LA QUESTIONE DI DIRITTO DELL’EREDITA’ CONTESA: PERCHE’ TUTTI IGIUSTINIANI CHE POSSONO PROVARE DI ESSERE PARENTI DI QUELLI CHIOS POSSONO DICHIARARSI EREDI

Il fedecommesso universale è quello per il quale l’erede è incaricato di restituire ad altri l’eredità detta fedecommissaria.
Al fedecommesso possono concorrere più fedecommissari ed eredi diretti.

Fin dal diritto Romano abbiamo quattro tipi di fedecommesso:
1) quidquid ex haereditate ad heredem pervenerit
2) portio sua
3) haereditas aut pars
4) quod ex haereditas superfluisset

Il fedecommesso Giustiniani va diviso in due parti: la prima è costituita da beni, che passano al primogenito e che formano il fedecommesso propriamente detto, e appartiene al primo tipo; l’altra, il Pio legato, di natura anche essa fedecommissoria, appartiene al quarto tipo e che fu la fonte del fedecommesso mediovale.
Dal fedecommesso di quarto tipo proviene il fedecommesso di famiglia, che si sviluppa particolarmente nel Rinascimento: in esse vengono al godimento dell’asse paterno tutti, ma solamente quelli che appartengono alla famiglia.
Il fedecommesso fatto a favore di una famiglia non si limita ad una persona privilegiata.
Esistono due distinti forme di famiglia, quella affettiva costituita dalla linea retta del testatore senza misture trasversali e quella contenitiva costituita da trasversali che discendono da quel medesimo ed antico stipite e ceppo, che tutti riconoscono come il capo della famiglia. La famiglia contenitiva è la ”gens” del Diritto Romano.
Il Marchese Vincenzo I Giustiniani nel suo testamento ha presenti le due famiglie: alla prima formata dal sangue di Andrea Cassano, lascia il fedecommesso del primo tipo; alla seconda, nella quale entrano i Giustiniani di Genova e Chio, lascia il Pio Legato conosciuto sotto il nome di moltiplico.
Per questa ultima forma di fedecommesso la disposizione si estendeva a tutta la sua assegnazione ”familiae nomen et ipsum universale est plurimo peronarum, ascendentium, descendentium et transversalium.”
Quindi è che, mentre il fedecommesso del primo tipo può essere lasciato alla famiglia di un estraneo, come avviene nell’adozione, quello di quarto tipo non può che essere lasciato alla famiglia propria.
Il primo serve a mantenere alto economicamente il ramo dei discendenti dal primo investito, il secondo è istituito a tenere alto moralmente il nome gentilizio del testatore.
Al primo partecipa esclusivamente il parente più prossimo a quello investito; al secondo partecipano equamente tutti gli agnati, qualunque sia il loro grado di parentela con il testatore.
Da ciò discende che per il fedecommesso del primo tipo va assegnato al parente più prossimo all’ultimo investito, il secondo invece va assegnato a chi dimostri sufficientemente di discendere dal medesimo ceppo del testatore.
La Legge sui fedecommessi fu abolita dall’Assemblea Costituente del Regno d’Italia Napoleonico del 4 agosto 1789 con i decreti del 25 ottobre e del 14 novembre 1792. Il 7 novembre 1796 fu esteso alla Lombardia ed il 24 luglio 1797 alla Repubblica Cisalpina.
A Roma fu applicata dal maggio 1808 al 30 maggio 1814, dal 1 giugno al 1814 al 6 luglio 1816 le cose rimasero sospese fino al motuproprio di Pio VIII che servì a riorganizzare l’amministrazione dello Stato Pontificio. L’articolo 139 stabilisce che si considerassero aboliti i fedecommessi i cui beni erano stati alienati sotto il regime francese, e che all'atto della promulgazione del motuproprio (6 luglio 1816) avessero una rendita inferiore a 15 mila scudi.
La Legge sull’abolizione dei fedecommessi non colpì il fedecommesso Giustiniani di quarto tipo e cioè il Moltiplico.
Sembrerebbe anche dubbio se colpì il fedecommesso di primo tipo quello per ius sanguinis.
Vincezo VI Principe Giustiniani aveva contratto molti debiti in Francia, dove non esistevano più i fedecommessi ed il Papa dovette autorizzare di volta in volta l’alienazione dei beni facenti parte del fedecommesso del primo tipo.
Di qui la fondamentale differenza. I beni del fedecommesso del primo tipo possono essere alienati per pagare i debiti dell’investito, quelli del quarto tipo non lo possono per soddisfare i debitori dei partecipanti al moltiplico.
Mentre i beni del primo tipo sono amministrati direttamente dall’investito, quelli del quarto hanno un’amministrazione speciale, formata da Governatori rappresentanti la gens dei partecipanti.
Inoltre mentre l’investito del primo fedecommesso, se proviene da altra famiglia, può al cognome dell’adottante aggiungere il cognome proprio, i fedecommessi del quarto tipo hanno il solo cognome gentilizio, né loro è giammai lecito aggiungerne un altro.
Ecco perché Innocenzo X, che pure aveva potuto al proprio cognome Pamphili, accoppiare quello di Doria, non potè, né volle una famiglia Giustiniani-Pamphili. Ed è per questo motivo che nonostante i numerosi matrimoni con famiglie patrizie dei Giustiniani, non si ebbero mai una famiglia Giustiniani-Spinola o Giustiniani-Massimi o Giustiniani-Ruspoli e via dicendo.
Questo dicesi anche per lo stemma a cui i partecipanti il moltiplico, come stabilito dal Marchese Vincenzo I Giustiniani non potessero per qualsivoglia motivo modificare.
La natura del fedecommesso del moltiplico appare sempre chiara nelle varie disposizioni pontificie che si sono susseguite. I Papi hanno disposto che il Moltiplico non scemasse onde mantenere l’alto decoro della famiglia Giustiniani di Chio e di Genova e che ad esso partecipassero solamente quei Giustiniani, i quali provassero di appartenere al ceppo del testatore e fossero iscritti nel libro d’oro della Repubblica di Genova.

