STORIA DELLA CITTA DI GENOVA
DALLE SUE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA
Testi in larga parte tratte dai siti:
L'orizzonte
di Genova
Il Caffaro.com
Genova nei secoli
doro
El siglo de los Genoveses
Genova in rivolta dal
sito "fiammecremisi" dedicato ai bersaglieri
Per ulteriori approfondimenti:
Società Ligure di
Storia Patria
Un elenco di siti Genovesi de Il
Caffaro.com
www.francobampi.it/liguria
diversi link di storia Genovese e Ligure.
ANNALI DI CAFFARO (Cafarus)
Storia di Genova su
Liguria Indipendente
LE ORIGINI DELLE POPOLAZIONI LIGURI: I PRIMI INSEDIAMENTI
I Liguri, che occupavano lEuropa occidentale, dal delta del Rodano a tutto il Nord
Italia, ebbero molti contatti con il medio Danubio e la penisola Iberica. Dalla zona
paludosa del delta derivò il loro nome: da Liga, fango o palude. Lo sviluppo della
navigazione li portò a commerciare con le più progredite civiltà del Mediterraneo. Fin
dal periodo neolitico scambiarono merci con Lipari, con gli Etruschi ed infine con i
Greci.
In epoca più recente si ritirarono combattendo sotto lincalzante avanzata delle
altre popolazioni.
Gli Ambroni, sotto la pressione delle popolazioni celtiche, scesero dallo Jütland in
territorio ligure dove sintegrarono avviando il commercio dellambra lungo la
direttrice del Rodano imponendo il loro nome a tutta la popolazione ligure autoctona.
Nel 700 a.C. sbarcarono nel Golfo del Leone i primi commercianti greci. Nel 600 a.C. i
Focesi fondarono Marsiglia e, per rendere sicure le vie di comunicazione con
linterno, occuparono pacificamente la zona facendo retrocedere i Liguri Segobrigi di
Re Nanno. I Liguri, che erano stati fino ad ora i principali importatori dambra
verso il Mediterraneo, retrocessero fino a Monaco ribattezzata dai Greci di Marsiglia
"Portus Herculis Monoeci". Referente mitico della resistenza degli Ambroni e dei
Segobrigi allavanzata greca fu la leggenda secondo cui Eracle, di ritorno dalle
Colonne dErcole, dovette retrocedere, dopo il Rodano, di fronte ai figli di
Poseidone, Albione e Ligure.
Nel IV secolo a.C. gli Etruschi, sconfitti i Focesi ad Aleria, simpadronirono
dellisola dElba, appartenente ai Liguri Ilvati, e Luni.
I confini dei Liguri, per via dallavanzata dei Greci e dei Celti (a partire dal V
secolo a.C.), si ridussero fino a comprendere Toscana, Bologna, Milano e Monaco. Stretti
tra gli Etruschi ad est, i commerci di Marsiglia ad ovest e i Celti Insubri, Boi e
Cenomani a nord dovettero stanziarsi tra il mare ed il Po mentre i Celti occuparono tutta
la zona transpadana senza particolari attriti.
Leggende attribuiscono la fondazione di Genova a Giano, profugo da Troia. Il dio eponimo,
Giano bifronte, protettore di navi e monete, fu solitamente inteso come simbolo: dei due
specchi acquei ai lati del promontorio dove nacque il primo porto o della via di transito
(porta) dei commerci genovesi tra il mare e la pianura Padana.
La fondazione avvenne nel VI secolo ad opera di mercanti fenici che portavano il sale
dalla Corsica alla Svizzera. Da Genova aprirono la "pista del sale" lungo la
direttrice Bisagno - Trebbia. Unindagine glottologica sul nome "Genua",
diventato poi dopo il X secolo "Janua", portò ad evidenziare due
radicali indoeuropei ed uno greco: "Mascella" e quindi "bocca"
come città di sbocco. "Gomito" la forma dellinsenatura del porto. Ritrovo
di forestieri" (Xenos in greco) e quindi porto.
Sull'origine del nome "Genova", esistono quindi diverse interpretazioni, ma, di
sicuro, quella più affascinante è che essa derivi dalla parola latina "Janua",
cioè "porta".
Tra il V ed il IV secolo a.C. furono frequenti i contatti commerciali con Etruschi,
Cartaginesi, Campani e principalmente con i Greci (Ateniesi e Massalioti) ma nessuno di
questi popoli subentrò o dominò la città. Genova, abitata dai Liguri Genuati, era
considerata dai Greci, dato il suo forte carattere commerciale, "lemporio
dei liguri": legname per la costruzione navale, bestiame, pelli, miele, tessuti.
Il nucleo urbano del Castello iniziò, per i fiorenti commerci, ad ampliarsi verso Prè
(la zona dei prati) e verso il Rivo Torbido.
GENOVA IN EPOCA ROMANA
I Liguri Montani, abitanti tra il col di Cadibona ed il col di Tenda, erano legati ai
Cartaginesi cui fornivano, per tradizione, mercenari "valorosi e pugnaci".
Invece Genova, data la sua posizione strategica come porto e per via degli interessi
commerciali con Marsiglia (alleata romana contro i Cartaginesi) ottenne un foedus
aequum con Roma.
Durante la prima guerra punica (221-202 a.C.) Annibale espugnò la città ligure di Torino
(218) e Publio Cornelio Scipione trasferì le sue truppe dal Rodano a Genova con 60 navi.
In città reclutò navi ed equipaggi per fronteggiare Annibale.
Nel 207 a.C. circa 8.000 Liguri Montani si arruolarono con Asdrubale, non appena questi
varcò le Alpi; Genova e le altre città della costa restarono fedeli a Roma. Il Generale
cartaginese Magone partì dalle Baleari, per portare aiuto al fratello Annibale, con 30
navi rostrate e molte onerarie, 12.000 fanti e 2.000 cavalieri. Saccheggiò Genova nel 205
a.C. trasferendo il bottino a Savona.
Gli Ingauni, in guerra con gli Epanteri, promisero truppe in cambio del suo aiuto contro i
loro nemici. Lasciate dieci navi rostrate a guardia di Savona e inviate le altre a
difendere Cartagine, Magone costrinse alla resa gli Epanteri.
Nel 204 a.C. 8.000 soldati romani innalzarono una cinta muraria attorno a Genova e
costruirono, sul colle prospiciente il porto, un castello.
Magone ripose le sue speranze nei Galli Insubri e nei Liguri Montani, ma dovette partire
nel 203 a.C. con solo pochi volontari liguri e fu sconfitto in Val Padana. Tornò, ferito,
a Savona dove salpò per Cartagine morendo prima di arrivarci.
Due anni dopo il pretore Lucrezio Spurio terminò la ricostruzione di Genova. Il centro
cittadino fu edificato lungo la Valle Aurea, zona dellattuale porto.
Era già presente la via Tusca [via della Tosse] che portava a levante e dallaltro
lato scavalcava con un ponte, "ponticello" [da quella che poi sarà la Porta di
S. Andrea verso S. Vincenzo], il Rivo Torbido.
Nel 201 a.C. gli Ingauni chiesero, per evitare rappresaglie postbelliche, unfoedus non
aequum con Roma e lo ottennero venendo così a creare una via di terra diretta con
Marsiglia.
Le rivolte liguri durarono per anni ma si mantennero sempre a livello di guerriglia, tanto
che si diceva: "È più facile sconfiggere i Liguri che trovarli".
Nel 197 a.C. Q. Minucio Rufo partì da Genova contro le tribù dei Celelati, Cordiciati e
Ilvati. Il Console, varcati i Giovi, riconquistò quindici città e costrinse alla resa
20.000 uomini.
Dal 193 a.C. al 191 a.C. il Console Quinto Minucio Termo combatté gli Apuani e i Liguri
Montani di levante.
Dal 188 a.C. il Console M. Valerio Messala, i Consoli C. Flaminio e M. Emilio ed il
Console Q. Marcio Filippo non ebbero buona sorte nelle loro spedizioni. Questultimo
perse, in un imboscata, 4.000 uomini e numerose insegne.
Nel 185 a.C. M. Sempronio Tuditano saccheggiò il litorale. Nel 184 a.C. operarono in
Liguria i Consoli P. Claudio Pulcro e L. Procio Licino. Nel 183 a.C. vi fu
loffensiva di Q. Fabio Labeone e M. Claudio Marcello. Nel 181 a.C., per contrastare
le azioni di pirateria degli Ingauni (federati romani), il Console ligure L. Emilio Paolo
chiese, sconfitti i Sabazi, una resa incondizionata agli Ingauni. Questi lo assalirono di
sorpresa; in suo soccorso giunsero rinforzi ed una flotta al comando di Caio Matieno. In
pochi giorni gli Ingauni si arresero: caddero 15.000 liguri, furono catturati 2500 uomini
e 32 navi da corsa.
Nel 180 a.C. P. Cornelio e M. Bebio costrinsero 12.000 liguri alla resa e deportarono
40.000 nuclei famigliari a Sannio, presso Benevento. In seguito Aulo Postumio e Quinto
Fulvio ne deportarono altri 7.000. Nel 173 a.C. il Console M. Popillio Lenate assalì
senza motivo la città, "amica dei romani", di Carystum. La città, che perse
difendendosi 10.000 soldati, fu distrutta, i beni confiscati e tutti i suoi abitanti
ridotti in schiavitù.
Nel 172 a.C., sotto il consolato di Caio Popillio e P. Elio Ligure, Popillio Lenate
affrontò nuovamente gli Statielli lasciandone sul campo 6.000 e per queste sue azioni
dovette comparire davanti al Pretorio per insubordinazione. Nel 155 a.C. vi fu un
tentativo di rivolta da parte dei rimanenti Liguri Apuani represso da M. Claudio Marcello.
Nel 154 il Console Q. Opimio si diresse da Piacenza per Genova fino al Varo per combattere
i Liguri Oxibii e Deciati.
Nel 148 a.C. il Console Postumio Albino costruì in Liguria la Genova - Libarna - Tortona,
strada parzialmente munita (vale a dire percorribile dai carri). La "Postumia"
da Tortona passava poi per Piacenza e attraverso Verona giungeva ad Aquilonia collegando i
due mari. A Piacenza la "Aemilia Lepidi" collegava la "Postumia" con
Rimini. Nel 109 a.C. Emilio Scauro aprì la via "Aemilia Scauri" che da Pisa,
portava a Tortona passando per Genova. Divenne fondamentale la via marittima da Pisa e
Luni per Marsiglia con scalo a Genova.
Nel 109, per la minaccia dei Cimbri, si creò una deviazione della "Postumia"
attraverso la Val Bormida e il passo della Bocchetta. La "Postumia", restaurata
da Augusto nel 13 a.C. e collegata con il tratto Tortona - Vado della "Aemilia
Scauri", divenne "Iulia Augustea" e sarà per lungo tempo lasse
portante dellImpero verso le Gallie, tagliando fuori Genova e facendo di Tortona il
centro delle vie commerciali di terra.
Genova, per via dei maggiori commerci, si ampliò sviluppandosi tra le attuali Piazza
Sarzano, via Santa Croce, Salita a S. Maria di Castello e via Mascherona. I cimiteri erano
a S. Lorenzo, S. Andrea e S. Maria di Castello.
Genova (città Genuata) formava, dopo la stipulazione del foedus con Roma, uno stato
autonomo libero di reggersi con proprie leggi ed aveva già dal 117 a.C. soggiogato le
popolazioni limitrofe che erano a lei adtributae. I Liguri non parteciparono alla guerra
sociale (91-88 a.C.) e per tale motivo ottennero la cittadinanza di diritto latino.
Genova partecipò alla campagna contro i pirati cilici di Pompeo Magno (68-67 a.C.) ed
ospitò la flotta di Marco Pomponio Malo a difesa della riviera.
I Liguri fornirono uomini, armi e rifornimenti alle legioni di Cesare durante la campagna
in Gallia (58-50 a.C.). Nel 49 a.C. Cesare con la "Lex Rubia de Gallia
Cisalpina" estese la cittadinanza a tutti i Liguri: Genova da oppida, alleata e
confederata, divenne civitas e Municipio romano. Prima i Genovesi non avevano diritto di
voto ma furono governati da un praefectus juri dicundo romano.
Eretto a Municipio di cittadinanza romana, iscritta alla tribù Galeria, ottenne lo stesso
ordinamento amministrativo e politico di Roma.
Nel 18 a.C. era di stanza a Genova lAmmiraglio Menenio Vipsanio Agrippa e nella sua
casa fu ospite per due anni Ottaviano. Quasi tutti i funzionari romani di stanza a Genova
si fecero costruire ville nelle campagne circostanti: a Corneilanum [Cornigliano], Pyla
Veituriorum [Pegli], Veiturium [Voltri], Pons ad decimum [Pontedecimo] Riparolium
[Rivarolo] Quinci [Quezzi] Quartus [Quarto] e Quintus [Quinto]. Le località spesso erano
indicate solo con la loro distanza dalla città: Quartus lapis ad urbe Januae (quarta
lapide prima della città), Pons ad decimum (Ponte al decimo miglio).
Allepoca la città era piccola, stretta tra il mare, il Castro, borgo Tascherio e
località Canneto. Si estendeva attorno al Mandraccio (il porto primitivo) Piazza Cavour,
Via Giustiniani, Porta Soprana ed il castello di Sarzano.
Con la nascita dellimpero (15 a.C.) i Liguri, come anche molte altre popolazioni, si
sollevarono.
Il Re di Susa Cozio I si sottomise ai romani solo nel 13 a.C. divenendo praefectus
civitatium delle Alpi Cozie. Le Alpi Marittime furono organizzate in praefectura,
governata da comandanti militari di rango equestre e con truppe non legionarie e dal 69 la
circoscrizione divenne provincia procuratoria. I Liguri della costa tra il Varo e Genova
erano invece di diritto Italico.
Il 6 d.C. Augusto istituì undici regioni con funzioni amministrative a livello di
censimento e catasto. La regione non ebbe direzione amministrativa propria (deputata alle
città) ma fu usata come struttura di suddivisione statistica.
Il confine della IX regione iniziava da Luni (città dorigine focese, poi colonia
romana), seguiva il Magra fino allo spartiacque appenninico, scendeva verso il Trebbia e
giungeva nei pressi di Piacenza (tra Voghera e Costeggio); proseguiva lungo il Po,
risaliva lungo la Valle Stura fino alle Alpi Marittime e deviava verso il Varo seguendolo
fino alla foce.
Nizza, pur essendo geograficamente nella IX regione, dipendeva amministrativamente da
Marsiglia che la governava con un episcopus affiancato, a partire dal III secolo, da un
procuratore imperiale. Nel III secolo fu incorporata dalla provincia delle Alpi Marittime.
Già verso il 100 la IX regione assunse il nome di Liguria. Lapertura
dellAurelia, con conseguente incremento dei commerci e sviluppo del porto, portò
allampliamento del molo e alla costruzione dellacquedotto che incanalava il
Bisagno.
Nel 58 i santi Nazario e Celso sbarcarono alle Grazie (presso il Mandraccio) e
catechizzarono il territorio ma la comunità cristiana restò in ombra fino a metà del
III secolo.
Tra il I ed il II secolo a.C. il cavaliere di Tortona Q. Marius Iulanus fu decurione a
Genova ormai inclusa nel circuito commerciale della più florida vicina.
Nel 193 Publio Elvio Pertinace, nato presso Vado, divenne Imperatore e lo rimase per solo
88 giorni. Nella seconda metà del III secolo a.C. limpero affidò il governo delle
regioni a comites, fiduciari personali dellImperatore.
Alla fine del II secolo vi fu un notevole incremento economico: iniziò una serie regolare
di importazioni di grano dalle isole e dallAfrica che era conservato in magazzini
sorvegliati da una guarnigione distaccata da Milano. Fino al III secolo le città italiane
erano autonome amministrativamente ed esenti da imposte fondiarie ma già nel IV secolo,
in seguito allacquisizione della cittadinanza romana e di alcune riforme fiscali,
compaiono i correctores, funzionari dotati di imperium, poi sostituiti da consulares.
Con Diocleziano (284-305) la Diocesis Italiciana era governata da due vicari praefectorum
Praetorio uno (vicarius Italiae) per la Regio Annonaria ed uno (vicarius Urbis Romae) per
la Regio Urbicaria. Milano divenne capitale della Regio Annonaria che comprendeva la
provincia di Liguria et Aemilia. Lasse Milano - Genova (come anche quella Milano -
Ravenna) rimase fondamentale, fino allinvasione longobarda, per il collegamento via
mare ai porti provenzali e perse dimportanza il collegamento tra il Nord Italia ed
il Rodano attraverso il Monginevro e la Valle della Durance, a causa della minaccia
barbarica.
La Liguria aveva perso il territorio tra Framura e il Magra, annesso a Luni (provincia di
Tuscia et Umbria) e Nizza, annessa alle Alpi Marittime. A Nord le Alpi la dividevano della
provincia delle Alpi Graie e Pennine e della Rezia ed infine lAdda la separava dalla
provincia di Venetia et Histria.
Sotto Teodosio (346-395), per volontà del Metropolita milanese S. Ambrogio, si
edificarono in Genova numerose chiese e cappelle e fu innalzata la basilica cimiteriale di
S. Lorenzo presso il sepolcreto.
Con la fine del IV secolo linflusso provenzale di Arles su Genova era fortissimo sia
a livello commerciale sia artistico: S. Genesio, martire arleanese, ebbe a Genova una
chiesa a lui dedicata nella zona di S. Lorenzo a Levante della via Publica, a valle della
necropoli.
Allinizio del IV secolo la comunità genovese divenne chiesa episcopale ed ebbe come
primo Vescovo nella sua Diocesi S. Valentiniano (312-325). Gli succedette fino alla metà
del IV secolo il Vescovo Felice e a lui seguì S. Siro.
S. Siro, nato in Val Bisagno in località Emiliano (S. Siro di Struppa) nel pago di
Molassana, fu avviato al sacerdozio dal Vescovo Felice. Inviato a villa Matuziana (S.
Remo) riceve in dono, a causa dei suoi miracoli, vasti terreni (i fines Matutianenses e i
fines Tabienses) nella zona di S. Remo, Ceriana e Taggia che poi divennero proprietà
della chiesa di Genova, costituendo de facto una contea ecclesiastica. Nominato Vescovo
per acclamazione popolare, cacciò con la forza della sua predicazione leresia
ariana dalla basilica dei XII Apostoli (chiesa episcopale extra moenia) nel 361. Il
Vescovo di Genova Diogene nel 381 partecipò al sinodo di Aquileia. Dopo di lui divenne
Vescovo S. Romolo.
I primi Vescovi di Genova furono: S. Valentiniano, S. Felice, S. Siro, Diogene, S. Romolo,
S. Salomone, Pascasio, Eusebio.
GENOVA TRA IL 500 E IL SETTECENTO: LE INVASIONI BARBARICHE
Genova romana non è considerabile una città di importanza rilevante anche sotto
l'aspetto portuale e commerciale. Solo con la caduta dell'impero e con i significativi
mutamenti imposti dalle invasioni barbariche, Genova inizia un'altalenante ma pur sempre
crescente scalata all'autogoverno e alla potenza economica.
La decadenza viaria romana locale e la conformazione geografica isolano Genova dal resto
della penisola salvaguardandola dalle devastanti invasioni che si abbattono sui resti
dell'impero. Proprio la sua condizione "protetta" ne aumenta l'importanza, la
necessità di uno scalo tirrenico sicuro per la lotta alla pirateria è il primo passo
verso la crescita cittadina.
Tra il IV e il V secolo il porto di Genova divenne scalo quasi obbligatorio nei commerci
tra Milano e le coste di Sicilia e Africa dato che la via "Postumia" consentiva
di arrivare a Milano in soli tre giorni. Dal punto di vista delleconomia agricola
abbiamo: Lo svilupparsi del latifondo sia nobiliare sia curiale privo, dal 323, di
obblighi straordinari. Già nel 357 la vendita del latifondo era vietata senza i suoi
coloni; Linserimento di proprietari terrieri nella nobiltà senza che vi fosse alcun
rimpiazzo da parte delle classi inferiori. Il problema divenne urgente tra il 400 ed il
450; linasprimento fiscale che portò al diffondersi, nel V secolo, del patrocinium
con cui un piccolo proprietario cedeva le sue terre ad un latifondista riottenendole in
precarium o come colono.
Il 18 novembre 401 il Re visigoto Alarico (376-411) passò le Alpi Giulie e dilagò fino
alla Liguria. Il Generale Stilicone, raccolto lesercito imperiale impegnato in Rezie
e passato lAdda, giunse a Milano nel marzo 402. Alarico, raccolti gli eserciti a
Piacenza e Tortona, fu costretto, dopo la battaglia di Pollenzo del 6 aprile 402, a
ritirarsi in Veneto.
La parte orientale della Liguria subì nel 405-6 le orde del Re ostrogoto Rodagaiso.
Nel 410 Alarico tornò in Liguria per imporre il riconoscimento dellImperatore
Attalo, a lui gradito. Nel 412 Re Ataulfo (411-415), dopo il matrimonio con
LImperatrice Galla Placida, guidò i Goti verso la Gallia passando lungo la
"Iulia Augusta", evitando Genova ma devastando Albenga e Ventimiglia.
Il Generale Flavio Costanzo, poi marito di Galla Placida e Augusto con Onorio, istituì
nel 421 la provincia delle Alpi Appennine con capitale Genova (detta anche Liguria Alpium,
Liguria Maritima, Provincia Italorum Maritima o Maritima). Dopo il Po vi era la
"Liguria transpadana" con capitale Milano.
Tra IV e V secolo, a causa delle minacce barbariche, vi fu un richiudersi di Genova
(comune anche ad altre città) in un cerchio di mura ristretto e più difendibile [S.
Nazario, sud di S. Cosma, Piazza S. Giorgio, la chiavica, S. Donato, Prione, Porta S.
Andrea, Sarzano, S. Croce e S. Nazario]. Si spianarono le case esterne a ridosso delle
mura: tale zona assunse il nome di "Canneto" [via Canneto] perché dal colle di
S. Lorenzo alla valle dove corre la via publica il terreno incolto venne invaso dal
cannetum. Le parti della città che rimasero fuori dalle mura cittadine sopravvissero come
borghi commerciali separati, vitali ma indifesi. La parte orientale della Liguria subì
nel 452 le orde del Re unno Attila.
Dopo la costituzione del Regno Vandalo dAfrica e loccupazione di Cartagine del
440 iniziò loffensiva del Re vandalo Genserico alle coste italiane. In
questoccasione si ebbe una parziale militarizzazione della popolazione civile che fu
abilitata alluso delle armi ed ebbe incarichi di difesa nei confronti di mura e
porte cittadine. Nel 440 la navigazione divenne del tutto impossibile per via dei corsari
vandali.
Per fronteggiare le incursioni Vandale dal mare sinstaurò un collegamento tra la
Marittima e la provincia della Tuscia Annonaria (sorta nel 458 e comprendente Arezzo,
Firenze, Lucca, Luni e Pisa) al fine di avere ununica frontiera marittima.
In questo frangente rimase importante, nonostante tutto, la funzione commerciale di Genova
come scalo per le Gallie e la Spagna. Le Alpi Marittime, la Narbonense e parte della
provincia Viennensis vennero de facto unite al regno visigoto. Ciò fu commercialmente
valido per Genova nonostante gli inasprimenti fiscali, che colpirono principalmente la
piccola proprietà terriera, e la non florida condizione delle Gallie.
Lo stanziarsi in Italia degli Ostrogoti non alterò gli equilibri sociali ed economici
(anche se ufficialmente cadde lImpero Romano dOccidente) e il Re ostrogoto
Teodorico (457-526), pur senza avere un proprio rappresentante, esercitò la propria
autorità sulla città di Genova.
In quel periodo vi era a Genova, sintomo dei floridi commerci, unantica comunità
ebraica. I Vandali dAfrica, che si dedicarono alla pirateria, furono sconfitti dal
Generale bizantino Belisario.
Genova rimase quindi lo scalo commerciale preferito dal momento che la "Flaminia -
Aemilia" si trovava sotto la minaccia delle orde barbariche.
Lagricoltura ligure allinizio del 500 era in netto declino per via dei
continui passaggi di truppe sul territorio (508-9 e 523), delle carestie, delle incursioni
Burgunde del 493 e del 534 e Alemanna del 536. Tra il 535 e il 536 Re Teodato ordinò di
vendere ai Liguri colpiti dalla carestia la terza parte del frumento raccolto nei
magazzini di Pavia e Tortona.
L'Impero Romano, cade definitivamente nel 476, Odoacre si fece proclamare Re, deponendo
l'ultimo Imperatore romano Romolo Augustolo e l'arrivo dei Longobardi nel 569, Genova
riuscì a mantenere una propria autonomia grazie alla posizione favorevole che permetteva
all'Impero di essere salvaguardato dalla minaccia degli arabi. Ed è proprio da questa
situazione favorevole che Genova riuscirà ad attivare tutti i commerci che la renderanno
una delle città più importanti e conosciute dell'epoca.
Nel dicembre 537, durante una tregua tra Re Vitige (536-543) e il Generale Belisario,
giunse a Roma, assediata dai Goti, una delegazione di notabili liguri, guidata
dallArcivescovo Dazio, che sollecitò lintervento bizantino, promettendo la
rivolta delle popolazioni liguri, per rovesciare il regno dei Goti.
I bizantini si accorgono delle potenzialità strategiche di Genova e ne fanno uno dei loro
capisaldi nel nord Tirreno. Il legame tra la città e l'Impero Bizantino costituisce uno
stimolo al commercio.
Il Generale Belisario inviò 1.000 Isauri e Traci, comandati da Paolo ed Enne, Fidelio
Felice fu nominato praefectus Praetorio. Approdarono a Genova nel 538, trasportarono le
barche con cui passare il Po presso la "Postumia" per non usare il ponte tra
Pavia e Tortona che era presidiato dai Goti e presero Milano dopo aver sconfitto i Goti a
Pavia.
A Genova i Bizantini tennero un forte presidio, che nel 544 era sotto il comando di Bono,
nipote del Generale Giovanni, ma la città non risentì della loro guerra contro i Goti.
Le milizie bizantine fondarono la cappella di S. Giorgio (santo della Cappadocia) nei
pressi del porto vecchio, accanto al loro presidio militare.
Uraia, nipote del Re Vitige, al comando di 10.000 Borgognoni, assediò Milano e la città,
visto il ritardo dei soccorsi imperiali, si arrese per fame nel 539. La città fu rasa al
suolo e tutti i suoi 300.000 abitanti maschi furono giustiziati. Uraia proseguì fino a
Tortona dove venne fermato dai Bizantini.
Il merovingio Teodeberto (534-547) calò in Liguria con 100.000 uomini e travolse entrambi
i contendenti a Tortona: le truppe bizantine si dovettero rifugiare in Tuscia. I Franchi
saccheggiarono la regione e Genova ma, decimati dal colera, dovettero rientrare in
Austrasia mentre i Bizantini guidati dai generali Martino e Giovanni rioccuparono il
Tortonese e ricostituirono il confine al margine cispadano.
Belisario assediò Re Vitige a Ravenna. In quel periodo Sisige, governatore goto delle
Alpi Cozie si consegnò alle truppe bizantine del Generale Tommaso. Uraia, che con 4.000
Goti stava dirigendo verso Ravenna, dovette dirigere verso le Cozie in quanto gran parte
dellesercito aveva famiglia nei castelli ora in mano bizantina. Le truppe bizantine
di stanza a Tortona vennero in aiuto di Sisige impedendo la riconquista della regione da
parte di Uraia e nel Maggio 540 Ravenna cadde e Re Vitige si arrese.
Terminate le ostilità con gli Ostrogoti, quelle contro Alemanni e Franchi proseguirono
fino al 563.
La classe senatoria fu impegnata a recuperare le terre confiscate da Totila e a
riassestarle, dato lo stato generale di incuria in cui erano cadute. La curia ligure era
praticamente scomparsa e nel suo processo di riorganizzazione diede origine ad una forte
penetrazione lungo le vie di comunicazione con linterno: nacquero S. Cipriano e di
S. Olcese. Il governo imperiale di Norsete, considerando lItalia una provincia,
incaricò dellamministrazione funzionari di origine orientale.
Nel 569 i Longobardi di Re Alboino (560-572) presero Bergamo, Brescia, Ivrea, Milano,
Novara, Torino, Treviso, Verona, Vincenza; si diressero verso le Gallie e strinsero
dassedio per tre anni Pavia. La flotta bizantina sul Po ed i collegamenti marittimi
di Genova riuscirono ad impedire loro lingresso in Liguria.
Si ebbe in questo periodo una forte militarizzazione della società civile: il territorio
fu suddiviso in distretti castrensi e, data la scarsezza di truppe, la popolazione rurale
venne trasformata in coloni limitanei mentre quella urbana diede origine ai numeri
cittadini.
A Genova si formò un exercitus comandato da un vir magnificus, praefectus vices agens e
formato da reparti di milizia cittadina e da laeti. La milizia, con sede nella basilica di
S. Giorgio, era composta da numeri i quali, agli ordini di un comes tribuno, reclutavano
nelle diverse contrade dai 200 ai 400 uomini; i laeti erano invece milizie barbare al
servizio dellimpero.
Durante linvasione longobarda e sotto il regno di Totila (574) Genova divenne il
naturale rifugio della classe dirigente milanese. Il 3 settembre 569 a Genova giunse il
Metropolita Onorato con al seguito il clero maggiore e tutta la nobiltà milanese, dato
che i Longobardi avevano occupato la città.
L'invasione longobarda (568) travolge i bizantini nel nord della penisola risparmiando
però Genova. Il Vescovo milanese si trasferisce in esilio a Genova per circa 70 anni.
Viene adibita a sede la chiesa di S. Ambrogio (oggi chiesa del Gesù). Tra il 642 ed il
644 i longobardi riescono a saccheggiare o forse addirittura a distruggere Genova.
Per Genova, il periodo longobardo costituisce una fase di stagnazione se non addirittura
di temporaneo declino commerciale.
Onorato divenne Vescovo di Genova, non appena la carica divenne vacante, ed i successivi
Vescovi in esilio mantennero tale incarico. Questi furono i Vescovi in esilio: S. Onorato,
Lorenzo Costanzo, Deus Dedit, Asterio, Forte, S. Giovanni Bono. In questo periodo
desilio la nobiltà milanese contribuì allerezione della chiesa di S.
Ambrogio, voluta dal Metropolita Costanzo, e della basilica dei SS. Vittore e Sabina. Il
clero genovese era tenuto a recarsi in processione a S. Ambrogio in occasione delle feste
dei Santi Ambrogio, Gervasio, Protasio e Andrea e tale obbligo venne definitivamente
fissato dal Metropolita Giovanni Bono durante i preparativi per il rientro della sede
episcopale a Milano.
I Vescovi milanesi furono sepolti nella basilica cimiteriale di S. Siro ad eccezione di
Onorato (sepolto a Noceto di Camogli) e di Forte (la cui sepoltura è ignota per via dei
disordini seguiti allinvasione longobarda di Genova).
La comunità milanese si stanziò nel Brolium, terreno fiscale presso la porta di S.
Andrea, dove la chiesa episcopale ricevette dal governo imperiale numerosi terreni e
proprietà. Il Brolium, che deriva da brogilus: "bosco" oppure "orto"
si trovava alle pendici nord - ovest del colle del Castello, attorno alla chiesa di S.
Ambrogio.
Alla chiesa milanese furono anche donati terreni ad Albaro, Staglieno, Bargagli, Crovara,
Neirone, Carpeneto, Lumarzo, Recco, Noceto, Capodimonte ed inoltre il Metropolita milanese
ebbe giurisdizione per secoli sulle quattro circoscrizioni plebane di Camogli, Rapallo,
Recco e Uscio.
Nel 573, alla morte di Alboino i Franchi, fiaccati dalle ripetute incursioni, si
accordarono con i Longobardi.
Durante il periodo dellinterregno (574-584), quando molti Duchi si posero sotto la
protezione imperiale seguendo Rosmunda ed Elmichi (gli uccisori di Alboino) nelle file
bizantine, le schiere longobarde riuscirono a passare il Po allaltezza della
Liguria.
Nel 582 Tiberio II avviò la riorganizzazione distrettuale dellItalia bizantina
(lEparchia Urbicaria comprese il versante toscano e ligure dellAppennino) e
provvide anche a un graduale inserimento delle milizie longobarde allinterno della
struttura militare bizantina tentando di renderle affidabili attraverso la conversione al
cattolicesimo.
I Franchi tra il 584 ed il 604 effettuarono numerose incursioni in Nord Italia. I
Bizantini si ritirarono sulla linea Stura - Tanaro e tennero la piazza di Tortona e tale
linea fino al 599. I Longobardi occuparono la Val di Taro e Val Gotra.
Nel 594 Re Agiulfo (591-616) prese Parma e Piacenza e consolidò le conquiste nel 603
cacciando i Bizantini da Brescello, Cremona, Mantova e Reggio. I Bizantini, essendo
Tortona indifendibile, si ritirarono in Val Trebbia ed arretrarono sulla sinistra dello
Scrivia.
