono da Antibo cinque reggimenti francesi con dodici cannoni da montagna e una gran quantità di munizioni. Li comandava il conte di BOISSIEUX, il quale, appena giunto nell'isola, fece sapere ai ribelli di essere animato dall'intenzione di conciliar la Corsica con Genova; ma il suo contegno non valse a piegare i Corsi; questi anzi si mostrarono maggiormente risoluti a continuare la guerra quando seppero che Teodoro stana per giungere con rinforzi di uomini, di armi e di munizioni. Il re giunse ad Aleria il 14 settembre del 1738. Aveva con sé ventiquattro cannoni, tre colubrine, seimila fucili, milletrecentottanta moschetti, quattromila pistole, duemila baionette, duemila granate, polvere, piombo, ferro, pietre focaie, uniformi, scarpe, tamburi, trombe, bandiere. Il popolo salutò la venuta del sovrano con grandi dimostrazioni di gioia, i capi dell'isola però si mostrarono freddi e del loro contegno approfittò il Boissieug per intimare ai Corsi di consegnare il Neuhoff entro una settimana. Teodoro, vedendo che i capi non lo sostenevano più e temendo di esser catturato dai Francesi, si allontanò dall'isola e dal 1739 al 1743 andò peregrinando per l'Europa per raccogliere soccorsi con i quali ritornare in Corsica, mentre i ribelli, vinti più volte dal Maillebois, successo al Boissieug, facevano atto di sottomissione, indotti, oltre che dagli insuccessi militari, anche dal contegno del generale francese che si era mostrato giusto e leale. Scoppiata la guerra per la successione austriaca, la Francia richiamò le truppe dall'isola credendola pacificata. Invece i Corsi per insorgere non aspettavano che la partenza dei Francesi e, grande fu il loro entusiasmo quando Teodoro fece ritorno. Ancora una volta egli cominciò a promettere che sarebbero giunte navi inglesi con truppe, e con queste promesse tenne desto per un certo tempo, l'entusiasmo, ma poiché anche questa volta gli aiuti non giungevano, gli isolani si raffreddarono e il Neuhoff, abbandonata la Corsica, ritornò nel continente e vivendo di stenti finì i suoi giorni a Londra l'11 dicembre del 1756. LA CORSICA E LA CASA SAVOIA - PASQUALE PAOLI GENOVA CEDE L'ISOLA ALLA FRANCIA BATTAGLIA DI PONTENUOVO ED ESILIO DEL PAOLI Perduta la speranza di una monarchia nazionale, i Corsi si rivolsero a CARLO EMANUELE III. Non era la prima volta che pensavano di offrire l'isola alla Casa Savoia: nel 1714 invano un certo un Paolo Domenico Pozzi e un Francesco Parato si erano rivolti a Vittorio Amedeo II; nel 1722 l'offerta era stata rinnovata al medesimo con il patto che giurasse di non cedere mai la Corsica, "… sotto il Dominio di Genova, né per aggiustamento di pace né per dono di denaro o sia per vendita neppure ad altri stati, fortezze o altre esibizioni, né in qualunque altra forma di negozio "; ma Vittorio Amedeo l'offerta l'aveva respinta. Salito sul trono Carlo Emanuele III, i Corsi si rivolsero a lui, il quale prima non volle accettare le proposte fattegli, poi, saputo che Genova si era messa sotto la protezione della Francia ed essendogli stata rinnovata nel luglio del 1745 l'offerta, con il consenso dell'Austria e dell'Inghilterra, nell'ottobre dello stesso anno mandò nell'isola un corpo di truppe capitanato dal conte DOMENICO RIVAROLA. La spedizione non fu coronata dal successo, ma non per la sconfitta Carlo Emanuele III abbandonò il proposito d'impadronirsi dell'isola. II 29 febbraio del 1748 stipulò una convenzione con l'Austria con la quale le corti di Torino e di Vienna si obbligavano ciascuna di destinare tremila zecchini, un battaglione di cinquecento soldati e parecchi cannoni per l'impresa, e tre mesi dopo, una nuova spedizione, comandata dal brigadiere cavalier di CUMIANA, salpava dal porto di Savona. Ma neppure questa volta l'isola riuscì a rimuovere il giogo dei Genovesi. Si erano iniziate le trattative che dovevano portare alla pace di Aquisgrana e Carlo Emanuele III aveva promesso agli isolani di fare inserire nel trattato un articolo a loro favore; ma al momento di parlarne i Corsi furono dimenticati: Genova rientrò in possesso di tutti i suoi domini, e il 17 novembre il Cumiana abbandonava la Corsica, dove rimaneva il Coursay con un corpo di truppe francesi per consegnar l'isola ai Genovesi. I Corsi non si rassegnarono alla loro sorte e ripresero le armi acclamando loro generale il patriota GIAMPIERO GAFFORI. Per merito di quest'uomo valoroso, le cose dei Genovesi