Le ayudas de costa



Erano queste particolari concessioni della corona spagnola: il re concedeva titoli affinché il ricevente potesse venderli e da questi ricavarne rendite. Quello che il re concedeva erano titoli e legati a questi possessi feudali di terre, città, ecc. Attorno a questo autentico mercato fiorirono grosse speculazioni e si arricchirono grossi speculatori, e prima fra tutti i banchieri genovesi, fiorentini e castigliani. Costituiva una forma della corona per fare incetta di denaro per sovvenzionare le ormai disperate campagne militari, che inchiodavano la Spagna alla sua emarginazione ed alla sua inarrestabile decadenza: l’ombra di Villabar incombeva oramai gigante e potente sullo scheletro e le proiezioni mitiche di uno splendore e di una ricchezza castigliana. E quella sconfitta del movimento rivoluzionario borghese si presentava oramai a riscuotere il suo contributo ad una classe nobiliare inetta, che nel suo tracollo trascinava anche la più inetta e accattona aristocrazia e borghesia compradora italiane. Queste nella loro assoluta cecità non seppero trovare rimedio che abbarbicarsi al possesso feudale e quindi a sovraccaricarsi di titoli e terre e castella e " seggia a palazzo", tutte protese a salvaguardare l’immediato, senza alcuna visione neppure di breve periodo, che non sia l’immediato. Non seppero neppure tentare, o immaginarsi di tentare, un investimento arrischiato, preferendo il bottegaio certo quotidiano. E sarà questa, " il certo bottegaio quotidiano" l’essenza della concezione, della cultura, e della mentalità di una borghesia, quella italiana, che la caratterizzerà per accattona. Sempre pronta a fuggire allorquando si profilano i più timidi problemi, abbandonando tutto e tutti e provvedendo a mettere i salvo i pochi spiccioli che questa o quella potenza ora, in questo esatto e preciso istante, promette o fa balenare. Già dagli anni Trenta non aveva più alcun senso legarsi alla corona di Spagna, essa era già irrimediabilmente perduta, puntare su questa e peggio farle da scudo era la cosa più suicida ed antieconomica che poteva pensarsi e la si poteva pensare solo con l’ottica del " bottegaio certo quotidiano".
In una fase di crollo generale e totale, in una fase in cui le altre grandi potenze affilavano i ferri per spartirsi il dominio spagnolo e quindi in una fase in cui liberarsi della presenza spagnola non richiedeva poi granché di sacrificio anche personale e nella prospettiva di partecipare al bottino della spartizione dell’immenso Impero Spagnolo, che invece si divisero Inghilterra, Francia ed in subordine l’Olanda, ebbene in questa fase solo l’ottica del " bottegaio certo quotidiano" poteva far scegliere di fare da scudo alla corona spagnola.
Per tornare adesso alle ayudas de costa - non troviamo un termine italiano che riesca a renderlo: per far fronte alle sempre maggiori esigenze finanziarie la corona di Spagna non seppe trovare di meglio che aumentare a dismisura il numero di principi, duchi, marchesi e ad attuare una spregiudicata, quanta assurda, politica di vendita di città, anche di importanti città costiere e di confine.
I titoli posseduti, avevano anche un prezzo e prendevano il posto delle pensioni.
Enorme era il numero di richieste provenienti da enti pii spagnoli che chiedevano titoli in Italia, e meglio nel regno di Napoli. Il monastero di cappuccini di Madrid nel 1614, il convento di Nuestras Senora di Guadalupe affidavano ai titoli appuntati sulle terre del Regno di Napoli. Tutto questo determinava un drenaggio di ricchezze napoletane in direzione di enti e personaggi che con la realtà meridionale avevano poco a che fare. Accanto agli istituti religiosi si muoveva una folla di clienti del re, vedove, ambasciatori e residenti di sovrani stranieri, di gente non pagata o mal pagata per i propri servigi resi alla corona, di soldati carichi di ferite ma privi di denaro, che avevano speso la loro vita in guerra, figli ed eredi che avevano scoperto ampi buchi nell’eredità paterna. Per tutti sussisteva un’unica strada: ottenere la disponibilità di titoli baronali nel regno di Napoli per venderli su un mercato ove si agitavano molteplici possibili acquirenti; tutti desiderosi di rafforzare la loro presa su feudi recentemente acquistati. Questo richiede l’esistenza di una intermediazione in grado di allocare il titolo, intermediazione che avrà la sua percentuale nell’operazione di allocazione del titolo e di una transazione finanziaria.