Per poter accedere al fedecommesso del moltiplico era quindi necessario:
1) la provata parentela con il testatore;
2) la inscrizione nel
Libro d’Oro della Repubblica di Genova.

Il Marchese Vincenzo nelle sue disposizioni testamentarie lascia 50 scudi ai Padri della Chiesa della madonna della Minerva dove era la tomba di famiglia per l’anima sua e dei discendenti di suo Padre ivi sepolti. La facoltà di partecipare alla sepoltura era quindi più ristretta a quella di partecipare al moltiplico., benchè la sepoltura si dice gentilizia in forza della sua origine a tutta la gens, a tutti gli agnati.
Chiaramente ilt estatore ne limita il diritto per squisite ragioni di convenienza. Nella Cappella Giustiniani di S.Vincenzo Ferreri (vai al sito della Basilica di S.Maria sopra Minerva) sono infatti sepolti il Marchese Vincenzo, il Cardinale Benedetto, dei principi discendenti di Andrea Cassano e gli antenati di Beatrice Giustiniani di cui parleremo in seguito nella sentenza del 1958, ultimo dei quali il nonno Vincenzo Giustiniani come si legge anche dall’epigrafe sulla tomba (”Vincentius Comes Justiniani - Romanus-Charitate Religione Eximius - Vectigalium Praesul Officio Integritate et Justitia Functus - Obiit Romae - Brevi Correptus Morbo - Sexto Id. Au A.D. MDMCCLXX - Aetatis Suae LXIX. Heic in Pace Resurrectionem Expectat. Parenti Optimo - Dulcissimo Filii C.L.P. - Roma 16 giugno 1914 Firmato Domenico Antoni O.P. Parroco)