e dei Francesi presero una brutta piega e la causa dei ribelli stava per trionfare, quando venne a mancare improvvisamente il Gaffori, che il 3 ottobre del 1753 fu assassinato. L'isola era stremata dalla lunga guerra e dai partiti che dividevano in due campi i ribelli, tuttavia incrollabile era il proposito di acquistare la libertà e con gran tenacia e coraggio, i Corsi si batterono contro i loro oppressori. Ad accrescere quest'entusiasmo giunse, un anno e mezzo dopo l'assassinio del Gaffori, colui che nell'isola doveva essere l'eroe più grande dell'indipendenza corsa. Si chiamava PASQUALE PAOLI ed era figlio di quel Giacinto accennato più sopra. Il 10 luglio del 1739, all'età di quattordici anni, in compagnia del padre, di Luigi Giafferri e di molti altri esuli, da Padulella era andato a Napoli e qui era rimasto per oltre quindici anni, pensando sempre alla liberazione della sua patria. II 29 aprile del 1755, invitato dagli isolani, Pasquale Paoli sbarcò a Porraggia, alla foce del Golo, e il 15 luglio del medesimo anno da un'assemblea di maggiorenti riunita nel convento di Casabianca fu nominato generale delle armi della nazione corsa. Anzitutto il Paoli dovette lottare contro il partito dei feudatari capitanato da Mario Emanuele Matra, poi, quando questa fazione fu debellata con la morte del suo capo, riuscì a dedicarsi interamente alla rigenerazione ed all'organizzazione del paese. ""…E veramente - scrive il Callegari - la sua opera di redenzione produceva i suoi frutti, perché le finanze e le amministrazioni erano ordinate; fiorivano l'agricoltura e le arti; l'isola purgata dagli odi domestici, era difesa da un buon esercito e da una sufficiente marina. Fu promulgata una costituzione, per la quale tutti i cittadini a venticinque anni potevano prender parte all'adunanza generale, che aveva il compito di fissare le imposte, decidere della pace e della guerra, nominare il Consiglio Supremo, rappresentante le nove province dell'isola, che compiva gli atti d'ordinaria autorità, convocava l'adunanza generale, vegliava alla sicurezza del paese e manteneva le relazioni estere… "". " In quanto all'ordinamento giudiziario, era riservato ai podestà il diritto di giudicare fino al valore di dieci lire, e al tribunale della provincia per somme superiori, alle trenta; contro le loro sentenze si poteva ricorrere alla "rota civile", supremo tribunale composto di tre dottori di diritto nominati a vita". " Tutti i Corsi erano dichiarati soggetti alle armi dai sedici ai vent'anni e si riunivano in compagnie; l'intera milizia si distingueva in tre bandi, ognuno dei quali durava quindici giorni; i soldati, che vegliavano sulle fortezze, ricevevano un soldo annuale, gli altri solo per quel tempo, che stavano in campo. Per sopperire a tutte le spese dello Stato s'era istituita l'imposta annua di due lire per famiglia, oltre ai diritti, che esso si riservava del sale, della pesca, dei coralli ed altre imposte indirette. Non trascurò il Paoli la cultura del suo popolo, e nel gennaio del 1761 fu aperta un'università in Corte, nella quale non potevano insegnare che professori corsi ". " Alla fine di ogni corso di studi si teneva un esame solenne dinanzi ai membri della generale adunanza e delle reggenze; l'aspetto dei più nobili cittadini accresceva il biasimo come la lode; alla presenza loro la gioventù si vedeva considerata come la giovane cittadinanza, chiamata presto o tardi all'opera della liberazione del proprio paese ". Nel febbraio del 1767 Pasquale Paoli ordinò la conquista dell'isola di Capraia, dando il comando dell'impresa ad ACHILLE MURATTI. Questi con duecento uomini e due cannoni sbarcò nell'isola, penetrò nel capoluogo e costrinse BERNARDO OTTONE, che comandava il presidio genovese, a chiudersi nel castello e quindi a capitolare prima che giungessero aiuti da Genova. La perdita di Capraia e la difficoltà di sottomettere i ribelli indussero la repubblica genovese a concludere quell' ignobile trattato che doveva strappare all'Italia la nobile Corsica e darla per danaro alla Francia. Nel 1764 (7 agosto) veniva stipulata a Compiègne una convenzione con la quale si era stabilito che le piazze di Bastia, San Fiorenzo, Calir, Algaiola, Ajaccio e Bonifacio dovessero esser presidiate, oltre che dai Genovesi, da tremila francesi comandati dal generale Marboeuf. Il termine della convenzione scadeva nel 1768, epoca in cui le truppe francesi