Luigi d’Avalos .. chiese mercé di un titolo di principe o di duca nel regno di Napoli al posto degli 800 ducati di rendita che non gli erano stati pagati dal viceré. Il conte di Monterey, per accudire alle spese di corte e per trattarsi conforme al suo rango, domandò ed ottenne un titolo di principe ed uno di duca nel regno. Il viceré Medina de Las Torres aveva una decina di titoli su località del regno di Napoli. Il titolo di principe concesso ai Grimaldi nel 1619 su una città del regno di Napoli fu pagato con 16.000 ducati che andarono al segretario George de Tovar per coprire cose segrete attinenti il servizio del re. Conta qui fermare questo passaggio ove il principe di Monaco, vassallo della corona spagnola e del re in modo personale, si presta a questi passaggi di mano di denaro; oggi diremmo " fondi di protezione", o " fondi neri", dove la sponda è l’eccellentissimo principe di Monaco.
In questo gioco che riversava sul regno di Napoli gli oneri finanziari della politica di patronato della monarchia, numerose erogazioni effettuate tramite i segretari del re rivelano aspetti inquietanti di una politica parallela svolta nella e dalla corte, che mette a nudo una politica di corruzione e di non controllo e quindi alla fine un’inflazione di titoli e di corsi paralleli, che danno adito a imbrogli, speculazioni, truffe, ecc. Ma il punto che questa elargizione di titoli pone è da dove veniva ritagliati questi titoli e feudi. In Villari viene data la notizia, come si è visto, che questo viene reso possibile dalla contrazione delle terre demaniale ed estensione di quelle baronali con l’investimento anche di città con casali come Napoli, ecc.


Transazioni e speculazioni finanziarie nell’allocazione e vendita " ayudas de costa".

Nelle trame che portavano dal gabinetto del re alle università meridionali si stagliavano altri personaggi diversi dai segretari, ed erano gli esponenti di quei ceti finanziari genovesi così prepotentemente radicati nel mercato dei feudi e dei capitali all’interno del dei regni di Napoli e di Sicilia.
Pedro de Contrera ricevette da Paolo ed Agostino Giustiniani i 7.000 mila ducati che Fabio Ricco aveva sborsato per potersi fregiare del titolo di duca.
Nel 1626 ai medesimi banchieri, Paolo ed Agostino Giustiniani - Cristofaro Apollinari aveva affidato 100.000 reales, pario al costo di due titoli di marchese: questa somma sarebbe stata poi girata a tal don Juan de Palafos. Nel 1611 fu Ottavio Centurione ad essere indicato dal re quale destinatario di 30.000 ducati castigliani ricavati dalla vendita d alcuni titoli d’Italia ( ovvero di Napoli ); nel 1614 lo stesso Centurione ricevette la somma di 10.000 ducati pagati da don Troiano Spinelli duca di Acquarico per l’acquisto di titolo di principe assegnato per mercede ai cappuccini di Madrid. A questi banchieri furono affidate anche le vendite di terre e villaggi castigliani che la monarchia effettuò massicciamente tra gli anni venti e trenta del XVII secolo.
L’intervento di banchieri doveva essere certamente orientato anche sul versante locale della transazione: è probabile, infatti, che i compratori si rivolgessero ad essi per raccogliere le somme di denaro necessarie ad acquistare il titolo.
