LA RICERCA GENEALOGICA IN ABITO LIGURE
Perché cercare chi ci ha preceduto nel tempo? Quale vana gloria ci
spinge? Già il poeta Giovenale nella sua ottava satira avvertiva sulla
pericolosa ambizione dei vivi di ricercare nel proprio passato antenati famosi, quando
ormai nulla più li lega a loro: Stemmata quid faciunt? Quid prodest, Pontile,
longo. Sanguine censeri, pictosque ostendere vultus. Maiorum, et stantes in curribus
AEmilianos
Quis fructus generis tabula iactare capaci. Fumosos equitum cum
Dictatore magistros. Si coram Lepidis male vivitur? (traducibile come:
Gran lignaggio a che vale? Esser dantico sangue famoso, e porre in mostra i
pinti volti degli avi, o Pontico, che giova?... Qual pro, che in ampia tavola si vanti
dequestri affumicati Condottieri la lunga schiera al Dittator vicina, se male in
faccia ai Lepidi si vive?).
Una risposta ci viene dallo storico ligure Stefano Agostino Della Cella vissuto alla fine
del XVIII secolo: ciò che guida nella ricerca genealogica è ricercare le virtù degli
antichi genovesi, lintrepidezza ed il coraggio che avevano reso
potente la città, e sul loro stile di vita indefessamente faticoso, sobrio e
frugale, del quale hanno orrore e vergogna i moderni a farsi
imitatori. Ricerca quindi come esempio e stimolo per i contemporanei. Risposta
alla legittimizzazione del posto occupato da un individuo in una configurazione parentale
o allinterno di un tessuto economico sociale.
Ricostruire, tassello per tassello, il grande mosaico genealogico di una famiglia, è come
fare un affascinante viaggio. Svolgere una ricerca genealogica non vuol dire andare alla
ricerca di ascendenti illustri, ma ricostruire le origini del proprio ceppo familiare
risalendo all'indietro nelle generazioni e nei secoli a seconda delle fonti disponibili.
La ricerca genealogica è una forma di memoria collettiva espressa nellidioma della
parentela. Passando i vari modi di rappresentazione genealogica in ambito ligure citiamo
innanzi tutti i repertori delle famiglie, particolarmente diffusi nel XVIII
secolo in area ligure.
Linteresse per le ricostruzioni famigliari comincia nella seconda metà del
cinquecento, quando vengono commissionate ad eruditi specialisti ricerche volte a
dimostrare lantichità, la più remota possibile di nobili casati. Nellelevato
valore simbolico e nei benefici materiali legati allattestazione di nobiltà si può
riconoscere il movente di una crescente domanda di panegirici e scritti celebrativi, in
cui si riconosce lascendenza dei committenti fino ad uno stipite leggendario, spesso
ambientato nella Roma imperiale, in Babilonia o in Troia. Il genealogista individua il
mitico fondatore del casato, sovente leponimo, e lo collega al committente in linea
agnatica, meglio se primogeniturale. Cultura quindi cortigiana e mercenaria, genealogia
come celebrazione ed elaborazione di un mito delle origini famigliari, praticata con
improbabile rigore e, talvolta, con manifesta disinvoltura, esempi che comunque si
ripetono anche ai giorni nostri. La fiorente committenza nella ricerca di legittimazione
del proprio prestigio proveniente sia da nobili che da i così detti neo
ricchi, viene efficacemente tratteggiata da Girolamo Tiraboschi nel 1789 nella sua opera: Riflessioni
sugli scrittori genealogici: Un uomo, cui la fortuna dal basso stato, che
aveva nascendo, ha sollevato a sublime grado di ricchezze e di onori, desidera prima, poi
sogna, e finalmente si persuade, che i suoi maggiori non siano stati si vili, come il
volgo simmagina, e che la sorte abbia bensì per qualche tempo potuto oscurarne, ma
non estinguerne lo splendore. Un erudito famelico conosce il lor desiderio, e la loro
ambizione; sinsinua destramente nella lor grazia; si mostra profondamente istruito
nellantichissima nobiltà delle loro famiglie, e offre lor la sua opera ad
illustrarla scrivendo. Si accetta cortesemente lofferta; e lerudito è ben
persuaso, che la sua ricompensa sarà in proporzione desecoli.