avrebbero dovuto lasciar l'isola. Il 15 maggio di quest'anno tra il duca di Choiseul ed Agostino Paolo Domenico Sorba, plenipotenziario Genovese, si stipulò un trattato a Versailles con il quale la Corsica veniva venduta alla Francia. La notizia di quel mercato fu accolta con grandissimo sdegno dai fieri abitanti della Corsica. Fu tenuta a Corte un'assemblea, nella quale venne deciso, di lottare con ogni sforzo per non cadere nelle mani della Francia; campi di osservazione furono messi davanti a San Fiorenzo, Calir, Bastia ed Ajaccio; venne armata la piccola flotta e tutti i cittadini abili furono chiamati sotto le bandiere della libertà. La Francia impiegò tutti i mezzi per sottomettere l'isola: promise che il re per molti anni non avrebbe imposto ai nuovi sudditi alcun tributo, mandò nuove e numerose truppe al comando del marchese di Chauvelin, tentò di vincere la resistenza degli isolani con promesse di onori e d'impieghi e profondendo a piene mani il denaro; ma i suoi sforzi non riuscirono a domare i Corsi che si battevano come dei leoni e si sentivano animati verso i Francesi dallo stesso odio che prima avevano nutrito per i Genovesi. Pur di fiaccare la resistenza, la Francia non disdegnò di ricorrere al tradimento. Un certo Matteo Maffesi, istigato dal Chauvelin, si impegnò di consegnar vivo o morto Pasquale Paoli nelle mani dei Francesi; e l'infame disegno sarebbe indubbiamente riuscito se un onesto ufficiale francese, rimasto prigioniero dei Corsi l'8 ottobre del 1768, il cavaliere di Ludre, colonnello della Legione Reale, non avesse avvertito il Paoli, il quale riuscì a sfuggire all'ignobile trama ordita contro di lui. La Francia allora mandò altre truppe comandate dal generale de Vaux, ma i Corsi non si sgomentarono e in un'assemblea tenuta a Casinea decisero di lottare fino all'ultimo sangue, chiamarono alle armi, tutti gli uomini validi e stabilirono che le famiglie povere venissero mantenute a spese dello stato. Purtroppo però le forze di cui i Corsi potevano disporre non erano pari alla loro fierezza, al loro valore ed alla loro tenacia. Il Paoli non aveva sotto di sé che otto o novemila uomini male armati, mentre i Francesi avevano cannoni, munizioni in abbondanza, viveri a profusione e circa cinquantamila soldati. In un combattimento avvenuto a S. Giacomo i Corsi ebbero la peggio, in un'altra battaglia combattuta il 9 maggio del 1769 a Pontenuovo fra trentamila Francesi e ottomila Corsi, questi ultimi, nonostante il grande valore spiegato, furono sconfitti. Pontenuovo fu la tomba della libertà corsa. Ogni resistenza era oramai inutile; le terre, una dopo l'altra, caddero in potere degli oppressori e Pasquale Paoli, sciolte le poche milizie che ancora gli rimanevano, prese la via dell'esilio, imbarcandosi a Portovecchio il 13 giugno del 1769. Per la stessa via dell'esilio, sopra una nave inglese, partivano anche settecento Corsi, fra cui degni d'essere ricordati sono CLEMENTE PAOLI, fratello del generale, GIANCARLO GIAFFERRI, GIULIO SERPENTINI, PIETRO COLLE, FRANCESCO PIETRI, GIACOMO FILIPPO GAFFORI, CARLO RAFFAELLI e FRANCESCO PORTIGIANI. Il sogno indipendentista degli isolani era infranto. Era il giorno - ripetiamo- 9 maggio del 1769. Fra questi partigiani desiderosi di libertà che lottavano sulle montagne fra i boschi e i sassi, c'è anche un giovane irrequieto partigiano, CARLO BUONAPARTE, aiutante di Paoli, seguito da sua moglie LETIZIA RAMORINO (sposati nel 1764 - 18 anni lui, 14 anni lei); nessuno immagina lontanamente che questa donna porta in grembo da sei mesi il futuro imperatore che andrà a sconvolgere già a poco più di vent'anni, l'Europa. Infatti tre mesi dopo, il 15 agosto, Letizia darà alla luce un bambino, che viene chiamato NAPOLIONE BUONAPARTE (questo il nome originario). Pasquale Paoli, esiliato tornerà sull'Isola dopo la Rivoluzione francese. Ma si scontrò con la Convenzione. Sperando di ottenere qualcosa da altre potenze, favorì l'occupazione degli inglesi che crearono una costituzione che prevedeva l'unione della Corsica alla Gran Bretagna. Paoli fu però deluso per non aver ricevuto dagli inglesi la nomina a vicerè. Aveva sempre sperato e lottato tutta la vita per questa sua ambizione. Si ritirò nuovamente a Londra dove morì nel 1807. Per le vicende invece di Carlo Buonaparte, e del famoso figlio, vedi la biografia di Napoleone, nei Personaggi, o nei relativi anni, con i rimandi.