Nel 594 Agiulfo si diresse contro Roma attraversando la Val di Taro, Val di Magra, Val
Aulella, Val di Serchio e Lucca. I Bizantini si ritirarono e tennero la Valle Scrivia,
Gavi, il castello di Bargagli e tutta la zona lungo il crinale tra il Bracco e Passo di
Cento Croci.
Il Concilio di Costantinopoli condannò i Tre Capitoli il 2 giugno 553: le chiese di
Liguria, Veneto ed Istria crearono ad uno scisma. Agiulfo e Teodolinda, nonostante la
monarchia longobarda sostenesse lo scisma tricapitolino, avviarono una politica
filocattolica. Il 7 aprile 603 Teodolinda fece battezzare, nella cattolica S. Giovanni di
Monza, il figlio Adaloaldo.
Agiulfo nel 613 cedette in uso perpetuo a S. Colombano la zona di Bobbio, in Val Trebbia.
Il monastero di Bobbio (longobardo e cattolico), attivissimo centro di evangelizzazione e
di rinascita agricola sotto la protezione del Papa, fondò quello di S. Pietro della
Porta, presso le mura della bizantina Genova, e lo dotò di ampie tenute agricole.
Nello stesso periodo i Vittorini di Marsiglia fondarono il monastero di S. Vittore nei
pressi della chiesa paleocristiana dei SS. Vittore e Sabina.
Nel 725 giungono dall'Africa i resti di S. Agostino per essere poi trasportati a Pavia.
Il Metropolita Giovanni Bono partecipò nellottobre 649 al Concilio Romano e non
aderì allo scisma. Genova tagliata fuori dallentroterra padano con cui commerciava
venne sempre più esclusa anche dal circuito commerciale mediterraneo.
A fine ottobre 643 il Re longobardo Rotari (636-652) tentò la conquista di Ravenna ma
venne bloccato sul Panaro dallEsarca Isacio. Ripiegò in Garfagnana e poi lungo la
Val Aulella e proseguì conquistando la Marittima fino a Ventimiglia. Saccheggiò la
Liguria, espugnò Genova e ne abbatté le mura. La civitas di Genova fu ridotta a vicus.
Genova, istituita in Judiciaria, venne affidata al governo di un Gastaldo regio con poteri
giudiziari e militari. La guarnigione longobarda fondò la cappella dedicata a S. Michele
"prope muros civitatis Januae" [poi incorporata nella chiesa di S. Stefano]
accanto ad un fortilizio bizantino da loro occupato ed utilizzato come presidio militare.
Nel 658 il Re longobardo Ariberto I (635-660), abolito larianesimo, aveva fondato
"Sancta Maria de Castro" (S. Maria di Castello) e nello stesso periodo venne
costruito alle Grazie, tra Castello e Molo (sullo scoglio che chiude il Mandraccio), una
cappella dedicata si SS. Nazario e Celso.
Il Vescovo S. Giovanni Bono da Camogli iniziò i lunghi preparativi per riportare la sede
vescovile a Milano. Con la sua partenza la sede episcopale genovese rimase vacante per
alcuni anni.
Vi fu una certa lentezza nel rientro della sede metropolitana a Milano perché il Clero
Maggiore (ordinarii o cardinales) era stato sostituito nella cura delle anime dal Clero
Minore (officinales, decumani o peregrini); questo clero, che aveva aderito allo scisma
tricapitolino, aveva ottenuto numerosi privilegi dalla monarchia longobarda ed era restio
a perderli. Altro fattore che rallentò il trasferimento fu lintegrazione dei
profughi nella comunità genovese ed il fatto che ormai gran parte del Clero come anche lo
stesso Metropolita, Giovanni Bono da Camogli, era di origine genovese.
Re Pertarito (671-688), consolidatosi in Italia meridionale appoggiò
levangelizzazione cattolica. Nel 698 il sinodo di Pavia, convocato da Re Cuniperto
(688-700) e Papa Sergio, concluse lo scisma tricapitolino.
Re Liutprando (712-744) riscattò dagli arabi africani nel 725 le ceneri di S. Agostino
che furono accolte dal Re sulla spiaggia di S. Pier dArena, dove fu eretta una
cappella in ricordo [ora presso la chiesa di S. Maria della Cella], per poi proseguire
verso Pavia. Durante la sua permanenza a Genova fece edificare il "Palatium
Castri" a Sarzano dove poi si trasferì il suo Gastaldo.
I commerci divennero rigogliosi, per quanto a nord la via "Francigena" deviava
parte delle merci, ma era collegata a Genova dalla Val Bisagno e Val Trebbia per il Passo
della Scoffera. Re Astolfo (749-756) rese lautorizzazione regia obbligatoria per il
commercio con lestero. Gli attriti con i Franchi aumentarono e tra il 754 e il 756
nacquero numerosi monasteri, oasi sicure e di notevole peso economico e politico. Astolfo
stava cercando di assumere dignità imperiale per cui esigeva la giurisdizione su Roma e
su tutto il suo ducato pontificio. Il Re carolingio Pipino il Breve, poiché Astolfo
minacciava lautorità papale (che aveva reso legale il suo colpo di stato a danno
dei Merovingi) e sosteneva lopposizione interna franca guidata dal suo fratellastro
Grifo, lo combatté e lo sconfisse nel 754 e nel 756.
IL FEUDALESIMO TRA IL SETTECENTO E LANNO MILLE
La flotta bizantina era di stanza in Corsica e Sardegna, residui della prefettura
africana, per cui i Saraceni, che iniziavano ad infestare il Tirreno, non infastidirono
Genova. Il commercio, però, si esaurì lentamente. La città divenne il rifugio di
profughi africani ed iberici dal momento che le restanti coste italiane erano scarsamente
difendibili.
Il patriarca della spagnola Terragona, Prospero, nel 711 si rifugiò a Portofino con le
reliquie di S. Fruttuoso e fondò lomonima città.
L'Italia era in mano ai conquistatori germanici, i Longobardi, e anche Genova dovette
sottomettersi a questo popolo, anzi si può affermare che la popolazione era, a quei
tempi, al 50% formata da genovesi mentre l'altra metà era tedesca. Soltanto nel 772, con
l'arrivo di Carlo Magno e la conquista della capitale Pavia, Genova cambiò padroni
divenendo una città del "Sacro Romano Impero".
Nel 773 il Re franco Carlo Magno (768-814) entrò in Italia, investì Torino, espugnò
Verona e poi assediò a Pavia Re Desiderio (756-774). Gli abati di Bobbio e Brugnato
fecero atto di sottomissione e quasi di conseguenza la Marittima venne occupata
pacificamente. Nel 774 assunse il titolo di "rex Francorum et Langobardorum".
La discesa dei franchi (773) libera il nord della penisola dai longobardi e accorpa Genova
alla Marca Obertenga. In questa fase Genova non cresce e questa situazione avvantaggia gli
insediamenti agli estremi dell'arco costiero ligure.
Nei secoli Genova vede crescere le prime mura cittadine e la città stessa. Assiste al
declino dell'autorità marchionale a vantaggio dei Visconti. Anche i pericoli aumentano,
la posizione privilegiata di isolamento dalle invasioni barbariche la pone invece sotto
minaccia delle scorrerie saracene. Alcuni saccheggi si registrano tra il 922 ed il 935 e
vengono ricordati con racconti popolari.
Nella pasqua del 781 il figlio di Carlo Magno, Pipino II (781-810), venne incoronato Re
dItalia ed iniziò una programmatica sostituzione di Duchi e Gastaldi longobardi con
Conti franchi. Lufficio del Gastaldo non fu sospeso ma venne ad assumere lentamente
un ruolo di subordinato al Conte simile a quello del Visconte franco.
I sudditi dei Conti potevano essere:
1 ) uomini liberi: vassalli o valvassori, dotati di risorse economiche e gratificati con
dei privilegi, tenuti al servizio militare a cavallo. arimanni, coltivanti direttamente la
terra, tenuti al servizio militare a piedi.
2 ) servi: villani o rustici, in condizione servile, legati al fondo e tenuti a vari
obblighi.
Il Vescovo venne ad assumere con il capitolare di Herstal del marzo 779 un potere di
controllo sul Conte, e sui processi (per garantire equità di giudizio) da lui presieduti.
Il Comitato carolingio dItalia si modellò sui confini delle Diocesi ecclesiastiche
dato lormai stretto rapporto amministrativo che legava le due cariche (a tal punto
che spesso erano detenute dalla medesima persona): i confini del territorio comitale e
vescovile tendevano ad essere i medesimi. Lantica città romana (in genere rimasta
sede vescovile) divenne il capoluogo del Comitato e nel concilio dell850 venne
definitivamente affermato il principio di identità fra la città sede vescovile, la
circoscrizione diocesana e quella comitale.
Carlo Magno, visitando Genova, ne riconobbe limportanza strategica per il controllo
dei mari infestati dai mussulmani. Nel 806 i genovesi, su incarico di Re Pipino,
parteciparono alla sortita in Corsica contro i Saraceni e in questoccasione morì il
loro comandante, il Conte Ademaro.
Il territorio ligure, che prese il nome di Litora Maris, fu ripartito tra i Comitati di
Ventimiglia Albenga, Vado, Genova e Luni. Il confine dei Comitati, di solito coincidente
con quello della Diocesi, era in genere delimitato dallo spartiacque alpino o
dallarea più vicina la sommità:
A ) Luni (Diocesi e Comitato) con a est il Comitato di Lucca e a nord il Comitato di
Parma: Torrente Versilia - Serchio - spartiacque fino alla Cisa - Gotra - Monte Gottero -
spartiacque fino al Monte Scassello - Stora - Vara fino al Malacque - Monte Guaitarola -
Mare tra Reggimonti e Framura.
B ) Genova (Diocesi e Comitato) con a nord il Comitato e la Diocesi di Piacenza e il
Comitato e la Diocesi di Tortona: Mare tra Reggimonti e Framura - Monte Guaitarola - Vara
fino al Malacque - Stora - Monte Scassello - spartiacque fino al torrente Lerone -
torrente Lerone.
C ) Vado (Diocesi e Comitato) con a nord la Diocesi di Alba: Torrente Lerone dal mare allo
spartiacque - spartiacque fino al Col Melograno - torrente Pora.
D ) Albenga (Diocesi): Torrente Pora - Col Melograno - spartiacque fino a Col di Nava -
torrente Negrone - Cima Pèrtega - Monte Saccarello - torrente S. Romolo [torrente Armea].
E ) Ventimiglia (Diocesi e Comitato) con a nord la Diocesi di Torino: Torrente Armea -
Cima Pèrtega - Monte Bego.
Tra Albenga e Ventimiglia vi erano i vasti possedimenti temporali e spirituali del Vescovo
genovese: i fines Matutianenses (S. Remo - Armea - Monte Bignone - Monte Seborga - Monte
Gozzo - Coldirodi) e i fines Tabienses (Taggia e lintera Valle Argentina). Nel 980
Teodolfo, Vescovo di Genova, donò "gente repressa Saracenorum" i tre quarti
delle proprietà, chiese, decime e redditi di questi possedimenti.
Nell825 Lotario, associato allimpero dal padre Ludovico il Pio, ordinò
listituzione di nove centri di formazione culturale. Pavia per gli studenti di
Acqui, Asti, Bergamo, Brescia, Como, Genova, Lodi, Milano, Novara, Tortona, Vercelli;
Torino per quelli di Alba, Albenga, Vado e Ventimiglia.
Il Re dItalia Ugo di Provenza, organizzando il territorio a sud del Po, affidò
sistematicamente il governo a Marchesi, i quali erano Conti dotati di particolari poteri
giurisdizionali e militari (in funzione antimussulmana) su altri Conti e su più Comitati.
Alcuni Comitati erano alle loro dirette dipendenze mentre altri erano governati da un loro
Conte. Questa nuova forma di centralizzazione non intaccò lindividualità
territoriale ed amministrativa dei Comitati. Genova, come anche molte altre città,
ottenne maggiore autonomia sotto lautorità di un Visconte. Ai Visconti si affiancò
con poteri giudiziari il Vescovo.
Nel 950-951 Re Berengario II terminò la riorganizzazione del territorio, iniziata da Ugo
di Provenza, nominando tre nuovi Marchesi.
Marca Aleramica (Liguria centroccidentale)
Aleramo, Conte di Vercelli nel 933, ottenne nel 935 (periodo del secondo attacco saraceno
ad Acqui) potere marchionale sui Comitati di Acqui, Vado e parte del Comitato del
Monferrato.
Sposò Gerbenga, figlia di Re Berengario II ma ebbe lappoggio di Adelaide, moglie
dellImperatore tedesco Ottone I, per cui allarrivo di Ottone in Italia non fu
privato delle sue prerogative.
I due figli del Marchese Aleramo: Anselmo e Oddone mantennero il governo della Marca di
Vado. In seguito, dopo il 1004, la Marca passò ai discendenti del Marchese Anselmo e fu
divisa in due parti.
Il Marchesato aleramico diede origine ai Marchesi del Bosco, di Ponzone, del Vasto e da
questi ultimi poi discesero i Marchesi di Incisa, Busca, Saluzzo, Ceva, Clevasana e
Savona.
Marca Obertenga (Liguria orientale) detta poi "Januensis"
Oberto, Conte di Luni, venne nominato Marchese prima del 951 con autorità sui Comitati,
prima appartenenti ai marchesi di Tuscia, di Genova, Luni e Tortona (governati
direttamente) e su quelli di Parma e Piacenza.
Nel 960 si dovette rifugiare in Germania dove chiese lintervento in Italia di Ottone
I. In questa occasione fu sostituito da Re Berengario II con Ildebrando III, Conte di
Roselle. Con la vittoria di Ottone I il Conte Oberto riottenne lincarico.
I figli, Adalberto I e Oberto II, mantennero in consorzio la carica marchionale. In
seguito la stirpe si divise dando origine alle famiglie Estense, Pallavicino, Malaspina e
Adalbertina.
Nel 1014 congiurarono contro Enrico II e per questo persero il Comitato di Tortona,
acquisito dal Marchese Ugo. Dopo il 1044 Adalberto Azzo II rinunciò ai suoi diritti sul
territorio genovese mentre mantenne, lui e i suoi figli, quelli sul Comitato di Luni.
Marca Arduinica (Torino)
Arduino il Glabro, Conte di Torino, aveva sotto di se i Comitati di Alba, Albenga, Asti,
Auriate, Bredulo, Torino e Ventimiglia.
Quando nel 1091 morì la Contessa Adelaide (ultima degli arduinici), la Marca passò al
nipote: il Marchese aleramico Bonifacio (pronipote del marchese Oddone).
Limpero carolingio era debole in modo specifico dal punto di vista navale. Fin dal
suo sorgere ricostituì la classis italica, con i residui della flotta bizantina,
coordinata dal Comitato di Lucca. Gli emiri aghlabiti dellIfrìqiya, sostituitisi
alla precedente dinastia abbasside, conquistarono la Sicilia ed iniziarono
unespansione sistematica nel Mediterraneo approfittando di questo vuoto.
Nel 849 i pirati arabi saccheggiarono le coste da Luni alla Provenza. La difesa della
Marca si frazionò. I pirati arabi e normanni intensificarono le loro scorrerie e, a
partire dal IX secolo, ci fu un esodo generalizzato di sacre reliquie verso località
sicure.
Papa Giovanni X iniziò nell850 la lotta contro i Saraceni e per questo le
incursioni fatimite si spostarono a Nord.
Tra l849 e l850 Genova, viste le scorrerie saracene e normanne contro Luni
(distrutta dai Normanni nell860) e le coste liguri e toscane, ampliò le mura che
assunsero un perimetro di 1488 metri. Le nuove mura inclusero borgo Saccherio (Brolium)
Ravecca, Porta Soprana [di S. Andrea], il Canneto (ora abitato) e la collina di Macagnana
(includendo così S. Lorenzo) per terminare alla regione di Banchi.
La Valle di Soziglia, percorsa dal rio Bachernia, era cosparsa di campi [Piazza Campetto],
vigne [S. Maria delle Vigne] e boschi [via Luccoli]. Proprio qui, in una vigna di loro
proprietà, nel 991 i Visconti Oberto e Guido di Carmandino fondarono, su un precedente
sacello, S. Maria delle Vigne.
I Saraceni spagnoli alla morte di Re Bosone nel 887, approfittando del generale stato di
crisi dovuta al disfacimento dellimpero carlingio, costituirono nel 889 a Frassineto
[golfo di S. Tropez] una base stabile per le loro incursioni. Privi di formali legami con
gli stati arabi africani e spagnoli, si dedicarono alla guerra di corsa lungo le coste da
Arles ad Albenga, evitando le città protette da mura ma devastandone le campagne. Dal 921
dominarono stabilmente le Alpi Occidentali depredando i pellegrini diretti a Roma. Tra il
936 ed il 940 occuparono le Alpi Pennine.
I pirati di Frassineto arrivarono via terra fino a Serravalle, tagliando la
"Postumia" che era ancora unefficiente via praticabile dai carri usata per
il commercio tra Roma e la Provenza. Danneggiarono il commercio Genovese imponendo
controlli e dazi. Erano così forti che "Re Marco" fondò uno stato Saraceno con
capitale Libarna [Altylia] pur contrastato attivamente dai Carolingi.
Il commercio ormai passava per lAdriatico mentre i pirati spagnoli ed africani
assaltavano le coste tirreniche a più riprese e Luni, indifesa capitale marchionale, fu
aggredita ininterrottamente fino alla sua distruzione (1015). Sabatino, Vescovo tra il 876
ed il 915, fece trasferire nell878 le reliquie di S. Romolo nella cattedrale di S.
Lorenzo.
La corona del regno dItalia fu oggetto daspre contese tra l888 e il 926
e, infatti, la prima reazione cristiana al dominio di Frassineto arrivò solo nel 931. La
flotta bizantina di stanza in Sardegna e la marina genovese, inflisse a Frassineto un
pesante colpo pur senza riuscire ad espugnarla.
Per reazione il califfo fatimita Abû al Qâsim Muhammad nel 935, dopo una prima sortita
contro Genova nel 934, fallita per il maltempo, inviò una spedizione comandata da Yàqub
ibn Ishâq. Genova fu assediata da 200 galee che consentirono lo sbarco di milizie a
levante ed il blocco navale.
Molto probabilmente la pagina più tragica per Genova fu il saccheggio della città da
parte dei musulmani il 26 Agosto 935. Alle prime luci dell'alba, gli arabi arenarono le
loro galee sotto San Siro e, mentre tutti i genovesi dormivano, entrarono nelle case,
saccheggiandole, uccisero tutti gli uomini e rapirono tutte le donne e le bambine,
imbarcandole sulle loro navi. La cattedrale di San Siro e le altre chiese furono profanate
e bruciate. Dopo due ore d'inferno gli arabi tornarono alla spiaggia e ripartirono verso
altri lidi, ma prima pensarono bene di portarsi via tutte le imbarcazioni genovesi.
L'evento risultò devastante per i genovesi che cominciarono a serbare un odio feroce
verso i saraceni che potrà essere placato solo sedici anni dopo quando batterono i
musulmani riconquistando alcune città della riviera.
Contemporaneamente i mori di Frassineto si spinsero fino ad Acqui, Alba, Asti e Tortona
bloccando presso Serravalle Scrivia le vie di comunicazione con la Lombardia. Nel 936
attuarono una spedizione, guidata da Sagittus, contro Acqui dove furono sconfitti.
Il Re dItalia Ugo di Provenza nel 941 attaccò Frassineto da terra e la flotta
bizantina di Romano I dal mare. I mussulmani si ritirarono sul Monte La Moure dove furono
accerchiati. Re Ugo a questo punto, per fronteggiare un esercito raccolto in Germania da
Berengario, Marchese dIvrea, se li fece alleati e li stanziò nelle Alpi Pennine.
Il Marchese Arduino fece parte delle armate guidate da Guglielmo dArles che
espugnarono Frassineto nel 972-973. I mori si attestarono nella fortezza di Le Garde
Freinet che, espugnato per il tradimento di un saraceno, fu donata a Giballino di
Grimaldi.
GENOVA INTORNO ALLANNO MILLE: LA NASCITA DELLE COMPAGNE
Purtroppo di questo primo periodo medievale, detto "Basso Medio Evo", ci restano
ben poche notizie, anche perchè la maggior parte dei documenti storici dell'Archivio di
San Siro, furono bruciati dai Saraceni nel saccheggio del 935. Si sa che allora la città
contava di circa 4000 abitanti, residenti entro le mura delimitate dai due
"Canneti", il Lungo e il Curto, con due porte la Soprana e la Sottana, dove si
trovava la piazza principale. Altre duemila persone abitavano oltre le mura, dedicandosi
soprattutto all'agricoltura e alla pesca.
I Carolingi, diviso il territorio in "Marche", delegarono lautorità ad un
Visconte: a Genova come rappresentate del Marchese Oberto vi era il Visconte Ido (952) che
aveva possedimenti in Val di Secca (a Cremeno), Val Polcevera e lungo la riviera di
Ponente. I successori del Visconte Ido e del figlio Oberto si divisero nei rami Manesseno,
Carmandino e Isole dando origine a numerose famiglie importanti (Avvocati, Pevere, Lusii,
De Mari, Serra, Embriaci, Castello, Brusco, De Marini, Della Porta). Vassalli degli
Obertenghi erano i Conti di Lavagna.
I Conti di Lavagna, vassalli degli Obertenghi, furono costretti nel 1110 a cedere i loro
castelli al Comune.
Discendevano da Teodisio che aderì al movimento di reazione alle immunità vescovili e,
considerato traditore, vide i suoi beni confiscati da Ottone III e concessi alla chiesa di
Vercelli il 7 maggio 999.
Federico I riconobbe nel 1164 i possedimenti del Marchese Opizzo Malaspina tra cui la
metà di Lavagna e di Sestri concessa in feudo ai Conti di Lavagna e ai signori Da
Passano.
Imparentati con i Conti di Lavagna, i Cononi "de castro Vezano" dominavano
invece tra Vernazza, Vara e il golfo di La Spezia dando origine alle famiglie: Enrici,
Amalfredi, Opizzoni, Grimaldi, Cononi.
I Cononi furono gli unici a mantenere diritti signorili sul territorio di Genova e tra i
loro possedimenti avevano diritti sullisola di Sestri, ceduta nellaprile 1147
dai figli di Conone al Comune di Genova che nel febbraio 1145 aveva edificato il castello
di Sestri Levante.
Nel 1113 i Consoli invasero militarmente, per motivi strategici, le terre dei Da Vezzano
impadronendosi di Portovenere. A Portovenere crearono una colonia di tipo romano con lo
stanziamento di cittadini genovesi sul territorio conquistato e con la costruzione di un
castello a protezione contro Pisa e gli Obertenghi. Iniziarono la costruzione di S.
Lorenzo, consacrata da Papa Innocenzo II nel 1130. Solo nel 1139 vi fu lacquisto
formale dei territori (per 100 lire) da parte del Comune che nel 1160 iniziò la
costruzione delle mura ed il rinnovamento del castello. 1132 Venne edificato il castello
di Rivarolo presso il fiume Lavagna e, visto linsorgere della già insofferente
popolazione locale, lesercito genovese devastò molti castelli locali. I Da Passano
vennero infeudati i De Passano in quelle zone poiché avevano giurato fedeltà al Comune
ed avevano come impegno di mantenere 4 cavalieri e 20 arcieri. Il Marchese Opizzo
Malaspina ricevette in feudo 1/3 dei territori dei Conti di Lavagna. Lanno
successivo la guerra divampò nuovamente ed i castelli dei lavagnini in rivolta furono
distrutti. Nel 1138 i Conti di Lavagna giurarono la Compagna impegnandosi ad abitare in
città almeno 2 mesi lanno. Nel febbraio 1145 Lanfranco Visconte ottenne
lappalto per la custodia del castello di Fiaccone. Lo stesso anno i Signori di
Cogorno donarono al Comune il castello di Calosso; si ordinò quindi ai Conti di Lavagna
di non molestare più i castelli di Rivarolo e Sestri e di entrare ogni anno nella
Compagna. Prima giurarono i Conti di Lavagna e poi i Da Passano. Si dichiarò per
loccasione, vista linfluenza dei signori feudali sottomessi al Comune, che se
un Genovese fosse divenuto vassallo di un signore feudale avrebbe perso i suoi diritti
politici. Lo stesso anno venne fabbricato il castello di Sestri e i Consoli, per avere via
libera da terra, espropriarono le terre del monastero di S. Fruttuoso in cambio di una
libbra di incenso annuale, un canone annuo ed alcuni terreni sullisola di Sestri.
Due anni dopo (1147) Sestri, di proprietà di Cova di Vezzano, venne acquistato per 15
lire. Nel 1148 il castello di Parodi venne comprato per 700 lire dal Marchese Alberto
Zueta e dalla Contessa Matilde di Parodi per ottenere la liberazione del di lei marito,
Alberto di Parodi, prigioniero degli uomini di Castelletto. Nel 1157 i Conti di Lavagna
giurando la Compagna, promisero di comporre le discordie interne tra il Conte Martino e il
fratello Enrico, e gli uomini di Cogorno, Nasci e Vezzano.
Nel 935 il Vescovo, in seguito al saccheggio saraceno, organizzò unintesa tra gli
"habitatores civitatis" antenata della Compagna. La ripresa iniziò subito: nel
952 il Vescovo Teodolfo riaprì al culto S. Siro.
A metà XI secolo il Vescovo Teodolfo consolidò le corti della mensa vescovile
nellIsola del Vescovo (pieve di Molassana), a S. Michele di Graveglia e a Lavagna. I
mansi della corte, affidati a famuli e livellari sono sotto il controllo di un Gastaldo,
sono tutti nella stessa zona e si trovano sotto la protezione di un castrum cui i
livellari devono fornire per tradizione gli uomini per la "guaita" notturna.
Gli Ottoni ufficializzarono il feudalesimo ecclesiastico: in altre città i Vescovi
ottennero linvestitura feudale ma ciò non successe a Genova dove i Visconti,
residenti nel contado, mantennero a lungo e con continuità il loro potere. Vassalli
vescovili i Vicedomini, gli Avvocati, i Giudici, i Pares Curiae (Tutela militare,
giuridica, amministrativa e delle prerogative episcopali) si crearono come struttura
parallela e spesso dorigine viscontile.
I feudatari minori con privilegi non ereditari (Vassalli viscontili, vescovili e
marchionali) si inurbarono affianco al Vescovo; i feudatari maggiori (Marchesi) delegarono
sempre di più le loro prerogative ai Visconti per arroccarsi nei castelli appenninici
dominanti valli e strade.
Con la sicurezza delle campagne si ebbe un aumento della popolazione e una richiesta
maggiore di terre, soddisfatta con cessioni enfiteutiche e livellarie. Ci fu una maggiore
produzione e commercio dei prodotti con la conseguente nascita di uneconomia
monetaria, giocoforza, cittadina.
Tale stato di fatto il 18 luglio 958 causò il riconoscimento, da pare di Re Berengario II
e suo figlio Adalberto, delle consuetudines della universitas civium, lesenzione dal
mansionaticum ed il divieto dingresso nelle loro case da parte dei pubblici
ufficiali.
Tali privilegi furono poi ampliati quando il Marchese Alberto di Opizzo dovette giurare
nel maggio 1056 il "breve de consuetudine". Queste norme, oltre a regolare il
possesso fondiario, erano una chiara indicazione di un economia in espansione.
Nei secoli trascorsi la struttura urbana si è molto ampliata, al nucleo originale sul
colle di Sarzano con S. Maria di Castello , se ne è aggiunto uno nuovo attorno a S. Siro
(rimasto fuori delle mura) ed un'area (poi interna alla cinta muraria) che gravita attorno
a S. Lorenzo. Proprio l'insicurezza di S. Siro potrebbe essere stata la causa della
"promozione" a Cattedrale di S. Lorenzo.
Dopo Il sacco Genova ricominciò lentamente a riprendere vita e dieci anni
dopo, nel 945, fu costituita una comunità che diventerà importantissima nei secoli a
seguire: la "Compagna". L'ideatore di questa associazione fu il Vescovo
Teodolfo, che pensò di dividere i cittadini in due categorie: gli
"habitatores", cioè i nullatenenti che si dovevano occupare della guardia della
città, e i "boni homines", cioè quelle persone abbienti che versando una quota
annuale partecipavano alla costruzione della flotta militare. Il Vescovo preparò un vero
e proprio statuto che presentò al Re Berengario, che dopo averlo accettato, promulgò,
forse perche attirato dal vantaggio di disporre di una flotta a difesa delle invasioni
saracene, la "Donatio Berengari", accettata poi da tutti gli altri Imperatori,
che permetteva tra le altre cose di non pagare più gabelle allo stato e di avere una
quasi completa indipendenza, tanto da considerare Genova una Repubblica.
Il Vescovo impose ai "boni homines", che volevano avviare una qualsiasi
attività, di iscriversi alla "Compagna", pena l'esilio. Stessa condanna era
commutata a coloro che dichiaravano meno guadagni del dovuto. Siccome in quell'epoca,
tutti si chiamavano solo con il nome, pensò, per non creare confusione, di abbinare ad
esso un aggiuntivo, derivante soprattutto dal luogo di provenienza o da un aspetto
specifico del personaggio, facendo così nascere il cognome.
Ladesione del Vescovo alla Compagna, pur senza altro privilegio che rappresentare la
città allestero, ne favorì lemancipazione politica a tal punto che nel 1097
le Compagne deposero manu militare il Vescovo scismatico (schierato con lantipapa
Clemente III, nominato dallImperatore tedesco Enrico IV).
Già nel X secolo, i notabili cittadini organizzarono alcune libere associazioni: le
compagnae, le coniurationes, le rassae.
La Compagna, che poi prevalse, era un consorzio commerciale privato in accomandita
semplice, giurato da nobili, mercanti o semplici persone atte alle armi abitanti in
determinate circoscrizioni urbane ed aventi medesimi interessi economici e politici. In
origine si costituivano solo per una determinata impresa economica o more piratico al
termine della quale la Compagna si scioglieva ma poi divennero a tempo determinato e
infine permanenti.
Lappartenenza non era al principio un obbligo ed allo scadere poteva anche non
essere rinnovata.
Le Compagne in origine erano tre (Castrum, Civitas e Burgus) con sede nelle chiese di S.
Maria di Castello, S. Lorenzo e S. Siro. Nel 1130 erano quattro e dopo il 1134 divennero
prima sette ed infine otto. Ognuna di esse aveva un proprio Console ed un proprio
vessillo.
Il contratto di Commenda (prestito di capitale legato ad un rapporto societario), derivò
nella sua struttura dallizqâ ebraica e prevalse in tutti i contratti, a cominciare
da quelli della Compagna, dopo la prima metà del XII secolo.
La Compagna, il cui nome fa riferimento ad unimpresa comune e navale (comunanza di
mensa su una nave), si ampliò con lavvento della libertà di movimento e personali
(le consuetudini) mantenendo sempre il suo carattere imprenditoriale navale. Ognuna delle
Compagne poteva compiere il reclutamento navale ed armare sue galee.
Eleggeva, solitamente dai ranghi delle famiglie viscontili o avvocatizie, dei capi (i
Consoli) che avevano la possibilità sia di comandare limpresa sia di giudicare
eventuali vertenze tra i soci.
Unici requisiti per entrare nella Compagna era lessere "cittadino" cioè
risiedere a Genova e il vivere secondo consuetudine. Tutti i soci dovettero giurare uno
statuto detto breve e simpegnavano a eseguire gli incarichi affidatigli pena la
perdita dei diritti civili. Il fatto di dover abitare in città rimase a lungo un obbligo
tanto che anche i feudatari delle riviere e delloltregiogo dovettero impegnarsi,
quando giuravano, a risiedere, di fatto almeno per un breve periodo dellanno, in
città.
Ma non fu soltanto la costituzione della "Compagna" il grande merito del Vescovo
Teodolfo. Infatti, tra le altre cose, impose la ronda notturna sulle mura e realizzò una
catena di torri che partivano dai Piani d'Invrea per giungere fino a Porto Venere, per
mettere in guardia gli abitanti della repubblica dagli attacchi saraceni. In caso di
avvistamento, da una delle torri, veniva acceso un falò che permetteva di essere visto
dai luoghi vicini che, al suono delle campane, invitavano le donne, i vecchi e i bambini a
rifugiarsi nelle campagne, mentre tutti gli uomini abili si preparavano a combattere.
Alla base della società genovese è la famiglia. Questa porta alla creazione di Compagne
a livello "zonale" e alla nascita di quartieri familiari, un esempio
(cronologicamente successivo) su tutti sono le case dei Doria in S. Matteo. Le compagne
sono otto e dalla loro espansione si arriva alla creazione della Compagna, questa
rappresenta l'embrione dello stato genovese. I mutamenti istituzionali portano alla
divisione dei poteri: i consoli del comune amministrano il potere esecutivo, ai consoli
dei placiti è assegnato il potere giudiziario.
Con il Vescovo Airaldo nacque la Compagna Comunis struttura politica ufficiale della
città con sede nella chiesa di S. Giorgio ove si conservava il vexillum magnum, lo
"stendardo comune".
Una prima reazione marchionale venne arginata dalla Compagna di Castello capitanata dai
Visconti di Manesseno (i fratelli Amico Brusco, Guido Spinola, Guglielmo Embriaco e Primo
di Castello) e dai loro cognati i Della Volta. La Compagna Comunis rimase sine consulatu
per un anno e mezzo dal 1098.