Nonostante che a Genova, forse per il fatto di essere una Repubblica e non una monarchia,
fossero poco diffuse che altrove, tuttavia non mancano esempi interessanti di
ricostruzioni fantastiche delle origini famigliari che tentano di riportare le genealogie
delle famiglie in vista dai re Visigoti e dalle monarchie di Aragona, Asturie, Castiglia e
Navarra. Già nel 1775, un certo Battista Coccorno segnalava il dilagare di tal costume
della nobiltà genovese ricordando come in questa metropoli molti pretendono di
discendere da Conti della Marca di Germania, da duchi di Cleves, da Conti di Barbona e per
insino dagli imperatori Ottoni, come li Lomellini, li Spinoli, li Doria et altri, venuti
tutti sono questi dalle Ville di Polcevera, chi da quelle della Lombarda, chi da Boscaglie
e Montagne della Riviera e chi da Paesi di Padri ignoti.
Più ampia e costante a Genova, specie tra il XVI ed il XVIII secolo la produzione delle
raccolte di tavole genealogiche, anche se il loro scopo non è quello
della celebrazione del casato nelle sue origini e nelle sue fortune, ma nella
scomposizione capillare dei suoi rami, in funzione dellaccertamento dei diritti
successori relativi alla riscossione degli interessi periodicamente maturati sui
titoli del debito pubblico: sono le così dette colonne di
San Giorgio, una delle fonti di investimento delle famiglie Genovesi, anche dei
Giustiniani, accese e spesso vincolate a legati, vitalizi e fedecommessi come ad esempio
come quello del Principe di Bassano di Vincenzo Giustiniani. Quindi più che
listituzione e la legittimazione dello status vi si riconoscono lo strumento
funzionale allattuazione di strategie patrimoniali. A differenza dei panegirici
sopra citati, non sono legati ad una moda letteraria, ma si aggiornano e si riscrivono
sino alla fine del settecento, estendendosi progressivamente dalle sole famiglie ascritte
al Liber Nobilitatis a tutte quelle coinvolte negli investimenti sulle colonne
del banco, siano esse nobili o meno.
Un terzo genere di ricerche in questo campo oltre i panegirici e le raccolte di tavole,
soprattutto prodotte tra gli inizi del XVII e i primi decenni del XIX sono le collezioni
di schede organizzate secondo un modulo costante , che si presentano come un
distinto e ragionato repertorio o dizionario nel quale vengono raccolte le informazioni
ricavate sui singoli membri di ciascuna famiglia. Accanto al nome della famiglia, sono
trascritte alcune brevi osservazioni sulle origini e larma araldica: se questa è
ignota lo scudo è lasciato in bianco. Seguono le note, disposte in ordine cronologico,
precedute dalla data a cui risale la notizia e talvolta concluse con la citazione della
fonte, dalla quale sono state tratte. Lordine delle famiglie è differente nei
diversi repertori, come criterio di selezione che ne informa sulla struttura. Nei
manoscritti risalente agli inizi del XVII secoli e prodotti a Genova, troviamo inserite le
sole famiglie cittadine ascritte alla nobiltà. Altre invece inseriscono chiunque abbia
soggiornato seppur per breve tempo nella Repubblica Genovese, altri, forse per meglio
ossequiare le committenze o i probabili acquirenti, evitano di includere gli individui
che, avendo compiuto atti criminali o esercitano mestieri umili, screditano il casato.
I repertori delle schede di famiglia sono a struttura aperta, essendo progressivo, è
suscettibile di modifiche, aggiunte o integrazioni o correzioni, aggiornabili con nuove
informazioni sulle famiglie e ulteriori annotazioni sui loro componenti. Non sono quindi
infrequenti aggiunti trascritte, anche molti anni dopo la stesura, dallo stesso autore,
dal committente o dai successivi possessori. Si può riconoscere in queste opere una sorta
di libro di famiglia. Gli schedari quindi diventano opera collettiva, in cui
ciascuno di essi diventa sostanzialmente una copia aggiornata ed integrata del precedente.