Cronica di A Corsica

Personaggi storici della Corsica: i Giustiniani

Su questo sito, molto dettagliato storicamente, dedicato alla Corsica, ho estratto tutti i Giustiniani che in qualche modo hanno avuto a che fare con la Corsica che ricordo esser stata dominio dei Genovesi per più di sei secoli. Le prime testimonianze di Genovesi sul suolo Corso sono datate 1132.

Il testo è in parte in lingua Francese tratto da: Cronica di A Corsica di Orsu Ghjuvanni Caporossi

GIUSTINIANI Antonio: (seizième siècle) Génois. En 1563, il est le secrétaire du Lieutenant du Dilà, Geronimo Giustiniani.
GIUSTINIANI Baldassare: (dix-septième siècle) Génois. En 1631, commissaire syndicateur, il est indigné que les notables corses ne se déplacent que suivis de cortèges armés, signe de leurs puissances et de leurs divisions. Il en fait rapport à Gênes.
GIUSTINIANI Bartolomeo: (seizième siècle) Génois. En 1501, il est gouverneur de la Corse à la suite de Cristoforo Centurione. Il est remplacé en 1502 par Domenico Lercari.
GIUSTINIANI Bonifazio: (seizième siècle) Génois. Frère de Leonardo. En 1556, il fait régner l'ordre en Casinca contre le Corse Altobellu de Gentile. Il le blesse grièvement dans une embuscade tendue près de La Canonica.
GIUSTINIANI Carlo Fabrizio: (1656-1683) Génois. Evêque de Mariana Accia de 1656 à 1683. Il succède à Giovanni Augustino Marliani. Auteur des Constituzioni, véritable charte de morale religieuse de l'Eglise Corse. En 1651, à Bastia, il est à l'origine de la fondation de l'Accademia dei Vagabondi. En 1657, il tient son premier synode dans son nouveau diocèse. En 1664, il publie Constituzioni e Decreti Sinodadi fatti e publiati nel primo Sinodo diocesano, un compte rendu de son premier synode. En 1677, à Lavasina, il inaugure le sanctuaire de Nostra Signora di Lavasina. Il décède en 1683. Son mausolée est construit à Lavasina.
GIUSTINIANI Cosimo Damiano: (seizième siècle) Génois. En 1530, il est gouverneur de la Corse à la suite de Sebastiano Doria. Il est remplacé en 1531 par Piergiovanni de Salvago.
GIUSTINIANI Dezio: (mort en 1642) Génois. Evêque d'Aleria de 1612 à 1642, en remplacement de Giovanni Francesco Morta.
GIUSTINIANI Domenico: (dix-huitième siècle) Génois. Commissaire du Dilà. En Février 1753, à la Cunsulta di Sari d’Urcinu, le Celavu, la Cinarca, Vicu, Cavru et Bastergà se soumettent à son autorité.
GIUSTINIANI Fabianu: (1578-1627) Né à Aiacciu. Evêque d'Aiacciu de 1616 à 1627, en remplacement de Giulio Giustiniani, décédé. Il est l’auteur d’ouvrages latins en théologie. En 1620, il effectue une visite apostolique de l’Ile. En 1621, il écrit Tobias Explanationibus Historicis.
GIUSTINIANI Francesco: (seizième siècle) Génois. En 1507, il est gouverneur de la Corse. Il succède à Ambroggio de Salvago. Il est remplacé en 1508 par Emmanuelle de Grimaldi.
GIUSTINIANI Francesco Maria: (dix-septième siècle) Génois. En 1639, il est nommé commissaire à l’agriculture en Corse. Il a pour mission de faire greffer oliviers et châtaigniers, de défricher le maquis et de la mettre en culture.
GIUSTINIANI Geronimo: (seizième siècle) Génois. En 1562, il est commissaire d’Aiacciu. Il pousse à l’exil le Corse Bartolomeu di Vivariu. En 1563, il est nommé lieutenant du Dilà.
GIUSTINIANI Giulio: (1543-1616) Evêque d'Aiacciu de 1587 à 1616. En 1593, il consacre l'église San Francescu du couvent de Santa Lucia di Tallà. En 1615, à Aiacciu, il consacre l’oratoire de San Filippu Neri é du Buon Jesù. En 1616, jugé trop proche des Corses, il est embarqué de force par les Génois. Il meurt à Livourne, d’un cancer du rein. Sa dépouille est inhumée dans la cathédrale d’Aiacciu, en 1621.