Una sorta di parlamento forse presieduto dal Vescovo (privo di poteri diretti) elegge
annualmente il 2 febbraio i consoli su base zonale. Un senato costituito da
"anziani", "saggi" ed "esperti" si affianca nella veste di
organo consiliare ai consoli nelle decisioni più importanti. I consoli esercitano il loro
potere dal palazzo episcopale previo giuramento di una breve. Il parlamento ed il senato
si riuniscono in S. Lorenzo.
I Consoli, che detenevano il potere esecutivo, erano inizialmente eletti ogni quattro anni
ma poi annualmente e, dopo un primo periodo in cui le cariche erano unificate, si divisero
in Consoli del Comune (governatori politici e militari) e Consoli dei Placiti
(amministratori di giustizia). Il potere deliberativo era prerogativa del parlamento della
Compagna o delle Compagne riunite; in questoccasione il Vescovo assisteva alle
discussioni.
Per evitare laccentrarsi del potere in mano a poche famiglie, nel 1122 si ridusse la
durata del consolato da quattro anni ad un anno e nel 1130 si aumentò il numero dei
Consoli e vi fu una separazione netta tra le varie cariche che assumevano. Nel 1122 si
delegò lamministrazione finanziaria ad otto Clavigeri (in possesso delle chiavi
dellerario).
I Consoli erano eletti dal parlamento ed entravano in carica il 2 di febbraio. Una volta
terminata la carica, dopo aver giustificato le loro scelte a chi li aveva eletti entravano
nel Consilium o Senato, al fianco daltri cittadini illustri. Il Consilium doveva
approvare le dichiarazioni di guerra, le nuove tasse e le cessioni in pegno delle
proprietà del Comune.
L'unicità dell'istituzione non comporta però una stabilità politico sociale per Genova,
le lotte tra famiglie o alleanze di famiglie sono una costante nella storia cittadina.
Fondamentalmente lo stato genovese può essere definito un'oligarchia ma atipica. La
nobiltà necessaria a far parte della cerchia di chi governa è acquisibile. L'intreccio
tra pubblico e privato che caratterizza Genova diventa manifesto con le compere, una sorta
di indebitamento dello stato con le famiglie genovesi mediante l'appalto degli introiti
statali. Ciò porterà alla nascita del Banco di S. Giorgio, molto più di una semplice
banca, quasi uno stato sia per poteri economici che politici. Un altro esempio di
intreccio pubblico privato sono le maone, una sorta di società per azioni con poteri
politici su territori "coloniali".
Intorno al 950 inizia una catena di mutamenti amministrativi che trasforma Genova in un
elemento catalizzatore per l'area ligure. Il susseguirsi di vari eventi porta la città ad
essere il centro di una sorta di Stato già intorno al 1200.
Sul finire del 900 prima Berengario II e poi il figlio Adalberto concedono alcuni
privilegi a Genova mediante una sorta di "diploma di riconoscimento delle
consuetudini genovesi".
Consuetudini genovesi:
I Marchesi potevano presiedere il placito solo per quindici giorni, giudicando secondo il
diritto locale e non dovevano esigere dai coloni dei genovesi il fodro marchionale,
lalbergaria o altro tributo.
In caso di controversia sulla proprietà era sufficiente che il proprietario genovese
facesse giurare a quattro testi che la carta era autentica ed inoltre era fissato il
diritto di usucapione dopo il periodo di 30 anni.
I concessionari potevano rinviare il pagamento annuale per dieci anni, purché poi
versassero lintera somma.
Non era più necessaria lautorizzazione di parenti per lalienazione compiute
da donne di legge longobarda.
Gli stranieri residenti in città erano obbligati a prestare servizio militare in caso di
guerra.
I Genovesi, per assicurarsi un corridoio sicuro che consentisse loro di scavalcare i
valichi appenninici al riparo delle angherie dei signori feudali e dei briganti, si
espansero oltregiogo.
Invadendo lalta Val Polcevera giunsero ai confini del dominio adalbertino dei
Marchesi di Massa e Parodi (castello di Gavi) che ostacolavano i principali valichi
dellAppennino.
Nel 1121 con un forte esercito valicarono il Giogo e presero Schiappino, Mondrasso, Pietra
Bisciara e il castello di Fiaccone e lanno dopo comprarono dal Marchese Alberto di
Gavi il castello di Voltaggio e i suoi redditi (per 400 lire).
Nel 1128 lesercito prese Montaldo poi donato al Comune e a Tortona nellagosto
1144. Nel 1130 il Marchese è costretto a giurare la Compagna ma solo nel 1191 vendette il
castello di Gavi aprendo così a Genova una doppia via con lentroterra (verso
Tortona e verso Alessandria).
Nellottobre 1130 Genova strinse un trattato dalleanza con Pavia rinnovandolo
poi per 20 anni nel 1140. Nel gennaio 1135 Novi cedette metà del suo castello alla chiesa
di S. Lorenzo e metà alla chiesa di S. Siro a Pavia e promise aiuto a Genovesi e Pavesi
nella loro guerra contro Tortona.
Lo stesso anno il Marchese Aleramo di Ponzone con il figlio presero la cittadinanza
genovese e giurarono la Compagna cedendo i propri castelli al Comune. Nel 1152 Genova
acquistò Lerici per 39 lire.
A ponente cercarono di avere la sottomissione di S. Remo e dei Marchesi Del Vasto per
prendere Ventimiglia ed avere così una via di terra sicura per la Provenza. Già nel 1120
i Consoli operarono in zona come pacieri durante le dispute tra Vescovo e Savonesi per i
privilegi che questi deteneva in quelle terre.
Genova avanzò fino a S. Remo e fece al Conte di Ventimiglia guerra aperta nel 1130, tanto
che i suoi figli, fatti prigionieri, furono costretti a giurare la Compagna e si innalzò
allinterno di S. Remo una fortezza.
Nel 1138 Genova rinnova le sue alleanze ed i suoi privilegi con le città provenzali di
Antibes e Marsiglia e con i signori di Hyères, di Fos e di Narbona.
Nel 1140 vi fu un accordo con i savonesi Marchesi Del Vasto per avere aiuto militare nelle
conquiste delle terre dOberto, Conte di Ventimiglia. Con un numeroso esercito via
mare e terra espugnarono la città, sottomisero i castelli e fecero giurare fedeltà a
tutti. Innalzarono un castello in città per dominare la popolazione.
Il Conte Oberto resistette 6 anni ma poi nellagosto 1146 dovette giurare la
Compagna, cedere i feudi (tra cui il castello di Poggio Pino) a Genova per riceverne da
questa linvestitura (prassi ormai consolidata) e, fatto nuovo, impegnarsi a sposare
i propri figli in famiglie genovesi.
Nel 1141 il Comune comprò il castello dAmelio da Struccio e dai suoi fratelli e poi
nel capitolo di S. Lorenzo, di fronte al Consiglio, lo infeudarono ai medesimi venditori.
Nel gennaio 1153 i Savonesi giurarono fedeltà alla Repubblica e si piegarono alle sue
condizioni: ogni nave proveniente dalla Sardegna o da Barcellona doveva prima passare per
Genova.
Lanno seguente il Marchese Enrico di Loreto, signore di Savona, giurò la Compagna e
la pace con Noli ma nonostante questo suo gesto riprese le ostilità e quindi i Consoli lo
richiamarono a Genova. Occupò in agosto il castello di Noli; essendo inverno, e non
potendo armare la flotta per assalire il castello, lesercito genovese passò via
terra devastando i possedimenti del Marchese.
Nel 1155, mentre a Genova si procedeva alla costruzione della cinta muraria, fecero
giurare la Compagna ai Marchesi del Carretto.
Due mesi dopo gli accordi stipulati con lImperatore Federico Barbarossa, messi
imperiali incitarono alla rivolta Ventimiglia che occupò e distrusse il castello della
città. Genova protestò con lImperatore ed espugnò la città.
Nel 1157 Guido Guerra, Conte di Ventimiglia, si piegò completamente e donò al capitolo
di S. Lorenzo tutti i suoi castelli ricevendone la reinvestitura dai Consoli.
Dato che lespansionismo territoriale in Liguria aveva aumentato la popolazione,
divenne sempre più essenziale il commercio di cereale (di cui la Liguria era scarsa
produttrice) con la Provenza e la Sardegna.
Già nel 1109 avevano ottenuto il monopolio commerciale di Saint-Gilles da Raimondo di
Tolosa; nel luglio 1138 Genova stipulò alcuni trattati, con cui salvaguardava in modo
particolare il Re del Marocco, con gli abitanti di Fos, Hyères, Marsiglia, Frèjus e con
Raimondo dAntibo.
Nel 1140 armarono due galee per contrastare due galee dei Gaetani che, approfittando delle
ostilità tra il Comune e Ventimiglia, cercavano di penetrare in Provenza. Le trovarono
presso Argentera (Linguadoca) e ne catturarono una in battaglia.
Nel 1143 quattro galee occuparono Montpelier e lo restituirono a Guglielmo VI, fratello di
Raimondo III Conte di Provenza e Barcellona, ottenendone in cambio 1.000 marche
dargento, il fondaco di Bruno di Tolosa e lesenzione dalle imposte. Il Console
Lanfranco Pevere stipulò un contratto secondo cui Genova e Pisa lo avrebbero soccorso nel
recuperare ciò che il Conte Alfonso I, suo nipote, e gli uomini di Saint-Gilles avevano
illegalmente. Il 3 settembre fu conclusa la pace tra il Conte Alfonso di Tolosa e gli
abitanti di Saint-Gilles.
Già lanno successivo vi furono fortissimi attriti con il Conte Guglielmo VI per via
dei suoi frequenti assalti alle navi genovesi; venne armata una galea per la Provenza. Il
Conte morì combattendo contro i Genovesi ma poiché le piraterie non cessarono venne
inviata una nuova galea. Questa catturò una saetta dei pirati e fece accecare tutta la
ciurma come monito.
Nel novembre 1153, su mandato dei Consoli, Enrico Guercio vendette a Raimondo Berengario
IV, Conte di Barcellona e Principe dAragona, i possedimenti Genovesi in Tortosa.
Sicilia Nel 1117 i Genovesi ottennero lesenzione dalle imposte e il diritto di
erigere un consolato a Messina. Durante la guerra con Pisa invasero tutta la città ma Re
Ruggero costrinse a restituire il bottino.
Nel 1147 vennero catturati da Ruggero di Sicilia dei Genovesi e in patria si fece divieto
di creare società (rassa) contro chi si riteneva fosse responsabile: Filippo di Lamberto
Guezo, che venne privato dogni diritto politico a metà giugno del 1148. Siro II e i
Consoli obbligarono al contempo gli uomini della rassa a pagare una penale di 150 lire e
ad impegnarsi a non nuocere in alcun modo a Filippo di Lamberto. Le ostilità proseguirono
fino al 1162.
Nel 1156, nonostante la chiara intenzione del Barbarossa di utilizzare la flotta di Genova
contro i Normanni, Guglielmo Vento e Ansaldo Doria sottoscrissero con Guglielmo I, Re di
Sicilia, un accordo con privilegi contributivi e l'esclusiva del mercato a danno dei
mercanti Provenzali.
Tornati a Genova fu assicurata la salvaguardia di persone e proprietà siciliane sul
nostro territorio.
Nel 1142 vennero inviati a Giovanni II Comneno ad Antiochia gli ambasciatori Oberto Torre
e Guglielmo Barca per ottenere da Costantinopoli gli stessi benefici di Pisa e Venezia. La
morte dellImperatore fece fallire la missione.
Nel 1144 vennero inviati ambasciatori a Papa Lucio II per svincolarsi dallobbligo di
versare una libbra doro allanno per i diritti in Corsica e per aver conferma
dei loro diritti in Siria. Quello stesso anno Raimondo I, Conte di Tripoli e Principe
dAntiochia, confermò le donazioni effettuate nel 1127 da Boemondo II.
Nel gennaio 1147 furono confermati dal Comune agli eredi dellEmbriaco i possessi, di
cui erano stati investiti per venti anni nel 1125, dAntiochia, Gibelletto, Laodicea
e Solino. Nel gennaio 1154 Guglielmo Embriaco venne formalmente investito del feudo di
Gibelletto e dei possessi in Laodicea per ventinove anni (per 100 lire e 90 bisanti
annuali) mentre Ugo e Nicola Embriaco ricevettero per ventinove anni i possessi
dAcri (per 150 lire annue) e dAntiochia (per 80 bisanti annui). Gli affitti
furono irrisori considerando che nel porto di Acri non era infrequente veder ancorate
anche 80 navi contemporaneamente.
Nel 1155 il Comune dovette inviare presso la Santa Sede il canonico di S. Lorenzo Manfredo
per chiedere il rispetto delle concessioni da parte di Baldovino III, Re di Gerusalemme,
di Raimondo II, Principe dAntiochia, e del provenzale Bernardo Ottone. Il Papa
invitò tutte le parti chiamate in causa a rispettare gli accordi con Genova sotto la
minaccia di scomunica.
Il 12 ottobre 1155 in S. Lorenzo si poté sottoscrivere un accordo con il Metropolita
Demetrio, legato dellImperatore di Costantinopoli Emanuele Comneno Porfirogenito.
LImperatore concesse una contrada, un fondaco, la chiesa di S. Croce a
Costantinopoli, una banchina, la riduzione del dazio (dal 10% al 4%) in tutto
limpero e un dono annuo al Comune (500 ipèrperi) ed allArcivescovo (60
ipèrperi e due palli) in cambio della rinuncia ad ogni impresa contro Bisanzio.
Nel 1157 inoltre vennero inviati, al fine di garantire i privilegi di Genova
allestero, Guido di Lodi (presso la S. Sede), Gionata Crispo (in Oriente e Sicilia),
Amico Di Murta (a Costantinopoli). Da
Costantinopoli si esigeva il rispetto dei patti firmati nel 1155 che promettevano un
embolo ed uno scalo.
Già da prima del 1153 i Genovesi ebbero un fondaco ad Alessandria (ed il suo movimento
daffari eguagliava quello di tutta la Terrasanta) giusto allo sbocco delle vie
commerciali con lOriente e linterno dellAfrica.
Nel 1154 nove galee marocchine (con cui Genova aveva un trattato di pace) saccheggiarono
in Sardegna una nave genovese di ritorno da Alessandria ma, scoperta lorigine della
nave, fu consegnata al giudice di Cagliari affinché fosse riconsegnata a Genova con le
loro scuse.
Nel 1188 Genova espugnò Tolemaide ed ottenne privilegi a Tiro (1194) ed in altre parti
della Siria.
Con lespanzionisto lungo la costa si amplia anche la città, e ad aprile 1152, per
ragioni di salute pubblica, i Consoli decretarono la chiusura dei 52 macelli operanti fino
a quel momento e aprirono per la macellazioni due spazi aperti di proprietà comunale (uno
in Soziglia ed uno al Molo) e si riconobbero su di essi i diritti viscontili.
Dopo lincendio del 1122 che devastò la periferia cittadina (Brolium) e quello
devastante del 1141 la città si organizzò e quando il 25 dicembre 1154 scoppiò un
incendio nella zona di Prè lo si arginò rapidamente.
Una legge del 1143 impedì alla moglie di possedere più della terza parte dei beni del
marito ("jus tertiae") ma si dovette accontentare di una somma fissa "come
da consuetudine".
La cassa del Comune, per limpresa di Tortosa, aveva un forte disavanzo. La metà del
debito era stato contratto con banchieri piacentini che fino al 1154 dovettero forzare la
mano al Comune per rientrare delle loro 6.000 lire.
Si dovette procedere alla vendita dei beni e delle entrate del Comune comera
consuetudine, tanto che nel 1144 i Consoli avevano ceduto la riscossione dei dazi sul lino
ad una società di cui facevano parte.
A febbraio 1149 si dovette procedere alla vendita, per 1.300 lire, del profitto di alcuni
dazi (pesi, misure, rive, scoli e il monopolio del sale) per quindici anni al fine di
compensare il debito pubblico. A fine 1149 vendettero per ventinove anni ad un consorzio
di cui faceva parte anche il Console Caffaro, lappalto per la riscossione delle
tasse portuali e i proventi dei pedaggi di Voltaggio. Nel gennaio 1150 vendettero per
ventinove anni a Guglielmo Vento lappalto dei banchi di cambio per 400 lire.
Nel dicembre 1150 i Consoli allogarono per ventinove anni le spettanze del Comune in
Tortosa per 300 lire annuali. Cedettero ai canonici di S. Lorenzo, che già ne possedevano
i 2/3, la restante parte dellisola di Tortosa e 1/2 di ciò che in quellisola
ricevevano dal Conte di Barcellona.
Nel gennaio 1152 quasi unanimi cedettero a Guglielmo Piccamiglio per venti anni il
monopolio del sale ricevendo dai soci della compera 800 lire; vendettero per due anni il
castello ed il pedaggio di Rivarolo a Grifo e Lamberto Guercio.
Nel gennaio 1154 gli Embriaco acquistarono linvestitura di Gibelletto e dei
possedimenti genovesi di Laodicea, Acri e Antiochia; concessero a Baldassare Fornaro il
castello di Fiaccone per ventinove anni e cedettero al Conte Raimondo Berengario IV la
parte di Tortosa del Comune per 11.640 marabotini che non vennero versati.
Nel febbraio 1154 i Consoli eletti, vista la disastrosa situazione, rifiutarono la carica
ma poi laccettarono su pressione dellArcivescovo Siro II. Fabbricarono nuove
galee, poiché ve nera penuria, e risolsero le 15.000 lire di debito pubblico entro
la fine del loro consolato pacificando al contempo i loro concittadini.
Nel 1155 i Consoli impedirono per il futuro la vendita e lobbligazione di redditi
del Comune per più di un anno e che le vendite o le obbligazioni di quei redditi non
durassero oltre al consolato di chi le aveva consentite. Quindi riscattarono tutti i
principali redditi.
Per attirare molti nobili lombardi e romani concessero a partire dal 1150, e più
frequentemente nella seconda metà del secolo, libertà di commercio in imprese marine
fino ad una certa somma. Molti giurarono fedeltà al Comune.
GENOVA TRA LANNO 1000 ED IL 1100
Nel 1107 Torchitorio di Lacono (detto Mariano), cacciato dal suo giudicato di Cagliari,
chiese laiuto dei Genovesi per riprenderlo. 6 galee al comando del Console Ottone
Fornaro espugnarono Cagliari e reintegrarono Mariano nella sua carica ottenendone 6 ville
per la chiesa di S. Lorenzo
Intorno al 1015 i saraceni sbarcano in Sardegna per poi puntare sulle coste settentrionali
del Tirreno. Nel 1016 Papa Benedetto VII promette la signoria sull'isola al suo
liberatore.
Pisa e Genova, su pressione del Marchese Adalberto II e del Vescovo Giovanni II
congiunsero le flotte sotto la guida degli Obertenghi. La collaborazione tra le due città
prosegue negli anni con alcune spedizioni in terra d'Africa volte a debellare la piaga
della pirateria saracena.
Con la partecipazione delle milizie cittadine guidate dai Vescovi, cacciarono da
Lunigiana, Corsica e Sardegna la flotta saracena. Le flotte nel giugno 1016 sconfissero i
Saraceni nei pressi della Sardegna catturando la famiglia del loro sovrano. Lanno
successivo terminò la liberazione della Sardegna dai Saraceni che tornò allo statu ante
quo mentre gli Obertenghi ed alcuni loro vassalli iniziarono una lenta penetrazione
politica ed amministrativa in Corsica. Genovesi e Pisani acquistarono così il predominio
del Mediterraneo e portarono il conflitto fino alle coste islamiche della Spagna, Sicilia,
e Ifrìqiya.
Nel 1052 si registra la composizione dei dissidi tra l'autorità vescovile (residente
nell'area di S. Lorenzo) e l'autorità dei Visconti (area di S. Siro). Cresce il potere
del Vescovo a discapito dei Visconti.
Mentre per il resto della penisola, l'evoluzione verso lo stato indipendente porta alla
nascita di nazioni attorno ad una figura forte, principalmente ereditaria o anche
elettiva, a Genova la situazione di stato unitario è di sola facciata.
Nel 1061, su invito di Papa Benedetto VIII, Genova e Pisa, sconfissero definitivamente in
Sardegna il Re saraceno Mugìâhid ibn abd Allah al Amiri catturandolo in combattimento.
Nel 1063 i rapporti commerciali con la Siria e la Terrasanta erano completamente
ristabiliti. A Genova venne creata addirittura una stazione dimbarco per la
Terrasanta.
Il commercio e la pirateria in questo periodo erano talmente proficui da permettere di
aumentare il capitale investito del 200% lanno.
Tra il 1060 ed il 1080 vennero stipulati una serie di accordi commerciali con gli
Hammadidi e con gli Ziryti (succeduti si Fatimiti).
Nel 1070 i Pisani occupano parte della Corsica già dominio genovese dando origine ad un
ininterrotto stato di tensione che durerà anni.
Nel 1087 Amalfi, Gaeta, Genova, Pisa e Salerno, su invito di Papa Vittore III, occuparono
molte zone dellAfrica rendendo i Re di Tripoli e Tunisi tributari della Santa Sede.
Con 300 navi e 30.000 uomini occuparono Pantelleria; la flotta araba non uscì dal porto
perché indebolita dalle sconfitte inflittegli da Ruggero dAltavilla. L8
agosto 1088 (S. Sisto) sbarcarono a Zawila, ruppero le catene di sbarramento al porto,
devastarono la città e le navi ed occuparono la penisola di Mehedia. Thamim, sultano
ziryta di Mehedia, per ottenere la pace dovette pagare mezzo milione di lire, liberare i
prigionieri e concedere lesenzione dai dazi a Genovesi e Pisani. In ricordo della
cattura della città venne edificata sulla marina di Prè una chiesa dedicata a S. Sisto.
LA NASCITA DELLA POTENZA MERCANTILE GENOVESE: LA FLOTTA
Inizialmente furono costruite da un singolo maestro dascia con un singolo
committente che se ne assumeva le spese (tra cui la tassa per il varo) ed un singolo
padrone che larmava e la governava; solo in seguito per galee da guerra e grandi
navi si creò un arsenale: la Darsena (Daar Senaah "casa di lavoro").
Rimase un unico maestro dascia anche se ne coordinava molti altri specialisti in
vari settori della nave. Il committente divenne una società in partecipazione, il numero
di partecipanti iniziali che sostenevano le spese determinavano il numero di parti di cui
era composta la nave. Gli armatori si trasformarono anchessi in società ma i loca
in cui venivano divise le spese darmamento equivalevano alle spese per un singolo
marinaio (vitto e paga), perciò era frequente che alcuni marinai diventassero armatori di
se stessi. I rematori erano liberi e soldati reclutati ad podisias cioè in base alle
liste di leva obbligatorie e ricevevano, come tutto lequipaggio una partecipazione
agli utili.
La città per le imprese militari dinteresse comune non manteneva alcuna flotta
militare ma ricorreva a quella commerciale dei privati. Ogni nave, poiché vi era un
fenomeno endemico di pirateria, era da guerra oltre che commerciale. In caso di
mobilitazione il Comune dichiarava il Devetum, in pratica la proibizione di intraprendere
commerci marittimi, e quindi requisiva le navi necessarie. Per tali motivi la flotta era
spesso poco affiatata ed inoltre gli uomini sottratti alle attività produttive potevano
essere impiegati solo per tempi limitati pena la paralisi economica.
Le navi corsare, che ebbero una parte di predominante importanza nelle guerre di Genova,
erano allestite e dirette da privati per specifici fini militari e di saccheggio. Il
Comune le incoraggiò, senza finanziarle, pur imponendo loro una cauzione onde evitare che
assalissero navi alleate. A loro spettava tutto il bottino tranne i prigionieri e la nave.
Le navi in genere erano o snelle a remi e quindi da guerra oppure larghe e a vela. Queste
ultime erano più indifese ma potevano portare il carico quattro volte maggiore pur
costando tre volte meno di una galea per questo furono preferite su rotte tranquille dove
si muovevano scortate ed in convogli (carovane). 250 persone dequipaggio ed in
genere ogni Compagna armava le sue.
Queste sono le principali imbarcazioni Genovesi del periodo:
Nave: a vela dotata di tre ponti con tre castelli alti non meno di sette metri. Erano vere
fortezze galleggianti che potevano anche raggiungere le 200 tonnellate.
Uscere: nave per il trasporto dei cavalli munita dampi portelli sui fianchi. Furono
molto costruite in occasione della Crociata di S. Luigi.
Gàrabo: nave a vela detta caracca ed infine caravella.
Goletta: veliero piccolo con bompresso, due alberi e vele quadrate.
Gatto: bastimento a remi; dotato di castelli coperti in cui si proteggevano i soldati.
Calandra: nave tondeggiante a vela per il trasporto di cavalli e milizie simile alla
bizantina Chelandra.
Abbiamo inoltre il buco ed il cursore.
Queste invece furono le macchine da guerra navali e di fanteria usate dai Genovesi agli
inizi dellanno mille:
Gli Speroni : alberi navali usati come speroni laterali; Su modello degli speroni navali a
terra era usato il gatto che serviva ad abbattere le mura a colpi. Allestremità
aveva una forma a testa di gatto. Era di legno non combustibile e rivestito di cuoio.
Dentro aveva una trave dove si metteva un ferro uncinato (Falce) che quando era piegato
estraeva le pietre dal muro oppure rivestivano la testa di ferro (Bolcione o Montone) in
modo da sfondare le mura.
Il Fuoco greco: Vasi di terra, contenenti zolfo, carbone e salnitro, da lanciare a mano
contro gli avversari.
Le comuni Pietre con il lancio a distanza con catapulte, balestre, pietrere.
I Liquidi bollenti come olio, pece, calce viva, sapone liquido (per far scivolare gli
avversari).
I Castelli mobili sia specificatamente terrestri ma su modello del castello navale.
GENOVA E LA PRIMA CROCIATA
albori del secondo millenio, per i ricchi europei, cristiani cattolici, il massimo delle
aspirazioni era raggiungere la Terra Santa, profanata dai fanatici seguaci di Maometto.
Nessun porto, allora, era più indicato di quello genovese per organizzare viaggi verso
quei lidi. Sappiamo, grazie al Caffaro, l'unico reporter genovese dell'epoca, che esisteva
una nave destinata a queste particolari crociere che si chiamava "Pomella", e
che si suppone fosse di proprietà degli Embriaci, in quel periodo famiglia più
importante e ricca della città. La nave partiva da Genova nei primi giorni di Aprile e ci
metteva alcuni mesi per raggiungere Giaffa, dove sostava, in attesa dei pellegrini, fino
al primo Settembre, quando ripartiva per il capoluogo ligure. Il luogo che ospitava questi
pellegrini prima della partenza o all'arrivo era la "Commenda" di Prè.
Proprio in quegli anni, Genova cominciava a far valere un acceso antagonismo marittimo con
Pisa, che nel Medio Evo era molto più grande di Genova. Tutte e due le città possedevano
una flotta ed entrambe avevano sopportato l'onta del saccheggio saraceno. Così, pur
odiandosi nell'ombra, si allearono per combattere la minaccia islamica e in un'epica
battaglia, nei pressi di Luni, annientarono la flotta islamica, costringendo il loro capo
Mugahid, a fuggire in Sardegna, dove fu raggiunto dalle navi alleate. Gli uomini appena
sbarcati si diedero al saccheggio della città di Cagliari. Molto probabilmente, il
bottino più grosso lo fece l'Embriaco, nonno del celebre Guglielmo che incontreremo più
avanti, al comando della flotta genovese, che riportò questo tesoro in città per
costruire quella che ancora oggi è la Cattedrale: San Lorenzo. Ma questo non accadde
subito, forse per colpa di qualche malinteso tra l'Embriaco e il clero, e con quell'oro
venne costruita un'altra chiesa, ancor oggi famosa: l'Abbazia di San Siro.
Il punto di svolta per Genova è rappresentato dalla Ia Crociata. Il Papa Urbano II perora
la causa della liberazione di Gerusalemme. S. Siro è la sede della
"propaganda".
Qualche anno prima del 1100, Genova era una città molto povera, che riusciva a stento a
mantenere i suoi traffici marittimi e con la popolazione ai limiti della sopravvivenza. Ma
in una calda giornata dell'estate 1097, le sorti di Genova cominciano ad essere meno
grame: è l'inizio di "Genova nei secoli d'oro".
Nel 1095 Urbano II nei concili di Piacenza e Clermont bandì una Crociata per liberare la
Terrasanta dai Turchi. A Genova vennero Ugo di Chateaunef dIsère Vescovo di
Grenoble e Guglielmo I Vescovo dOrange a lessero nella piazza di S. Siro ai
Genovesi, molti dei quali reduci da Tortosa, la lettera pontificia.
Fu, infatti, nel Luglio di quell'anno che la "Compagna" chiamò a raccolta tutti
i genovesi presenti nel borgo. Erano arrivati due Vescovi francesi, inviati dal Papa
Urbano II, che chiedevano l'aiuto, con l'invio di viveri e volontari, per l'armata dei
crociati che versava in gravi difficoltà in Terra Santa. La fame rischiava di decimare
l'esercito più delle battaglie. Si dovevano raccogliere provviste alimentari e servivano
marinai e vogatori, tutti volontari e non remunerati. Guglielmo Embriaco, console del
"Castrum", forse il più autorevole cittadino dell'epoca, chiese ai presenti di
giurare fedeltà all'impegno e tutti furono felici di farlo. Si riuscì in poco tempo ad
organizzare la prima spedizione e i Vescovi tornarono in Francia, felici dell'accordo,
dando appuntamento ai genovesi al porto di San Simeone, vicino ad Antiochia.
In poche settimane si riuscì a riempire una salanda, l'imbarcazione da carico di quei
tempi, di derrate alimentari. La gente si privava di qualsiasi bene e lo portava al
Mandraccio per essere caricato sulla nave che doveva partire per la Terra Santa. I
magazzini (fondaci) di Sottoripa erano stracolmi di merce pronta per essere stivata.
Quando tutto fu preparato, il 24 Luglio 1097, la flotta, composta da dodici galee e dalla
nave da carico, salpò verso la Terra Santa. I marinai genovesi erano circa quattromila,
cioè tutti gli uomini abili disponibili della repubblica. La nave ammiraglia era la
"Grifona", comandata da Guglielmo Embriaco.
Lesercito crociato prese Nicea il 21 ottobre 1097, e poi Antiocheta, Tasso e
Mamistra. Baldovino, Conte di Fiandra, prese Edessa e si stanziò in quei territori. I
crociati restanti proseguirono fino ad Antiochia che fu assediata in ottobre.
Il viaggio cominciava costeggiando le rive tirreniche per attendere l'arrivo delle altre
flotte delle Repubbliche Marinare, cioè Pisa e Amalfi, ma chissà per quali motivi sia i
pisani che gli amalfitani non si aggregarono, lasciando i genovesi da soli. Anche i
veneziani, contattati dai Vescovi francesi, trovarono qualche scusa e rinunciarono a dare
il loro aiuto ai crociati.
Così, i genovesi cominciarono in perfetta solitudine quell'avventura ed arrivarono nel
porto di San Simeone, nel Novembre del 1097. Qui furono festeggiati dal contingente
rimasto sulla costa e, subito, furono inviati dei messaggeri per informare le truppe
crociate che stavano assediando Antiochia. Questi saputa la notizia dell'arrivo dei viveri
abbandonarono gli accampamenti e, di conseguenza, l'assedio, per raggiungere la nave
genovese. Molti turchi riuscirono a fuggire da Antiochia, nascondendosi nella città di
Solino. L'Embriaco per agevolare il trasporto dei viveri verso Antiochia, dispose una
colonna di 600 uomini che dovevano portare i sacchetti con gli alimenti. Purtroppo, per
giungere ad Antiochia, dovevano passare da Solino, dove furono attaccati dai turchi e
barbarmente massacrati.
Quando la notizia giunse nel porto dove la flotta genovese aveva attraccato, i compagni
dei martiri partirono inferociti verso la città dove era avvenuto l'agguato. Era talmente
grande la rabbia che dopo aver violato le mura, i genovesi, abbatterono a calci e pugni le
porte e trucidarono selvaggiamente tutti i turchi. Qualche anno dopo Solino sarà donata
come colonia ai genovesi.
Un mese dopo i Genovesi sbarcarono ed espugnarono S. Simeone (10 miglia da Antiochia, alle
foci dellOronte). Su pressione di Boemondo dAltavilla inviarono 600 dei loro
migliori uomini ad Antiochia ma li persero contro una colonna di 1.000 Saraceni uscita
dalla città. Lasciate le navi, raggiunsero ed espugnarono Antiochia il 3 giugno 1098 per
il tradimento di Emir Feir che consegnò a Boemondo di Taranto la torre da lui protetta.
Una controffensiva guidata da Kiwani ed Daula Kerbgha principe di Mossul e da Kilgi Arslan
sultano dIconio chiuse i crociati nella città appena espugnata. Guidati da un sogno
mistico i crociati rinvennero la lancia che trafisse il costato di Gesù e seguendola in
battaglia il 28 giugno sconfissero e cacciarono i mussulmani.