E’ dunque affermabile che questo ramo dei Giustiniani di Roma sia il più vicino al testatore.
E’ quindi asseribile che chi partecipa al fedecommesso dovrà, in forza del Breve di Innocenzo X che innalzava a Principe il Marchese Vincenzo Giustiniani e da lui trasmissibile nell’ordine e nel modo stabiliti nel suo testamento, debba partecipare alla sua nobiltà.
Tutti i partecipanti al fedecommesso possono quindi ritenersi Nobili dei Principi Giustiniani, Principi di Chio, Patrizi Genovesi che davano Dogi a Genova, Sovrani a Chio e Roma Assistenti al Soglio, a cui si può aggiungere quello di Patrizio Romano.
La famiglia Giustiniani è infatti inscritta anche nell’elenco delle famiglie nobili Romane. Privilegio concesso dalla Consulta Araldica ai Principi e Duchi residenti a Roma ad inizio del XX secolo.
A questi titoli si vanno ad aggiungersi solo all’ultimo ramo Romano dei Giustiniani sepolti alla Minerva i titoli di nobili dei duchi di Corbara e dei marchesi di Monte dè Billi, e da una disposizione del Cardinale Vicario (reperibile nel Libro dei Battezzati della Parrocchia dei SS Celso e Giuliana dell’anno 1745) con la quale si stabilisce in tutti gli atti dei discendenti da Raffaele si proponga il titolo Comitale, valido per i Giustiniani di Ferrara e di Roma.
Tutti questi titoli già acquisiti da questo ramo Giustiniani per altre concessioni fuori del testamento di Vincenzo I Giustiniani sono comunque ascrivibili solo a questo ramo specifico dei Giustiniani.

Al titolo di Patrizio Genovese è inerente il titolo Marchionale di Bassano con il predicato di Nobile dei Marchesi Giustinianicon diritto di trasmissione ai primogeniti maschi e ad personam per gli ultrogeniti, da concedersi ”ai discendenti degli individui iscritti al Corpo della nobiltà Genovese” per Regio Decreto del 18 dicembre 1889 e Deliberazione della Regia Consulta Araldica del 30 aprile 1890 circa il titolo Marchionale per i Patrizi Genovesi.

La questione giuridica del fedecommesso si risolse comunque nel 1958 con la sentenza della Corte di Genova che riteneva il fedecommesso estinto dalla Legge del 14 giugno 1798 della Repubblica Democratica Ligure identificando a quella data gli aventi diritti alla spartizione.

Fatto curioso circa il titolo di Principe di Chio dei Giustiniani è che molto tempo gli aventi diritto non ne fecero uso per il fatto che un tal François Douceur (o Doucet), un maestro di scuola in un piccolo villaggio, vicino a Puiseaux nella regione di Orleans , nel corso dell’700 si spacciò per Gistiniani Principe di Chio, avendono gli indiritti privilegi fino al 1788, anno della sua morte.
Il titolo di Principe di Chio spetta a tutti i discendenti da quei tredici Maonesi del 1373 che lo ebbero per primi (Nicolò de Caneto de Lavagna, Giovanni Campi, Francesco Arangio, Nicolò di S.Teodoro, Gabriele Adorno, Paolo Banca, Tommaso Longo, Andriolo Campi, Raffaello de Forneto, Luchino Negro, Pietro Oliverio e Francesco Garibaldi e Pietro di S.Teodoro).
Questo titolo spetta a quanti parteciparono al domino di Chios, che è quanto a dire a tutti i Maonesi; tanto è vero che essi potevano, caso veramente raro se non unico, trasmetterlo ad altri, che non fossero neppure loro parenti, purchè partecipassero al governo di Chios, ciò ricollegabile alla stessa natura di “società per azioni” della Maona Giustiniani.
Tutti i soci avevano uguali diritti, perché comuni sono i doveri.
Tutti sono padroni di Chios anche se il guadagno e pro rata in base alle quote, è per questo che il titolo di Principe, concesso ai tredici Maonesi, si trasmetteva a tutti i figli, purchè leggitimi, senza restrizioni della primogenitura, perché nessuna legge ha giammi escluso dal commercio i figli ultrogeniti.
Il fregiarsi di tale titolo di Principe di Chios è anche del tutto indipendente dal fatto di essere partecipanti o meno al fedecommesso ed essere quindi eredi del Marchese Vincenzo Giustiniani in quanto anche lo stesso Marchese ed i suoi discendenti come alla stregua degli altri discendenti dei tredici Maonesi originari e successivi aventi diritto sono tutti aventi diritto.
Sarebbe impossibile concepire una Società Commerciale che portasse con se oltre beni e servizi anche titoli nobiliari, ma non per questo si possono togliere i diritti acquisiti, essendo pacifico che “le questioni relative ai titoli nobiliari debbano essere considerate e decise alla stregua di quel che sarebbe stato, se la feudalità vera e reale mai non avesse cessato di esistere” (Corte d’appello di Napoli del 9 febbraio 1903 - Marulli-Sezza)