Cattedrale di Ajaccio, tomba di Giulio Giustiniani, calice, Giulio Giustiniani



GIUSTINIANI, Giulio (sito biografia degli Italiani Treccani) - Nacque nel 1539, o, più probabilmente, nel 1543, a Chio, da Pietro e da Maria Giustiniani. I genitori appartenevano a due diversi rami della famiglia Giustiniani di Genova.
Oltre a esercitare la signoria dell'isola greca, la famiglia godeva di un ruolo preminente nella vita politica genovese. Lo zio paterno, Ansaldo, svolse incarichi diplomatici al servizio della Repubblica. La madre, inoltre, era sorella del cardinale Vincenzo Giustiniani e zia di un altro cardinale, Benedetto.
Trascorsa la giovinezza a Chio, Giulio desiderava recarsi in Italia per completare gli studi, come già avevano fatto i fratelli maggiori: Baldassarre, poi vescovo di Venosa; Orazio, cavaliere gerosolimitano; Marco Aurelio e Pompeo. Il suo progetto, tuttavia, fu impedito dalla drammatica fine della signoria dei Giustiniani: nel 1566 il sultano Sulaimān I, prendendo a pretesto alcuni ritardi nel pagamento del tributo dovuto alla Sublime Porta, occupò l'isola e fece deportare a Costantinopoli i Giustiniani. Nella capitale ottomana la famiglia venne divisa: Giulio e i membri anziani furono relegati in Crimea, a Caffa (Feodosija), mentre i fratelli minori Scipione, Cornelio, Ercole e Ippolito rimasero a corte e furono uccisi per essersi rifiutati di abiurare la fede cristiana e di entrare al servizio del sultano.
Dopo quattro anni di relegazione, il re di Francia Carlo IX ottenne dal sultano Selīm II la liberazione dei Giustiniani e la restituzione dei loro beni privati, ma non della signoria di Chio. Giulio decise a questo punto di abbandonare per sempre l'isola e partì per l'Italia insieme con il padre, che probabilmente intendeva recarsi a Genova. L'improvvisa morte del genitore indusse Giulio ad affidarsi alla protezione dello zio Vincenzo, che lo incoraggiò a proseguire gli studi, prima a Perugia e poi a Pisa. Conseguita la laurea in utroque iure nel 1572, ricevette da Gregorio XIII alcuni benefici ecclesiastici, ma non riuscì a ottenere alcuna carica. Perciò, all'inizio degli anni Ottanta, si ritirò presso il fratello Baldassarre, vescovo di Venosa. Il 28 sett. 1587, piuttosto inaspettatamente, Sisto V lo nominò vescovo di Ajaccio, su istanza del cugino, il cardinale Benedetto Giustiniani. Ricevuti gli ordini da Angelo Giustiniani, vescovo di Bovino, Giulio partì immediatamente per la sua diocesi, che raggiunse nel 1588.
Ad Ajaccio il nuovo vescovo trovò una situazione di povertà e disordine, a causa delle distruzioni provocate dalla rivolta di Sampiero Corso (Sampiero da Bastelica: 1684) e della vacanza seguita alla morte del vescovo Cristoforo Guidiccioni (1582). La stessa cattedrale, trasformata in fortificazione nei decenni precedenti, non era stata ricostruita, nonostante l'impegno profuso dal commissario apostolico Giuseppe Mascardi. Nel suo lungo episcopato Giulio affrontò con energia i gravi problemi della diocesi, dando prova di un ethos pienamente controriformistico, che coniugava un rigido ascetismo a un notevole dinamismo nel governo pastorale. Oltre a praticare numerose opere di pietà, Giulio riorganizzò le strutture religiose della diocesi: la cattedrale fu ricostruita, il capitolo del duomo fu accresciuto di cinque canonici, ai quali furono assegnati i redditi della mensa vescovile, fu rafforzata la presenza di predicatori francescani e gesuiti. Non ebbe invece alcun esito l'ambizioso progetto di costruire ad Ajaccio un seminario e un collegio dei gesuiti.
Nel suo sforzo di applicare le normative tridentine Giulio assunse un atteggiamento di rigida difesa delle immunità ecclesiastiche, che condusse a continui contrasti giurisdizionali con i poteri civili. Già nel 1592 un lungo memoriale del governatore di Corsica denunciava l'uso eccessivo delle censure ecclesiastiche, l'abusivo ampliamento dell'immunità locale, lo scarso rispetto per i commissari genovesi. Le tensioni giurisdizionali, peraltro, non traevano origine solo dal carattere spigoloso del vescovo, ma erano piuttosto la conseguenza della tradizionale renitenza del clero di Corsica a sottomettersi all'autorità civile e del ruolo politico che Giulio aveva finito per assumere.
Nonostante i frequenti contrasti, i rapporti tra Giulio e le autorità genovesi non sfociarono in aperto conflitto fino al 1614-15, quando la situazione precipitò improvvisamente. La causa scatenante del contrasto fu il rifiuto degli abitanti di alcune pievi di versare le "taglie" (tributi feudali) ai feudatari di Bozi e Ornano. Il commissario genovese Giorgio Centurione cercò di favorire un accordo amichevole, temendo una recrudescenza della violenza endemica che caratterizzava la zona, e convinse i rappresentanti delle pievi ad accettare una concordia che alleggeriva in maniera consistente il tributo. La sentenza di concordia, però, incontrò una fortissima opposizione e si verificarono atti di ribellione contro i feudatari e il governo genovese, capeggiati da alcuni esponenti del clero. Le fonti non chiariscono in maniera esauriente quale sia stato il ruolo del vescovo in questa difficile situazione, ma è certo che Giulio, pur non appoggiando apertamente i rivoltosi, prese più volte posizione contro le pretese dei feudatari e protesse i preti implicati nelle sommosse, tra i quali vi era anche il suo ex vicario, G.B. Roccaserra, uomo di dubbia moralità, già condannato per concubinaggio.
Di fronte al rischio di un allargamento della rivolta, la Repubblica di Genova prese provvedimenti drastici: ordinò l'arresto del Roccaserra, che fu immediatamente trasferito a Roma e consegnato all'autorità ecclesiastica, e inviò al papa un ambasciatore straordinario, Manfredo Ravaschieri, con il compito di chiedere l'allontanamento del vescovo di Ajaccio. Le trattative tra la Repubblica e la Curia proseguirono, con alterne vicende, per tutta l'estate del 1615 e furono ostacolate dagli interventi del cardinale Benedetto Giustiniani, che intendeva assolutamente evitare la rimozione del cugino, e dalla scarsa disponibilità di Paolo V ad accettare le richieste genovesi. Ma nell'agosto 1615 l'uccisione di alcuni feudatari e delle loro famiglie da parte dei ribelli indusse il papa ad abbandonare gli indugi e a rimuovere Giulio dalla sede di Ajaccio.
In tutta la vicenda l'ormai anziano vescovo assunse un atteggiamento di resistenza passiva, negando di aver protetto i responsabili delle sommosse e rifiutando di abbandonare la diocesi, ma la sua posizione divenne progressivamente insostenibile, anche perché il cardinal Giustiniani rifiutò di appoggiarlo ulteriormente. All'inizio del 1616 Giulio dovette perciò piegarsi a un ordine esplicito del papa, che gli ingiungeva di recarsi immediatamente a Roma.
Lasciata Ajaccio, Giulio giunse a Livorno, ma improvvisamente si ammalò e morì, il 18 apr. 1616.
Dopo la morte, Giulio fu oggetto di un certo culto popolare, alimentato anche dai prelati di casa Giustiniani che gli successero nel vescovato. Nel 1620 il suo corpo fu solennemente traslato da Livorno ad Ajaccio e sepolto nella cattedrale.
Fonti e Bibl.: C.F. Giustiniani, Vita di monsignor G. G. vescovo di Ajaccio, Roma 1667; A. Lucci, I riflessi sopra la vita e costumi del servo di Dio mons. G. G., Roma 1667; I. Rinieri, I vescovi della Corsica, Livorno 1934, ad indicem (con notevoli imprecisioni); V. Vitale, Un'ambasceria genovese a Roma e il clero di Corsica (1615), in Arch. stor. di Corsica, X (1934), pp. 1-53; K. Jaitner, Il nepotismo di papa Clemente VIII (1592-1605): il dramma del cardinale Cinzio Aldobrandini, in Arch. stor. italiano, CXLVI (1988), p. 77; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, III, Vene-tiis 1718, coll. 497-499; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 94.