Il 14 luglio 1098 Boemondo, proclamato Principe dAntiochia, cacciò dalla città
Raimondo di Saint-Gilles e donò ai Genovesi per compensarli del loro impegno un fondaco,
un palazzo, la chiesa di S. Giovanni, 30 case, un pozzo e lesenzione dai tributi.
Questa conquista rappresenta il primo passo verso la rete coloniale alla genovese. Genova
non possiede un numeroso esercito, e non può sprecare uomini a difesa di vasti territori
lontani dalla madre patria. Lo schema quasi tipico della colonizzazione genovese è
costituito da: una via e/o una piazza, alcune case contigue, un pozzo, alcuni fondaci e
l'esenzione perpetua da tasse e gabelle. L'intenzione sembrerebbe quella di creare un'area
commerciale di piccole dimensioni, facilmente difendibile, gestibile autonomamente dal
resto del territorio e non gravata da imposte straniere.
Rientrando in patria fecero scalo a Patara entrarono in Mira (città licia, Asia Minore),
simpadronirono di un urna contenente le ceneri di S. Giovanni Battista, patrono
della città e del Sacro Catino, e le trasportarono a Genova dove risiedono tuttora nel
Duomo. Nello stesso periodo i Portofinesi acquistarono le reliquie di S. Giorgio fino a
quel momento sepolte a Nicomedia. Le collocarono in una cappella collocata su uno scoglio.
GENOVA E LA SECONDA E TERZA CROCIATA
Come abbiamo visto, nella prima crociata, la figura più importante tra i genovesi
dell'epoca era Guglielmo Embriaco, console del "Castrum". Fu lui a promuovere le
prime spedizioni in Terra Santa a sostegno dei Crociati e, grazie alle sue conoscenze in
alto loco, primo fra tutti Goffredo da Buglione, permise alla città di Genova di divenire
la prima potenza commerciale nel Mediterraneo. Tramite concessioni imperiali e colonie
donate per i servigi offerti, Genova iniziava ad essere conosciuta in tutto il mondo.
Infatti, nel 1102, anno di costituzione del "Comune" (con Guglielmo primo
Console Communis), la città era un cantiere in fermento: venivano costruite nuove
abitazioni, edificate chiese e il porto che solo quattro anni prima languiva
nell'incertezza del futuro era costretto ad allargare i moli spostandosi sempre più a
ponente.
Anche l'Embriaco decise di migliorare la propria casa, innalzando la Torre per farla
diventare la più alta della città. Ma Guglielmo aveva molte risorse e non si faceva
apprezzare soltanto per la sua bravura politica e marinaresca. Le sue capacità spaziavano
anche nell'arte militare e due sue invenzioni fecero la fortuna di molti comandanti
crociati. Si presume che sia stato lui a migliorare una delle armi più temibili del Medio
Evo: la balestra. Difatti, celebri erano i "balestrieri del Mandraccio" che
venivano richiesti sia nelle battaglie a terra che in quelle navali. Di sicuro è sua
l'invenzione della "Torre mobile", un'alta costruzione in legno rivestita di
cuoio, che veniva avvicinata alle mura delle città assediate, per permettere ai
balestrieri nascosti al suo interno di scaricare le frecce delle balestre verso il nemico
asseragliato. Quest'arma segreta fu determinante per la conquista di Gerusalemme.
Siccome, si stavano progettando altre spedizioni in Terra Santa, l'Embriaco, dimostrando,
anche le sue grandi capacità diplomatiche e persuasive, riuscì a convincere anche i
cittadini rivieraschi ad offrirsi volontari per queste avventure. Ci riuscì, grazie al
Vescovo Airaldo, aumentando di circa tremila uomini la sua flotta. La maggior parte di
questi furono impiegati come vogatori, il lavoro più duro sulla nave, ma molti furono
ripagati di questi sacrifici perchè ad essi furono concesse le terre che i musulmani
abbandonavano all'avanzare dei Crociati.
Nel 1099 solo 2 galee furono inviate a Cesarea. Il 7 giugno 1099 i Crociati francesi
iniziarono lassedio di Gerusalemme con soli 20.000 fanti e 1.500 cavalieri. I
Genovesi, guidati da Guglielmo Embriaco detto "Testa di maglio" e da Primo di
Castello, giunsero di rinforzo e con nuovo slancio, nonostante la minaccia delle navi
saracene ancorate ad Ascalona, vennero costruite 2 torri dassedio con il legname
delle navi. Gerusalemme fu espugnata il 15 luglio grazie ad un ariete con cui i Turchi
cercavano di allontanare una torre mobile genovese. I Genovesi lo usarono come ponte ed
assaltarono le mura. Goffredo di Buglione divenne "Difensore del S. Sepolcro".
Espugnata Gerusalemme giunse lemiro Efdhal ed Djoujousch, visir di Mostalì e
califfo dEgitto con un grande esercito sconfitto dai cristiani nella piana di Er
Ramlèh.
Poiché furono i primi nel 1097 a soccorrere i Francesi, seguiti ad operazioni concluse da
Veneziani e Pisani, e per laiuto nella conquista di Gerusalemme, Antiochia,
Laodicea, Cesarea, Arzuf e per aver espugnato Accaron, Solino e Gibello ebbero in dono una
contrada in Gerusalemme, una in Giaffa ed 1/3 di Cesarea, di Arzuf e di Accaron.
Tornarono a Genova la vigilia di natale 1099 con una richiesta di rinforzi dalla
Terrasanta.
Uno dei momenti più importanti della storia medievale fu la conquista di Gerusalemme.
All'alba del 15 Luglio 1099, la torre mobile ideata da Guglielmo Embriaco fu avvicinata
alle mura; i soldati musulmani, i temibili Mamluk (da qui il termine
"mamelucchi", dispregiativo usato ancor oggi dai genovesi) cominciarono a
scagliare frecce incendiarie contro le pareti di cuoio della torre, concentrandosi quasi
tutti contro di essa. I balestrieri genovesi al coperto nella torre iniziarono a lanciare
le loro frecce sterminando gli avversari. Quando i mamluk furono tutti uccisi, l'Embriaco
sventolò il vessillo col Grifone, segnalando a Goffredo di Buglione il via libera.
Questi, con i suoi uomini, salì le scale appoggiate alle mura e penetrato nella città
fece abbassare il ponte levatoio, mettendo per primo il piede a Gerusalemme, finalmente
conquistata.
Una seconda spedizione guidata da Guglielmo Embriaco approda a Giaffa dove vengono
smantellate le navi per evitarne la cattura da parte nemica. Il legno ricavato viene
trasportato fino a Gerusalemme, dove viene riutilizzato per la costruzione di una torre
d'assedio. Proprio il manufatto ed il valore dei genovesi portano alla liberazione della
Città Santa (15 luglio 1099).
I primi di agosto 1100 26 galee e 4 navi con 8.000 uomini in armi partirono per
Gerusalemme per soccorrere Goffredo di Buglione. Arrivati a Laodicea nellottobre
1100 svernarono reggendo quei territori rimasti senza governo, con la morte del Duca
Goffredo di Buglione, la prigionia del Conte Boemondo dAltavilla, il ritiro di
Raimondo di Saint-Gilles verso Costantinopoli ed il rimpatrio delle 200 navi appartenenti
alla flotta veneziana.
In accordo con il Legato pontificio, il Vescovo Maurizio, e in contrasto con il Patriarca
Damberto invitarono a colmare i vuoti politici Baldovino, Conte di Edessa, e Tancredi
dAltavilla, Principe di Tiberiade. Tancredi prese possesso del principato di
Antiochia; Baldovino con 200 cavalieri e 300 fanti accettò il regno di Gerusalemme ma
solo a patto di ottenere laiuto genovese nellespugnare due città che avrebbe
in seguito indicato.
Partì per Gerusalemme e ne divenne Re nel 1101, dopo aver sconfitto 3.000 turchi nei
pressi di Baruti (Siria).
Genova otterrà dalla cessione di quei domini vacanti che si era prestata a reggere, oltre
la riconferma della colonia di Antiochia, il possesso di un quartiere a Gerusalemme ed uno
a Giaffa e di tutte le città che avrebbe contribuito a conquistare, 1/3 di Arzuf, una
casa a Cesarea ed 1/3 di Acri e delle sue entrate e 300 bisanti ogni anno.
Dopo aver predato mentre svernavano ad Antiochia le coste tra Laodicea e Giaffa, diressero
a Gerusalemme durante la Quaresima.
Il lunedì dopo la domenica delle palme con tutta la flotta diressero a Giaffa. Dopo aver
trascorso la Pasqua a Gerusalemme, su incarico di Re Baldovino, assaltarono il 6 maggio
1101 Arzuf e lespugnarono in tre giorni.
A maggio presero Cesarea scalando le mura senza usare alcuna macchina da guerra.
Riuscirono ad espugnarla soprattutto per leroismo del Console Guglielmo Embriaco che
scalate per primo le mura incitò lesercito dallalto di una torre. Cesarea
venne saccheggiata e la popolazione risparmiata. Il bottino, tolto 1/15 per gli armatori,
ammontò a più di 20.000 lire e 16.000 libbre di pepe. Tra tanta ricchezza anche il
catino, ora conservato nella Metropolitana, in cui aveva mangiato la Pasqua Gesù.
Ritornarono a Genova nellottobre 1101.
Durante il rientro si scontrarono presso Itaca con la flotta imperiale comandata da
Landolfo. Catturarono e distrussero 7 chelandrie e con le loro 63 galee mossero verso le
restanti 63. Trovandosi in difficoltà, lAmmiraglio imperiale chiese una tregua a
Corfù e accompagnò i genovesi Lamberto Guezo e Raimondo di Rodolfo come ambasciatori
dallImperatore Alessio. Mentre erano a Corfù giunsero da Genova 8 galee, 8 gàrabi
e una grossa nave carica di armati guidate da Mauro di Piazzalunga e Pagano Della Volta.
Tale flotta diresse poi a Torcuosa e con Raimondo IV di Saint-Gilles, signore di Edessa,
lespugnò (nel marzo 1102).
Una terza spedizione in Terra Santa vede ancora protagonista Guglielmo Embriaco che con
una flotta della Repubblica di almeno 26 galee e 8000 uomini, senza contare i pellegrini,
si reca a Laodicea (1101). Terminato il pellegrinaggio a Gerusalemme, partecipa alla
conquista di Tiro e successivamente di Cesarea.
Alla morte del conte Raimondo, il nipote di Guglielmo di Giordano ed il figlio Bertrando
di Raimondo IV di Saint-Gilles chiesero ai Genovesi aiuto per espugnare Tripoli. Nel 1109
60 galee al comando di Arnaldo e Ugo, figli dellEmbriaco, partirono per
lOriente. Presero Tripoli (13 luglio 1109) e con Tancredi principe di Antiochia
Gibello. Bertrando di Saint-Gilles fu fatto Conte di Tripoli da Baldovino I di Gerusalemme
e donò ai Genovesi i restanti 2/3 di Gibelletto invece che cedere la parte di Tripoli che
aveva promesso. A Gibelletto, affianco ad Ansaldo Corso, venne lasciato Ugo Embriaco. Nel
1110 22 vengalee genovesi presero (su invito di Re Baldovino) Beirut e Mamistra e per via
delle loro imprese fu posta il 26 maggio 1105 una lapide murata nella tribuna della chiesa
del S. Sepolcro, costata 2.000 bisanti, il cui testo in oro attestava leroismo e le
concessioni fatte ai Genovesi e unaltra sopra laltare contenente
liscrizione "Praepotens Genuensium Praesidio". Avevano il possesso di
Mamistra, Salino, Gibello, Laodicea, Tortosa, Tripoli, Gibello, Beirut, S. Giovanni
dAcri, Gibelletto, Cesarea, Arzuf, Giaffa, Ascalona e più di un quartiere di
Gerusalemme. Nel 1127 Boemondo II confermò le donazioni fatte dal padre nel 1098 in
Antiochia, Solino e Laodicea. Nel 1135 Innocenzo II concesse franchigie nei regni di
Gerusalemme e Cipro. Nel 1136 12 galee nei pressi di Bugea (regno di Algeri) catturarono
una nave saracena e fecero prigioniero Bolfetto, fratello di Matarasso ed un carico di
8.500 lire ed ottennero un fondaco e il diritto di riscuotere unaliquota delle
imposte portuarie a Bugea. Il fondaco era più piccolo e unico rappresentante politico era
lo scriba; tutto si accentrava in un unico fabbricato (dogana, deposito, mercato, albergo
e chiesa). Nel 1137 22 galee andarono a caccia di 40 galee saracene capitanate da Mohammed
ibn Meimûm (Maimone), signore dAlmeria. Raggiunta Algeri e non riuscendo a
raggiungere queste navi assaltarono altre navi e saccheggiarono la costa. Nel 1142
lespansione nel Mediterraneo era tale che la Repubblica mandò ambasciatori Oberto
Torre e Guglielmo Barca alla corte di Costantinopoli ottenendone, sulla scia di Venezia e
Pisa, immediati privilegi. Nel 1104 i Genovesi con 40 galee aiutarono il conte Raimondo ad
espugnare Gibelletto (poi assegnato come feudo agli Embriaco) e, lasciato Ansaldo Corso a
presiedere la parte di città destinata a loro, aiutarono Re Baldovino ad espugnare S.
Giovanni dAcri. Ottennero per questo una via, 1/3 dei quartieri periferici, 300
bisanti annui e lesenzione dai tributi nonché il titolo viscontile per Sigibaldo,
canonico di S. Lorenzo. Alla morte del conte Raimondo, il nipote di Guglielmo di Giordano
ed il figlio Bertrando di Raimondo IV di Saint-Gilles chiesero ai Genovesi aiuto per
espugnare Tripoli. Nel 1109 60 galee al comando di Arnaldo e Ugo, figli
dellEmbriaco, partirono per lOriente. Presero Tripoli (13 luglio 1109) e con
Tancredi principe di Antiochia Gibello. Bertrando di Saint-Gilles fu fatto Conte di
Tripoli da Baldovino I di Gerusalemme e donò ai Genovesi i restanti 2/3 di Gibelletto
invece che cedere la parte di Tripoli che aveva promesso. A Gibelletto, affianco ad
Ansaldo Corso, venne lasciato Ugo Embriaco. Nel 1110 22 galee genovesi presero (su invito
di Re Baldovino) Beirut e Mamistra e per via delle loro imprese fu posta il 26 maggio 1105
una lapide murata nella tribuna della chiesa del S. Sepolcro, costata 2.000 bisanti, il
cui testo in oro attestava leroismo e le concessioni fatte ai Genovesi e
unaltra sopra laltare contenente liscrizione "Praepotens Genuensium
Praesidio". Avevano il possesso di Mamistra, Salino, Gibello, Laodicea, Tortosa,
Tripoli, Gibello, Beirut, S. Giovanni dAcri, Gibelletto, Cesarea, Arzuf, Giaffa,
Ascalona e più di un quartiere di Gerusalemme. Nel 1127 Boemondo II confermò le
donazioni fatte dal padre nel 1098 in Antiochia, Solino e Laodicea. Nel 1135 Innocenzo II
concesse franchigie nei regni di Gerusalemme e Cipro. Nel 1136 12 galee nei pressi di
Bugea (regno di Algeri) catturarono una nave saracena e fecero prigioniero Bolfetto,
fratello di Matarasso ed un carico di 8.500 lire ed ottennero un fondaco e il diritto di
riscuotere unaliquota delle imposte portuarie a Bugea. Il fondaco era più piccolo e
unico rappresentante politico era lo scriba; tutto si accentrava in un unico fabbricato
(dogana, deposito, mercato, albergo e chiesa). Nel 1137 22 galee andarono a caccia di 40
galee saracene capitanate da Mohammed ibn Meimûm (Maimone), signore dAlmeria.
Raggiunta Algeri e non riuscendo a raggiungere queste navi assaltarono altre navi e
saccheggiarono la costa. Nel 1142 lespansione nel Mediterraneo era tale che la
Repubblica mandò ambasciatori Oberto Torre e Guglielmo Barca alla corte di Costantinopoli
ottenendone, sulla scia di Venezia e Pisa, immediati privilegi.
I genovesi sono protagonisti delle prime crociate, e per tale motivo molto spesso
ricompensati con piccole colonie non solo a Cesarea ma anche a: Tortosa (Siria), Tripoli
(Libano), Acri, Gebelet, Beirut. A Gibeletto si crea un possedimento "personale"
degli Embriaci fino al XIII secolo quando l'occupazione degli ultimi territori cristiani
li costringe a passare a Cipro.
Tutti questi eventi portano Genova ad essere di fatto autogovernata. La nascita della rete
coloniale incrementa il commercio e spinge i genovesi all'evoluzione di nuove forme
creditizie e assicurative.
Genova si affaccia prepotentemente sullo scenario internazionale ma ciò non porta alla
sperata stabilizzazione sociale e "familiare" della madre patria.
Con la crescita politico-miltare-economica di Genova, aumenta la necessità di ampliare
l'area di influenza e di controllo sui territori limitrofi. Genova si espande nel nord del
Tirreno. Il controllo del levante ligure è una necessittà primaria per poter realizzare
una zona sicura tra Genova e la rivale Pisa. I territori genovesi arrivano fino a
Portovenere per contrapporsi a Lerici pisana (poi occupata). Il controllo del ponente è
più articolato e diplomatico, volto ad integrare quelle città che già si autogovernano.
Dopo tanta miseria Genova, finalmente, scopriva la ricchezza portata da tutte quelle
attività che si erano sviluppate dopo le prime Crociate. Naturalmente, questa nuova
agiatezza aveva portato un po' di benessere al popolo e molta agiatezza ai "boni
homines", ma anche tanti problemi di non facile soluzione. Ecco cosa accadde in quel
periodo, secondo Vittorio Giunciglio nel suo libro "I sette anni che cambiarono
Genova":
"Con la gloria delle spedizioni in Terra Santa e con la ricchezza che queste avevano
portato, Guglielmo Embriaco ed il vescovo Airaldo, si trovarono a dover risolvere tre
grossi problemi, causati dal raddoppio della popolazione, e cioè: quelli dellacqua,
del grano e della costruzione di un molo in porto. Per fortuna i soldi non mancavano, la
cassaforte della Compagna Communis era piena.
Per il grano, fu consigliata dal Vescovo lespansione oltre Appennino, nel territorio
diocesano genovese. Fu scelta la zona lungo la via Postumia. Perciò furono incorporati
prima i paesi di Vultabbio (Voltaggio), Palodio (Parodi Ligure), Gavi e Libarna
(Serravalle Scrivia). Per il porto fu decisa la costruzione di un molo a partire dal
Mandraccio e parallelo alla Ripa Maris. Gettando grosse pietre, per oltre cento metri fu
creata una massicciata per difendere Sottoripa dalle mareggiate del libeccio. Questo è il
vento che soffia da sudovest e non essendoci ostacoli, provocava allora grosse ondate
provenienti dalla Lanterna, che si riversavano sul Mandraccio.
Nessuno in porto lavorava in occasione di "libecciate". I mariti potevano
tornare a casa anzitempo e giustificati potevano fare altre cose... altrimenti
allepoca, chi non lavorava, trovava il piatto girato dallaltra parte! Questo
primo molo fu chiamato in seguito "molo vecchio". Alla radice del molo fu eretta
la prima dogana dItalia. Fu chiamata così perché doveva tassare le merci
"coloniali" provenienti dal mondo arabo. Infatti "dogana" deriva da
"diwan" che in arabo significa "registro". Le gabelle venivano divise
in due: metà al Comune e metà alla Chiesa di San Lorenzo.
Siccome in quel punto era ubicato questo misterioso edificio, chiamato poi la "casa
del boia", si ritiene che proprio questa fu la prima sede della dogana, spostata poi
nel 1270 a palazzo San Giorgio.
Questo edificio fu costruito dai benedettini prima di salpare per la Terra Santa, così
come la facciata di San Lorenzo e torre Embriaci. Essi costruirono pure la Chiesa di San
Giovanni Battista a Gihello, colonia genovese. La Chiesa è tuttora funzionante in Libano,
come parrocchia cristiano - maronita. La «casa del boia" è stata spostata anni fa
in piazza Cavour, numerando ogni pietra, per lasciar passare la rampa discendente della
Sopraelevata.
Per quanto riguarda l'acqua fu decisa una derivazione per il Burgus a partire da Piazza
Manin, Circonvallazione, Castelletto, Piazza Nunziata, Porta Sottana, Piazza Caricamento.
Qui bisogna aprire una parentesi, riguardo l'antico acquedotto proveniente da Prato, che a
mezza costa raggiungeva Piazza Manin dopo circa 24 chilometri per andare giù fino al
Mandraccio. Il Comune di Genova ritiene che sia stato fatto dai genovesi a partire dal
1100 circa, non conoscendosi la storia anteriore al 935, quando furono bruciati dai
saraceni i documenti storici della città.
Fortunatamente dagli « Annales » del famoso storico Tito Livio, sappiamo quanto successe
a Genova prima del 200 a.C., quando Annibale valicò le Alpi con gli elefanti e si
accampò sul Trebbia.
Genova ospitava allora la flotta navale romana comandata da Cornelio Scipione, mentre
Savona quella cartaginese di Magone (fratello di Annibale). Magone saputo della partenza
delle navi romane, venne a Genova una mattina del 205 a.C., distruggendo e bruciando tutte
le case della città, che allora andavano dal Mandraccio a Sarzano. Tutto il bottino
razziato fu portato a Savona, alleata allora dei Cartaginesi. I genovesi fortunatamente
riuscirono a fuggire. Quando tornarono, al vedere lo scempio delle loro case, venne loro
il cosiddetto "magone". Espressione usata tuttora in dialetto, per definire
grossi dispiaceri. Quando il Senato romano venne a conoscenza del fatto, con commozione e
gratitudine proclamò i genovesi soci dei romani, varando subito provvedimenti per la
ricostruzione della città. Inviò il pretore Spurio Lucrezio con due legioni di soldati e
con pieni poteri. Egli era anche ingegnere del genio militare. Per prima cosa eresse un
muro di cinta, a fianco di un lungo fossato di canne che partiva da "Porta
Superana" fino ad un altro canneto, più corto, perpendicolare allo stesso. Nacquero
così le denominazioni di "Canneto il Lungo" e "il Curto", arrivate
miracolosamente fino ad oggi, tali e quali.
Spurio Lucrezio edificò sul colle di Sarzano il solito Oppidum romano, che comprendeva
gli alloggi per i legionari, mense, magazzini vari ed infine l'immancabile Castrum per la
Pretura, prima sede del governo cittadino. Il castello era ubicato, dove ora ci sono i
ruderi dell'ex Chiesa di S. Maria in Passione. Dopo aver ricostruito anche le case,
chiamò la piccola città "Janua", che in latino vuol dire "porta di
casa". Ciò significa che per un romano allora, trovarsi a Genova era come essere a
casa propria."
GENOVA TRA LANNO 1100 ED IL 1200: LA STRUTTURA DELLE PRIME COLONIE GENOVESI, LE PRIME GUERRE ESPANSIONISTICHE
La struttura tipica delle colonie appartenenti alle città marinare (di cui quella
genovese del 14 luglio 1098 è il primo esempio) era differente da quelle finora in auge
(greche e latine). Si componevano di un quartiere della città dotato dalcune case
in legno ad uno o due piani; gli artigiani avevano le botteghe allineate nella strada
principale (Ruga Genuensium) che dirigeva verso il mare ed era attraversata da numerosi
vicoli ciechi. Si chiamava embolo se la via era fiancheggiata da portici dove erano
situati case e fondachi.
In porto una banchina era a loro riservato ed era chiusa con una catena mobile, subito
dopo vi era la dogana dove si pagavano le tasse imposte dalla colonia (solitamente la
colonia era esente dai tributi locali); di fronte alla dogana gli scribi genovesi detti
"commerciari" stilavano i documenti in arabo. Al piano superiore vi era un
alloggio temporaneo per mercanti.
Nei pressi (in alcune zone nello stesso edificio della dogana) vi sono i magazzini di
deposito Fondaco, se un edificio, o Volta, se un solo locale.
In piazza, luogo di raduno della colonia, vi erano gli edifici pubblici in pietra e
mattoni: la Loggia Comune e la Chiesa.
Alcune colonie hanno anche la zecca, per battere moneta propria, e a volte un bagno,
macelli, mulini, un pozzo ed un forno. In alcuni casi tengono alcuni appezzamenti di terra
coltivabili subito fuori città in modo da avere immediate scorte in caso dassedio
ma se ne curano poco.
In sostanza erano un punto dappoggio per i mercanti, che operavano in forma privata,
durante la navigazione o al termine di una via carovaniera.
Allinterno di tale quartiere si viveva come in patria, si parlava la stessa lingua e
un magistrato (Console o Visconte), inviato dalla madrepatria, tutelava i diritti e i
privilegi dei coloni di fronte allautorità locale.
Avevano larga autonomia politica, ecclesiastica, giurisdizionale e fiscale; in Terrasanta
sispiravano al regime feudale (il capo colonia portava il titolo di Visconte ed
aveva funzioni sia politiche sia giudiziarie) ma sempre sottostando alla legislazione
penale e commerciale in vigore a Genova.
Con landar del tempo, le colonie presero a seguire sempre di più le leggi della
madrepatria, eccetto che per i delitti di sangue, integrate con ordinanze locali e
iniziarono a battere moneta locale.
Un tale dominio, frammentario ma solido, si appoggiava su un fatto di diritto (con una
serie di contratti) più che sulloccupazione militare e forse per tale motivo durò
più a lungo di quanto si potesse pensare.
Nel 1118 la Compagna che era ancora temporanea e durava in quel periodo 4 anni ebbe i
Consoli in carica solo per due anni. Si giunse nel 1122 ad un Consolato annuale (fino al
1163), al fine di evitare labuso di potere. Ma già nel 1128 vediamo che
lintero blocco consolare dellanno precedente venne riconfermato. Nel 1121 in
questa politica di suddivisione del potere furono istituiti i Clavigeri (custodi delle
chiavi dellerario pubblico e quindi Tesorieri), gli Scrivani e i Cancellieri del
Comune. Dal 1125 nella stesura dei contratti e delle laudi consolari si dovettero
sottoscrivere i nomi dei testimoni. Inizialmente i Consoli dei Placiti mantennero una
giurisdizione territoriale (inizialmente due per ogni Compagna) ma poi si ridussero di
numero e già nel 1135 deliberavano per due parti del Comune, ognuna di quattro Compagne,
una verso Palazzolo (centro città) e laltra verso il Borgo (periferia). Dal 1156 i
Consoli incaricati di amministrare giustizia sia in Borgo che in Palazzolo operavano nello
stesso luogo, il palazzo dellArcivescovo, anche se in stanze separate. In questo
periodo le Compagne aumentano di numero: nel 1130 divennero 7 e lo stesso anno si
introdusse sperimentalmente la separazione tra gli incarichi tra i Consoli dei Placiti e
del Comune. Nel 1133 divenne effettiva tale divisione e lanno dopo le Campagne,
ormai identificate geograficamente, divennero 8. Da questanno il Comune era
consapevole di essere nato: chiunque approdava venne tassato in favore dellOpera del
Molo: 12 denari per chi veniva doltremare, un quartino per chi veniva dalla Provenza
e una mina di sale per chi veniva dalla Sardegna. Sul capo del promontorio detto
"capo di faro" esisteva un fortilizio romano che dominava lAurelia ed era
custodito per decreto consolare dagli abitanti della periferia. Al suo interno venne
eretta nel 1128 la Lanterna. Da almeno un secolo Genova aveva riaperto i valichi
appenninici e si era ricollegata alla "Francigena" sia per deviarne parte del
traffico sul suo porto che per collocare le merci che affluivano dallOriente nei
mercati lombardi e doltralpe. Pisa fu inizialmente avvantaggiata dal suo
collegamento diretto con la "Francigena" ma Genova in poco tempo la superò
collegandosi al mercato di Asti e monopolizzando il traffico marino con la Provenza che
gli permetteva di commerciare direttamente, lungo la via del Rodano, con le fiere di
Champagne e Fiandra. Dato che i porti di Provenza e Catalogna erano arretrati sia per il
dominio feudale che per la lunga oppressione saracena che avevano subito installarono
colonie nel golfo del Leone, soprattutto a Saint-Gilles, tentando di instaurare un dominio
politico sulla falsariga delle città in Terrasanta. Con limprovviso e prepotente
dischiudersi dei mercati orientali, lespansione economica richiese un controllo
sicuro sulle vie di comunicazione e commerciali con lentroterra ed una riduzione
della concorrenza di porti del litorale ligure.
Nei primi decenni del primo millennio si accende la rivalità tra Genova e Pisa. I Pisani
in questo momento di rinascita si espansero verso il Tirreno meridionale mentre i Genovesi
verso la Provenza e la Catalogna.
Nel 1015 su invito di Papa Benedetto VIII Genova e Pisa cacciarono i Saraceni da Sardegna
e Corsica. I Genovesi simpossessarono amministrativamente della Corsica mentre i
mercanti pisani penetrarono a livello commerciale individuale. Il papato le considerava
sue proprietà per i diritti derivati dai Carolingi.
Nel 1060 i Genovesi per contrasti sui feudi corsi entrarono in guerra con Pisa e vennero
sconfitti da 12 galee pisane a Bocca dArno. Nel 1062 a Portofino furono i Pisani ad
essere sconfitti.
Nel 1091 Papa Urbano II, in lotta con lantipapa Clemente III, cedette in locazione
perpetua alla chiesa pisana tutta la Corsica e gli diede facoltà di nominare i Vescovi e
lanno successivo su consiglio della Contessa Matilde di Toscana elesse Arcivescovo,
Metropolita dellisola, il Vescovo Damberto (poi patriarca in Terrasanta) e gli diede
facoltà di consacrare i Vescovi Corsi. In Spagna dove le due flotte operavano
congiuntamente alle notizie provenienti dalla Patria scoppiarono i primi dissapori. Il
Papa, sia per le discordie tra Genova e Pisa, sia perché i Vescovi corsi rifiutarono tale
consacrazione, dovette revocare tale privilegio e consacrarli di persona.
1118 i Consoli inviarono 10 galee a Gaeta su richiesta di un legato di Papa Gelasio II: lo
liberarono dallantipapa Gregorio VIII e lo portarono a Genova. Lungo la strada, a
Pisa, rinnovò la concessione della Metropolitana e poi proseguì per Genova verso la
Francia. Mentre era a Genova, alloggiato nel palazzo vescovile, consacrò ad ottobre S.
Lorenzo in costruzione ed autenticò le ceneri di S. Giovanni Battista. Quando diresse
verso la Francia la flotta genovese lo scortò fino alle bocche del Rodano.
La minaccia costringe i pisani ad accettare le condizioni di resa genovesi. Scampato
l'imminente pericolo, Pisa riprende le scorrerie spesso con esito a loro sfavorevole. La
mediazione pontificia porta alla revoca dei privilegi pisani sulla Corsica (1123). I nuovi
attacchi pisani provocano la decisa risposta armata genovese che in pochi anni occupano
numerosi approdi e castelli pisani in terra Corsa. Molti sono i convogli catturati dai
genovesi. La paventata costruzione di una flotta pisana volta ad eliminare il naviglio
genovese nel Tirreno fino alla Provenza, spinge all'occupazione di Piombino, alla
rioccupazione della Corsica e ad un nuovo saccheggio di Piombino. Nel 1119 Callisto II
concesse nuovamente il privilegio e divampò la guerra tra le due Repubbliche. Nel maggio
1119 16 galee partirono e sorpresero la flotta nemica in Gallura subendo però una
sconfitta a Portovenere. Nel 1120 22.000 tra fanti e cavalieri, 5.000 dei quali corazzati,
80 galee, 25 gatte, 28 golette e 4 navi da trasporto partirono contro Pisa. Giunti a Bocca
dArno il 14 settembre, i Pisani, vista la preponderanza militare nemica, giurarono
la pace rinunciando alla Corsica; furono costretti a ridurre le loro case ad un solo e a
liberare dalle carceri tutti i prigionieri genovesi. Nel frattempo, per le pressioni degli
ambasciatori Caffaro e Barisone, Callisto II avocò a sé le nomine dei Vescovi corsi. Nei
pressi di Pisa due anni dopo 2 galee genovesi sconfissero due galee pisane e fecero 1.000
prigionieri. Nel 1123 Papa Callisto II convocò i rappresentanti di entrambe le città a
Roma durante il concilio Ecumenico per approvare il concordato di Worms. Il Papa abrogò
ogni concessione ed elesse 24 giudici che consigliarono di abolire il privilegio pisano
come avvenne il 6 aprile. La guerra con Pisa continuò fino al 1133. Nel 1124 presso la
spiaggia di Castagneto (nei pressi di Livorno) 7 galee genovesi catturarono un ricco
convoglio pisano di 22 navi scortate da 9 galee che dalla Sardegna tornavano a Pisa ed in
seguito catturarono il pisano Castel S. Angelo. Durante lestate del 1125 10 galee
genovesi costeggiando la Corsica e la Sardegna presero alcune navi pisane; una nave da
guerra con 400 uomini dequipaggio la inseguirono fino allArno. Tornati i
Genovesi in patria 8 galee pisane partirono per la Provenza al fine di imprigionare i
Genovesi là residenti e danneggiare il loro commercio. Genova armò allora 7 galee al
comando del Console Caffaro che batterono i mari alla loro ricerca. Trovarono, a metà
settembre, una nave da carico ormeggiata sotto il castello di Piombino: distrussero il
castello e saccheggiarono il borgo tornando poi a Genova. Lo stesso anno catturarono ad
Aquila, in Provenza, una galea pisana. Nel 1126 galee e gatte genovesi giunsero
allArno e sbarcarono truppe. Lì sconfissero lesercito pisano e poi
distrussero Volterra e il castello di Piombino. Veleggiarono in Corsica ed espugnarono
Castel S. Angelo, ricostruito dai Pisani, e catturarono i 300 soldati pisani di
guarnigione. Papa Onofrio II, dopo aver tentato inutilmente di pacificare le due città,
restituì allArcivescovo di Pisa il privilegio di consacrare i Vescovi
dellisola. Nel 1127 16 galee che pattugliavano i mari della Corsica diedero la
caccia a 9 galee pisane riuscendo a catturarne una sola. Nel 1128 16 galee inseguirono
galee pisane fino alla loro colonia di Messina, lespugnarono e la saccheggiarono ma
su pressione di Re Ruggero restituirono tutto tranne una nave dal valore di 10.000 lire.