Alle note trascritte nel primo seicento ricavate pressocchè esclusivamente dagli elenchi
delle magistrature cittadine, si aggiunge in seguito lo spoglio dei fondi notarili, le
citazioni tratte dagli annalisti e dagli storici della Repubblica, le iscrizioni e le
lapidi sepolcrali, i cartolari del Banco di San Giorgio, e naturalmente, le informazioni
tratte dai repertoristi precedenti. Il differenziato uso delle fonti utilizzate
nellarco di due secoli per le note repertoriali illustra levoluzione del
significato funzionale del repertorio tra la fine del XVI secolo e XVIII: probabilmente
nato in relazione alla questione dellascrizione alla nobiltà e alla conseguente
necessità di provare lantica abitazione della Stirpe nello Stato ,
il repertorio viene in seguito prodotto e consultato per ciò che attiene alle riscossioni
di rendite e ai benefici successoriali. Con la riforma delle Leggi del Casale
del 1576, viene stabilita labrogazione del sistema basato sugli alberghi e la
riassunzione del cognome abbandonato nel 1528. Le ascrizioni al Liber
nobilitatis sono limitati a dieci (sette per la città e tre per le riviere),
vengono inoltre fissati i principi dinserimento: antica ascendenza nella storia
della Repubblica, nascita legittima, buona reputazione e onestà di costumi, il vivere del
proprio e non aver esercitato da almeno tre anni nessuna arte meccanica. Nei processi
discrizione istruiti a seguito delle richieste di iscrizione, fra la documentazione
prodotta dai candidati accanto alle domande di rito, alle fedi di nascita e di matrimonio
dei genitori e alle prove testimoniali, di solito non si trovano gli alberi genealogici:
non sono semplicemente richiesti, non escludendo che essi possano essere prodotti per
dimostrare leccellenza delle origini ed in particolare il ruolo degli antenati nelle
cariche pubbliche.
Il repertorio delle famiglie, e talvolta anche la raccolta di tavole genealogiche, è di
solito proceduto da un piccolo riassunto (il ristretto ) di storia
genovese e da una premessa di carattere metodologico di solito a partire dalla fondazione
della città in epoca preromana alla riforma degli alberghi Doriana nel 1528 e delle Leggi
del Casale del 1576. Ciò è funzionale ad accreditare il ruolo preminente delle parentele
nelle storia genovese. Le vicende della Repubblica sono esposte ponendo in evidenza in
ruolo delle famiglie a quello degli individui e delle Istituzioni. Nel riassunto viene
ambiguamente tratteggiato anche il significato di nobiltà che nella Repubblica di Genova
aveva un significato più di compartecipazione alla cosa pubblica piuttosto che un
significato squisitamente signorile e di censo come in quella vassalla delle monarchie e
principati. A Genova la nobiltà fondata sul sangue non ha nessun fondamento storico del
resto lo stesso storico Oberto Foglietta nel XVI secolo afferma che non vha
famiglia i cui principj per qualche tempo non siano stati umili, e forse abietti, mà
molto più a Genova, ove il sterile territorio hà obbligato i cittadini
allindustria . La condivisione del cognome non implica la discendenza e
comunque ad un titolo non corrisponde di per sé alcun merito. Ancora lo storico Stefano
Agostino Della Cella afferma Ognun sa molto bene che ne tempi moderni, anzi ai
giorni nostri, si sono ascritti al Libro dOro non poche famiglie, che di quelle
antichissime non ostante portino la stessa denominazione, anzi lo stesso stemma, con tutto
ciò non hanno nulla a che fare con quelle, avendo nel corso delli anni, per diversi
accidenti, acquistato o carpito il nome delle antichissime. Un cognome eminente
è del resto una risorsa, la sua aggiunta al proprio, per alleanza o per affiliazione o
per clientela, aveva rappresentato tra il XIV e il XVI secolo una pratica consueta che
poteva portare, nel tempo alla sostituzione del secondo con il primo come di fatto era
stato imposto nel 1528 con le aggregazione delle famiglie nobili in alberghi. Sul finire
dello stesso secolo si riporta in una cronaca che vi sono infiniti Spinoli che
zappano in quelle montagne, né li fa nobili il domandarsi Spinoli, ma lesser
scritto nel libro della nobiltà , ribadendo quanto fosse dubbio il concetto di
una nobiltà di sangue preteso dai vecchi nobili, ancor più se argomentato
sulla pura condivisione del cognome. Gli storici Dalla Cella e Garibaldi considerano
nobile chi si è distinto per il valore militare , lattaccamento
alla patria e il giusto ardente zelo della libertà , più di chi abbia
acquisito un titolo senza dare prova di possedere tali valori; come si può affermare
delle famiglie che vengono in altre regioni servilmente innalzate a fumosi
titoli. E infatti di gran lunga più nobile
la difesa e
lamore della libertà propria, piuttosto che la forsennata vendita del proprio
sangue ad un vile interesse, o la malnata ubbidienza alla ingiusta e talor tirannica
ambizione di un regnante (Stefano Agostino Della Cella: Famiglie di
Genova, ms in 3 tomi 1782-1784).