GIUSTINIANI Leonardo, dit Grechetto: (seizième siècle) Génois. En 1555, il est sous les ordres de Giovanni Andrea Doria. Il commande une des deux compagnies destinées à Calvi. Il est le sergent major, avec huit cents hommes, de Calvi, assiégée par les troupes royales françaises de Giordano Orsini. Il remplace le commissaire Nicolo Pallavicini, rappelé à Gênes. En 1556, à son tour, il est rappelé à Gênes, et remplacé par Cristoforo de Negri.
GIUSTINIANI Marco Antonio: (dix-septième siècle) Génois. En 1599, gouverneur de la Corse, il succède à Carlo Pallavicini. Il est remplacé, en 1601, par Nicolo Fieschi. En 1602, il est à nouveau gouverneur, remplacé, en 1603, par Avelino Lercaro.
GIUSTINIANI Nicolo: (quinzième siècle) Magistrat génois. En 1433, il fait partie du Conseil des Huit Magistrats de Gênes, qui juge et condamne à mort Vincentellu d’Istria.
GGIUSTINIANI Pantaleone, dit GIUSTINIANI Agostino: (1470-1536) Génois. Auteur d’une Bible polyglotte, de travaux sur les textes sacrés, et de Dialogo Nominato Corsica, dans lequel il fait une description très détaillée de la Corse. En 1488, il entre chez les Dominicains du couvent Saint Apollinaire, près de Pavie. En 1512, il est admis à l’université de Bologne comme bachelier de cours. En 1514, il est évêque du Nebbiu, où il remplace Battista Saluni, décédé. En 1515, il participe au cinquième Concile de Latran, en tant qu’évêque du Nebbiu. En 1518, il est titulaire de la chaire de langues orientales au Collège de France à Paris. En 1522, il rejoint son diocèse du Nebbiu. Dans son Dialogo nominato Corsica, il estime la population de l'Ile à trente mille feux, soit à cent vingt mille habitants. Il écrit également que la vallée de Siscu est un centre important du travail des métaux (forgerons, armuriers, orfèvres, etc.). Il décrit la Corse ainsi: six évêchés, soixante six pièves (quarante cinq dans le Diquà, vingt et une dans le Dilà), très inégalement réparties par diocèse (ou évêché): dix neuf à Aleria, seize à Mariana, douze à Aiacciu, douze à Sagone, cinq dans le Nebbiu, et deux à Accia. Le Dilà dei Monti comporte huit mille feux (trente cinq mille habitants environ), le Diquà dei Monti, vingt deux mille feux (quatre vingt dix mille habitants). En 1531, il quitte la Corse pour Gênes. Il revient en Corse en 1532, puis rentre définitivement à Gênes. Il meurt en 1536, lors d’un naufrage qu’il fera en se rendant une ultime fois sur l’Ile.
GIUSTINIANI Pier Maria, dit L’Anticurzio: (dix-huitième siècle) Génois. Evêque de Sagone de 1721 à 1741. Il remplace Giovanni Battista Costa. En 1727, il interdit le droit aux prêtres de porter une lance. La même année, il adresse à ses piévans une sorte de mandement annonçant sa prochaine tournée épiscopale. Pour préparer cette visite, il leur communique un questionnaire concernant les m½urs de ses paroissiens. En 1730, il adresse un nouveau questionnaire à ses piévans. En Août 1734, alarmée par une intervention possible de l’Espagne en Corse, Gênes rappelle le gouverneur Pallavicini, et lui demande de le remplacer, en tant que commissaire général, tout en restant évêque de Sagone. Il se proclame comme un conciliateur. Il invite tous les notables corses à se présenter devant lui pour exprimer leurs doléances, et pour accorder un pardon général à ceux qui feront leur soumission. En Octobre, il reçoit Ghjuvan Petru Gaffori envoyé auprès de lui comme député de la Nazione. Son action, toute de négociations, de concessions et d’arrangements, commence à faire son effet: des querelles surgissent parmi les chefs corses, la résistance s’affaiblit, l’insurrection perd son élan. En Juin 1735, arrivé en fin de mandat, il est remplacé par Felice Pinelli. En Juin 1736, il doit quitter la Corse pour raison de santé et de finances. En 1737, on lui attribue la paternité de l’Anticurzio, opuscule publié à Gênes, pour répondre à la deuxième édition du Disinganno intorno alla guerra di Corsica scoperto da Curzio Tulliano Corso ad un suo Amico dimorante nell’Isola, de Ghjuliu Matteu Natali. En Décembre 1741, fin de son sacerdoce en Corse. Il devient évêque de Vintimille. En Février 1743, il remplace Domenico Maria Spinola, décédé, comme gouverneur de la Corse. Il arrive à Bastia en Juin. Francescu Matteu Limperani, député par la Reggenza, lui demande une réponse aux demandes faites par les Naziunali. Il fait part des propositions, les Concessioni, en huit articles, de Gênes (Articoli mandati della Republica di Genova, per concludere la Pace col Regno di Corsica). En réponse, les Naziunali envoient dix députés pour le rencontrer à Bastia. La discussion porte sur toute une série d’articles et de règlements, faisant la matière d’un gros volume, et qui liquiderait, d’un coup, le contentieux entre la Corse et Gênes. Il fait tout ce qu’il peut pour s’attacher les Nobili Dodeci, les podestats, et même les membres de la Reggenza. En Mai 1744, Il tente de gagner les populations avec l’aide des pro-Génois Ghjacumu Martinetti, Carlu Cotoni, Don Filippu Grimaldi, Carlu Filippu Panzani, et le concours spirituel du Père Léonard de Port Maurice. Les habitants de l’Alta Rocca ayant demandé, pour des raisons de commodités, que la lieutenance de Sarté soit divisée avec Carbini, Taddà ou Scupamena, il accepte à la condition que les communautés prennent les frais d’aménagement à leur charge. En Septembre 1745, à la Cunsulta di Oletta, malgré ses pressions sur les pièves de Casinca et du long du littoral, les habitants du Nebbiu accordent leur confiance à Ghjuvan Petru Gaffori. Il fait enlever par Giuliano Birio, commandant de la place de Corti, le fils de Ghjuvan Petru Gaffori, Francescu, âgé de treize mois, afin d’avoir un moyen de pression sur le père. En Octobre, il est remplacé par Stefano de Mari. En 1760, à Vintimiglia, il entreprend de réfuter la Giustificazione della Rivoluzione di Corsica e della ferma risoluzione presa da’Corsi di mai piu sottomettersi an dominio di Genova, de l’abbé Gregoriu Salvini, dans des Riflessioni intorno ad un libro intitulato Giustificazione della Rivoluzione di Corsica… En Mai 1764, à Corti, publication de ses Riflessioni di un Genovese et Osservazioni di un Corso.
GIUSTINIANI Pietro: (dix-septième siècle) Génois. Administrateur désigné, par Gênes, pour gérer la colonie grecque installée en 1676 à Paomia, dans la juridiction de Vicu.
GIUSTINIANI Pompeu, dit Bras de Fer: (1569-1617) Né à Aiacciu. général dans l'armée vénitienne, et auteur de L'Histoire des Guerres de Flandres. En 1609, édition à Anvers, de son ouvrage, traduit en latin par Gamburini, sous le nom de Bellum Belgium. Il décède en 1617.