Due parole sui titoli nobiliari
Lo sostituzione fedecommissioria nel Diritto Civile Italiano
Norme per la sostituzione fedecommissaria nella successione avente ad oggetto beni culturali- Presentata alla Camera il 7 ottobre 1994
ATTI DI ALIENAZIONE DA PARTE DELL’EREDE FIDUCIARIO DI BENI GRAVATI DAL VINCOLO FIDECOMMISSARIO.- Approvato dalla Commissione Studi del Notariato il 2 maggio 2001

Fidecommisseria Giustiniani Elenco Inventario n. 93 trascritto a cura di Francesco Tripodi (Archivio di Stato di Genova)
L'elenco descrive le carte prodotte dalla Fidecommisseria Giustiniani, giunte all’Archivio di Stato il 18 aprile 1984, a seguito del deposito effettuato dall’amministrazione avv. Mario Loi. Il fondo è composto da 292 unità numerate da 1 a 285, comprese tra i secoli XVI e XX. Sebbene non sia stato oggetto di interventi ri riordinamento successivi al versamento, sono raggruppate in otto serie dotate di una certa omogeneità interna ora dal punto di vista formale ora da quello tematico. L’elenco proposto è la mera copia dell’elenco di versamento del 1984, è stato compiuto un rapido controllo a scaffale che ha evidenziato alcune discrepanze che per il momento sono state recepite nell’attuale elenco senza ulteriori approfondimenti.


François Douceur il "falso" Principe Giustiniani di Chios, avventuriero e massone.
Tratto da Les supercheries littéraires du prince Justiniani de Chio, aventurier et franc-maçon di Pierre-Yves Beaurepaire