Viene così riaffermata lidea di una nobiltà di ascendenza comunale non feudale,
come più volte ribadita nella storia genovese. Concetto anche ripreso da altri storici
più avanti, come il notaio chiavarese Angelo Della Cella, che giudica chimerico
questo vocabolo di nobiltà solo riferibile per lo più ai ricchi
né so figurarmi
per nobile se non colui che difese e governò con disinteresse e plauso la propria
Patria.
La storia della ricerca genealogica si muove quindi sul principio
dellautorappresentazione di un individuo, di una parentela o di una società basata
sulle parentele; ma anche legittimazione di status o di diritti successori, esteso a tutti
i livelli della stratificazione sociale, che affiora nella documentazione giuridica civile
e penale, nelle testimonianze legate ai processi matrimoniali per le cause di
consanguineità, nelle pacificazioni imposte sulle faide interparentali soprattutto per le
cause sui gravami sulle terre comuni, i giuspatronati, le dispense, i lasciti e sui
patrimoni soggetti allistituto del fedecommesso. Soprattutto in questo ultimo caso
il sistema delle sostituzioni implica la previsione di una gerarchia fra le linee, ed è
probabilmente questa una delle ragioni che spiega come soprattutto nel seicento si
moltiplichino negli archivi di famiglia le ricognizioni genealogiche e i rifacimenti degli
alberi.
Nelle introduzione dei repertori tardo settecenteschi, traspare inoltre il desiderio degli
autori di essere considerati a pieno titolo tra gli storici genovesi, essendo
linteresse per le famiglie un modo tuttaltro che indiretto di occuparsi di
storia patria. I lunghi elenchi di scrittori genovesi posti al termine dei repertori non
sono soltanto le liste delle fonti alle quali gli autori hanno attinto notizie, di molti
di essi gli autori ne conoscono lesistenza ma non lopera se non attraverso la
citazione dei repertoristi e degli storici precedenti. Tali elenchi appaiono così come
una scheda extrafamigliare quasi una genealogia, in fondo alla quale lautore del
repertorio aspira a essere inserito ed immortalato.
Parte di questo capitolo è stato tratto dal lavoro di Massimo Angelini: La cultura genealogica in
area ligure nel XVIII secolo introduzione ai repertori della famiglie ,
pubblicata negli Atti della Società ligure di Storia Patria, n.s. XXXV
(1995), I, pp. 189-212
Sempre dello stesso autore segnalo altri articoli presenti nel suo sito:Pubblicazione di Massimo Angelini :
Le scritture domestiche in area
ligure
Linvenzione epigrafica delle
origini famigliari
Soprannomi di famiglia e segmenti di
parentela
Nota metodologica per una ricerca Araldica
Prima di tutto, si parte dai documenti conservati nella propria famiglia,
che possono essere tanti o pochi a dipendenza dell'importanza avuta in passato dal casato
e anche da ciò che si è voluto conservare. Fino ad alcuni decenni fa in ogni famiglia,
specialmente del ceto rurale, tutti i manoscritti importanti si conservavano (magari in
solaio o in qualche cartone o baule). Con l'avvento della civiltà dei consumi ci fu un
vero scempio in questo campo e si bruciarono o si indirizzarono al macero numerosissimi
documenti, certamente di notevole valore storico locale. Inoltre ci si dovrà basare su
quanto raccontato dai genitori, nonni parenti, nonché da altra gente del villaggio di
origine. Tutto quanto raccontato dai vecchi, perfino le leggende, ha un fondamento nella
realtà storica. Avuta la notizia, bisognerà poi accertarne il fondamento a mano dei
documenti.
Poi ci si affida ai nominati registri anagrafici parrocchiali: libri dei battesimi, dei
matrimoni, dei defunti, elenco dei cresimati, stati delle anime. Come è intuibile, detti
registri sono manoscritti in latino, ma si tratta di un latino volgare assai
comprensibile. La presenza della Chiesa e il profondo legame delle sue istituzioni con il
territorio permeano l'intera storia italiana: gli archivi ecclesiastici sono depositari di
un patrimonio documentario di immenso valore, il cui studio contribuisce alla
ricostruzione di larghissima parte della storia italiana.