Nel 1130 Papa Innocenzo II passò mentre dirigeva in Francia ed in sua presenza venne
nominato Vescovo il 20 aprile Siro II. Nello stesso anno lo consacrò in S. Egidio [chiesa
che, ceduta nel 1250 ai predicatori, prese il nome di S. Domenico]. In tale occasione
ottenne da Genova e Pisa un giuramento di tregua fino al suo ritorno dalla Francia. Nel
1131 il Console Ottone Gontardo venne inviato in Sardegna come Legato presso Comite,
giudice dOristano che per avere, come il suo predecessore, la protezione genovese
fece grandi donazioni alla chiesa di S. Lorenzo e al Comune. Nel 1132 16 galee
pattugliarono i mari corsi e sardi ma lunica nave pisana che sorpresero era ancorata
nel porto di Cagliari.
Nel 1132 labate S. Bernardo da Chiaravalle venne a Genova per incarico di Papa
Innocenzo II al fine di chiedere soccorso contro lantipapa Anacleto.
Il 20 marzo 1133 Innocenzo II fece concludere a Grosseto la pace tra Genovesi e Pisani.
Elevò Siro II alla dignità arcivescovile assegnandogli come metropolitana i vescovadi
corsi di Marana, Nebbio e S. Pietro dAjaccio e i vescovadi di Bobbio e di Brugnato
(fatto risorgere per loccasione). Metà della Corsica divenne dominio genovese ma,
come la metà pisana doveva pagare un canone annuo di una libbra doro.
La pace arriva solo nel 1133, quando vennero a Genova ambasciatori di Ruggero II di
Sicilia (che appoggiava lantipapa) ma nonostante i loro sforzi partirono 8 galee
genovesi dirette a Roma per difendere il papato. I loro sforzi però, appoggiati anche
dalle ampie concessioni sullisola, servirono ad evitare un appoggio genovese alle
proposte antinormanne. Dopo la conquista di Civitavecchia, che era fuori dal Regno
Normanno, i Genovesi rifiutarono di proseguire oltre. A Roma in compenso si prodigarono
fino alla resa dei rivoltosi scismatici.
GENOVA TRA LANNO 1100 ED IL 1200: LA CROCIATA IBERICA
Fin dal 1092 le flotte genovese e pisana avevano fornito aiuto militare ad Alfonso VI Re
di Castiglia, e le flotte congiunte contavano 400 navi, per espugnare Valenza tenuta da
"El Cid Campeador". Entrambe le imprese fallirono per il contrasto tra Genovesi
e Pisani alle notizie che giungevano dalle città natali. Nel 1093 i Genovesi da soli,
anche in questoccasione senza successo, agirono in Francia con Re Sancio di Navarra
e dAragona e con il Conte di Barcellona contro Tortosa.
Nel 1113 il Vescovo di S. Giacomo di Compostella (Galizia) assoldò il genovese Ogerio ed
alcune maestranze affinché gli costruissero 2 galee ad Iria Flavia. Armatele poi con 200
uomini vennero usate sulle coste occupate dagli arabi a più riprese. Lo stesso anno il
Conte Berengario di Barcellona chiese aiuto contro le Baleari e, con il patrocinio di Papa
Pasquale II, Pisani e Lucchesi espugnarono Iviza e, nel 1114, Maiorca. I Genovesi, la cui
partecipazione era marginale, abbandonarono la spedizione seguiti poco dopo dai Lucchesi.
Nel 1146 Genova non seguì Re Luigi VII di Francia e Re Corrado di Germania nella II
crociata. I Saraceni del regno di Granata erano ormai padroni delle Baleari (Minorca e
Almeria) e, dal 1137 alleati dei Pisani, esercitarono una forte azione di pirateria ai
danni di Genova. Su pressione di Papa Eugenio i Genovesi inviarono 22 galee, 6 golette,
macchine da guerra e 100 cavalieri, sotto il comando del Console Caffaro e di Oberto Torre
contro le Baleari. A Minorca i Genovesi sbarcarono nel porto di Fornello e lasciati pochi
uomini a guardia delle navi, saccheggiarono lisola per 4 giorni. Ritornati alle
galee furono attaccati da 300 cavalieri saraceni e da molti soldati. Sconfittili
saccheggiarono la città dellisola, Polenza. Lasciata Minorca diressero ad Almeria.
A Porto Mahon predarono le navi lì attraccate e piantarono le loro tende sotto le mura
della città. I Saraceni promisero un tributo di 113.000 marabotini in cambio di una
tregua. Versati i primi 25.000 Mohammed ibn Meimûm, Re dAlmeria, riuscì a fuggire.
Lassedio riprese ma con larrivo dellinverno i Genovesi sospesero
lattacco. Alfonso VII, Re di Castiglia e Leone, e Raimondo Berengario III, Conte di
Barcellona e Principe di Aragona, si accordarono con lambasciatore genovese Filippo
Lamberto Guezo promettendo 1/3 delle terre che sarebbero state conquistate e garantendo
linvio di un forte esercito per la ripresa delle ostilità: uno contro Almeria e
laltro contro Tortosa. Lanno successivo, pacificate le discordie interne che
erano sorte ad inizio anno e puniti severamente tutti coloro che per evitare
limpresa militare si assentavano dalla città, 63 galee e 163 navi, guidate dai
Consoli Oberto Torre, Filippo di Piazzalunga, Baldovino, Ansaldo Doria, Ingo ed Ansaldo
Pizzo, diressero in giugno verso Porto Mahon. Da lì il Console Baldovino mosse con 15
galee verso Almeria e bloccò il porto. Quando tutta la flotta fu radunata i Genovesi si
portarono a Capo Gatta dove attesero per un mese larrivo di Re Alfonso. Giunse
Raimondo Berengario III con alcuni bastimenti, soldati e 53 cavalieri. Dal 21 agosto
Baldovino mosse contro la moschea fingendo di voler attaccare per attirare i Saraceni
fuori città mentre il Conte di Barcellona muoveva da terra. 40.000 Saraceni inseguirono i
Genovesi. I soldati del Conte e 25 galee bloccarono i Saraceni mentre giungeva il resto
della flotta da Capo Gatta. Guglielmo Pelle (poi Console del Comune nel 1149) mostrò in
questoccasione tutta la sua combattività tanto che roteando sopra la testa la sua
spada "ultra centum interfecit". Il libeccio arrestò il combattimento; 5.000
mussulmani erano caduti sul campo e le galee ripiegarono a porto Lena. Nonostante tre
incursioni saracene per tentare di incendiare le navi, i cristiani terminarono di
costruire le macchine da guerra; giunse Re Alfonso con 400 cavalieri e 1000 fanti e i
Genovesi si avvicinarono alla città. Poiché riuscirono ad aprire una breccia nel muro di
protezione della città i Mussulmani cercarono di negoziare con Re Alfonso il suo
abbandono del campo di battaglia in cambio di 100.000 Marabotini. Il 17 ottobre, con
lappoggio riluttante dellesercito castigliano, 12.000 militari genovesi
espugnarono la città nel giro di 3 ore, assaltandola nel più completo silenzio. I
Saraceni persero 20.000 uomini e 10.000 furono portate a Genova come schiavi. 30.000
Marabotini furono presi di riscatto dai Saraceni asserragliati nella cittadella e molti
altri nel saccheggio: 60.000 Marabotini furono destinati al Comune per compensare le spese
(8500 lire) e il resto diviso tra gli uomini. Il terzo della città che divenne genovese
fu concessa il 5 novembre 1147 in feudo per 30 anni al genovese Ottone Bonvillano in
cambio dellesenzione dalle imposte e di un canone simbolico per 15 anni e poi la
metà delle rendite fiscali. I Genovesi si fermarono a Barcellona per svernare ma i
Consoli Oberto Torre e Ansaldo Doria portarono i 60.000 Marabotini alle casse del Comune e
con essi estinsero il debito pubblico che era di 17.000 Marabotini e chiesero linvio
di uomini e darmi. Il 29 giugno 1148 i Genovesi, in base agli accordi presi con il
Conte Raimondo, giunsero alla foce dellEbro, presso la città catalana di Tortosa.
Metà dei Genovesi e parte dei cavalieri del Conte si portarono nella pianura adiacente la
città; la rimanente metà nei pressi di Bagnera con Guglielmo IV di Montpelier.
Nonostante la manifesta impazienza dei Genovesi, che costò numerose perdite, si provvide
ad ultimare le macchine da guerra. Fatta breccia nel muro i Genovesi penetrarono con 2
castelli e giunsero con uno fino alla moschea e con laltro fino alla fortezza
(Sveta). A Sveta i Mussulmani si difesero arditamente. Gli assedianti riempirono, per
ordine dei Consoli, lampio fossato di protezione e costruirono un castello mobile,
pur essendo molti in dubbio sullutilità di lunghe opere. Quando il castello fu
pronto venne portato, con 300 militari, sul lato del fossato riempito ma i Saraceni
lanciando massi di 200 libbre lo danneggiarono. I cavalieri del Conte, da lungo tempo
senza paga, se ne andarono. Dopo alcune trattative, i Genovesi concessero 40 giorni di
tregua in attesa di eventuali soccorsi dei mori spagnoli alla città assediata con
laccordo che, se non fossero arrivati, la città si sarebbe arresa. I Saraceni della
cittadella si arresero il 30 dicembre inalberando il vessillo genovese, dopo 6 mesi di
assedio. I Genovesi presero 1/3 della città, come pattuito, ed ottennero dal Conte di
Barcellona, dono per la chiesa di S. Lorenzo, lisola di fronte a Tortosa. La città
non venne saccheggiata per cui i guadagni furono scarsi. Lanno seguente ritornarono
in patria ma già nel 1159 Tortosa (la parte genovese) fu ceduta a Raimondo Berengario,
Conte di Barcellona in cambio di 16640 marabotini che non furono mai versati. Nel 1149, a
causa dei successi riportati in Spagna, il Re di Valenza e di Denia Abu Abd Allah Mohammed
ibn Said Mardanisch (detto anche Lupo o Lopez) stipulò un trattato con
lambasciatore genovese Guglielmo Lusio concedendo un fondaco in ognuna delle due
città, lesenzione dalle imposte e 10.000 marabotini. Era tale la fama dei Genovesi
nel mondo arabo che ormai le loro navi potevano circolare liberamente senza alcun timore
di essere assalite se non per errore.
L'elezione di Papa Innocenzo II e la contrapposta elezione dell'antipapa Anacleto II,
dividono le nazioni cristiane. Il Papa viene appoggiato da Lotario, dagli stati francesi,
da Pisa e da Genova. Proprio il pontefice riesce a riappacificare le due città.
L'antipapa gode dell'aiuto di Corrado, di Milano, degli stati del centro nord italiano e
dei Normanni siciliani. Il Pontefice trasforma Genova in Archidiocesi (1133) sottraendola
a Milano. Alla nuova Archidiocesi fanno capo le Diocesi della Corsica, di Bobbio e di
Voltaggio. Il 20 maggio 1133 un'operazione bellica congiunta Lotario-pisano-genovese
insedia a Roma Innocenzo II come unico Pontefice.
Nel 1139 l'impero concede l'istituzione di una zecca per battere moneta, la prima è il
denaro di rame (Croce + Conradus II Rex ed il Castrum o porta). Seguiranno il grosso
d'argento e poi il genovino d'oro (forse la prima moneta aurea italiana).
Fin dallepoca romana Genova batté la propria moneta (Genuaria) ma poi come regione
romana prima e regno dItalia poi, a Genova circolò la moneta ufficiale fino al XII
secolo quando con lattestarsi ufficiale della sua autonomia abbiamo un opera di
coniatura prima con Denari Pavesi, su modello della moneta ufficiale del regno.Nel 1102
Visto che il precedente conio, il Denaro Pavese, era terminato e dato il frequente uso del
Denaro Brunetto nei mercati del Mediterraneo, si decise il conio di una tale moneta. La
zecca, che si trovava presso la metropolitana di S. Lorenzo, terminò i Bruni
nellottobre 1115 e coniò una moneta più piccola, i Brunetti.In questo periodo,
vista anche la scarsa circolazione monetaria e le sue condizioni di porto commerciale,
erano in uso anche: Solidi (bizantini), Ipèrperi (levantini), Massamutini (arabi),
Bisanti (arabi), Tareni (arabi), Marabotini o Marabizi (spagnole di Maravedis), Denari
Pavesi (moneta del Regno dItalia), Melgaresi (Linguadoca).Nel 1138 una delegazione
genovese si recò a Norimberga per chiedere allImperatore Corrado III (eletto nel
1138 Corrado II Rex Romanorum) il diritto di imprimere sulle nuove emissioni il suo nome,
al fine di dare maggiore spendibilità alle loro monete sui mercati stranieri. Il diploma
dautorizzazione fu consegnato a Genova dal cancelliere del Re e nel 1139, terminati
i Brunetti, partì la coniazione del Denaro, coniato su modello meloglese per facilitarne
la penetrazione in Provenza.
Tale struttura di base rimase invariata per quattro secoli. Sul dritto dal 1252 la scritta
fu "Civitas Ianua" e poi a fine XIII secolo "Ianua quam deus protegat"
spesso abbreviata.Con contrassegni minimi (modifiche dinterpunzione, sulla forma
della D e della R, delle figure e della grafia) su queste monete, coniate per più di un
secolo, i tre Magistrati delle Monete esercitavano il controllo sulle varie partite (più
di 400) garantendo così una corretta esecuzione del lavoro.Nel 1141 il Comune cedette ad
un consorzio privato la zecca per quattordici mesi.Nonostante lo stretto controllo che il
Comune esercitava sulla circolazione delle monete, tanto che nel 1145 "alteram
monetam non permittumus currere", alcune famiglie nobiliari (Doria, Spinola,
Centurione) ebbero per diverso tempo il diritto di battere monete e avevano le loro zecche
Nelle colonie, che spesso avevano una zecca propria, dopo il 1287 coniarono gli Aspri (con
la scritta "Caffa" e lo stemma dellImperatore tartaro con il nome in
lettere arabe) e i Sommi (non monete ma verghe dargento di un determinato peso e
titolo).
La Riconquista vede Genova protagonista di numerosi episodi bellici non disinteressati.
Genova si avvicina diplomaticamente agli stati iberici tranne al Regno di Aragona.
Nonostante la naturale intesa con gli stati cristiani, il commercio con le nazioni
musulmane è fiorente ed indispensabile. Su tutta la costa occidentale del Mediterraneo
nascono numerose le colonie genovesi sia sulla riva spagnola e cristiana, sia sulla riva
meridionale e musulmana.
Gli interventi bellici genovesi vengono sostenuti principalmente dai genovesi stessi in
prima persona. Caffaro con una ventina di galee saccheggia Minorca per poi cingere
d'assedio Almeria fino al pagamento di un cospicuo "riscatto". Nel 1147 Almeria
è nuovamente attaccata quindi occupata e saccheggiata. Lo stesso contingente, costituito
da centinaia tra navi e galee, occupa Tortosa. Il saccheggio viene impedito dal Conte di
Barcellona.
Tutta la costa spagnola da Valencia a Gibilterra vede nascere numerose "colonie"
genovesi.
Genova diventa il crocevia del commercio del nord Europa con i paesi mediterranei. Dal
porto le spezie (termine molto generico) iniziano il lungo viaggio che le porta nelle più
importanti fiere del nord europeo. Questo cammino crea un legame tra Genova ed Asti che
costituisce la 1a tappa verso l'Europa. Gli astigiani costituiranno una presenza fissa a
Genova come gestori di banchi di prestito su pegno (casane).
Nel 1155 (?) Genova si affianca ai pisani ed ai venziani presenti a Costantinopoli con un
suo quartiere con approdo.
Questo periodo di espansione e protagonismo politico non è privo di crisi. La crescente
ricchezza delle famiglie genovesi non ha un altrettanto fortunato riscontro nelle casse
dello stato. Si ricorre alla concessione della riscossione del dazio su varie merci in
cambio di cospicue somme di denaro per lo stato. Potrebbe definirsi come una
privatizzazione del fisco. Forse questa è una delle prime compere che porteranno alla
nascita del Banco di S. Giorgio. La compera costituisce una sorta di titolo di credito
frazionabile utilizzabile come bene di scambio e garantito con la cessione di imposte, di
privilegi coloniali e beni immobili.
GENOVA ED IL BARBAROSSA
L'importanza di Genova non passa inosservata a Federico Barbarossa che mira a realizzare
una coalizione assieme a Genova e Pisa con l'intento di affronare i comuni italiani, il
Papa e conquistare la Sicilia. La conseguenza della richiesta imperiale divide
l'oligarchia genovese.
Le famiglie genovesi hanno cospicui interessi in Sicilia ma si contrappongono con due
ipotesi politiche opposte. La prima prevede una crescita degli interessi economici
genovesi in una Sicilia imperiale grazie ai privilegi promessi dal Barbarossa. La seconda
pensa che la situazione non possa migliorare oltre grazie ai buoni rapporti con i
Normanni. La linea politica adottata è la trattativa infinita per non essere costretti a
schierarsi apertamente.
Federico I Hoenstaufen, detto "il Barbarossa" divenne Imperatore e quindi re
d'Italia nel 1152 alla morte dello zio Corrado II, che allora era il regnante. Dopo avere
risolto alcuni problemi in Austria, il Barbarossa scese in Italia, dal Brennero, il 2
ottobre 1154.
Federico I "Re dei Romani", e quindi destinato al trono imperiale, giunse a
Roncaglia (Piacenza) nellottobre 1154 e chiamò i rappresentanti dogni città
e tutti i feudatari a rendergli omaggio di sudditanza. Con la dieta dei vassalli del regno
rivendicò tutti i diritti imperiali ed impose a tutti i feudatari e comuni il giuramento
di fedeltà allimpero e i tributi imperiali.
Appena giunto convocò un parlamento a Roncaglia per avvisare tutti i Comuni italiani che
non accettava insubordinazioni e per riprendere possesso del potere Imperiale, trascurato
dallo zio Corrado. Anche i genovesi mandarono dei loro delegati al Consiglio e rispetto ad
altre delegazioni furono accolti con simpatia dall'Imperatore, che, addirittura, fu
prodigo di buone parole per la partecipazione di Genova alle Crociate, dove, come
sappiamo, avevano portato viveri e volontari. Sembra che, in un colloquio segreto, il
Barbarossa promise ai genovesi il monopolio del commercio siciliano, in cambio dell'aiuto
della flotta per conquistare l'isola, poiché Guglielmo, il Re normanno, rifiutava di
sottomettersi! Tornati a Genova, gli ambasciatori riferirono ciò ai Consoli, i quali
accettarono con entusiasmo la proposta del Barbarossa, considerando anche i guai che
sarebbero sorti, se questa proposta fosse stata fatta ai pisani! Sarebbe stata la fine di
Genova!
Subito dopo distrusse Asti e Chieti (che non avevano giurato fedeltà); assediò per 9
settimane Tortona e la distrusse a metà di aprile 1155 piegando le riottose città
lombarde al suo volere. Il 24 aprile fu incoronato a Pavia Re dItalia.
Considerando la condotta del Barbarossa nei confronti delle altre città, nonostante le
assicurazioni ricevute lanno precedente, i Consoli del 1155 riscattarono tutte le
rendite del Comune che erano impegnate, ricostituirono la flotta e cintarono nel giro di
55 giorni la città da Porta Nuova di S. Fede a Porta di S. Andrea utilizzando anche parti
delle navi per rendere lopera più sicura.
Ma cosa c'era in Sicilia di così prezioso? C'erano le saline e per i pisani il traffico
del sale dava un introito di circa il venti per cento alle casse della città toscana. Per
questo motivo Amalfi era stata distrutta dai pisani! L'isola aveva quattro miniere d'oro,
rappresentate dalle saline di Augusta, Siracusa Marsala e Trapani. A quel tempo il sale
valeva quanto l'oro.
Per chiudere il discorso sulle saline, nel 1194 i genovesi cacciarono i pisani dalla
Sicilia, ottenendo il monopolio da Enrico VI, Imperatore dei romani, finchè nel 1251
arrivarono i francesi.
Tornando alla dieta di Roncaglia, tutti i Comuni furono aboliti e sostituiti da un
Podestà di nomina Imperiale, escludendo Genova e Pisa, per le precedenti autonomie
concesse dai sovrani tedeschi. Per dare un esempio alle città più grandi,il Barbarossa
assediò e rase al suolo per rappresaglia Tortona!
Nel frattempo, a Genova accade un fatto strano. Il 5 ottobre 1155, arrivò una nave da
Bisanzio con a bordo Demetrio Metropolites, ambasciatore dell'Imperatore di Costantinopoli
Emanuele Comneno, per riprendere le relazioni diplomatiche dopo 57 anni, interrotte dopo
la rottura del patto di Costantinopoli, avvenuta nel giugno 1098. Questa visita ebbe una
ripercussione gravissima sulle relazioni future dei genovesi, fino allora sempre uniti
nelle decisioni sulla politica estera. A causa delle proposte che farà il Metropolita
greco - ortodosso, la Compagna e la città si divideranno in due fazioni contrapposte, con
odio tremendo e tafferugli persino in Parlamento!
Perchè accade questo? Il nuovo Imperatore Emanuele Comneno, per ripristinare le relazioni
amichevoli, faceva grosse concessioni per i genovesi.
Genova ottenne, dallImperatore dOriente Emanuele Porfirogenito Comneno un
approdo ed un quartiere a Costantinopoli: lembolo di S. Croce, un dono annuo per il
Comune e lArcivescovo nonché la riduzione del dazio dal 10% al 4%. In cambio
simpegnarono a non partecipare ad imprese ostili allimpero dOriente. Era
una proposta più che allettante, entusiasmante! Si aprivano per la città enormi sbocchi
commerciali con l'Impero bizantino, senza neanche bisogno di fare guerre!
Nel 1156, nonostante gli accordi che avevano con il Barbarossa, Guglielmo Vento e Ansaldo
Doria stipularono un accordo con Guglielmo I, Re di Sicilia, ottenendo lesenzione
dai dazi e lesclusione dei mercanti francesi e provenzali dallisola, scalo
obbligatorio verso la Terrasanta. Al loro ritorno a Genova, come da accordi,
limpegno fu giurato da 300 cittadini.Nel 1157 si proseguì la costruzione delle mura
iniziate nel 1155 e lo stesso anno vennero inviati come ambasciatori: Guido da Lodi alla
Curia Romana, Gionata Crispino in Sicilia e poi in Oriente, Amico Di Murta a
Costantinopoli.
Però c'era un guaio grosso! La città faceva parte dell'Impero Romano. I Consoli avevano
giurato fedeltà all'Impero. Il Barbarossa non avrebbe di certo gradito il tradimento!
Federico Barbarossa nel giugno 1158 espugnò Milano appoggiato da Como, Cremona, Lodi e
Pavia.In ottobre a Roncaglia (II dieta) rivendicò a se, con la "Constitutio de
Regalibus", i diritti imperiali secondo lo ius romanorum: amministrare giustizia,
coniare monete, riscuotere tasse, investire gli amministratori politici.Solo alcune
città, se avevano ricevuto in passato dallImpero lapposita immunità,
potevano riservare a se tali diritti. Genova li rivendicò legalmente ma al contempo,
pronta a difenderli militarmente, terminò in 8 giorni le sue mura, proseguì nel
fortificare le cittadine dellentroterra e costruì in 3 giorni le torri sulle mura
rafforzandoli con gli alberi delle navi.Federico Barbarossa sciolse le leghe comunali e
inviò podestà imperiali nelle città. I Genovesi chiamarono alle armi la popolazione ed
allertarono i castelli sugli Appennini tanto che solo per le vettovaglie spesero 100
marchi dargento al giorno.LImperatore preso atto delle richieste di Genova
rinviò la decisione a quando si sarebbe trovato al castello di Bosco (presso Tortona).
Crema e Milano cacciarono i podestà imperiali ma, nel 1160 luna e nel 1162
laltra, furono rase al suolo.l Barbarossa, che era giunto al castello di Bosco con
tutto il suo esercito, incontrò il Console Ido Gontardo. Accordò la protezione imperiale
fino al 24 giugno.
Successivamente Federico Barbarossa pone gravose richieste quali: sottomissione, ostaggi e
tributi. Genova rifiuta le imposizioni e inizia la fortificazione della città con le note
mura del Barbarossa. Scampato l'assedio chiude lo scontro diplomatico pagando una notevole
somma di denaro guadagnando però il tempo necessario a terminare le mura.
Tornato a Genova accompagnato dal Cancelliere imperiale Rainaldo, Conte di Biandrate, 40
cittadini fecero giuramento di fedeltà, pur senza lobbligo dei tributi, e
consegnarono un dono di 1.200 marchi dargento e la promessa di impegnare la flotta
nella futura conquista del regno di Sicilia.
LImperatore inviò messi per tutto il Comitato. Alcuni giunsero fino a Ventimiglia
dove fomentarono la rivolta: il castello genovese di guardia venne raso al suolo. I
Genovesi inviarono legati allImperatore affinché li reintegrasse nei loro
domini.Nel 1159 in 53 giorni furono terminate le mura cittadine e lo stesso anno, il 7
febbraio, Crema fu distrutta.Eletto Papa Alessandro III, il Barbarossa appoggiò
lantipapa Vittore IV. Genova, come altre città, non lo riconobbe e, nel 1161,
ospitò Alessandro III, che aveva scomunicato lImperatore. Nel marzo 1162 lo scortò
in Francia, con 25 galee, al fianco delle navi normanne.Nel 1160 i Consoli saldarono le
900 lire di debiti del precedente anno, crearono torri sulle mura, disimpegnarono il
castello di Voltaggio e cinsero di mura Portovenere. Inviarono legati a Costantinopoli (il
Console Enrico Guercio) e presso il Re spagnolo Abu Abd Allah Mohammed ibn Said Mardanisch
(Oberto Spinola). Tra il 1160 ed il 1161 si tentò di eliminare le tensioni civili e si
fece giurare la pace tra le fazioni cittadine rivali e, a chi non la rispettava, furono
distrutte le abitazioni e confiscato il denaro. Nel 1161 vennero restaurati i castelli di
Voltaggio, Flacone, Parodi, Rivarolo e Portovenere.A marzo del 1162 Papa Alessandro III
lasciò Genova; lo stesso anno Milano, dopo un assedio durato tre anni, cadde. Il 6 aprile
Federico Barbarossa accordò a Pisa enormi compensi futuri: completa esenzione dalle
imposte nel regno, la città di Trapani, di Mazzara, metà delle città di Napoli,
Salerno, Palermo e Messina nonché laiuto ad espugnare Portovenere in cambio della
promessa di aiuto contro il regno Normanno di Sicilia.I Consoli genovesi Guglielmo Boirone
e Grimaldo e sette cittadini illustri giunsero a Pavia per confermare fedeltà
allimpero e la disponibilità alla prossima impresa di Sicilia, in modo da evitare
che possibili benefici finissero solo in mano pisana. Barbarossa chiese entro 8 giorni una
nuova missione diplomatica per trattare i particolari della missione e del suo compenso.I
Consoli Ingo della Volta e Nuvolone, accompagnati da 5 illustri cittadini trattarono per
più giorni con Rainaldo, Arcivescovo di Colonia e Arcicancelliere del regno
dItalia, ed il 9 giugno venne firmato a Pavia laccordo che concesse benefici
in Sicilia e confermò in perpetuo, in cambio dellaiuto nellimpresa siciliana,
tutte le regalie rivendicate dal Comune.
Nel 1162 l'imperatore riconosce: La facoltà eleggere i Consoli e di amministrare la
giustizia senza la riserva della conferma imperiale; La sovranità da Portovenere a
Monaco; I diritti sui territori doltremare; Il diritto dusare propri pesi e
misure; Il feudo di Siracusa, 250 giornate arative in Val di Noto, una colonia (chiesa,
bagno e fondaco) in ogni città del regno di Sicilia nonché lesenzione fiscale ed
il monopolio commerciale.
In pratica limpero riconobbe alla Repubblica piena autonomia politica ed economica
ed il tutto solamente per via diplomatica.
Molti tra i componenti della "Compagna", pensavano che fosse un buon affare
mettersi in società con Emanuele Comneno, ma sapevano che era molto rischioso mettersi
contro il Barbarossa. Il metropolita, però, aveva pensato a tutto, anticipando una forte
somma di denaro ai genovesi perchè costruissero delle mura per difendersi
dall'inevitabile rappresaglia dell'Imperatore.
All'inizio del 1156, cominciarono i lavori di costruzione delle mura, partendo dalla Porta
Sottana, l'attuale Porta di Vacca.
I genovesi spronati dall'Arcivescovo Siro, terminarono le mura in poco meno di due mesi.
Ma queste trame giunsero all'orecchio dell'Imperatore che convocò i consoli genovesi nel
castello di Bosco Marengo, per ricordargli l'antica alleanza e, soprattutto,
l'indipendenza che Genova aveva mantenuto in tutti quegli anni grazie alle donazioni dei
suoi predecessori. Ma Federico, oltre ad essere un grande regnante, era anche un abile
affarista e sapeva che i genovesi gli sarebbero stati utili anche a scopi commerciali,
soprattutto per quanto riguardava il mercato più importante di allora, quello del sale.
La proposta che fece fu un colpo per i consoli genovesi, che subito annusarono il grosso
"business". Infatti, ad un tratto del convivio, l'Imperatore chiese: "Ve la
sentireste di portare il sale a Lubecca, senza dover passare dai varchi
appenninici?".
L'affare andò immediatamente in porto. I genovesi con le loro navi mercantili
cominciarono a portare il sale di Aigues-Mortes a Lubecca, con viaggi che duravano ben
quattro mesi.
I pisani, saputo del clamoroso accordo, cominciarono a tramare contro Genova, proponendo
all'Imperatore di distruggere la città ligure, colpevole a loro dire, di essere una
città propensa al tradimento, che aveva fatto costruire mura con i soldi dei bizantini.
Inoltre, Pisa, vista l'indecisone dei consoli genovesi era riuscita a conquistare la
Sicilia per Federico, ottenendo la stessa indipendenza e gli stessi vantaggi di Genova.
Ma Federico, invece di distruggere la città, chiamò i consoli genovesi avvisandoli del
comportamento dei pisani. La tiepida tregua tra le due città di mare, da quel momento,
terminò.
Il Barbarossa tornò ancora in Italia, nel 1166 per appoggiare il nuovo antipapa, Pasquale
III, succeduto a Vittore IV. Alessandro III fuggì nuovamente ma nel 1167, per un epidemia
di peste, il Barbarossa dovette rientrare in Germania senza portare a termine la conquista
del regno Normanno.
E nuovamente nel 1174 per fronteggiare la lega lombarda.
La Lega Lombarda nacque nel 1167 a Pontida; lanno seguente chiese ladesione di
Genova, che non poté essere accordata per le difficoltà in cui la città versava. Ma su
richiesta dei Consoli di Alessandria, per contribuire alledificazione di tale nuova
piazzaforte, Genova versò 1.000 soldi subito ed altrettanti lanno seguente.Nel 1174
Barbarossa entrò con un forte esercito in Italia ed assediò Alessandria per 6 mesi.
Genova era impegnata con Pisa e rimase neutrale.
Lanno seguente gli eserciti delle città Lombarde e della Marca (tra cui anche il
Marchese Malaspina per anni ribelle al Comune) si raccolsero a Montebello.
Il 16 aprile fecero una tregua con limpero.Il 29 maggio 1176 lImperatore venne
sconfitto nella piana di Legnano e nel maggio 1177 firmò la pace a Venezia.
A gennaio dellanno seguente passò per Genova con la moglie Beatrice ed il figlio
Enrico trattenendosi soltanto pochi giorni. portando con sé un dono per la città di
Genova, che consisteva in uno scrigno d'argento di enorme valore: la celebre "Arca
del Barbarossa". Il marito, Federico, giunse solo il giorno dopo ed entrambi si
recarono in San Lorenzo per rendere omaggio alle ceneri di San Giovanni Battista. La
città festeggiò l'evento, ma il culmine delle feste doveva ancora arrivare.