pompeo pompeo
A sinistra, la lapide commemorativa di Pompeo Giustiniani a Bonifacio a destra il portale della cattedrale di Ajaccio

GIUSTINIANI Raffaello: (quinzième siècle) Magistrat génois. Podestat d'Aiacciu. En 1497, il signale au gouverneur Raffaelle Odone l'imminence d'un débarquement de Ghjuvan Paulu di Leca.
GIUSTINIANI Raffaello: (seizième siècle) Officier Génois. Commandant de chevau-légers. En 1564, il défend Campora contre Sampieru Corsu. A Campu di l’Oru, il tue au combat Bartolomeu di Vivariu. Puis il s’affronte à Sampieru Corsu, à Aiacciu, où celui ci est battu. D'Aiacciu, avec ses cavaliers, il marche sur Porti Vechju, pour rejoindre les troupes de Giovanni Andrea Doria. En 1565, il est à San Fiurenzu. En 1566, à Bastelica, il fomente un complot contre Sampieru Corsu. Ce complot est déjoué par le Corse. Le Cinarchese Ercole d’Istria, allié des Génois et ennemi de Sampieru Corsu, le prévient alors qu’une délégation, envoyée par le Corse, vient de quitter Sagone. Il l’attaque avec une galère génoise, et tous ses membres sont, soit noyés, soit tués, soit emprisonnés, soit parviennent à regagner la côte. En 1567, il est commandant de la garnison d'Aiacciu. Après la mort de Sampieru Corsu, avec Ercole d’Istria et d’autres Caporali, il marche sur Rennu pour s'en emparer. De Vicu, Alfonsu d’Ornanu et ses hommes tentent de l’empêcher d'atteindre Rennu; le combat a lieu près de l'église de Sant’Antoniu, faisant sept tués chez les Corses, et vingt six chez les Génois; il est parmi les blessés. A Maca’Croci, il affronte trois compagnies corses qui se rendent dans le Dilà pour tenter de reconquérir l'Istria et La Rocca. Les Corses sont battus; les survivants se retirent en Cinarca. Il obtient le grade de colonel. Il commande trois navires génois, avec trois cents cinquante fantassins, qui font voile vers San Fiurenzu et Aiacciu. Puis, il est dans le golfe de Sagone, où la garnison corse du fort se rend rapidement. En 1573, il lève un régiment de mercenaires corses pour le compte de Gênes: il réunit dans la plaine de San Fiurenzu huit compagnies, soit huit cents vingt neuf hommes, toutes sous le commandement d'officiers corses. En 1608, il est gouverneur de la Corse. Il succède à Agostino Pallavicini. Il est remplacé, en 1609, par Giovanni Pietro Serra.
GIUSTINIANI Rizio: (dix-huitième siècle) Génois. En 1729, Gênes ayant promulgué un édit dont le but est la mise en valeur de la Corse, tout un programme de location de terres et d’inféodation est offert aux ressortissants génois: il en profite et acquiert des terres à Porti Vechju.
GIUSTINIANI Silvestro: (seizième siècle) Génois. En 1501, il est envoyé en Corse en tant que commissaire de l’Ufficio di San Giorgio, pour combattre Ghjuvan Paulu di Leca.
GIUSTINIANI Simone Ghjuvanni: (dix-huitième siècle) Député pour la communauté d’Arbiddali, en Juin 1794, il participe à la Cunsulta Generale di Corti, qui approuve l’action de Pasquale Paoli et se prononce pour la rupture avec la France. Il adopte la Constitution du Royaume de Corse (anglo-corse), votée par la Cunsulta Generale, qui est une Constitution Monarchique, en 12 titres et 75 articles.

Augustin Giustiniani vescovo di Corsica XIX secolo.

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lapide del sepolcro di Monsignor Augustin Giustiniani a Lavasina (Corsica)


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Frontespizio del libro di Agostino Giustiniani sulla Corsica descrizione della Corsica  Monsignore Agostino GIUSTINIANI (1470-1536),
prefazione e traduzione di Antoine-Marie Graziani  edizioni Piazzola
Il testo descrive scrupolosamente con dovizia di particolari,spesso sotto forma di dialogo la Corsica.

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I resti di un insediamento di epoca romana più che di origine genovese, chiamato Villaggio Giustiniani , è anche presente nel
Comune di Speloncato nel nord dell'isola. Maggiori dettagli sul sito dell’Accademia Corsa (“Speloncato au fil du temps passe”)



In Corsica segnaliamo a Bastia in Via Monte Filippina 25, i resti della Villa Giustiniana
La città di Bastia ormai da diversi anni nella "Notte di a memoria", (il secondo week-end di luglio) rievoca la presenza dei Governatori Genovesi nella città con una suggestiva manifestazione in costume d'epoca. Durante la festa, il corteo parte da Terra Vecchia a Terra Nova. Nel corteo, tutti i personaggi camminano nelle viuzze del centro storico e coinvolgono il pubblico in un percorso pieno di artisti che si esibiscono dal vivo: ballerini, musicisti, attori, schermitori, trovatori, lanciatori di bandiere e numerose comparse, che invitano gli spettatori a tuffarsi nella storia, a riscoprire i numerosi monumenti della Cittadella illuminata. ( Il sito del comitato festeggiamenti della NOTTE DI A MEMORIA Coordinate dell’Ente Organizzatore: comitato delle feste e delle animazioni di Bastia - Place du Donjon Cittadella 20200 Bastia tel. +33 (0)4 95 32 33 61). Questo è il: programma per la festa del 2007 tra cui alle 18 di sabato 21 presso l'oratorio Sainte Croix alla Citadella conferenza sui "Giustiniani nel Mediterraneo" a cura di Enrico Giustiniani
( Alcune immagini delle precedenti edizioni )


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Il “Patto di amicizia” tra i gruppi storici della “A notte di a memoria” di Bastia e
“I Mercatini del seicento” di Bassano-Romano


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La firma del Patto di amicizia a Bassano Romano tra il Sindaco di Bassano Romano Emanuele Maggi e l'Assessore al patrimonio della Municipalità di Bastia Philippe Peretti ed a Bastia tra l'Assessore al turismo Yuri Gori e l'Assessore al patrimonio della Municipalità di Bastia Philippe Peretti