In questi libri si trovano notizie molto importanti:
Libri dei battesimi (Liber baptizatorum), che registrano i battezzati, con la data
del battesimo (che nella maggior parte dei casi coincideva col giorno della nascita oppure
con il giorno seguente), il nome dei genitori, il nome dei padrini di battesimo, del
sacerdote che amministrò il sacramento e ovviamente il prenome o i prenomi imposti al
neonato. In caso di battesimo eseguito in circostanze di grave pericolo di morte del
nascituro o della puerpera, da persona cognita (per esempio dalla levatrice), talvolta
ancora prima dall'uscita dall'utero materno, ne è fatta menzione. La cerimonia
battesimale veniva poi effettuata dopo qualche tempo in chiesa, per dare il crisma
ufficiale. Anche i figli nati da nubili o vedove venivano menzionati come tali e spesso
era specificato anche il nome del padre, con la menzione "ex illicito coitu",
"ex damnato thoro", ecc. - come confessato dalla partoriente alla levatrice.
Nel Medioevo i cosiddetti figli naturali erano una cosa normale: il padre dava il suo
cognome o patronimico al neonato. Con l'avvento della Riforma e della Controriforma si
strinsero i rubinetti relativi alla libertà sessuale. Le nascite al di fuori del
matrimonio furono considerate un'infamia e di conseguenza si agì. E così ci furono i
figli illegittimi, davanti alle porte di qualche casa o di quegli istituti che
accoglievano i trovatelli e aumentarono gli aborti e perfino gli infanticidi.
Libri dei matrimoni (Liber matrirnoniorum): vi sono indicati gli sposi, molto
spesso con l'indicazione dei loro genitori, i testimoni al matrimonio, il sacerdote
officiante e le pubblicazioni fatte in chiesa, nonché gli impedimenti di consanguineità
e di affinità secondo il Codice di diritto canonico e le eventuali dispense rilasciate
dal Vicario, dal Vescovo, dal Nunzio apostolico o anche dal Vaticano. Non si dimentichi
che detto Codice di diritto canonico esigeva la dispensa fino al 5' grado di
consanguineità e pure per la cosiddetta parentela spirituale (per esempio tra padrino e
figlioccia, tra fratellastro e sorellastra). Nei nostri archivi parrocchiali le dispense
matrimoniali sono moltissime e, nella maggior parte dei casi, la motivazione è "ob
angustiam loci" (per la ristrettezza del luogo) il che è poi un modo elegante per
suggellare matrimoni di convenienza (che erano la maggioranza). Si riusciva ad ottenere
mediante questi matrimoni ciò che ora si ottiene con il raggruppamento fondiario.
Sia nei libri dei battesimi, sia in quelli dei matrimoni, tra i padrini e le madrine di
battesimo e tra i testimoni di nozze si trovano spesso persone emigrate che si fanno
rappresentare alla cerimonia da parenti.
Le registrazioni dei battesimi da parte delle singole parrocchie sono generalmente le
prime fonti ecclesiastiche a comparire, già prima che il Concilio di Trento nel 1563 le
rendesse obbligatorie.
La loro funzione, dapprima solamente religiosa, divenne a poco a poco più rilevante anche
sotto il profilo civile, visto che la competenza anagrafica fu riservata fino all'800 in
maniera quasi esclusiva alle autorità ecclesiastiche. Negli stati italiani preunitari non
esisteva una regolamentazione uniforme: ci sono casi - per esempio le città di Reggio
Emilia e Modena - in cui l'autorità civile si occupò delle registrazioni anagrafiche fin
dal primo '500; bisogna tuttavia arrivare fino all'epoca napoleonica per assistere al
sorgere dell'ufficio preposto allo "stato civile". Con l'avvento della
Restaurazione si verificò ancora la frammentazione e la diversificazione delle norme e
della tenuta delle registrazioni anagrafiche nei diversi stati italiani, ma dopo l'unità
d'Italia - nel 1865 - vennero istituiti e regolamentati gli uffici di stato civile presso
i Comuni. Con l'unità d'Italia lo stato incaricò quindi i comuni della tenuta e della
conservazione degli atti anagrafici: tuttavia, viste le particolari modalità con cui si
completò il processo di unificazione, in alcune zone delle Venezie le registrazioni
parrocchiali sono ancora l'unica fonte anagrafica disponibile per il periodo che va dal
1870 al 1924. Gli atti parrocchiali hanno quindi immediata efficacia giuridica (completi
delle necessarie autenticazioni da parte della Cancelleria Diocesana) se anteriori a
quanto disposto dal Regio Decreto del 15 novembre 1865, n. 2062, sull'ordinamento dello
Stato Civile dei Comuni.