Occorre qui aggiungere i tassi di interesse per tale anticipazioni! Lucravano così tre volte: una volta perché ad essi venivano affidati i titoli da porre in vendita, una seconda volta per l’intermediazione ed una terza volta per l’anticipazione di parte o tutta a somma. Se poi il titolo non trovava momentanei compratori ed il venditore aveva necessità di denaro essi vi lucravano una quarta volta acquistando il titolo ad un prezzo inferiore e lucrandoci sulla differenza; oppure anticipando parte della somma in attesa dell’allocazione e lucrandoci sugli interessi della somma prestata come anticipo sulla futura vendita. Chi veniva ad acquistare il titolo cercava quantomeno di rientrare nelle spese, sottoponendo così ad uno sfruttamento intensivo sia la terra che la popolazione che su quel feudo vi insisteva; non apportandovi migliorie tecniche, c che nel frattempo nel XVII secolo si andavano introducendo in agricoltura, meno che mai poteva favorire una produzione manifatturiera ed il processo di separazione agricoltura-industria, agendo così da freno, ostacolo a tale processo. Dal punto di vista dei beneficiari/venditori la concessione di uno o più titoli non risolveva automaticamente le difficoltà economiche in cui spesso essi versavano e che avevano giustificato il provvedimento regio. Bisognava vendere il titolo, trovare acquirenti che godessero nello stesso tempo della fiducia degli organi di governo della monarchia ai quali spettava, in ultima istanza,. l’approvazione della transizione e che disponessero di capitali ( o fossero in grado di farseli anticipare dai banchieri genovesi ) con i quali pagare adeguatamente il titolo. .. un ruolo di primo piano in tali questioni se lo fossero ritagliato personaggi come i Centurione ed i Giustiniani in grado di mettere in contatto il venditore e l’acquirente ( .. Troiano Spinelli era un barone di origine genovese). Le difficoltà nella vendita potevano risultare insormontabili fino a vanificare la portata stessa della grazia regia, soprattutto se i beneficiari erano donne o personaggi che non avevano collegamenti diretti con la realtà sociale e territoriale sulla quale si dovevano appuntare i titoli.
L’allocazione del titolo richiedeva inoltre una valida struttura organizzativa in grado di individuare sia il soggetto disposto all’acquisto e sia i canali finanziari e quindi la necessita di intermediari locali in grado di selezionare gli acquirenti. Si viene così ad intessere una fitta rete organizzativa speculativo-parassiataria, che agisce da ulteriore drenaggio di risorse e ricchezze dal regno di Napoli, che agiva da impoverimento non solo del popolo classicamente inteso, ma soprattutto, in questa fase, di quelle fasce borghesi che potevano essere invece momento attivo della trasformazione della società. Una simile politica agiva cioè da autentico massacro delle forze borghesi nascenti, annientandole, proprio ed esattamente attraverso questo drenaggio di risorse. Cocente era poi la delusione quando la concessione di titoli ( che spesso sostituivano vere e proprie pensioni ) si accompagnava quasi immediatamente al divieto di alienarli prima che fossero stati venduti quelli conferiti in precedenza. Quei titoli non si rapportavano più ad alcun ufficio, erano in vendita a prezzi che, per la deplorevole frequenza con la quale venivano concessi, risultavano ridicolmente bassi: nessuno li richiedeva più se non a prezzi minimi.
E’ il caso del giugno 1620 del conte Orso Delchi di Firenze, assegnatario di una pensione di 200 ducati da ricavarsi dalla vendita di due titoli nel regno di Napoli.
E per poter alimentare questa forma di finanziamento, dato alla fine l’esaurimento di titoli da porre in vendita, la corona spagnola decide di istituire altri titoli nobiliari. E’ del 1627 la decisione regia di introdurre in Italia altri sette titoli di principi ( diventati poi dieci, nove di duca, sei di marchese ed uno di conte.) abbiamo così una vera alluvione di titoli:
nel 1606:
principi 27 duchi 48 marchesi 76 conti 62
nel 1629:
principi 57 duchi 83 marchesi 121 conti 73
nel 1640:
principi 67 duchi 107 marchesi 148 conti 67
Vera alluvione di titoli si ebbe tra il 1621 ed il 1629 nella sola Sicilia in tale periodo furono venduti ben nove titoli di principe … ma il prezzo ridotto dei titoli napoletani invogliava baroni e magistrati a ricorrere al re per acquisirne uno, che poteva anche non essere il primo.
 



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