Nel periodo illuministico francese del XVIII secolo, la massoneria partecipa in maniera attiva e da protagonista nei circoli nobili Francesi come parte integrante del regno europeo della civiltà e del buon gusto.
Le lettere di raccomandazione di “fratellanza massonica” sono veri e propri passaporti sulle strade dei Grand Tour Europei. Un espediente usato anche da molti avventurieri.
La falsa o autentica lettera massonica permette loro di penetrare in questa vasta rete di corrispondenza e di raccomandazioni, di usarla per penetrare nei circoli più ristretti della società e di parassitarla.
Casanova suggerisce a "ogni giovane di buona famiglia che vuole viaggiare e conoscere il mondo e quello che viene chiamato il grande mondo, che non vuole essere in certi casi l'inferiore dei suoi pari ed essere escluso dalla partecipazione di tutti i suoi piaceri”.
Nel novembre 1759 egli stesso presentò alla Loggia della “Bien Aimée” di Amsterdam, una lettera in cui attestava che Giacomo Casanova della loggia “Saint André” era "Gran Ispettore di tutte le logge di Francia a Parigi", funzione naturalmente immaginaria. Ma il sotterfugio funziona e Casanova si lusinga dell'accoglienza che gli è stata data.
Anche Cagliostro, munito di false lettere massoniche di raccomandazione, riuscì ad entrare in diverse Logge Massoniche elitarie. Ma anche gli avventurieri meno conosciuti meritano attenzione.
Tra questi, il capitano Antonio Pochini della Riva di Padova rappresenta un caso esemplare. Presentandosi come il conte Pochini de La Riva, originario di Losanna, membro della cosiddetta "Loggia della Croce Bianca, Fauxbourg St-Martin”, si trovava a Orleans il 26 maggio 1766, dove aveva il timbro che gli aveva consegnato la loggia di Tolone. Poiché intende raggiungere il nord del regno, chiede e ottiene una lettera per le logge di Lille. Fornito di lettere autentiche ottenute su presentazione di un falso esame massonico, emesso da un'immaginaria loggia svizzera, fece un vero giro massonico in Francia, prima di essere catturato a Parma nel 1772 ed estradato in Francia dopo che tutte le sue carte furono sequestrate. Conservato presso l'Archivio di Stato di Parma, nella collezione Du Tillot.
Altrettanto interessante la storia dell’avventuriero François Douceur (o Doucet), un maestro di scuola in un piccolo villaggio, vicino a Puiseaux nella regione di Orleans che si spacciò con discreto successo prima come François conte di Saint-Ange poi come principe Giustiniani di Chios. Su questo personaggio, recentemente oggetto di studio da Alexandre Stroev, è presente un voluminoso libro «correspondances, placets, rapport de police » presso gli Archivi della Bastiglia all'Arsenale per gli anni 1764-1781 (Archivi della Bastiglia, Bibliothèque de l'Arsenal, fascicolo 12228, 336 folio) insieme ad un libro “Registro storico e genealogico della Casa dei Principi Giustiniani, Principi Sovrani dell'Isola di Chio” scritto dallo stesso Douceur. La prima menzione di Douceur risale al 1764. Non porta ancora un titolo principesco, ma si fa chiamare "François Sant-Angelo, nativo di Roma, un gentiluomo romano residente a Parigi". Il “conte di Saint-Ange” attirò rapidamente l'attenzione a Parigi per i suoi rapporti con gli ambienti gesuiti, la cui Compagnia era stata soppressa da un editto reale del novembre 1764, e con alcune congregazioni religiose femminili, dove si accredita come una sorta di veggente, cogliendo l'occasione per raccogliere preziose informazioni sull'ambiente delle comunità religiose e per costituire vere e proprie biografie che gli consentiranno di produrre lettere false ma credibili per ottenere in prestito molto denaro, spacciandoci anche come amico dell’ambasciatore Francese a Roma e pretendente alla cora degli Stuart.
Destando i primi sospetti con la polizia per i suoi raggiri finanziari fugge da Parigi e si rifugia a Auvergne. Dopo qualche anno ecco la sua nuova trasformazione, torna a Parigi nel 1769, sotto la nuova identità di "principe Justiniani".
Facendo tesoro dei fallimenti passati, Douceur inventandosi una genealogia sufficientemente "esotica" riesce a suscitare attenzione e simpatia dagli ambienti dell’alta borghesia Parigina. Pochi titoli e ricerche pseudo-storiche gli conferiscono un'apparenza di verosimiglianza.
Dato che frequentare circoli filo-gesuiti non aveva ripagato, cerca di accreditarsi negli ambienti della Massoneria allora era in forte espansione nella capitale. Piuttosto che accreditarsi come veggente ora decide di incarnare un certo cosmopolitismo aristocratico esibendo i suoi titoli di erede dei principi dell'isola di Chios e discendente dell'Imperatore Giustiniano.
Riesce ad entrare nella Loggia aristocratica “Egalité Parfaite et Sincère Amitié” dove compare tra i confratelli nel 1775, con l’aiuto di una falsa lettera di raccomandazione della la Hofloge de Bayreuth zur Sonne (Au Soleil), loggia “francese” fondata dal Margravio, una sorta di Marchese, di Brandeburgo-Bayreuth, cognato di Federico II della Prussia. Per dare più peso alla lettera, aggiunge anche i sigilli delle Logge “aux trois Cygnes” di Dresda e “les Trois Globes” di Berlino. Douceur è anche presentato da dal figlio Maximilien Joseph Marie Anne Pierre Michel François Ferdinand Auguste, moschettiere presso la prima compagnia delle guardie del re, il che presuppone aver fornito una prova di autentica nobiltà. Douceur scelse apposta questa loggia in quanto di recente fondazione con molti aristocratici stranieri, polacchi e russi e che soprattutto nutre stretti rapporti con i principali centri Massoni di Parigi: la Société Olympique,dove si trova la migliore alta società parigina, la Amis Réunis, la Candeur la loggia dell’alta nobiltà europea, la loggia Egalité Parfaite et Sincère Amitié . Una volta entrato come confratello Massone inizia a tessere una fitta ragnatele di relazioni. Gli informatori della polizia annotano che: "Il principe Justiniani non smette di ricevere persone" in particolare "il duca d'Orleans - futuro gran maestro del Grande Oriente di Francia -, il nunzio pontificio, sig. l'arcivescovo di Parigi, il cardinale de la Roche Aymont, così come molti stranieri, principalmente inglesi”. Consapevole che per fare un salto di qualità debba accreditarsi non solo nei circoli massonici dell’alta borghesia ma anche in quelli aristocratici cerca di accreditare il figlio.
Il 27 gennaio 1771 l'Elettore del Regno di Baviera gli conferisce la dignità ereditaria di ciambellano. Per rafforzare la sua nobiltà e per difendersi da chi lo accusa di essere un millantatore soprattutto per non restituire i prestiti di denaro che chiede, scrive addirittura al Capo della Polizia: "Il signor Principe Justiniani ha l'onore di fare i complimenti più sinceri al capo della polizia e avrebbe avuto il piacere di vederlo oggi se non fosse stato obbligato [sic] a partecipare ad una festa a Versailles, pregandolo di esercitare la sua più severa giustizia nei confronti di un certo Boussonelle che ha mancato di rispetto al Principe nel modo più ardito, indecente e criminale, avendo avuto l'impudenza di accusare il discendente dell'Imperatore Giustiniano di non avergli pagato le somme dovute, e di mettere in dubbio il suo sangue aristocratico!”
Ottenuto per suo figlio l'ambito certificato di moschettiere nella prima compagnia delle Guardie del Re, che ne garantisce la legittimità delle sue pretese aristocratiche, pubblica la sua Notice historique et généalogique de la maison des princes Justiniani (Documentazione storica e genealogica della Casa dei Principi Justiniani), in base alla quale egli chiede al ministro degli Interni di fargli ottenere il titolo di cugino del re di cui godevano i suoi antenati e di motivarlo nell'attestato di sottotenente al quale il principe di Nassau lo ha nominato!
Douceur è all’apice della sua fame è accolto nelle più eleganti logge parigine ed entra nell'intimità degli ufficiali del Grande Oriente di Francia.
Il principe Giustiniani ha superato Il conte di Saint-Ange, ma nonostante la sua bravura, la sua capacità di districarsi con naturalezza in ogni ambiente Douceur è andato troppo oltre cominciando a suscitare sospetti.
La polizia non ha mai perso completamente le tracce dell'ex conte di Saint-Ange, il genealogista del re smantella facilmente l'inganno della sua falsa documentazione genealogica Giustiniani. Douceur aveva ritrovato vecchi titoli della famiglia dei principi Giustiniani dell'isola di Chios e si era inserito in uno dei rami inserendo anche sua moglie Marie-Françoise Magénis, originaria di Bapaume, come discendente dell’illustre casa di Ester Magenis in Irlanda.
Convocato a Corte il 16 dicembre 1775 fugge e fa perdere le sue tracce. Il fascicolo presente nella Biblioteca dell’Arsenale ci dice che nel gennaio 1779 fosse a Liegi, la cui loggia fu fortunatamente informata dai massoni parigini della vera identità di questo seppur brillante impostore.