Gli Archivi Diocesani conservano documentazione altrettanto importante per la
ricostruzione delle storie locali. Particolarmente interessanti sono i documenti sulle
visite pastorali compiute dal Vescovo almeno ogni 5 anni, in cui si trovano descrizioni
degli arredi e del patrimonio parrocchiale, informazioni sulle cappellanie e sulle
confraternite attive nella parrocchia, l'elenco dei "benefici" parrocchiali, dei
lasciti alla chiesa (in beni o in messe), dello jus patronati ed altro.
Questi sono i principali Libri parrocchiali:
Libri dei defunti (Liber mortuorum): vi sono elencati i decessi, in parecchi casi
con l'indicazione dell'età del defunto (annorum quinquaginta circumeirca), se è molto
ricevendo tutti i sacramenti previsti della Chiesa, dove e quando è stato seppellito,
eventuali suoi titoli in vita, la sua attività e, talvolta, la causa della morte (caduto
da un dirupo mentre andava a caccia, caduto da un castagno mentre stava bacchiando
l'albero, morto annegato nel fiume, barbaramente ucciso dai soldati francesi, ecc.). Per i
defunti all'estero ci sono spesso le registrazioni nei libri dei morti del villaggio, ma
solo quando i parenti facevano fare le esequie in loco (pagando) oppure quando la notizia
giungeva al parroco per iscritto. In moltissimi altri casi i morti all'estero non figurano
menzionati nel Liber mortuorum.
Elenco dei cresimati (Nomina confirmatorum): quando il Vescovo veniva per la visita
pastorale (magari a 25 anni di distanza dalla precedente) venivano cresimati tutti quelli
che non lo furono prima. E qui si trovano dei cresimati che vanno dall'età di un anno
fino ai 70 anni. Queste Nomina confirmatorum ci servono per riassumere quanti erano ancora
in vita dei battezzati, poiché spesso i neonati morti duranti il parto o qualche giorno
dopo non venivano registrati oppure lo furono in modo non chiaramente intelligibile (a
dipendenza del prete o frate che fece l'iscrizione).
Gli stati delle anime (Stalus animarum): era questo un censimento fatto dai parroci
in determinate occasioni, magari in coincidenza con la visita pastorale, in cui si indica-
vano tutti i fedeli del villaggio, a famiglia per famiglia, con la loro età. Erano
menzionati quanti erano stati ammessi al sacramento dell'Eucaristia, quanti a quello della
Cresima, ecc. Era una statistica a scopo religioso che oggi ci serve anche come documento
demografico. In molti comuni ce ne sono parecchi di questi "Status animarum", in
altri nessuno.
I registri precedentemente citati devono essere la base di partenza che sarà completata
da altri manoscritti di archivio. Negli archivi pubblici, ma specialmente in quelli
parrocchiali, sono conservati moltissimi testamenti. Ciò è cosa molto importante per la
ricostruzione. Lo stesso dicasi per gli archivi privati. Nel libri mastri familiari e nei
quinternetti si trovano non solo notizie sul dare e sull'avere di ogni capofamiglia,
bensì anche notizie familiari. Il capofamiglia scriveva i suoi crediti e i suoi debiti in
questi libri, ma poi in qualche pagina annotava anche gli avvenimenti importanti della
famiglia: le nascite, i matrimoni, i decessi, con parecchi dettagli. Nel grande mosaico
delle fonti archivistiche si possono reperire e completare le notizie raccolte nei
documenti citati precedentemente.
Norme sugli archivi ecclesiastici: La conservazione dei documenti di importanza
vitale per la parrocchia ha inizio già dal Medioevo, ma è soprattutto con la
costituzione apostolica Maxima vigilantia, emanata da papa Benedetto XIII nel 1727, che
viene sancito l'interesse e la cura per gli archivi ecclesiastici, compresa la custodia
dei libri dei battezzati, dei confermati (cresimati), dei matrimoni, dei morti, gli status
animarum e il registro delle riscossioni delle decime annuali. Il Nuovo Codice di Diritto
Canonico, promulgato nel 1983 da Giovanni Paolo II, prevede esplicitamente l'esistenza di
un "Archivio Storico" in ciascuna Diocesi e fornisce disposizioni per la cura,
la conservazione e la valorizzazione del patrimonio documentario: tuttavia non tutti gli
archivi diocesani hanno la possibilità di ospitare gli archivi parrocchiali, che spesso
sono ancora conservati presso le singole parrocchie. Attualmente: gli archivi
ecclesiastici sono archivi privati, "speciali" in quanto sottoposti ad un regime
concordatario con l'amministrazione statale italiana, ma non assimilabili assolutamente
agli archivi degli enti pubblici o statali (archivi di stato, archivi dei comuni, ecc.).