Il 5 Febbraio, l'intera Genova era assiepata in vicinanza di Porta Soprana stava arrivando
il futuro Imperatore, un giovinetto biondo di soli tredici anni: Enrico VI.
Questa visita del Barbarossa doveva avere un particolare significato per i genovesi,
soprattutto per il fatto che veniva accompagnato dal figlio, come a dire: "Non
preoccupatevi, alla mia morte i vostri privilegi continueranno e sarete sempre visti con
occhio di riguardo anche dai futuri Imperatori."
Nel 1183, con il trattato di Costanza, riconobbe i privilegi tradizionali dei Comuni, pur
mantenendo il diritto di confermare ed investire i magistrati eletti dai Comuni.Il 27
febbraio 1187 il figlio, Enrico VI di Svevia, fu incoronato Re dItalia e, al fine di
realizzare lunificazione dellImpero, sposò Costanza, unica erede del regno
Normanno di Sicilia.
Alla morte di Federico, avvenuta nell'Agosto del 1190, gli successe sul trono il giovane
Enrico, che si dimostrò, almeno per i genovesi, un ottimo Imperatore.
Prima di parlare del nuovo sovrano, facciamo una piccola parentesi curiosa sulla morte di
Federico I di Svevia. Quando era giovanissimo, una maga gli aveva predetto che sarebbe
morto per annegamento e, allora, il Barbarossa si era sempre rifiutato di salire su
qualsiasi imbarcazione. Anche in occasione della III Crociata, aveva compiuto il viaggio
via terra seguito dal suo esercito. Sfortuna volle che, guadando il fiume Salef in
Anatolia, cadesse dal cavallo, morendo annegato anche a causa della pesante armatura che
indossava.
Appena arrivato al potere il venticinquenne Enrico VI, riprese il rapporto privilegiato
con i genovesi, preparando l'invasione del Regno normanno di Sicilia con l'aiuto della
flotta con il vessillo di San Giorgio. Nel 1194, proprio mentre la moglie Costanza dava
alla luce il primogenito Federico II, Enrico VI giungeva a Genova accompagnato da tutti i
dignitari della sua corte.
Il popolo genovese accorse ancora una volta festoso a Porta Soprana, felice soprattutto di
vedere la forza imponente dell'Impero al suo fianco contro gli odiati pisani, che si erano
schierati a difesa della Sicilia.
Il 1° Agosto la flotta partì costeggiando tutto il versante tirrenico, facendo
attenzione ai possibili attacchi delle galee pisane. Questo non avvenne e la flotta
imperiale, tre settimane dopo la partenza, raggiunge il porto di Napoli, dove le truppe
conquistarono il Principato di Capua. Nel mese di Settembre le navi genovesi arrivarono
nelle acque antistanti Messina dove si trovava la flotta pisana pronta ad accoglierle, non
proprio in modo amichevole. La battaglia fu cruenta ed indecisa fino all'ultimo istante,
ma alla fine la flotta genovese, comandata dall'ammiraglio Spinola ebbe la meglio.
Poi, nel corso dei mesi seguenti i genovesi continuarono la conquista dell'isola,
cominciando da Catania, Siracusa, Marsala, Trapani, per giungere fino a Palermo, dove il
giorno di Natale del 1194, Enrico VI fu incoronato Re di Sicilia nel Duomo della città.
Ma non per tutti gli storici Enrico VI fu un buon Imperatore per i genovesi, anzi fu un
approfittatore beneficiando della forza navale della città di Genova per poi non
concedergli nulla. Ecco cosa si legge negli annali di Ottobono Scriba: «Fingendo di
donare pressochè tutto quel regno ai Genovesi, a tutti facea lusinghe, e dalla città,
dalle castella e dai casali porgeva agli uomini di Genova larghe le mani e piene di vento;
e dei predetti e di altri innuneri favori fece far vani privilegi e inefficaci, e del suo
sigillo li fè bollare».
Per altri, e noi seguiamo questa traccia, Genova ebbe solo dei benefici dalla conquista
della Sicilia da parte di Enrico VI, perchè fu un buon viatico per il predominio del
Tirreno e il completo abbattimento di Pisa, intesa come Repubblica Marinara, che doveva
avvenire qualche anno dopo.
Quindi, anche se involontariamente, Enrico VI servì anche allo sviluppo urbanistico di
Genova che cominciava ad allargarsi, per motivi logistici, sia a levante che a ponente.
Enrico morì prematuramente il 30 Settembre 1197 e anche la moglie Costanza, distrutta dal
dolore, si ammalò gravemente, tanto da morire pochi mesi dopo il marito. La donna però
si era premunita, affidando le cure del loro piccolo figliolo di quattro anni al Papa,
Innocenzo III.
Questo bimbetto, sarà uno dei personaggi più celebri del Medio Evo: Federico II di
Svevia.
Sembra che il futuro Imperatore sia stato cresciuto ed educato a Palermo in casa del
Reggente della Corona, l'ammiraglio genovese Nicola Spinola e dalla moglie Beatrice.
Insieme al greco, al latino, al tedesco e al francese, il giovanissimo Federico imparò
anche il dialetto genovese.
Dopo il matrimonio, imposto dal Papa a soli quattordici anni, Federico arrivò per la
prima volta a Genova nel 1208, accolto, come già era accaduto a suo padre, da grandi
festeggiamenti.
Ma, a differenza del suo predecessore, il giovane Imperatore non si mostrò per i genovesi
un buon sovrano. Infatti quando assunse il papato Sinibaldo Fiesco, con il nome di
Innocenzo IV, che con la completa epurazione dei ghibellini dalle alte cariche comunali di
Genova, la città divenne guelfa e quindi avversa alla politica imperiale. Federico,
giunto ormai alla terza scomunica, si alleò allora con Pisa e Savona organizzando la
conquista del capoluogo ligure. Ma purtroppo per i valorosi arcieri genovesi, accorsi in
difesa di Milano, ci sarà una punizione tremenda. Imprigionati dai soldati imperiali,
furono portati sulla piazza principale di Milano dove un aguzzino tagliò loro la mano
destra e accecò l'occhio destro, perchè erano considerati traditori dell'Impero.
Federico morì nel 1250 e per Genova fu un sollievo. Ma la città non era più quella di
prima, la lotta tra guelfi e ghibellini era divenuta acerrima e questo era un grave danno
per la prosperità dei genovesi.
Sempre nel 1162 scoppia un nuovo conflitto tra Genova e Pisa a causa dell'aggressione dei
genovesi di Costantinopoli.
Nel giugno 1162 a Costantinopoli circa un migliaio di Pisani aggredirono i 300 mercanti
genovesi e ne saccheggiarono i fondachi. Lassalto, a causa dellaccordo appena
stipulato con lImpero per limpresa di Sicilia, fu promossa dalla diplomazia
normanna che, inimicando le due città, rese impossibile la conquista vagheggiata dal
Barbarossa.Il 19 giugno la Repubblica dichiarò guerra e armò 12 galee che abbatterono la
torre del Magnale (Portopisano), catturarono 3 navi per poi ritirarsi a Portovenere: se i
Pisani fossero usciti dallArno, con le navi ancorate a Genova, li avrebbero presi da
due lati.Nel frattempo altre 4 galee, su cui era imbarcato anche il Console Ottone Rufo
(che perse il figlio a Costantinopoli), predarono le navi pisane tra la Corsica e la
Sardegna facendo prigioniero il Console pisano Bonacorso.
Le due città si stavano preparando allo scontro quando lArcicancelliere imperiale
Rainaldo, di passaggio a Pisa, invitò Genova (per mezzo del cappellano Siccardo) a
restituire i prigionieri, e le due città a sospendere le ostilità.Proseguirono comunque
le schermaglie: i Pisani fecero uscire 36 galee come scorta alle loro navi ma al largo
della Sardegna queste diressero a Pianosa dove catturarono 2 navi genovesi e la flotta
genovese, di stanza a Portovenere, riuscì a raggiungerle prima che rientrassero in Arno
preferendo, giunta la sera, radere al suolo lisola di Pianosa come rappresaglia e
dedicarsi al saccheggio dei mercantili pisani al largo delle coste corse e sarde prima di
rientrare a Portovenere.Rainaldo, di passaggio a Genova, impose una nuova tregua ed
invitò le due città a mandare 8 ambasciatori ciascuna alla corte di Torino dove
lImperatore costrinse i legati prima, 200 Pisani e 200 Genovesi poi, a giurare la
pace fino al suo ritorno dalla Germania.
Lanno successivo il Comune acquistò e spianò lintero tratto tra la chiesa
del S. Sepolcro ed il fossato di Bucceboi e vi aprì numerosi scali navali terminando il
consolato (febbraio 1163) in attivo di 7.800 lire e mezza. A settembre, dopo aver ottenuto
la suffraganea di Albenga, lArcivescovo Siro II morì e gli succedette
lArcidiacono di S. Lorenzo Ugo Della Volta.I Consoli Baldizone Usodimare e Corso di
Sigismundo si recarono da Federico Barbarossa a Fano nel 1164 per sapere se armare la
flotta per limpresa di Sicilia giacché stavano per scadere i termini del loro
accordo. Scesero assieme verso Parma (dovera la corte) ma la sua risposta venne
rinviata a quando, prima di pasqua, si sarebbe trovato a Sarzana (presso Portovenere).
Tra il 1160 ed il 1161 si tentò di eliminare le tensioni civili facendo giurare la pace
tra le fazioni cittadine rivali e, a chi non la rispettava, furono distrutte le abitazioni
e confiscato il denaro. Nel 1162, anno privo di tensioni, giurarono la pace le famiglie
Piccamigli ed Usodimare.
Già dallanno successivo, per arginare le risorte e dilaganti lotte intestine, i
Consoli fecero gettare in mare numerosi "ribaldi, con piedi e mani legati e gran peso
di pietre al collo".
Gli Avvocato e i Castello (i Della Volta erano per lo più commercianti) erano di
frequente eletti a cariche politiche e spesso tali cariche appagarono ambizioni
economiche. Da metà secolo il Comune chiedeva senza più remore prestiti redimibili a
privati appaltando la zecca, le imposte, le colonie doltremare e i castelli
dellentroterra. Spesso gli appalti finirono a parenti se non agli stessi Consoli in
carica.
Quando nellestate 1164 il Giudice di Oristano e i messi imperiali stavano per
sbarcare a Genova dalla Sardegna, scoppiò un tumulto tale tra le fazioni di Fulco di
Castello (spalleggiata dai Della Volta) e di Rolando Avvocato che vi furono numerosi morti
e feriti, tra cui lo stesso figlio di Rolando. A settembre il Console Marchione Della
Volta venne assassinato nella sua casa di campagna.
Al termine del consolato tanto era accesa la lotta che la chiamata a parlamento per
lelezione fu ritenuta un rischio e il successivo consolato (1165) venne eletto
dallArcivescovo. Nelle campagne imperversarono, cogliendo loccasione, gli
uomini del Marchese di Malaspina e gli uomini di Meledo. Cicagna chiese ed ottenne dal
Comune la costruzione di un castello (Monteleone) per proteggersi dai Malaspina.
Nel 1165 i Consoli fecero giurare una tregua in S. Lorenzo tra tutte le fazioni e per
sicurezza sequestrarono case e torri che, in centro città, appartenevano a Ingo Della
Volta e Amico di Castello.
Nel 1166 era normale girare armati in città; molti nobili uomini erano caduti e la guerra
civile scoppiò apertamente per quanto entrambe le fazioni avessero giurato una tregua.
Ne approfittò il Marchese Guglielmo di Monferrato che, nonostante il suo giuramento,
assediò il castello di Parodi e lo espugnò prima che arrivasse da Genova la colonna di
soccorso. Per aver consegnato il castello il 15 novembre 1166 furono condannati al bando
ed alla confisca dei beni il Visconte Roderico, Guglielmo Gimbi di Carmandino e Guglielmo
Monticelli.
I Conti di Lavagna giurarono la Compagna il 23 novembre. Il 13 febbraio 1167
lArcicancelliere Rinaldo bandì i Marchesi di Parodi e a quelli di Gavi per non aver
restituito il castello di Parodi ed intimò ai Pavesi, ai Marchesi del Vasto, di Ponzone,
del Bosco e Malaspina di aiutare i Genovesi.
Il 3 ottobre 1168 il Marchese Opizzo Malaspina e il figlio Moroello giurarono fedeltà a
Genova, si impegnarono a fornire in caso di guerra 15 cavalieri e 100 arcieri ed ottennero
300 lire e 25 lire annuali per chiudere le controversie del castello di Monteleone.
Il 10 maggio 1171 Guglielmo e Ranieri di Parodi restituirono il castello, giurarono
fedeltà assieme a 20 loro vassalli, si impegnarono a fornire 10 cavalieri in caso di
guerra e furono quindi investiti feudatari del castello.
Nel 1168 le varie fazioni giurarono una tregua ma, pochi giorni dopo, Cendato e Ingo
Bertolio, si scontrarono. Vi furono con morti e feriti ed entrambi, uno subito e
laltro entro lanno, morirono a causa di quel combattimento. A fine consolato
vi fu un altro scontro, con numerosi partecipanti, in cui fu mortalmente ferito Jacobo,
figlio di Ingo Della Volta.
La guerra Civile durava ormai ininterrottamente da 6 anni per cui i nuovi Consoli (1169)
arruolarono 200 mercenari e fecero giurare tutta la città, nobili e plebei, che sarebbero
rimasti in pace ed avrebbero rimesso ai Consoli le loro liti.
I Consoli decretarono di risolvere le liti con 6 duelli tra i maggiori cittadini che
avevano portato a questo stato di fatto. I duelli si sarebbero svolti nel cortile
dellArcivescovado dove i Consoli amministravano la giustizia. Nel mezzo di una notte
chiamarono a parlamento la città e lì, a sorpresa, lArcivescovo e il clero in
parata solenne indussero i capi delle rivolte (Rolando Avvocato e il cognato di Ingo Della
Volta, Fulco di Castello) a giurare la pace.
Oramai a causa dellinsofferenza degli abitanti e dei signori locali era divenuto un
rischio salire in campagna per la vendemmia: i Consoli mossero due colonne verso Lavagna e
Polcevera e ripristinarono lordine imprigionando, multando o tagliando "a chi i
piedi a chi le mani".
Con il Consolato del 1170 la Guerra Civile sembrò definitivamente sopita anche se i
"cuori degli avversari apparivano tenebrosi". Furono eletti 4 uomini che
definirono le liti tra dei Castello e Avvocati.
Lo stesso febbraio (6 giorni dopo lelezione dei Consoli) i Conti di Lavagna (Alberto
Penello e i figli di Girardo Sforza) espugnarono di notte il castello di Frascario dato in
feudo ai Da Passano. Fu chiesta la restituzione del castello.
I Consoli Ottone Fornaro e Bonvassallo Usodimare, mentre a Genova si armavano fanti e
cavalieri, portarono ai Conti un ultimatum che fu accettato. I Conti Gerardo Sforza, il
figlio Musso ed Enrico Bianco vennero a Genova nellaprile 1171 dove giurarono di
rispettare le convenzioni del 1166.
I Da Passano per vendicarsi della perdita del castello di Frascario, ora in mano ai
Consoli, espugnarono ai Conti di Lavagna il castello di Zerli e appena questi li
assediarono si rimisero al Comune che, dopo lunga causa, lo restituì ai Signori di
Lavagna.
I Signori Da Passano restituirono i feudi concessigli dalla Repubblica (castelli di
Frascario e Frascarino) il 4 agosto 1171: tali castelli non saranno più infeudati per
mantenere una migliore difesa verso Sestri Levante. I Da Passano giurarono fedeltà a
Genova che promise di non turbare i loro possedimenti e li investì nomine feudi in
pubblico parlamento.
I Marchesi Malaspina, i Signori Da Passano e i Conti di Lavagna si ribellarono in
settembre, approfittando dellimpegno della Repubblica in Toscana. Vicini e potenti
signori feudali occupavano tutto il territorio da La Spezia a Sestri Levante ed il
territorio interno lungo le valli e le vie di comunicazione.
Il 25 settembre 1172 Gerardo di Fosdinovo e i Consoli di Pontremoli si impegnarono, a
spese del Comune, di conquistare il castello di Trebbiano.
A dicembre Opizzo Malaspina ed il figlio Moroello mossero contro Genova: Opizzo assediò
il castello di Chiavari (edificato da Genova nel 1167) e Moroello prese lisola di
Sestri Levante e poi con 250 cavalieri e 3.000 fanti assaltò il castello di Rivarolo.
I Consoli si portarono a Rapallo dove chiamarono a raccolta cavalieri e Marchesi a loro
fedeli; prima che lesercito si fosse raccolto Chiavari pagò 300 libbre al Marchese
per farlo allontanare.
Opizzo che si portò a Rivarolo, nella piana di Sestri Levante. Lesercito genovese
espugnò Cogorno ed inseguì il Marchese, che si ritirò verso Pietra Tinta, e sopra
Moneglia perse il contatto a causa di unimprovvisa gelata. Non fidandosi dei
Marchesi suoi alleati (Enrico Guercio e i Marchesi di Monferrato, di Gavi, del Bosco e di
Ponzone) fu firmata a Sestri Levante una tregua fino a Pasqua e venne pagata, ad ognuno
dei cavalieri arruolati, una libbra.
Nel 1173 Opizzo sobillò gli abitanti da Rapallo a Airona (Valdinievole) e il Consiglio
dei Silenziari decise di creare una milizia permanente di 100 cavalieri. A giugno la
Milizia, guidata dal Console Ingo di Flessa, edificò il castello di Villafranca a
Moneglia (che era dal 1153 feudo dei Da Passano).
Il 14 marzo del 1174 furono comprati dai Malaspina i castelli di Pietra Tinta
(Pietratetta), Lerici e Figarolo per 3.700 lire e quindi vennero rasi al suolo. I Marchesi
si impegnarono ad armare 20 cavalieri e 100 arcieri in caso di conflitti con i Conti di
Lavagna, i Signori Da Passano o di Cogorno.
Nel 1178 vi furono contrasti e combattimenti tra Mazanelli e Navarri mentre lanno
successivo tra Amico, figlio di Amico Grillo, e i fratelli Pietro e Simone Vento ed in
questoccasione vi fu un aspro combattimento presso Sturla.
Nel 1180 pacificati Vento e Grillo si contrapposero Rubaldo Porcello e Girardo Scoto anche
se non si venne alle vie di fatto. I Consoli composero questultima discordia ma,
poiché Girardo rifiutò la sentenza e si allontanò da Genova, le sue proprietà furono
confiscate e demolite.
La situazione igienica divenne critica: nel 1179 morì di peste il Console, Baldizone
Usodimare, ma nel 1181 la malattia dilagò in città decimando gli abitanti e a Natale un
incendio devastò completamente il quartiere di Palazzolo.
Nel 1183 Fulco di Castello e i Vento contrapposti ai Bulbunoso e alla Curia combatterono
aspramente nel Bisagno.
In campagna risorgono gli atti di brigantaggio: nel 1182 gli abitanti di Laigueglia
rapirono Maria degli Alberici che si stava dirigeva a Nizza. La Repubblica armò
lesercito per muovere contro di loro ma gli abitanti giurarono fedeltà mentre si
stava ancora armando lesercito e consegnarono a Genova le terre ed il castello.
Vernazza invece (feudo dei Fieschi, sostituitisi ai Da Passano) assalì alcuni mercanti
pisani lungo la via publica ma le due città erano in pace per cui Genova espugnò il
castello di Vernazza.
Lo stesso anno il Console Guglielmo Modiodiferro con le sue truppe ed una colonna di
Alessandrini espugnò il castello di Silvano.
Nel 1184 Porto Maurizio insorse e si armò lesercito ma i notabili di tale città
vennero per implorare il perdono.
Finalmente tra il 1185 ed il 1186 furono composte le discordie civili e con una colletta
si pagarono i debiti del Comune; ma già dal 16 febbraio 1187, quando Lanfranco, figlio di
Jacopo di Turca, uccise alcuni ladroni, e con essi il Console Anglerio de Mari, risorsero
le guerre civili. Si radunò il popolo che cacciò luccisore dalla città e, a mano
armata, andò a demolire la sua torre e le sue proprietà. Il 24 luglio Rubaldo Porcello e
Opizzone Lecavelo vennero uccisi a capitolo e vi fu un gran tumulto.
Nel 1188 il Console dei Placiti Ingo, figlio di Cassizio Della Volta, mentre passava
presso la casa dei Malfante fu colpito a morte con una pietra.
Successe allArcivescovo Ugo lArcidiacono Bonifacio. Arcivescovi: Siro II:
1133, Ugo Della Volta:1163, Bonifacio:1188
Quello stesso anno Pietro, Cardinale di S. Cecilia e legato della Sede Apostolica riuscì
a comporre la pace tra le fazioni di Lanfranco di Turca e di Bulbunoso.
Nel 1189, con larrivo dei crociati da trasportare si acuirono le tensioni tra i
Vento e i Della Volta. Il 2 maggio si combatté al mercato di S. Giorgio mentre il giorno
di Pentecoste a S. Lorenzo e a S. Maria delle Vigne.
Nel 1165 inizia la questione sarda. Pietro, Giudice di Cagliari, ed il fratello Barisone,
Giudice di Torres, destituirono Barisone, Giudice dOristano, e ne usurparono la
giudicatura.Barisone dOristano chiese tramite Ugo, Vescovo di S. Giusta la corona
regia di Sardegna e lImperatore acconsentì in cambio di 4.000 marchi dargento
.La flotta genovese con i nunzi imperiali (il Conte Gavaro di Arnstein, Opizzo Malaspina,
Olevano e Burgonzo di S. Nazario), imbarcò Barisone ad Oristano e giunse a Genova il 29
giugno 1164. A Pavia, il primo lunedì dagosto, Barisone ricevette la corona.Il
pagamento dei 4.000 marchi dargento promessi allImperatore (equivalenti a
29.000 libbre) fu anticipato dalla Repubblica come anche le 2.000 libbre necessarie ad
armare 7 galee, 3 navi maggiori, cavalieri ed arcieri in quanto lisola, sobillata
dai Pisani che vedevano in pericolo i loro interessi commerciali, era in rivolta. Il 16
settembre il Giudice si impegnò per iscritto a restituire al Comune ed ai creditori
privati il debito contratto non appena fosse giunto in Sardegna.
Barisone cercò un accordo con i Pisani al fine di sottrarsi agli enormi impegni
finanziari che si era assunto. Giunto ad Oristano con Barisone a bordo, il Console
Picamilio non lo fece scendere a terra fino a che non avesse estinto il debito e,
avvedutosi che navi pisane stavano giungendo a Portotorres in suo soccorso, tornò a
Genova senza sbarcarlo e lo consegnò come pegno in mano ai creditori. Barisone rimase in
prigionia 6 anni finché i suoi concittadini promisero che avrebbero pagato i suoi debiti.
Nel 1165, mentre si allestivano 8 galee per sostenere la spedizione in Sardegna, le navi
che portavano Barisone ritornarono dalla Sardegna e tra le altre cose riferirono che una
nave genovese proveniente da Ceuta (presso le colonne dErcole) era naufragata
allAsinara e veniva saccheggiata dai Pisani. La Repubblica inviò Lanfranco Alberico
e Filippo di Giusta allImperatore per ottenere la restituzione delle merci.
Genova rappresenta l'intermediario tra Barisone e l'Impero. Non rispettando gli accordi
presi, il Giudice Barisone viene trattenuto come prigioniero in città. Il risultato per
Genova è però molto positivo riuscendo a sottrarre la Sardegna all'influenza di Pisa. La
risposta pisana non si lascia attendere iniziando una guerriglia contro i genovesi. Lo
stato di guerra non è breve, nel conflitto intervengono Lucca (alleata con Genova) e
Firenze (alleata con Pisa).
Federico Barbarossa inviò il cappellano Conrado a Pisa; il Console Ottobono e Filippo di
Lambero gli vennero incontro a Portovenere dove ebbero più incontri con il Console pisano
Elemano. I Pisani temporeggiarono cercando al contempo di ottenere la liberazione del
Giudice di Oristano in quanto sostenevano fosse loro colono e quindi ora loro vassallo ma
non poterono accollarsi il suo enorme debito.Durante i colloqui venne trattenuta a
Portovenere una nave da corsa genovese, al comando di Trepedecino. Ritenendo di poterla
facilmente affondare il Console pisano mandò a chiamare una galea a Pisa e salitovi sopra
tentò inutilmente lassalto.Non ottenendo soddisfazione le navi Genovesi
ricominciarono la corsa e nel giro di pochi giorni su tre navi pisane predarono quasi
2.000 libbre. Simone Doria con 300 uomini espugnò il castello della Rocheta (presso
Vernazza) che era difeso da Enriceto di Carpena, alleato di Pisa. Durante limpresa
furono imprigionati tre Signori di Vezzano che erano nel castello.14 galee genovesi al
comando di Amico Grillo risalirono il Rodano dietro 8 galee pisane e ne distrussero alcune
presso Arles prima di rientrare.Il 21 agosto 31 galee pisane distrussero Albenga e
proseguirono per la Provenza. 45 galee genovesi, al comando del Console Amico Grillo,
furono armate in solo 4 giorni e trovarono i Pisani ormeggiati a Saint-Gilles sotto la
protezione della città. I signori di Baux (per 800 libbre) si schierarono con i Genovesi
mentre i Pisani reclutarono gli abitanti di Saint-Gilles, il Conte Raimondo di
Saint-Gilles e il Conte Raimondo Trencavallo, Visconte di Carcassone. Amico Grillo
preferì disimpegnarsi e rientrare a Genova.Tre galee bruciarono la pisana Portotorres
(Sardegna) e ne predarono le navi mentre 25 galee pisane distrussero Levanto (che dopo la
signoria dei Da Passano era divenuto libero Comune) ma inutilmente provarono ad espugnare
Portovenere soccorsa in questoccasione dai Marchesi Malaspina e dagli uomini di
Vezzano.
Genova riesce ad ottenere una pace favorevole nel 1175 dopo aver azzerato gli interessi
pisani in Provenza
Giunto linverno la flotta fece un blocco navale alle foci del Rodano predando 1.400
libbre ad una nave pisana proveniente da Bugea e rientrò a Genova per la fine
dellanno consolare: le navi pisane allora uscirono dal Rodano ma in una tempesta 13
di loro naufragarono.Quattro galee al comando del Console Ottone di Caffaro fecero dal
marzo 1166 blocco navale al largo della Provenza mentre il Console Oberto Recalcato, in
Sardegna con tre galee, ritirò 700 libbre ad Oristano, ricevette giuramento di fedeltà
da Pietro, Giudice di Cagliari, e la promessa di 10.000 libbre e di 100 libbre
annuali.Furono inviate 9 galee, guidate dal Console Oberto Recalcato, in Sardegna per
evitare che i Pisani approfittassero delle crescenti discordie civili. Sconfitti nel golfo
di Ogliastra da 17 galee pisane e mentre si ritiravano distrussero Portopisano e le sue
navi. A Genova nel frattempo si stavano armando altre 32 galee.Pisa inviò tre santi
uomini a chiedere la pace e le 32 galee genovesi che nel frattempo erano partite per la
Sardegna al ritorno fermarono a Portovenere.7 galee al comando del Console Ansaldo di
Trenquerio, in agguato a Piombino per bloccare due galee pisane che scorrevano la Provenza
vennero sconfitte da 7 galee pisane.I Pisani inviarono 5 galee in Provenza inseguite
inutilmente da 6 galee genovesi al comando di Baldovino Guercio. Durante la loro ricerca
Baldovino attaccò a Vado 7 galee pisane ma per via della discordia tra i comandanti delle
galee (sera in pieno periodo di guerre civili) furono sconfitti.Il 7 ottobre, a S.
Giorgio di Lerici, si stipulò unalleanza con Lucca; nello stesso periodo Arles
accettò tutte le richieste genovesi al fine di definire le vertenze pendenti; il 12
novembre il legato di Narbona, Guglielmo di S. Grisato, firmò un trattato con Genova che
tagliò fuori dalla regione i Pisani.Genova inviò Lanfranco Pevere e Ottone Bono a
chiedere giustizia allImperatore. I Pisani nel contempo comprarono per 13.000 libbre
linvestitura dellisola di Sardegna per mezzo dellArcivescovo di
Magonza.LImperatore impose a Pisa la restituzione dei prigionieri genovesi che però
non avvenne.Da marzo 1167 fino a novembre quattro galee fecero blocco navale, al comando
del Console Rodoano; 9 galee pisane prepararono una sortita e il Console Oberto Spinola
(con 7 galee) e il Console Rubaldo Bisacia (con 4 galee) le attaccarono a Foro ma calata
la notte le flotte persero il contatto.Il Console Rodoano fece il 7 maggio un trattato con
il Re dAragona che si impegnò a bandire dal suo Regno tutti i Pisani ed in cambio
Genova inviò 4 galee, guidate dal Console Rogerio Maraboto, per aiutarlo ad espugnare il
castello di Albarone, in mano al Conte di Saint-Gilles.Altre galee pisane entrarono in
Provenza ma in luglio Pisa chiese la pace.Il Console Corso da ottobre a febbraio
presiedette i giudicati di Cagliari e Oristano e catturò, tornando a Genova con le sue
due galee, una nave pisana.
Pisa inviò nel 1168 11 galee in Provenza e inseguite da 13 genovesi che, al comando del
Console Nicola di Rodulfo, riuscirono a catturarne 4 nel porto di Agde mentre le altre 7,
che erano a Malgoires, fuggirono.I Lucchesi, su pressione di Genova, espugnarono il
castello pisano di Asciano e i 700 prigionieri pisani vennero usati per scambiarli con i
333 prigionieri genovesi ancora in mano pisana e mai liberati.Il Console Ido Gontardo con
16 galee cercò di intercettare 7 galee pisane, con a bordo il Cancelliere imperiale
Cristiano, dirette a Marsiglia: non trovandole passò in Corsica. Avuta notizia che i
Pisani erano giunti allisola di S. Onorato, divise la flotta e inviò 8 galee verso
la Provenza mentre con le altre 8 devastò lisola di Pianosa finché, inseguito da
30 galee pisane non dovette rientrare a Genova con tutta la sua flotta.Pochi giorni dopo
Villano Gaetani, Arcivescovo di Pisa, venne a Genova come mediatore di pace.Il Re di
Sardegna Barisone, ancora in mano ai creditori genovesi, il 23 ottobre promise di
consegnare in pegno di pagamento il castello di Arculento (affidato quindi in custodia ad
Alinerio Della Porta), 140 ostaggi e 4.000 lire e di fare ritorno con la moglie ed il
figlio sulle stesse galee che lo avrebbero portato in Sardegna. I Giudici di Torres e
Cagliari fecero trattati di amicizia con il Re ed il Console Nuvolone giurò di difendere
i Giudici nel caso il Re avesse violato i patti.Soltanto il 7 gennaio 1172, scortato dal
Console Ottone di Caffaro, Barisone riuscì a rientrare definitivamente in Sardegna,:
dovette lasciare come ostaggi figlio, moglie e 45 notabili; versare 1.000 lire entro un
mese, 7.000 lire di merce entro il 24 giugno e 4.000 lire di merce annuali.Lanno
seguente (1169) il Console Nicola Roza, subito dopo aver partecipato alla spedizione in
Polcevera (in occasione della pacificazione delle campagne), partì contro i Pisani con 4
galee per la Provenza e lì fece blocco navale per due mesi.La Versilia, sobillata da
Pisa, si rivoltò contro Lucca; Genova inviò 500 cavalieri e 22 balestrieri, al comando
di Rogerio di Maraboto, senza chiedere alcun compenso ai Lucchesi. Giunti a Viareggio i
Genovesi la presidiarono e fornirono soccorso ai vicini castelli di Corvaria e Assano
poiché gli eserciti di Pisa, Garfagnana e Versilia, che si trovavano tra loro e Lucca, ne
impedivano la difesa.A maggio il Console pisano Guido di Mercato chiese la pace. Mentre
fino ad agosto si definirono le varie controversie, i Pisani assaltarono il castello di
Assano e vennero respinti dai balestrieri genovesi.Genova armò 8 galee al comando del
Console Anselmo Garrio. Questi ne inviò 2 in Corsica, 2 a Capraia e 2 in Gorgona mentre
le ultime 2 restarono a Portovenere fino a quando, stanco di attendere il termine delle
trattative di pace che qui si svolgevano, risalì con esse lArno e dopo una breve
scorreria assalì il castello di Capalbo.
Nel frattempo 6 galee pisane diressero in Provenza; 7 galee, al comando del Console Ottone
di Caffaro, si schierarono per proteggere i mercantili genovesi che si trovavano indifesi
a Foro di Giulio.
Il 10 agosto, trovati i Pisani presso le isole Hyères, catturarono 3 galee nemiche.Altre
galee pisane partirono per saccheggiare le navi dirette alla fiera di S. Raffaele per cui
fu decretato che i mercanti si recassero a tale fiera in galea e 6 galee al comando di
Ingo Tornello pattugliarono i mari di Provenza per 2 mesi.