Lorenzo Montesini Un altro caso di cronaca vide come protagonista un "sedicente" principe Giustiniani anche se questa volta "Veneziano": Lorenzo Montesini

Lorenzo Montesini, steward della Quantas, cresciuto ad Alessandria di Egitto durante l'ultima monarchia, parla fluentemente quattro lingue, i suoi titoli includevano oltre il principe Giustiniani, conte di Phanaar e il cavaliere di Santa Sofia. Sua madre, Antonietta, era una modella; suo padre, Edgar, era un eroe sportivo. Dopo il colpo di Stato in egitto si trasferisce in Australia negli anni '50, e sulla scia di una devastante divisione familiare, Lorenzo si arruola per il Vietnam, al suo ritorno, la sua cultura ed il suo passato esotico gli aprono le porte dell'alta società di Sidney: cene, serate e viaggi all'estero. Riesce a fidanzarsi con Primrose Dunlop, figlia di una delle famiglie più potenti d'Australia, ma poi scoppia lo scandalo, Montesini prima di arrivare sull'altare, fugge con il suo migliore "amico" Robert Straub .... la storia è raccontata In libro autobiografico: My life and other misdemeanours (Ringwood, Victoria: Penguin, 1999). Oggi Montesini vive in Australia e Presiede la Australian Friends of the Alexandria Library, una fondazione dedicata a riportare la famosa biblioteca egizia al suo antico splendore.