Fare ricerche negli archivi parrocchiali Tutte le precauzioni sulla precisione e
sull'esattezza dei dati di partenza - valide per le ricerche in qualsiasi archivio - sono
accentuate dalla difficoltà per il personale della Curia (e ancora di più per il singolo
parroco) di fornire supporto alle ricerche.
La ricerca in archivio "per conto terzi" si configura come un'attività
straordinaria e spesso proibitiva: bisogna quindi assicurarsi non solo che l'archivio
parrocchiale sia ancora esistente, ma che sia consultabile, e tenere conto e rispettare la
disponibilità fornita dal parroco o dai responsabili dell'archivio diocesano.
Consigli pratici La maggior parte dei documenti ecclesiastici - almeno fino alla
metà del 1800 - sono redatti in latino, sulla base di un formulario abbastanza
consolidato, e con il ricorso frequente ad abbreviazioni di tipo paleografico, che possono
essere sciolte con un po' di pazienza e tramite il confronto tra i diversi atti.
L'Associazione Archivistica Ecclesiastica sta da tempo portando avanti la "Guida
degli Archivi Diocesani d'Italia", strumento molto utile per individuare la Diocesi
di competenza della propria parrocchia ed avere un primo riscontro sull'esistenza della
documentazione necessaria.
E' sempre opportuno avvisare la Curia Diocesana della necessità di consultazione degli
archivi parrocchiali, richiedendo - quando possibile - un nulla osta alla ricerca presso
il Vicariato Generale.
Per la presentazione di atti ecclesiastici come documentazione ai fini del riconoscimento
della cittadinanza italiana gli atti devono essere autenticati dal parroco, dal
Cancelliere Diocesano, e - in alcuni casi - dalla Procura della Repubblica del capoluogo
di Provincia.
Un grande lavoro di raccolta di dati anagrafici - per la maggior parte desunti da archivi
parrocchiali, è stato fatto dagli appartenenti alla Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni.
Oltre al nominati registri anagrafici parrocchiali rivestono particolare importanza i
seguenti manoscritti:
-Verbali comunali, che prima erano i verbali della pubblica Vicinanza, ossia
dell'assemblea dei Vicini.
-I registri delle taglie, cioè delle imposte dirette di un comune;
-I testamenti e gli arbitrati , conservati specialmente negli archivi parrocchiali;
-I protocolli delle imbreviature dei pubblici notai (rogiti notarili), dove in ogni
strumento rogato dal notalo, per esigenza giuridica stessa dell'atto, sono
dettagliatamente nomi- nate le persone coinvolte;
-I registri delle Confraternite, che nei secoli scorsi avevano anche uno spiccato scopo
sociale e fungevano da banche locali (quindi con l'indicazione di tutti coloro che
facevano dei legati e di coloro che ricevevano prestiti in denaro);
-I pubblici contratti ( vendita di boschi da tagliare da parte di un comune e successiva
ripartizione del ricavato tra i fuochi vicini, pubblico reclutamento di soldati, appalto
di costruzioni nel comune, ecc.);
-I processi civili e penali, in particolare i processi per stregoneria, dove si trovano
anche lunghissimi elenchi di indiziati di eresia segreta, cioè di stregoneria;
-I registri agricoli, con il bestiame caricato sulle alpi e con i relativi proprietari,
con i pegni (multe) pagate per trasgressioni agricole;
- Le mappe catastali e gli estimi; Le divisioni ereditarie;
Anagrafe dei Comuni italiani
L'Anagrafe della popolazione residente si configura come un "registro" che
documenta la posizione dei cittadini residenti, siano essi italiani o stranieri, e ne
rileva i movimenti. L'Anagrafe, inoltre, tiene conto di tutti i mutamenti che si
verificano nel Comune per cause naturali o civili, cioè per nascita, matrimonio, morte,
emigrazione, immigrazione I cittadini italiani debbono da sempre essere iscritti
nellanagrafe di un Comune italiano, con lobbligo di comunicare al proprio
Comune tutte le variazioni dei dati anagrafici (stato civile, cittadinanza, indirizzo,
composizione della famiglia, residenza). Le schede relative alle famiglie - i cosiddetti
"cartellini" - consentono di elaborare facilmente un documento chiamato Stato di
famiglia Storico (o originario), che presenta lo specchietto dei vari componenti un nucleo
familiare, riportando le relative indicazioni su data e luogo di nascita, di matrimonio,
di morte. In genere i registri dei comuni sono corredati da indici alfabetici annuali o
decennali per ogni tipologia di atto. In caso contrario può non essere semplice per il
comune rintracciare un singolo nominativo, soprattutto quando le richieste si riferiscono
ad un arco cronologico e non ad una data precisa. Prima dell'unità d'Italia le Anagrafi
esistevano nelle più importanti città degli Stati in cui era divisa la nostra penisola e
nel Regno d'Italia l'Anagrafe fu istituita, anche se a carattere facoltativo, con Regio
Decreto 31 dicembre 1864, n. 2106; successivamente venne resa obbligatoria con legge 20
giugno 1871, n. 297. I dati anagrafici sono pubblici, ma solo attraverso l'emissione di
certificati; infatti, non è consentito consultare i registri d'Anagrafe.