Al suo ritorno (dicembre 1169) Tornello partì in, con 2 galee, per la Sardegna al fine di
rinsaldare il possesso di Oristano e dei castelli di Arculenio e Mamilla.8 Galee al
comando di Oberto Recalcato pattugliarono i mari di Provenza per un mese bloccando 4 galee
pisane.In questo periodo la Guerra con Pisa fu delegata a 2 galee di Portovenere e 2 di
Trepedecino che riuscirono a catturare 1 galea con a bordo due Consoli pisani e molti
nobili.Nel 1170 6 galee al comando del Console Ogerio Vento e 2 galee di Trepedecino
pattugliarono la Provenza per un mese e mezzo. Al ritorno, informati dai cursori di
guardia al largo di Pisa, Trepedecino e le galee di Rapallo catturarono una galea pisana e
fecero prigionieri due Consoli e molti nobili, mentre la galea di Ricio Da Passano ed una
di Rapallo ne catturarono una pisana che però allisola del Giglio venne sequestrata
dal Re di Sicilia, che con la sua flotta era di ritorno dalla Spagna.8 galee assalirono i
Pisani mentre a Genova le Compagne ne armavano altre 8 che, al comando del Console
Grimaldo, pattugliarono i mari di Provenza per un mese mentre Trepedecino con una sua
galea ed una di Portovenere predò una ricca nave pisana di ritorno dalla Sicilia.
Rogerio di Gusta, ambasciatore a Monte Pesulano, tornò a Genova e in novembre
lambasciatore di Lucca, Guidoto Linaiol, venne a chiedere rinforzi per il castello
di Mutrone minacciato dai Pisani. Genova promise di armare lesercito, di stanziare 4
galee a Portovenere e di pagare il soldo per 300 cavalieri che Lucca avrebbe assunto a
nome suo. Lucca chiese 8 galee a Portovenere e, con larruolamento dei cavalieri,
ritenne non più necessaria la mobilitazione dellesercito Genovese. Lesercito
di Lucca venne sconfitto e la torre cadde.Genova chiamò alle armi tutti gli abitanti dei
territori sotto al suo controllo e quando il Console di Lucca, Oberto di Sofreducio,
riferì le notizie della guerra al parlamento di Genova ottenne la promessa, dato che i
Pisani erano rientrati nella loro città, dellinvio di un esercito di 1.000
cavalieri entro 7 mesi e gli furono consegnati 600 prigionieri pisani, detenuti a Genova,
che avrebbero potuto scambiare con i prigionieri lucchesi.
Nel 1171 5 galee di Trepedecino e 4 del Comune si mossero contro i Pisani mentre 8 galee e
8 gatti venivano preparati per trasportare larmata.Il 10 maggio 1171 Genova (per
mano del Console Nicola Rizo) strinse alleanza con Raimondo V Conte di Tolosa, Marchese di
Provenza e Duca di Narbona e iniziò un blocco di 4 mesi ogni anno contro Montpelier in
quanto Guglielmo VII si era alleato con Pisa.Si decise di comune accordo con gli alleati
che, per difficoltà di approvvigionamento, si sarebbe mobilitato lesercito la
prossima estate e nel frattempo venne edificato, al posto della torre di Mutrone, il
castello di Monte Gravanto.
Cristiano, Arcivescovo di Magonza ed Arcicancelliere imperiale, attraversò la Lombardia
in fermento fino a Genova dove fu accolto nel gennaio 1172 con grandi onori ed ebbe
adeguata scorta. Per rappresaglia a tale accoglienza la Lega bloccò lesportazione
di grano per 6 mesi causando una grave crisi alimentare ed economica.Il nuovo consolato
intercedette presso lArcicancelliere (promettendo 2.300 libbre per finanziare la
missione imperiale) in favore dei prigionieri lucchesi e genovesi in mano pisana.
LArcicancelliere convocò tutti i vassalli imperiali a Siena e invocò una tregua al
fine di preparare i trattati di pace tra le due città.Durante i colloqui segreti tra
lArcicancelliere e i legati genovesi e lucchesi ci si accordò che: i Pisani
sarebbero stati banditi dallimpero, avrebbero perso tutti i loro privilegi e lo
stesso Arcicancelliere si sarebbe schierato in campo contro di loro; Genova avrebbe armato
una flotta di 50 galee e versato 1.300 libbre allArcicancelliere (ma non avrebbe
mobilitato i 1.000 cavalieri promessi nel 1170) mentre Lucca avrebbe attaccato da
terra.Pisa venne bandita ad aprile per non aver affidato mandato allArcicancelliere
di concludere la pace. Visti i preparativi di guerra Pisa chiese di comporre la pace che
venne giurata da 1.000 abitanti di ognuna delle città in conflitto (Firenze, Genova,
Lucca, Pisa).Poiché Pisani e Fiorentini si prepararono ad espugnare il castello imperiale
di San Meniato, 7 galee al comando del Console Corso risalirono lArno e rasero al
suolo lisola di Pianosa.In patria i Malaspina si ribellarono.Le galee al comando del
Console Rubaldo Bisacia catturarono 3 galee pisane e liberarono 1 nave genovese di ritorno
da Bugea. 8 galee a capo del Console Lanfranco Alberico andarono a rinsaldare i rapporti
con la Sardegna. Frattanto i cursori riferirono che due galee pisane dirigevano in
Provenza e 4 galee, guidate da Ottone di Caffaro, le inseguirono. 5 galee Pisane tallonate
da 7 galee al comando di Ingo di Flessa riuscirono ad entrare in
Provenza.Nellottobre 1173 Papa Alessandro III fu costretto ad ammonire severamente
la città di Genova per via delle "inaudite violenze" commesse ai danni di
Guglielmo VII di Montpelier. Nellagosto 1174 Raimondo Duca di Narbona, Conte di
Tolosa e Marchese di Provenza in cambio dellaiuto militare (16 galee) contro il Re
dAragona concedette un fondaco a Saint-Gilles, una strada ad Arles, Marsiglia, il
castello ed il borgo di Hyères, le saline di Bouc, metà Nizza, il poggio di Monaco (dove
poter fondare un castello) e libertà di commercio.Il 25 gennaio 1174 il Marchese
Guglielmo di Massa giurò di impegnarsi contro Pisa.
Nel 1175 il Console Rogerone con 6 galee combatté i Pisani e inseguì una loro nave da
Portotorres fino a Portopisano dove larrembò e bruciò. Ugo Scoto, Clavigero del
Comune, mentre con 1 galea vigilava le coste Provenzali ne catturò una pisana.
Barbarossa impose la pace a Firenze, Genova, Lucca e Pisa; e per imparzialità concedette
metà della Sardegna a Pisa e metà a Genova.Ma per lanno successivo Genova tenne
per tutta la primavera e lestate alcune galee armate a guardia della Provenza
temendo i pirati pisani e una possibile riapertura del conflitto .Solo nel 1187 (alla
caduta di Gerusalemme) i Pisani predarono alcuni mercanti genovesi a Cagliari; Genova
armò un grosso esercito ma per lintercessione di Enrico, Re dItalia, inviò
solo 10 galee al comando di Fulco di Castello per abbattere il castello che i Pisani
avevano eretto a Bonifacio.
I rapporti con Pisa, dopo la pace del 1175, non si mantengono pacifici a lungo. Già nel
1187 la guerra si riaccende dopo la predazione di alcune imbarcazioni mercantili genovesi.
Nel 1187 Pisa occupò il giudicato di Cagliari ma si stava preparando la III crociata e
nel 1188 due Cardinali inviati da Clemente III ottennero la pace tra le due città giurata
da 1.000 Genovesi scelti da Pisa e 1.000 Pisani scelti da Genova.
La reazione genovese investe il castello pisano di Bonifacio. Papa Clemente III mediante
due inviati riesce a concordare la pace e 1000 genovesi con 1000 pisani si incontrano per
giurarla. Probabilmente a spingere i contendenti a deporre le armi è la comune minaccia
saracena.
Viene indetta una nuova Crociata alla quale partecipa Federico Barbarossa che,
attraversata l'Europa, trova la morte guadando un fiume. Filippo di Francia e Riccardo
d'Inghilterra partecipano anch'essi alla Crociata ma attraversano il Mediterraneo sulle
galee fornite dai genovesi. Genova partecipa attivamente con uomini e galee all'assedio di
San Giovanni d'Acri. Purtroppo la Crociata si risolve in una sconfitta.
Nonostante i conflitti coinvolgano i luoghi di primario interesse economico genovese,
Genova riesce ad ottenere nel 1177 alcuni privilegi dal "Saladino", nel 1186
dall'Imperatore d'oriente e una tregua ventennale con Maiorca.
Anche in Liguria non regna la calma. L'allargamento alle riviere dell'area d'influenza
genovese ha portato in città alcune influenti famiglie rivierasche. I già precari
rapporti cittadini vengono alterati creando nuove discordie. A Genova come nel resto della
penisola nascono due fazioni contrapposte successivamente nominate: guelfi (pontifici) e
ghibellini (imperiali). Scoppiano dei disordini in città, il Console Melchione della
Volta viene ucciso. Per riportare la calma in seno alla Repubblica, l'Aricivescovo Ugone
convoca le Compagne e infrangendo le regole (elezioni) nomina i consoli e convocati i
cittadini in Duomo li fa giurare una tregua. Contemporaneamente decreta l'occupazione
delle case di Amicone di Castello e Ingo della Volta fomentatori dei disordini. La tregua
dura poco e la Repubblica precipita verso uno stato anarchia e di disordini continui. La
grave situazione in cui versa lo stato necessita una risposta energica delle Autorità, a
tale scopo i Consoli incaricano Anselmo Garrio e Ottone di Caffaro di riportare l'ordine
nel levante ed analogo compito per il ponente e Polcevera viene assegnato a Nicola Rosa e
Ruggiero di Malabotto.
La pace si mantiene per circa otto anni fino al 1178 quando scoppiano nuovi tumulti, nel
1183 è la Val Bisagno all'origine dei disordini. La situazione degenera ed il 16 febbraio
1187 viene ucciso il Console Angelerio de Mari, il 2 maggio 1189 nuovi disordini
interessano il centro cittadino e la nuova Crociata del 1190 spinge i ghibellini rimasti a
Genova ad aprofittare della partenza dei guelfi verso la Terra Santa compiendo un colpo si
stato. Viene eletto un Podestà straniero nella persona di Manegoldo del Tetticcio da
Brescia con poteri "politici". Il potere giudiziario viene invece assegnato ai
neoeletti Consoli dei Placiti. Il nuovo Podestà riesce a soffocare i disordini.
Nel 1191 i progetti dell'Imperatore Enrico VI sulla Sicila e su Napoli, prevedono un ruolo
anche per Genova. Riesce ad ottenre l'aiuto genovese con l'accordo di nuovi privilegi, la
concessione di edificare un nuovo castello a Monaco, il permesso di comprare Gavi ed il
governo su Siracusa e la Valle di Noto. La Repubblica mette a disposizione 30 galee che il
15 agosto partono per Castellamare per proseguire poi per: Ischia, Ponza e Palmarola. Non
riuscendo a dare battaglia alla flotta pisana (72 galee), la flotta si dirige su
Civitavecchia e per ordine imperiale torna a Genova. Giunto personalmente a Genova, Enrico
VI conferma le promesse fatte.
La fine della Crociata (1192) comporta il ritorno degli esponenti guelfi a Genova con il
conseguente ritorno "forzato" alle isitutuzioni consolari comunali e dei
placiti.
Lo stato di agitazione non si placa. Viene eletto Podestà Oberto di Olevano (Pavia). Nel
1194 il Siniscalco Marcoaldo, su mandato dell'Imperatore, incita i genovesi ad intervenire
con proprie forze in Sicilia. Il Podestà accoglie la richiesta ed organizza un
contingente di terra ed una flotta. La spedizione inizia positivamente, Gaeta e Napoli
oppongono una minima resistenza. Le forze genovesi incontrano una maggiore opposizione a
Salerno e Messina. Nello stretto di messina si scontrano le flotte genovesi e pisane
(alleati della Sicilia). Il Siniscalco impone la pace che però non viene osservata dalle
forze pisane. Il Podestà muore, di morte naturale, a Messina ma per evitare le temute
imboscate pisane, i funerali non vengono celebrati. La guerra continua e le truppe di
Genova liberano Catania dai Saraceni e scacciano i pisani da Siracusa. Anche Palermo viene
occupata.
Ai numerosi successi genovesi al fianco dell'Impero, segue il tradimento dell'Imperatore
stesso che, prima non mantiene le promesse e successivamente incita Pisa a combattere
contro Genova.
Nel 1195 viene eletto il nuovo Podestà Giacomo Mainero (Milano). Scoppia un nuovo
incidente con Pisa, "corsari" con base a Bonifacio (nuovo castello pisano)
depredano i mercantili genovesi. Le autorità pisane negano ogni responsabilità non
riconoscendo Bonofacio come proprio territorio. In risposta, vengono armate 12 navi che
occupano Bonifacio, liberano i mercantili trattenuti e fanno ritorno a Genova. Scoppia
l'ennesima guerra con Pisa, il tentativo si sottrarre Bonifacio ai nuovi occupanti
genovesi risulta vano. Molte navi pisane vengono catturate e portate a Genova. Una
mediazione pontificia risulta vana. Truppe pisane tentano nuovamente l'occupazione di
Bonifacio. Il Podestà Drudo Marcellino a capo della flotta, cerca inutilmente, fino a
Cagliari, di dare battaglia ai pisani. Riesce però a cacciare il Marchese Guglielmo di
Massa da S. Igia che viene distrutta. Nuovi rinforzi da Pisa assediano Bonifacio ma,
Anselmo Guarco con 17 gallee e molte altre navi da Genova, rompono l'assedio e cacciano i
pisani in alto mare dove si scontrano con la flotta genovese che riesce ad ottenere
un'importante vittoria. Il conflito prosegue e si trasforma in "guerra corsara".
Gli impegni bellici contro Pisa distolgono l'attenzione dagli analoghi problemi interni.
Ventimiglia e Tortona insorgono, nei territori di Gavi e Parodi dilagno i predoni mentre
Beccaria e Vezzana addirittura cercano un'intesa con Pisa per occupare Portovenere. Una
rapida repressione condotta per mezzo di una numerosa flotta porta alla sottomissione di
Ventimiglia. Seguono le repressioni delle rivolte di Noli, Savona e Gavi con l'imposizione
dei pesi e delle misure genovesi. Vengono imposti anche l'invio di alcuni contingenti
armati a Bonifacio. La situazione non si stabilizza e si rende necessario una nuova
repressione.
Antiche mappe della Liguria e
Genova
Antiche mappe su www.maproom.org
Genovesi abili diplomatici...
Nel 1160 furono inviati come legati, a Costantinopoli, il Console Enrico Guercio e, presso
il Re Spagnolo Abu Abd Allah Mohammed ibn Said Mardanisch, Oberto Spinola. Nel 1164 il
Console Corso di Sigismondo, Ansaldo Mallone e Nicola di Rodolfo con una galea andarono
ambasciatori a Costantinopoli su richiesta dellImperatore dOriente ma la
missione portò poco frutto.Nellottobre 1165 vi fu una convenzione con Raimondo
Berengario II Conte di Provenza e di Melguell e lo stesso mese si stipulò un trattato di
pace ed alleanza con Roma.Nel 1166 vi furono laccordo con Arles e, a novembre, il
trattato con Narbona.Nel 1167 persero lalleanza con Raimondo V, Conte di Tolosa e
Duca di Narbona, ma strinsero alleanza con il popolo di Narbona; il 7 maggio il Console
Rolando stipulò un trattato con Re Alfonso dAragona, Conte di Barcellona e Duca di
Provenza mentre nel 1171 con un trattato riacquistarono i favori del Conte Raimondo V.Nel
1168, su richiesta del Re di Sicilia, partirono con una galea il Console Bellamuto,
Rogerone di Castello e Amico Grillo ma non stipularono alcun accordo. Quello stesso anno
Amico di Murta andò ambasciatore a Costantinopoli ed ottenne, in ottobre, una convenzione
con lImpero dOriente per il riconoscimento dei danni subiti nel 1162 ad opera
dei Pisani: 30.000 ipèrperi. Lo stesso mese Boemondo III Principe dAntiochia
confermò i privilegi concessi da Boemondo I in Antiochia, Laodicea e Solino.Tra
laprile e il maggio 1170 Genova ottenne un embolo entro le mura di Costantinopoli:
il Koparion ("il corno doro"). In giugno gli ambasciatori dellImpero
dOriente Andronico Costastefano, Teodoro Kastamouni e Giorgio Disipato da Nicea
giunsero a Genova con 56.000 ipèrperi per il Comune. Si attese il ritorno di Amico di
Murta da Costantinopoli, ma poi, per via delle discrepanze tra ciò che promettevano gli
ambasciatori e ciò che era scritto nei loro documenti, fu rifiutato il denaro e venne
inviato nuovamente a Costantinopoli Amico di Murta per chiarire la situazione.Nel gennaio
del 1171 venne stipulata una convenzione con gli uomini di Grasse. Lo stesso anno i
Veneziani aggredirono al colonia genovese al Koparion causando danni per 5.674 ipèrperi.
Alla morte di Emanuele Comneno (1182) scoppiò una tale reazione allinfluenza
straniera a Costantinopoli che tutti i latini dovettero lasciare la città per salvarsi la
vita. I Genovesi persero 228.000 ipèrperi che, 10 anni dopo, chiesero come indennizzo al
nuovo Imperatore Isacco.Il Console Ottobono degli Alberici andò due volte ambasciatore in
Sicilia e nel novembre 1174 riuscì a concludere la pace con Re Guglielmo II che
riconfermò totalmente il trattato del 1156.Nel 1177 Guglielmo Vento raggiunse a Ravenna
lImperatore e definì alcuni accordi mentre in Terrasanta Rosso di Volta,
ambasciatore presso Salàh ad din Yusuf, firmò con lui una pace.Due anni dopo
lArcivescovo Ugo partecipò al Sinodo Lateranense in cui furono confermati i
privilegi di Genova e autenticate le ceneri del Battista.A Genova nel 1177 Giovanna,
figlia di Enrico II dInghilterra venne ricevuta a Genova dalle navi del futuro sposo
Guglielmo di Sicilia mentre nel 1179 Agnese, figlia di Luigi VII Re di Francia, passò per
Genova diretta a Costantinopoli, promessa sposa di Alessio, figlio di Emanuele Comneno.Nel
1181 lAmmiraglio del Regno di Sicilia Gualtiero di Moach, diretto contro Maiorca,
passò con una grande armata e si fermò a svernare a Vado.Nel 1186 Guglielmo Tornello fu
inviato in Sardegna come legato e Nicola Mallono e Lanfranco Pevere allImperatore
Isacco. Nel 1188 Nicola, figlio di Filippo di Lamberto fu inviato da Ishak ibn Mohammed,
Re delle Baleari (Formentera, Ivisa, Maiorca e Minorca) con cui si stipulò una pace
ventennale.
GENOVA E LA TERZA CROCIATA
Nel 1187 Salàh ad din Yusuf Ibn Ayyùb espugnò S. Giovanni dAcri (a luglio) e
Gerusalemme (a ottobre), imprigionando il Re Guido e il Marchese Guglielmo di Monferrato
con la battaglia di Hattin. Il Marchese Corrado di Monferrato era a Costantinopoli ma alla
notizia diresse con una nave Genovese su Acri e vi giunse 2 giorni dopo la sua caduta.
Riparò a Tiro, unica città ancora in mano cristiana, e diresse la difesa della città
fino allarrivo dei rinforzi Pisani e Veneziani.
Per primo partì la flotta siciliana, guidata dallAmmiraglio Margherito, che giunse
in tempo per impedire la conquista di Tripoli; Federico Barbarossa, Imperatore e Re di
Germania, partì per via terra e morì annegato nellaprile 1190 ad Antiochia,
attraversando il fiume Ferro. La crociata proseguì ma con scarsi esiti.
Genova tra il 1177 ed il 1188 Genova aveva ottenuto benefici commerciali dal Sultano
dEgitto Salàh ad din, dal Re di Maiorca Ishak ibn Mohammed e dallImpero
Greco. Con la crociata fornì un aiuto militare al fine di mantenere i suoi privilegi.
Nel 1188 Rosso Della Volta saggiò le intenzioni inglesi verso la Siria. Lanno
seguente (1189) gli ambasciatori Ansaldo Bufferio ed Enrico Deitesalve andarono a trattare
con Filippo II Augusto, Re di Francia, e Riccardo Cuor di Leone, Re dInghilterra, il
trasporto fino in Terrasanta. Entrambi furono rapiti durante il tragitto dalla Marchesa
Donexella dellIncisa per ottenere un riscatto. Genova, Asti ed Alessandria armarono
gli eserciti e gli ambasciatori vennero prontamente restituiti alla loro missione.
Si organizzò il trasporto integrale dei crociati francesi a vantaggiosissime condizioni:
il prezzo era 5 volte maggiore rispetto a quello di mercato ed il contratto venne firmato
il 16 febbraio 1190 da Ugo III, Duca di Borgogna.
I francesi si sarebbero imbarcati a Genova, invece gli inglesi a Marsiglia. La flotta
genovese per trasportare 650 cavalieri, 1.300 cavalli e scudieri ed il vitto per 8 mesi
avrebbe avuto un incasso di 5.850 marchi dargento (che dovettero essere anticipate
al Re francese da alcuni cittadini privati), il recupero delle proprietà perdute e un
quartiere in ognuna delle città conquistate.
Genova organizzò personalmente due spedizioni militari nel 1189 e nel 1190 partecipando
allassedio di S. Giovanni dAcri che, dal 27 ottobre 1189 fino al 12 luglio
1191 (quando venne espugnata) fu lunica impresa militare della crociata. Nel 1189
partì una nutrita spedizione, guidata dal Console Guido Spinola, a cui però non
partecipò nessuno degli Avvocati.
Il 1 agosto 1190 Filippo II di Francia entrò a Genova; il 13 agosto Riccardo
dInghilterra passò da Genova con 15 galee e, dopo un colloquio con il Re di
Francia, diresse in Terrasanta seguito il 24 agosto da Filippo II.
Nello stesso periodo partì la seconda operazione militare genovese: 80 navi guidate dai
Consoli Simone Vento e Marino Rodoano.
A causa delle polemiche se insediare sul trono Re Guido o sostituirgli Corrado di
Monferrato (appoggiato anche dai Genovesi) risultò impossibile proseguire limpresa
che terminò lasciando i mano cristiana le sole città della costa (S. Giovanni
dAcri Tiro, Antiochia, Beirut e Tripoli).
Genova e Pisa riottennero i loro quartieri e privilegi ma da ora in poi le colonie
genovesi in Oriente vennero gestite non più da privati (ad eccezione di Gibelletto,
dominio degli Embriaci) ma direttamente dal Comune per mezzo di due "Consoli e
Visconti dei Genovesi in Siria" che risiedevano a S. Giovanni dAcri.
GENOVA TRA LANNO 1200 ED IL 1300: LE GUERRE CON PISA
Con la successione (1200) di Ottone VI, Genova vede finalmente mantenere le promesse
mancate dell'Imperatore Enrico VI. Siracusa passa da Pisa a Genova. Pisa non accetta la
nuova situazione ed occupa la città contesa. La risposta genovese giunge nel 1204 con la
liberazione di Siracusa e la cessione in feudo a Alamanno della Costa. I pisani ritornano
all'offensiva assediando la città nel 1205. Le forza congiunte genovesi e del Pescatore
sconfiggono i pisani e ne catturano le navi. I tentativi di mediazione tra le parti
risultano inconcludenti. La guerra dilaga e Genova si trova a dover affrontare un notevole
numero di avversari su più fronti contemporaneamente. La lista dei nemici è lunga:
Nizza, Marsiglia, Pisa, città Provenzali e Venezia. Nonostante la sproporzione di forze,
la Repubblica riesce ad avere la meglio su tutte le forze ostili. 1211 pace di 21 anni con
Marsiglia, 1212 e 1215 pace con Venezia, 1212 tregua di 5 anni con Pisa, sottomissione di
Nizza, sottomissione di Gavi, imprigionamento decennale per i Marchesi Malaspina,
richiesta di pace da Tortona, donazione di propria volontà di Capriata d'Orba.
Tra il 1212 ed il 1217 si registra il temporaneo ritorno all'istituzione consolare.
Nel 1217 scoppiano nuovi disordini interni, viene ripristinato il Podestà e sostituiti i
Consoli Placiti con 5 Dottoti in Legge forestieri.
Nel 1218 Guglielmo Embriaco "il Negro" e Lanfranco Rosso concordano in Francia
le condizioni di imbarco per una nuova Crociata. Ad agosto dello stesso anno la spedizione
parte da Genova. 200.000 uomini sbarcano sulla riva orientale del Nilo. La strategia
prevede di colpire il Sultano d'Egitto iniziando un assedio congiunto con i Crociati
provenienti dalla Terra Santa. L'operazione però non sortisce i risultati sperati e
Genova si vede costretta ad inviare in rinforzo 10 galee al comando di Giovanni Rosso
della Volta e Pietro Doria più 4 galee di Alemanno della Costa e Monleone. I rinforzi
partiti il 23/07/1219 giungono a destinazione ad agosto. Gli aiuti ridanno forza ai
Crociati costretti a difendersi dalle sortite saracene. La voce dell'imminente arrivo
dell'Imperatore, porta il Sultano a chieder la pace offrendo insperate concessioni
(liberazione dei prigionieri e territori vari). Il Legato Pontificio, probabilmente non
comprendendo pienamente la gravità della situazione, respinge l'offerta. Il 05/12/1220
cade Damiata e molti tesori vengono prelevati. Dopo questa vittoria nascono delle
divisioni tra i Crociati dettate dalla scelta degli obiettivi. Le due strategie
contrappongono l'obiettivo finale di Gerusalemme al Cairo. Il Sultano torna ad offrire una
tregua trentennale che viene nuovamente rifiutata. La controffensiva saracena aiutata
dall'allagamento artificiale del Nilo porta alla ritirata dei Crociati e allo scambio di
prigionieri con condizioni molto meno favorevoli delle precedenti proposte.
La pace sul piano internazionale viene però sconvolta dalle sommosse della Riviera di
Ponente. Vengono inviate truppe a sedare le rivolte di: Ventimiglia, San Remo, Noli,
Diano, Albenga e Savona. Riportato l'ordine a ponente, le truppe vengono inviate a
contrapporsi alle forze di Alessandria, Tortona, Vercelli e Milano che minacciano i
traffici commerciali. Le forze ostili alla Repubblica, nel tentativo di occupare Capriata,
vengono sconfitte e messe in fuga. Il Podestà Brancaleone di Ansaldo (bolognese) raduna a
Gavi l'esercito e muove contro il castello di Montaldo (Alessandria) riuscendo a
distruggerlo. Nuovamente il Podestà raduna a Gavi un nuovo esercito di 1200 uomini al
quale se ne aggiungono 200 del Conte di Savoia (convenzione di Asti 13/06/1225). La morte
prematura per malattia del Podestà causa lo sbando delle truppe e l'impossibilità di
risolvere la questione. Subito ne aprofittano Savona e Albenga coalizzate con altre città
minori per insorgere.
Il 1228 vede una nuova espansione genovese nel ponente fino a Marsiglia con la quale viene
stipulata una convenzione. Purtroppo lo stesso anno viene definitivamente persa Nizza per
mano del Conte di Provenza.
Segue un periodo di guerre contro i Mori di Spagna e del Marocco.
L'arrivo di Federico II porta pessime novità, l'Imperatore riceve gli ambasciatori di
Savona e Albenga e li reindirizza alla corte del Conte di Savoia intenzionato a sottrarre
le città a Genova. Le ribelli non giurano più fedeltà alla Repubblica. Noli rimane
invece fedele al giuramento e offre rifugio agli ambasciatori genovesi scacciati da Savona
ed Albenga. Scatta la risposta armata, Belmustino Visconte e poi Amico Straleria con la
flotta bloccano i porti ribelli mentre 50 uomini di Nicolò Croce si appostano a Noli in
difesa della città alleata. Il nuovo Podestà Lazzaro di Gherardino Giandone impone la
pace cittadina, raduna il popolo ed un nutrito esercito di elementi tosco-lombardi,
distribuisce le bandiere delle Compagne ed incita a punire gli insorti. Nonostante la
forte resistenza, viene espugnata Stella, cade Albisola e dopo sette giorni di assedio
viene presa Savona. La punizione per la città non è lieve. Il Podestà distrugge le
mura, riempe i fossi difensivi, distrugge le infrastrutture portuali molo compreso,
cattura 150 ostaggi e erige una fortezza a guardia della città. Il giorno stesso,
nell'impossibilità di resistere alle truppe genovesi, Albenga capitola. Vengono anche
nominati i Podestà di Savona e Albenga rispettivamente nelle persone di: Giovanni Spinola
e Guglielmo Rosso della Volta. Viene anche imposto che le due città non possano mai più
eleggere un proprio magistrato per governarsi.
Milano riesce a mediare la pace tra Genova e Alessandria, Tortona, Vercelli. La pace viene
brevemente interrotta nel 1228 da una breve guerra con Alessandria.
Nel 1232, il nuovo imperatore Federico II ritira le concessioni riconosciute
precedentemente nel 1200. Genova perde i privilegi in Sicilia, a Napoli ed in Palestina.
Il motivo dello scontro diplomatico-economico è l'elezione a Genova del Podestà di
origine milanese, fatto proibito a tutte le città della penisola. Ad aggravare la
situazione giunge l'ordine imperiale di imprigionare tutti genovesi e sequestrarne i beni.
Genova allestisce una flotta agli ordini di Guglielmo Mallone, Ansaldo Bolero, Bonifazio
Panzano e la invia proteggere i genovesi ed i loro beni.
La scomunica e la Lega Lombarda costringono l'imperatore sulla "difensiva" e per
alleggerire la propria situazione ritira gli ordini di sequestro e carcerazione verso i
genovesi.
L'Imperatore riesce però a capovolgere la situazione e allestito un esercito, sconfigge
le città alleate. I ghibellini risollevati dalla notizia della vittoria, si riorganizzano
e a Genova colgono l'occasione dell'elezione di un nuovo Podestà milanese per scatenare
la guerra civile. Le sommosse cittadine e le rivolte delle riviere come già successo in
passato vengono sedate con la forza.
Nell'intento di coprirsi le spalle, per proseguire la campagna italiana, Federico II
propone la pace ed ottiene la fedeltà di Genova. Le pretese imperiali però aumentano
giungendo fino alla richiesta di "dominazione". Le minacce spingono i ghibellini
a proporre la sottomissione ma il parlamento radunato in Duomo rifiuta categoricamente.
Nel 1239 il Pontefice scomunica l'Imperatore e organizza con Genova e Venezia una lega
difensiva per nove anni.
Subdolamente l'Imperatore inizia una campagna "sommersa" di rivolte, promesse e
aiuti per far sollevare le Riviere. Genova in risposta alla minaccia affida a Rosso della
Turca e Fulcone Guercio le otto Compagne. La minaccia si concretizza con Guglielmo Spinola
che con le sue forze marcia sulla città. Lo scontro si accende sui monti e prosegue nel
centro abitato. Il Parlamento convocato sulla questione condanna alcuni nobili accusati di
aver organizzato le sommosse, tra di essi spiccano alcuni esponenti delle famiglie Spinola
e della Volta. Alcuni palazzi di proprietà dei condannati vengono saccheggiati. Il
giuramento di obbedienza e l'intercessione Vescovile permettono il ritiro delle condanne.
Per opporsi efficacemente all'Imperatore, Genova con Milano e Piacenza si uniscono in una
lega difensiva. Il vicario imperiale viene cacciato e le forze congiunte
tedesco-alessandrine vengono sconfitte.
Viene indetto un concilio papale contro Federico II. Viene costituita una scorta di 20
galee per i prelati radunati a Nizza e diretti a Roma. La rotta prevede scali intermedi a
Genova e Civitavecchia. L'Imperatore fomenta i pisani a intercettare il convoglio. Alcune
congiure ghibelline vengono scoperte e i responsabili vengono condannati a morte. Le pene
capitali vengono poi tramutate in: detenzione, esilio, distruzione dei palazzi. La flotta
genovese viene sorpresa il 13/05/1241 presso l'isola del Giglio, la sproporzione 40 pisane
più 20 imperiali contro le sole 20 genovesi si tramuta in una cocente quanto scontata
sconfitta. A rendere più pesante la sconfitta è il fatto che al comando della flotta
nemica sono due genovesi Ansaldo de Mari ed il figlio Andreolo. Vengono armate due flotte
di 53 e 70 galee e subito inviate ad intercettare gli imperiali ed i traditori.
L'intercettazione è vana a causa della fuga dei nemici non disposti a dare battaglia.
Mentre Genova affronta l'incandescente scenario internazionale che coinvolge tutta la
penisola, anche la situazione interna e lungo i confini liguri si accende.
Nel 1233 l'esercito genovese viene sconfitto dai rivoltosi della Riviera di Ponente, già
nel 1234 l'esercito vendica l'affronto dell'anno precedente.
Nel 1237 i Tortonesi intenzionati a costruire un castello ad Arquata vengono battuti dalle
forze guidate dal Podestà.
Il 05 aprile 1236 una nuova rivolta di Savona, Albenga e Ventimiglia porta alla cacciata
dei genovesi. 14 galee vengono inviate a sottomettere con successo le città ribelli. Il
capo della rivolta savonese viene impiccato a Capo Faro. Una nuova rivolta delle solite
città ponentine e degli imperiali costringe Genova ad inviare 12 galee a capo di Fulcone
Guercio. La spedizione alterna vittorie e sconfitte (Porto Maurizio) fino all'occupazione
di Ventimiglia. Noli viene ripagata per la fedeltà con l'elevazione al rango di Città e
sede Vescovile autonoma da Savona.