Comité des Fêtes et de l'Animation du Patrimoine du Bastia (CORSICA-FRANCIA)
GRUPPO STORICO "I MERCATINI DEL SEICENTO" DI BASSANO ROMANO

Il 20 luglio 2019 a Bastia in Corsica, ed il 26 luglio 2019 a Bassano Romano, è stato firmato il “Patto di amicizia” tra il Gruppo storico di Bassano Romano "I mercatini del seicento" e quello della città di Bastia della “A notte di a memoria”.
Il documento è stato firmato a Bastia nel Museo cittadino di Bastia nel Palazzo dei Governatori nella cittadella di Bastia nella sala dove sono presenti i ritratti del vescovo di Nebbio Agostino Giustiniani e del Doge Luca Giustiniani (quadro recentemente acquistato dal museo stesso attribuito a Cornelis De Wael). alla presenza dell’assessore al turismo del Comune di Bassano Romano Yuri Gori, del vice-sindaco e delegato al patrimonio della città di Bastia Philippe Peretti, dal presidente e fondatore del Comitato delle feste e Animazione del patrimonio di Bastia Jean-Baptiste Raffalli e dal Presidente del Comitato dei “mercati del Seicento” di Bassano Romano Anastasia Salvatori. A Bassano Romano un'analoga cerimonia si è svolta nella Piazza principale davanti a Palazzo Giustiniani alla presenza oltre che dei presidenti dei due comitati storici del Sindaco di Bassano Emanuele Maggi e el vice-sindaco e delegato al patrimonio della città di Bastia Philippe Peretti. Esiste nel corso dei secoli, un “filo rosso” che collega la presenza dei Giustiniani e Bastia: le comune radici Genovesi.  Sia Bassano Romano che Bastia hanno al centro della loro vita culturale locale, una festa rievocativa in costume della presenza dei Genovesi nel XVII secolo. A Bastia la “A notte di a memoria”, a Bassano Romano i “Mercatini del seicento”, rievocazione storica della solenne elevazione a principato del feudo Giustiniani nel XVI secolo, periodo molto florido grazie alle notevoli capacità amministrative e culturali di Vincenzo Giustiniani che seppe trasformare l’assonnato borgo in un centro di ragguardevole interesse culturale ed economico. La manifestazione “A notte di a memoria” si basa sul testo del cancelliere del Regno di Corsica Angelo Francesco Luri del 1671, che racconta del solenne arrivo in barca del nuovo governatore della città durante la dominazione Genovese dell’isola accolto dal governatore dimissionario che lascia il suo palazzo (il Palazzo dei governatori attuale Museo di Bastia) per accogliere il suo successore sul vecchio porto di Bastia accompagnato da tutta la sua amministrazione. Una grande festa in costume dove ogni anno 150 figuranti sfilano in costume d’epoca.
Il ramo Giustiniani di Roma è lo stesso dei Negro-Banca, da cui proviene anche il celebre umanista e vescovo di Nebbio Agostino Giustiniani autore del libro “Dialogo nominato Corsica”, del 1514. Un’opera che costituisce il punto di riferimento per le opere cartografiche e descrittive dei secoli futuri sull’isola.

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A Notte di a Memoria di Bastia et I Mercatini del seicento de Bassano-Romano : Jumelage effectif (Rédigé par Charles Monti le Dimanche 24 Mars 2019 Corsenetinfos.corsica )
Bastia : Les Giustiniani traits d'union entre deux associations corse et italienne (Rédigé par Philippe Jammes le Vendredi 19 Juillet 2019 Corsenetinfos.corsica )
Bastia : L'association du comité du patrimoine signe une charte de jumelage avec l'Italie (Rédigé par Livia Santana le Samedi 20 Juillet 2019 Corsenetinfos.corsica )
Bassano-Romano et Bastia : l'Histoire en héritage (Rédigé par Charles Monti le Mercredi 31 Juillet 2019 Corsenetinfos.corsica
Una delegazione di Bastia in vistia a Bassano Romano (Tuscia web)
Patto di Amicizia tra Bassano Romano e Bastia (Corsica) (NewTuscia.it)

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IL PROGETTO DELLA RETE GIUSTINIANI

Un filo rosso unisce alcuni piccoli comuni Italiani ed Europei, la presenza nel corso dei secoli della Famiglia Genovese dei Giustiniani, importanti tracce architettonicche ed antropologiche da valorizzare e da collegare nel tempo e nello spazio, percorsi turistici comuni per uno scambio di idee e confronti per riallacciare gli antichi legami in uno spirito Europeista.

DOCUMENTARIO SUI GIUSTINIANI

Grazie all'iniziativa dell'Assessore al patrimonio della municipalità Francese di Bastia, è recentemente uscito (gennaio 2008), prodotto da Vision Internationale e da France 3 per la regia di Andrè Waksman il documentario "Les Giustiniani une saga méditerranéenne". Il documentario di circa un ora, a cui ho fattivamente collaborato, ha richiesto quasi due anni di lavori; l'opera, in francese (con alcuni brani in Italiano sottotitolati) traccia il lungo percorso antropologico e storico della famiglia Giustiniani, toccando le località dove più si è sentita la presenza di questa famiglia: Genova, il levante ligure, Chios, Roma, Palermo, la Corsica e Bassano Romano.
Sono in possesso della copia, informalmente potrei accontentare, nei limiti del possibile, chi me ne facesse gentile richiesta.
Il film, apparso sulla trasmissione "Orizzonti" su France3-Corse il 10 maggio 2008 è online sul sito della France 3 - corse in questo link:
"I Giustiniani, une saga méditerranéenne" (100508)

film giustiniani


la tua foto Storia dei Giustiniani di Genova (in Italiano)
la tua foto Giustiniani - Tradution en française