I certificati di nascita, matrimonio e morte di regola conservati presso gli Uffici di
Stato Civile dei comuni italiani a partire dal 1866, cioè dopo l'emanazione del Regio
Decreto 15 novembre 1865, n. 2062 sull'ordinamento dello Stato Civile e sono regolamentati
dal Regio Decreto 9 luglio 1939, n.1238.
Archivi storici dei Comuni
L'Archivio Storico del Comune conserva tutti i documenti prodotti e ricevuti
dall'amministrazione locale dalle sue origini (che spesso risalgono all'età medievale) e
materiale documentario di altro genere, ad esempio archivi di famiglia o di personaggi
legati alle vicende del comune, archivi di enti ospedalieri, di congregazioni di carità,
di enti comunali di assistenza, di uffici di conciliazione, ecc.. L'utilità degli archivi
storici comunali per le ricerche genealogiche o connesse con le pratiche di riconoscimento
della cittadinanza italiana è legata alla presenza di fondi di tipo anagrafico (stato
civile, anagrafe, censimenti e ruoli della popolazione) o di tipo militare (Liste di
estrazione, liste di leva, ruoli matricolari).
Non tutti i Comuni italiani hanno costituito un proprio Archivio Storico, anzi, la maggior
parte dei Comuni conserva tutto il materiale ancora presso l'Archivio di Stato Civile del
Comune. Tuttavia l'esistenza di un Archivio Storico nel comune che interessa, agevola le
condizioni di ricerca, poichè offre la struttura di ricezione, di ricerca e di
consultazione tipica di un archivio storico e vengono superati i limiti imposti
dall'ordinamento degli uffici comunali (che sono pubblici, ma non "aperti al
pubblico").
Gli Archivi di Stato sono istituti presenti generalmente nei capoluoghi di provincia,
con alcune sedi anche in comuni medio-piccoli. Conservano la documentazione degli stati
pre-unitari a partire dall'Alto Medioevo, la documentazione statale prodotta dopo l'Unità
d'Italia , gli archivi notarili anteriori agli ultimi cento anni e gli archivi degli enti
ecclesiastici e delle corporazioni religiose soppresse.
Possono ricevere in deposito archivi di enti pubblici e archivi privati (di famiglie, di
persone, di imprese, di istituzioni) e dipendono direttamente dal Ministero per i Beni e
le Attività Culturali (vedi il sito del Sistema Archivistico Nazionale).
La mole di documenti conservata negli archivi di Stato è enorme, a volte persino
difficile da quantificare: raramente però gli Archivi di Stato conservano materiale
immediatamente pertinente alle ricerche di tipo genealogico-familiare. Quindi - prima di
'immergersi' in una ricerca che può rivelarsi molto faticosa se non inutile - è meglio
verificare sulla Guida
Generale agli Archivi di Stato o sui singoli siti degli Archivi, l'esistenza di
fondi archivistici interessanti per la ricerca, verificando l'argomento, l'arco
cronologico, territorio interessato, eventuali lacune della documentazione, ecc. Bisogna
tenere conto che in genere i fondi conservati presso gli archivi di stato sono molto ampi,
e che quindi le ricerche - se non sono facilitate da strumenti informatici - possono
essere molto complesse ed articolate: se la ricerca non può seguire scorciatoie
informatiche o non è corredata da informazioni molto precise, difficilmente può essere
svolta dal personale dell'Archivio. E' quindi necessario presentarsi all'archivio con il
maggior numero di informazioni possibili riguardo all'argomento della ricerca, poichè
difficilmente l'Archivio potrà dare seguito a ricerche generiche o con dati incerti.
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Giustiniani
Il libro d'oro
della nobiltà Genovese
Giustiniani inscritti nell'Albo
d'oro della nobiltà Genovese