A 15 year old Murdoch and the groom who eloped with his best man in Venice

DUNLOP VOLEVA IL BLASONE, NON L' AMORE La Repubblica 20 aprile 1990

Le novità sullo scandalo del matrimonio miliardario cancellato all' ultimo minuto a Venezia non finiscono mai. Ora le ultime notizie sulle fallite nozze tra lo steward Lorenzo Montesini sedicente principe Giustiniani, di 40 anni, e la ricchissima fidanzata Primrose Dunlop, 36 anni, protagonista dell' alta società australiana, arrivano proprio dal sesto continente, da Sidney. Finora, viste le scarse tradizioni arisocratiche, se si eccettuano pochi nobili inglesi decaduti, gli australiani se ne erano quasi disinteressati. L' imponente eco dello scandalo ha completamente spiazzato i media australiani. Ma i commenti più salati nei bistrò di Paddington dove vivono Montesini e il suo amico e compagno inseparabile da ben 18 anni Robert Straub - che avrebbe dovuto fare da testimone alle nozze - e dove i due torneranno a vivere quando torneranno in Australia, confermano tutti che la coppia gay era nota a tutti, che la loro omosessualità non poteva esser ignota a nessuno. A Sydney insomma nessuno dubita che la fidanzata Primrose (Pitty Pat), divorziata e convertita un anno fa al cattolicesimo proprio per poter sposare Montesini, steward della Qantas, sapesse tutto dell' amicizia particolare del fidanzato: Robert Straub era anzi amico e confidente anche di lady Potter madre di Pitty Pat. Tutti sono anche d' accordo sullo scopo della singolare unione che era per Pitty Pat quello di acquisire il titolo di principessa Giustiniani secondo la promessa di Montesini. In cambio, lo sposo avrebbe ricevuto subito due milioni di dollari da lady Potter. Quando però il titolo non è saltato fuori dagli archivi veneziani, Montesini è stato liquidato malamente insieme al testimone. Niente titolo nobiliare, niente dollari. Circola però negli ambienti informati del cricket e del golf, una conclusione che merita di essere ricordata anche se è tutta da verificare. Robert Straub e Lorenzo Montesini temevano che il matrimonio non si sarebbe concluso perchè sapevano che le prove di nobiltà non esistevano e dunque sarebbero mai venute fuori. Avrebbero perciò messo le mani avanti negoziando l' esclusiva di tutta la vicenda, con un giornale inglese per due milioni di dollari. Il calcolo era semplice: se il matrimonio andava in porto, tutto bene. Se il matrimonio fosse stato invece cancellato, il romanzo tutto sesso e nobiltà sarebbe venuto alla luce in Inghilterra e probabilmente in tutto il mondo.


e per finire il caso di... Louis Giustiniani ("The Strange Case of Dr Giustiniani and Mr. Hirsch. The Incomplete History of an Imposture (1790s-1855)" di Matilde Cazzola in Quaderni storici Il Mulino Rivistaweb fascicolo 2/2023 Agosto), missionario anglicano nella colonia britannica di Swan River, Australia occidentale, a metà degli anni '30 dell'Ottocento. Uomo che, in momenti diversi nel tempo e lo spazio, era conosciuto come Jakab Szarvas, Giacobbe Hirsch e come Luigi Giustiniani, che si spacciava come un ex prete cattolico (un gesuita, secondo un'affermazione), poi diventato anglicano, che aveva «vissuto nella corte del Vaticano» e vi era stato cappellano l'Ambasciata austriaca presso la Santa Sede. Lo studio di Matide Cazzola indaga sul rimodellamento delle identità individuali attraverso conversioni e processi di naturalizzazione, e questioni metodologiche più ampie, come le sfide di svelare l'intreccio tra vero, falso e immaginario.


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