Il dono (1240) del castello di Albenga da parte del Vescovo della città a Genova, scatena
una violenta battaglia per terra e per mare. Lantelmo de Medici e Giacomo Gattilusio
guidano il contingente terrestre. Rosso della Turca e Marino de Marini comandano la
flotta.
Una nuova guerra contrappone Genova ai Marchesi del Carretto. Il Vicario Imperiale mette
al bando Genova e Noli.
A dicembre del 1240 il Podestà parte guida una spedizione, per terra e per mare, contro
Savona divenuta sede dei ghibellini genovesi fuoriusciti. Installa la propria base a
Varazze e il 16 attacca Monticello dovendo però ritirarsi. Anche la seconda spedizione
del 2/1241 si tramuta in una sconfitta.
Dopo il fallimento del Concilio anti-imperiale, conseguenza della disfatta navale genovese
all'isola del Giglio, Federico II decide di affrontare definitaivamente Genova. La
strategia prevede un accerchiamento di Genova. Levante: il Vicario Oberto Pallavicino con
un esercito composito. Ovada: il Vicario Marino d'Eboli con un esercito composito (Pavia,
Acqui, Alba, Alessandria, Monferrato, Novara, Tortona, Vercelli, ). Ponente: esercito
composito (Albenga, Finale, Marchesato del Carretto, Savona). Mare: Ansaldo de Mari con
flotta composita (Imperiali, Pisa, Savona) danneggia il commercio marittimo senza però
affrontare la flotta genovese e tenta lo sbarco ad Arenzano. La situazione degenera, viene
perso il Castello di Segno, ed il Castello di Portovenere, Levanto viene assediata e la
Val Polcevera messa al sacco. Le forze genovesi impegnate ad assediare Savona ripiegano su
Genova per prevenire lo sbarco di Ansaldo de Mari.
Nel 1243 Sinibaldo Fieschi diviene Papa Innocenzo IV e tenta la mediazione con
l'Imperatore. Federico II promette senza mantenere le promesse e assedia il Pontefice a
Sutri dove ha trovato rifugio. Il Podestà Filippo Vicedomini parte con 22 galee per
Civitavecchia dove imbarca il Pontefice fuggito da Sutri il 27/6/1244. Il 7/7/1244
Innocenzo IV viene trionfalmente accolto a Genova. Giunto a Lione via terra sempre
scortato dai genovesi scomunica l'Imperatore lo dichiara decaduto e scioglie i giuramenti
di fedeltà. L'Imperatore incita nuovamente Pisa ed i ghibellini alla guerra contro
Genova. Il Podestà Alberto di Mondello arruola un grosso esercito, una nutrita flotta ed
affronta i ghibellini. Vengono anche inviati 500 balestrieri a difendere Parma dalla quale
una controffensiva distrugge il campo degli assedianti. A Bologna viene catturato Re Enzo.
A risolvere positivamente la situazione arriva la notizia del decesso di Federico II il
13/12/1250.
Per festeggiare gli eventi, viene rielaborato lo stemma cittadino inserendo tra gli
artigli del Grifo l'aquila imperiale e la volpe pisana:GRYPHUS UT HAS ANGIT, SIC
HOSTES JANUA FRANGIT .I ghibellini accusano il colpo.
Il Podestà Menabò di Torricello raduna un nuovo esercito e marcia su Savona. Il giorno
12/12/1250 presso la spiaggia di Varazze, i rappresentanti di Albenga, del Carretto e
Savona capitolano e giurano i nuovi patti.
Il Pontefice scomunica il nuovo Imperatore e perdona i ribelli. Volendo prolungare la
pace/alleanza con Genova, Venezia invia due ambasciatori. Dopo lo scambio diplomatico, due
ambasciatori a Venezia, vengono firmati i trattati decennali a Portovenere 1251.
Raggiunta la pace con quasi tutte le nazioni ostili, rimane aperta il solo conflitto
latente con Pisa (guerra corsara). Viene riportato il danneggiamento di una flotta pisana
a causa del maltempo al largo di Genova. Alla proposta di pace pisana viene viene
controfferta la restituzione di Lerici. La richiesta viene rifiutata da Pisa.
Contro Pisa si coalizzano Genova, Lucca, Firenze e San Miniato. La coalizione ottiene
subito delle importanti vittorie. Truppe lucchesi battono i pisani, forze fiorentine
saccheggiano i territori pisani. Una mediazione fiorentina del 10/8/1254 confermata
11/12/1254 pone Lerici sotto Genova ma il rifiuto pisano vanifica lo sforzo diplomatico.
Firenze e Lucca attaccano e vincono a Serchio, Genova con l'esercito e 80 galee prendono
Lerici. Anche in Sardegna la situazione volta al peggio per Pisa, nel 1256 il Giudice di
Cagliari dona castello Castro a Genova. La spedizione pisana viene contrastata
efficacemente dalle galee genovesi che portano le navi catturate a Genova. 24 galee
genovesi puntano su Porto Pisano e poi fanno rotta per la Sardegna. La morte del Giudice
di Cagliari porta forzatamente il suo giudicato sotto quello di Arborea filo pisana. Una
nuova mediazione fiorentina assegna Lerici e Cagliari (come da volontà testamentali) a
Genova. Come già dimostrato negli anni precedenti, Pisa non rispetta la mediazione e il
conflitto prosegue.
Nel 1257 ha inizio la seconda grande riforma dello stato genovese dopo la nascita delle
compagne.
Il processo riformatore ha come causa scatenante la fine del mandato del Podestà Filippo
della Torre. Accusato di corruzione ed altri gravi reati, rischia il linciaggio da parte
della folla inferocita.
Succede alla massima carica cittadina il nuovo Podestà Alberto Malavolta. Il tentativo di
linciaggio del predecessore degenera in rivolta, non sembra irrazionale pensare che la
rivoluzione popolare sia invece orchestrata da importanti esponenti dell'oligarchia
genovese.
I rivoltosi radunatisi in San Siro eleggono Guglielmo Boccanegra Capitano del Popolo. Il
giorno seguente l'elezione, non ufficiale, viene confermata in Duomo.
G. Boccanegra era ricco ma non apparteneva alla nobiltà e cosa più importante era ben
visto dal popolo. L'investitura ufficiale a Capitano del Popolo non è l'unico atto
compiuto in Duomo. Viene decisa la conferma del Podestà subordinato al Capitano del
Popolo. La riduzione di autorità non viene accettata dall'interessato e si dimiette. La
carica viene sdoppiata e le competenze mutate in campo giudiziario civile e criminale.
Dopo un anno vengono nuovamente riunificate. Il potere legislativo e riformativo viene
assegnato a 32 Anziani eletti in ragione di 4 per compagna.
La riforma definitiva porta all'istituzione di un Maggior Consiglio costituito da: 200
eletti tra i consoli dei mestieri, 30 anziani, 8 nobili, il Podestà ed il Capitano del
Popolo. Questa assemblea privata dei 200 rappresentanti dei mestieri prende il nome di
Minor Consiglio.
G. Boccanegra ricompone le vertenze con Ventimiglia e un anno dopo ripiana le divergenze
con Dolceacqua.
Lo stile del Capitano del Popolo nel gestire la "cosa pubblica" ne aliena le
simpatie popolari. In data 1/3/1258 viene sventato un colpo di stato, seguono numerose
condanne e fughe dei cospiratori. Dopo il complotto G. Boccanegra cerca di consolidare la
propria posizione accrescendo i propri poteri. Trasferisce la propria sede nel Palazzo di
Opizzo Fieschi in Piazza S. Lorenzo.
Innocenzo IV intenzionato ad organizzare una nuova crociata basata sulle forze di Genova,
Pisa e Venezia, ne convoca i rappresentanti per riappacificare le divergenze. I progetti
pontifici vengono vanificati da alcuni tumulti scoppiati nelle colonie tra genovesi e
veneziani.
Scoppia la guerra tra Genova e Venezia. Lorenzo Tiepolo per i veneziani "accende le
polveri" attaccando e devastando la colonia genovese di Acri. Tra le perdite vengono
registrate molte navi e anche la chiesa. Pisa già in conflitto con Genova si allea con
Venezia. Rosso della Torre partito per Acri con 29 navi, il 23/6/1258 viene sconfitto da
80 galee veneziane. Il quartiere genovese viene selvaggiamente saccheggiato dai veneziani.
Lucca fedele alleata di Genova, dona alla Repubblica una notevole somma di denaro. Genova
ringrazia per il generoso gesto ma restituisce la somma.
Mentre la situazione sembra diventare critica per Genova, il legittimo pretendente al
trono di Costantinopoli Michele Paleologo chiede aiuto alla Repubblica per poter liberare
il proprio impero dagli occupanti "latini". Genova vede nell'alleanza la
possibilità di limitare notevolmente l'influenza veneziana nell'area orientale e quindi
danneggiare considerevolmente gli interessi economici vitali per Venezia. Guglielmo
Visconte e Guarnieri Giudice ambasciatori per la Repubblica, vengono celermente inviati a
Ninfeo per prendere accordi. Il 31/3/1261 viene firmata la Convenzione di Ninfeo
ratificata a Genova il 28/4. Genova contribuisce all'alleanza con denaro ed una flotta
composta da 6 navi e 10 galee guidata da Martino Boccanegra. In cambio vengono
riconosciuti diritti su vari territori e privilegi economici. Particolare molto importante
è che ai notevoli guadagni genovesi corrispondono ingenti perdite veneziane.
La notte del 25/7/1261 Alessio Strategopulo occupa con un colpo di mano Costantinopoli per
conto dell'Alleanza, costringendo l'imperatore illegittimo Baldovino II a fuggire scortato
dalla flotta veneta.
Venezia organizza subito una spedizione via mare per cacciare Paleologo da Costantinopoli.
Martino Boccanegra riesce a sconfiggere la flotta veneziana. La Repubblica di San Marco
perde i possedimenti nell'area e i privilegi commerciali a tutto vantaggio di Genova. Ad
ulteriore danno Venezia si vede negato il diritto a commerciare sul territorio imperiale.
Insediatisi nella capitale, i genovesi si vendicano delle distruzioni subite nelle
colonie. Il 28/5/1263 circa 40 galee agli ordini di Pierino Grimaldi, Paschetto Mallone e
Ottone Vento danno battaglia a circa 30 galee venete in rotta verso Negroponte. Mentre la
battaglia volge al meglio per i genovesi, l'inaspettata defezione di 25 galee di Mallone
pone i genovesi in minoranza numerica. Nonostante l'esemplare condotta di P. Grimaldi
(caduto in battaglia) la flotta è costretta a riaparare in porto e poi a Costantinopoli
con le ritrovate navi di Mallone.
I rapporti tra Genova e l'imperatore si raffreddano anche a causa di una presunta congiura
personale del Podestà genovese a Costantinopoli. Espulsi dalla capitale tutti gli
europei, l'imperatore raggiunge un accordo con i veneziani riammettendoli sul territorio
nazionale.
La Repubblica affida a Simone Grillo una flotta. Mentre una piccola avanguardia punta su
Costantinopoli, il resto intercetta i veneziani nel porto di Durazzo e li sconfigge.
Solo la mediazione pontificia e francese riesce, dopo alcuni anni, a comporre una tregua
tra gli avversari. Franceschino de Camilla, nel 1267, ottiene anche il ritorno dei
genovesi a Costantinopoli.
Di fondamentale interesse nella storia di Genova è la battaglia della Meloria che
sancisce la definitiva sconfitta di Pisa e il conseguente predominio marittimo della
città ligure. Come sappiamo i rapporti tra genovesi e pisani non erano mai stati
idilliaci e non c'era occasione per provocare piccoli scontri che spesso si tramutavano in
violente battaglie. Nel 1282, il pretesto arrivò da un certo Simoncello Giudice di
Cinarca, un corso battuto dai genovesi nelle acque antistanti l'isola, che dopo la
sconfitta si rifugiò a Pisa sostenendo di essere stato attaccato impunemente e senza
motivo dalle galee di Genova.
I pisani si prepararono alla battaglia con un odio feroce verso i genovesi, dicendo che
"in mare li aveano come femmine e in ogni parte li soperchiavano".
Anche i genovesi si prepararono alla guerra. A Sampierdarena furono allestite cinquanta
galee, tutte le navi in navigazione furono allertate per lo stato di guerra e a tutti gli
uomini fu ordinato di non lasciare la città. Le battaglie navali cominciarono a
susseguirsi a ritmo frenetico: un po' l'una, un po' l'altra fazione riusciva a vincere lo
scontro, ma nessuna delle due aveva mai il sopravvento.
Ma nel 1284 i pisani cominciarono a subire sonore sconfitte. Le galee genovesi affondavano
inesorabilmente quelle avversarie e facevano prigionieri a migliaia. Si dice addirittura
che ad un certo punto del conflitto Genova offrisse i prigionieri pisani in cambio di
cipolle!
Il 6 Agosto 1284, avvenne lo scontro fatale, ecco come lo racconta Michelangelo Dolcino,
nel suo libro "Storia di Genova nei secoli":
"I combattimenti furono subito convulsi, sanguinosissimi. I Pisani si batterono con
eccezionale accanimento, confidando nella superiorità numerica; ma quando il vigore
cominciò ad essere offuscato dalla fatica, emersero dalla Meloria, dal riparo della punta
di Montenero, i legni sin'allora risparmiati dello Zaccaria. I Pisani raddoppiarono a
quella vista gli sforzi disperati, tuttavia la loro sorte era segnata. Con vero eroismo
difesero la galea ammiraglia, ma alla fine l'insegna del Morosini veniva strappata.
Dovunque cadaveri, feriti urlanti, vinti dibattentisi nei flutti; e quanti tentavano di
inerpicarsi sulle fiancate delle galee, venivano finiti a colpi di remo. Cinquemila
persone, fu calcolato, complessivamente persero la vita. Soltanto venti unità pisane si
salvarono: quelle che il Conte Ugolino, cogliendo l'ultima possibilità, fece riparare a
Pisa. La sconfiffa non poteva essere più completa. Morosini stesso, «turpemente ferito
nel volto» - come narrano gli «Annali» - finì prigioniero di Oberto Doria: uno dei
novemila che verranno condotti a Genova, assieme a ventinove galee. «E nella battaglia fu
anco preso il detto Conte Loto, figlio del Conte Ugolino e tutta la nobiltà di Pisa e i
giudici in numero di diciassette (. . . ) così che chi volesse cercare o vedere Pisa
l'avrebbe trovata in Genova e non nella città Pisana, come da tutti in Toscana e anco
dagli altri si andava dicendo». La battaglia s'era svolta il 6 agosto: il giorno di San
Sisto, protettore di Pisa. Quel giorno non si svolse laggiù la celebrazione
dell'anniversario di Mehdia; a Genova, in compenso - leggiamo nel Giustiniani - fu
ordinato «che si portasse ogni anno ai sei agosto per li rettori della città e per il
popolo un pallio di broccato d'oro con l'offerta di cera alla chiesa di San Sisto». Fu
quello lo scontro navale più importante del Medio Evo; ma anche, come scrisse Gavotti, il
«modello di battaglia differente da ogni altro precedente (. . .) il cui esito era dovuto
non piu' alla sola esplicazione di maggior resistenza o alla superiorità del numero e
delle armi, ma anche e più ancora al genio tattico del capitano».
Dunque fu la battaglia della Meloria il punto decisivo a favore dei genovesi nella guerra
con Pisa, anche se ancora per molti anni si continuò a guerreggiare nelle acque del
Mediterraneo. La pace venne firmata nel 1288, con condizioni durissime per Pisa. La città
toscana doveva rinunciare alla Corsica, ai possedimenti in Sardegna, alla colonia di San
Giovanni d'Acri e inoltre dovevano versare un'indennità enorme per la quale venne ceduta
in garanzia l'isola d'Elba. I pisani però non tennero fede agli impegni presi e
decretarono la loro fine obbligando i genovesi ad attaccare la loro città nel 1290. I
genovesi via mare arrivarono a Porto Pisano, mentre i loro alleati lucchesi arrivavano via
terra: per Pisa fu una tragedia. L'ultimo capitolo della storia di una gloriosa repubblica
marinara.
Dopo la schiacciante vittoria contro Pisa, rimaneva solo Venezia a contrastare la potenza
genovese nel Mediterraneo. Per il mondo occidentale erano molto importanti i traffici
verso il Mar Nero, la Persia, il Turkestan, la Cina: il leggendario Catai.
Tra Genova e Venezia esisteva una vecchia tregua stipulata nel 1270, ma a partire dal 1291
i rapporti tra le due città marinare cominciarono a non essere più molto buoni. Le
ostilità cominciarono comunque due anni dopo, quando sette navi di mercanti genovesi si
scontrarono con quattro galee veneziane. Immediatamente da Genova partirono degli
ambasciatori per risolvere per vie diplomatiche la questione, ma non fu possibile trovare
un accordo e, di conseguenza, cominciò il conflitto.
Iniziarono così le corse agli armamenti e le battaglie navali continuarono a ritmo
frenetico. Come già era accaduto con Pisa, le vittorie e le ripicche tra l'una e l'altra
fazione, vedevano vincitori e vinti divisi equamente.
Una tappa fondamentale nella guerra contro Venezia è sicuramente la battaglia di Curzola.
Questo è il racconto di Michelangelo Dolcino:
"L'urto decisivo si ebbe nel settembre del '98. Nuovo Ammiraglio genovese era Lamba
Doria, che sostituiva come Capitano del Popolo il nipote Corrado, andato in Sicilia a
guidare la flotta di Federico contro quella di Ruggero di Lauria. Settantotto galee
lasciarono il porto nella seconda metà di agosto. Costeggiarono dapprima l'Epiro, poi
risalirono l'Adriatico, infestando le coste dalmate: presso Curzola incontrarono le
novantotto galee di Andrea Dandolo. Il Doria temporeggiò, per studiare lo schieramento
del nemico e il gioco dei venti, tanto che da parte avversaria si pensò a paura, ma alla
fine affrontò la battaglia. Era l'alba dell'8 settembre 1298. Lamba si portò dapprima
molto vicino alla costa: in tal modo non doveva temere d'essere circondato, ma anche -
profittando del vento spirante da terra - potè piombare sui Veneziani. La linea arcuata
di questi fu infranta e le navi nostre che avevano operato lo sfondamento, invertita
prontamente la rotta, presero in mezzo la parte centrale dello schieramento già
scompaginato. Infine l'Ammiraglio genovese scagliò nella lotta quindici galee tenute in
disparte sino a quel momento - e ciò ricorda lo stratagemma della Meloria - forse
allontanate sin dalla sera precedente. La sconfitta dei Veneziani era disastrosa, per
quanto avessero combattuto ai limiti del sublime, come del resto i nostri. «Un figlio
dell'ammiraglio genovese venne ucciso mentre valorosamente pugnava, e il padre, quale un
romano antico, baciato il cadavere della sua creatura, lo lanciava in mare: perchè quel
corpo ingombrava il ponte, e peraltro nessun'altra sepoltura poteva essere più degna. Tra
i prigionieri fatti dai Genovesi era lo stesso Ammiraglio vinto: «Andrea Dandolo, non
potendo reggere alla vergogna di tale disfatta, battendo del capo contro l'albero della
galera che lo conduceva prigioniero, si uccise». I due brani citati sono del Donaver,
incline a riprendere tutto ciò che è drammatico ed edificante. In realtà, il primo
episodio è definito «affatto insussistente» dal Vitale, mentre per la morte del Dandolo
numerose sono le versioni: più probabile che cadesse nella battaglia stessa. Il rovescio
veneziano fu veramente di proporzioni maiuscole; ottantaquattro navi perdute, delle quali
diciotto condotte a Genova; settemila i caduti - per altri novemila - cui si devono
aggiungere i settemilacinquecento prigionieri. «Dei Genovesi non si danno cifre - scrive
De Negri - ma si parla di un numero anche maggiore di vittime in una battaglia che ebbe
alterne vicende e fu combattuta fino allo stremo». . . La vittoria permetteva comunque a
Genova di raggiungere l'apogeo della potenza: «la più ricca e ridottata città -
affermava il fiorentino Giovanni Villani- che fosse nelle terre sì dei cristiani che dei
saraceni». Tra i prigionieri che avevano raggiunto quelli pisani ancora presenti, uno ve
n'era di particolare importanza: messer Marco Polo, autore del celebre "Il
Milione", prima diffusa descrizione dell'Asia e delle civiltà dell'Estremo
Oriente."
Dopo la vittoria di Curzola a Lamba Doria venne donato un palazzo in San Matteo, mentre
Venezia, a differenza di quello che aveva fatto Pisa, riprese ad armarsi diventando ancora
più agguerrita, visto che era riuscita anche ad allearsi con i guelfi genovesi
insediatisi a Monaco. Ci volle l'intervento di Bonifacio VIII per imporre la pace, che
venne firmata a Milano nel Maggio del 1299.
La pace con Venezia non servì molto ai genovesi, visto che le lotte interne divennero
sempre più accese.
Come tutte le grandi città europee dell'epoca, anche Genova aveva le sue belle gatte da
pelare a causa delle continue lotte tra le celebri fazioni politiche di quel tempo: i
Guelfi e i Ghibellini.
Ma chi erano i Guelfi e chi i Ghibellini? Ecco come ce li descrive Vittorio Giunciuglio
nel suo libro "Un ebreo chiamato Cristoforo Colombo": "Generalmente,
abbiamo una idea vaga su questa tremenda lotta, durata secoli tra papato ed impero, che
portò tante guerre e tanti lutti in Europa, senza che ce ne siamo resi del tutto conto.
Per capire come veramente si svolsero i fatti, cominciamo dall'inizio. I due termini
nacquero in Germania, dopo la morte di Enrico V, imperatore del Sacro Romano Impero,
avvenuta nell 1125. Scoppiò una furibonda lotta per la successione, tra il legittimo
Corrado II Duca di Svevia (attuale Baviera) con castello a Wibelingen (Ghibellino) ed
Enrico, Duca di Sassonia, con castello a Welf (Guelfo), il quale era appoggiato dalla
Chiesa. Si formarono così due partiti politici, trasferitisi poi anche in Italia: il
partito guelfo favorevole al papato e quello ghibellino all'imperatore, con i due duchi
come primi leader. In seguito, a ordire le trame occulte nei secoli furono: il cancelliere
della Chiesa (oggi Segretario di Stato) per il papato e l'arcivescovo di Magonza o di
Colonia per l'imperatore."
Quindi ci è facile capire che i Guelfi erano vicini al Papato, cioè favorevoli al potere
della Chiesa nel governo delle città stato, mentre i Ghibellini erano sostenitori della
causa imperiale. A Genova le maggiori famiglie erano ghibelline (Doria, Spinola, De Mari,
Centurione, ecc.), mentre quelle guelfe, pur in numero minore, non erano meno combattive
(Fieschi, Grimaldi, Fregoso, ecc.).
Durante uno dei vari attacchi compiuti in San Matteo dai Guelfi, il palazzo ritratto qui a
fianco, donato a Lamba Doria dopo la vittoria di Curzola, fu preso a sassate e fortemente
danneggiato.
Ma questo fu solo uno degli innumerevoli episodi accaduti in quegli anni. Più celebre è
quello avvenuto il 18 Giugno 1318, che rischiò di distruggere quello che ancor oggi è il
simbolo della città di Genova: la Lanterna.
Alcuni guelfi si erano asseragliati all'interno dell'alto faro e da lì colpivano i nemici
ghibellini che li assediavano. Erano già due mesi che la situazione non si sbloccava,
allora i ghibellini presero una drastica decisione: «fecero sotto di lei, dalla parte di
occidente e infrangendo la roccia, certe escavazioni e fosse mirabili». Erano risoluti,
insomma, a far crollare tutto quanto. I difensori capirono che la resistenza diventava
impossibile: era il 18 giugno quando, avuta garanzia d'incolumità, lasciarono la Lanterna
e raggiunsero la città; ma i loro guai maggiori cominciarono proprio allora. «Essi, ch
'erano stati i custodi della Torre, furono presi e, condotti di poi ai capitani, al
podestà e all'abate del popolo, furono messi al più duro ed aspro tormento, e da molte
voci si gridava: «Muoiano! Muoiano!», che li credevano traditori. Onde per giudizio del
medesimo podestà sette in numero, com 'erano, morirono (forse per aver confessato il
contrario del vero nella massima tortura del cavalletto) della seguente morte. Quattro di
loro furono gittati come pietre dalla macchina che in lingua volgare dicesi il trabocco, e
ch 'era postata in San Tommaso; i tre altri parimente scagliati dall'altra macchina che si
teneva in Santo Stefano»
Come possiamo vedere, in quel tempo, le lotte politiche erano ancora più aspre di quelle
attuali e, invece di fare tanti discorsi, si preferivano i fatti. Purtroppo il fatto più
abituale e scontato era la morte degli avversari.
Una delle famiglie guelfe più fortunate fu quella dei Grimaldi che per sfuggire all'ira
dei ghibellini si rifugiò sulla rocca di Monaco. Da lì nacque uno dei principati più
ricchi del mondo, ancor oggi feudo della famiglia Grimaldi. Quindi oltre alla morte e alla
distruzione c'era anche chi trovava la buona sorte.
GENOVA TRA LANNO 1300 ED IL 1400: LE GUERRE CON VENEZIA
Dopo Curzola, le scaramucce in mare tra genovesi e veneziani non erano mai cessate, anche
perchè gli interessi economici che le due Repubbliche avevano nel Mediterraneo erano
enormi e nessuna delle due voleva cedere lo scettro del potere all'altra.
Iniziamo la storia dell'ultimo conflitto nel periodo del dogato di Nicolò Guarco,
succeduto ad Antoniotto Adorno (uno dei celebri Dogi durati un solo giorno). Il Guarco
nominò Luciano Doria Ammiraglio e questi con una flotta composta da ventidue galee fece
rotta verso l'Adriatico. Dopo aver passato l'inverno ad osservare il nemico, rischiando di
far morire di fame gli equipaggi, con l'arrivo della buona stagione il Doria dispose la
sua flotta di fronte a Pola, come ad invitare gli avversari ad uscire in mare aperto. Poi,
con la solita tecnica già usata alla Meloria e a Curzola, nascose alcune navi dietro il
promontorio della città istriana, mentre le altre prendevano il largo come per sfuggire
all'avversario. Il comandante veneziano, Vettor Pisani, cadde nel tranello mandando le sue
galee all'inseguimento di quelle genovesi. Quando i legni veneziani si trovarono in mare
aperto le navi genovesi fecero dietro-front e quelle nascoste si posero dietro alla flotta
veneziana. Fu uno scontro terrificante con perdite da entrambe le parti, ma la vittoria fu
degli astuti genovesi.
«E' la vittoria di Luciano Doria. - scrisse Pescio - L'ammiraglio, all'arrembaggio, vibra
con la scure rossa gli ultimi colpi tremendi. Delle navi veneziane, unica, resiste ancora
quella di Donato Zeno, che ha per anima il dolore e il valore di Vettor Pisani. E' questa
superba, che vuole vinta, il Genovese! Con la sua nave l'abborda, l'investe, la tempesta
di colpi, rovinandola, insanguinandola tutta. Oramai non potra più resistere. Con trepida
mano, l'eroe alza la visiera e mostra alla sua gente il maschio viso trasfigurato. - San
Zorzo! Vittoria! Vittoria!. . . - Un nuovo grido si spegne gorgogliando nel sangue.
Luciano Doria cade colla bocca squarciata. Una spada brilla di gioia e va sollecita a
cercargli il cuore: la spada di Donato Zeno!"
L'eco della vittoria giunse a Genova pochi giorni dopo; purtroppo la gioia fu affievolita
dalla notizia della morte del valoroso ammiraglio.
La flotta fu affidata a Pietro Doria che riuscì a vincere altre battaglie contro i
veneziani, ma la fase favorevole ai genovesi stava per concludersi. Il naviglio genovese
era ormai da tempo stabile nelle acque prospicienti Venezia, avendo conquistato Chioggia,
ma questo a lungo andare invece di essere un vantaggio si dimostrò uno svantaggio, tanto
da far divenire i genovesi da assedianti ad assediati. Infatti a Chioggia le navi liguri
si videro strette nella morsa della flotta veneziana. Lo stesso Ammiraglio Pietro Doria vi
trovò la morte colpito da una palla lanciata da una bocca da fuoco, una delle prime
utilizzate in Italia. L'assedio durò più di sei mesi e provoco altissime perdite: i
genovesi nascosti a Chioggia chiesero di scendere a patti con i veneziani, che accettarono
esigendo però la resa incondizionata dei quattromila genovesi, che finirono prigionieri.
I veneziani cacciarono tutte le navi liguri dall'Adriatico, spingendosi anche nel Mar
Tirreno per far capire la loro forza. Dopo tanti anni la pace fu firmata il 23 Agosto
1380.
Ecco cosa dice il Vitale: "Genova esce dalla grande prova senza danno immediato, ma
agisce contro il suo stesso interesse. La minacciosa avanzata dei Turchi, infatti, mette
in pericolo non soltanto l'Impero Bizantino, ridotto a ben poca cosa, ma anche le colonie:
invano qualche spirito piu' accorto avverte che è pericolosa illusione fidarsi dei
momentanei accordi con l'invasore, e che il vero interesse della Genova d'oltre mare è
nell'esistenza e nella prosperità dell'Impero di Costantinopoli"
E questa è invece la testimonianza di De Negri: "Comunque, la lotta per la
supremazia mediterranea tra Genova e Venezia non doveva più rinnovarsi: non perchè le
due contendenti siano capaci di una generosa rinuncia, ma perchè verrà meno l'oggetto
stesso della contesa (. . .) Col che non saranno peraltro finite le due Repubbliche
rimaste sulla breccia; perchè Venezia avrà allora già incominciato la sua nuova
missione di potenza territoriale italiana (. . .); mentre Genova cui, per ragioni
geo-topografiche che già conosciamo, è preclusa la possibilità di costituirsi un
dominio di terra ferma più profondo e più solido, (. . .) guarderà l'Occidente con le
sue tradizionali e solide energie mercantili e marinare, non meno intensificando e
rinnovando la sua penetrazione economica-finanziaria nel cuore stesso delle grandi potenze
dell'Occidente europeo".
UN GIUSTINIANI CONTRO GENOVA DURANTE LA GUERRA DI CHIOGGIA TRA LE DUE REPUBBLICHE
(1378-1381) ((Quando sei galee veneziane affondarono nel Golfo di Manfredonia di Maria Teresa Valente
La posizione strategica di Manfredonia ha reso il nostro golfo per millenni un importante punto di arrivo e di partenza. Qui giunsero i Dauni per poi colonizzare la Capitanata, qui approdò Diomede, qui arrivarono i romani e nei secoli fu un approdo di fondamentale importanza per re, regine, principi, duchi, contesse, imperatori e persino papi. Ma il golfo di Manfredonia fu anche teatro di innumerevoli battaglie.
Nel Trecento la nostra città, importante scalo per il commercio del frumento, divenne protagonista (suo malgrado) della guerra di Chioggia tra le repubbliche marinare di Genova e di Venezia che ebbe luogo tra il 1378 ed il 1381. I genovesi nel 1380 avevano conquistato numerose isole della laguna veneziana, oltre a Chioggia, e minacciavano la stessa Venezia. Il valoroso ammiraglio Vettor Pisani era stato fatto arrestare per ‘incuria’ dallo stesso doge, e il governo veneziano, che si trovava in una fase disperata e delicata, nominò
Taddeo Giustiniani a capo della flotta.
Ecco dunque, per una serie di vicissitudini, mosse tattiche, tempeste e fughe, che il Giustiniani giunse a Manfredonia con sei galee. Qui scoprì di avere alle ‘calcagna’ ben venti galee genovesi. L’ammiraglio veneziano “non potendo tentare un combattimento tanto dispari, affondò le sue galee, fece scaricare i bastimenti da trasporto, mise gli equipaggi a terra dietro a ripari costrutti all’infretta. Ma il nemico gli espugnò: Giustiniani fu preso, e i veneziani avanzati alla pugna dovevano attraversare per terra tutta l’Italia per riguadagnare il loro paese”.
Dunque, scaricata la merce (il frumento) e messo al riparo l’equipaggio, pur di non far cadere le navi in mano ai nemici, Taddeo Giustiniani decise di affondare le sei navi proprio dinanzi a Manfredonia. E poi da qui con la sua ‘ciurma’ tornò via terra a Venezia. Una curiosità: liberato dal carcere a furor di popolo (cosa mai successa prima), l’ammiraglio Vettor Pisani si rimise a capo della flotta veneziana e conseguì importantissime vittorie, ma giunto a Manfredonia fu colpito dalla malaria e qui morì il 13 agosto del 1380.
Intanto, le sei galee veneziane del Trecento si adagiarono sul fondale di Manfredonia. Probabilmente oggi ne sarà rimasto ben poco, ma scoprire cosa nasconde il nostro golfo potrebbe riservare sorprese. E chissà che la Soprintendenza non decida prima o poi di ‘sfogliare’ anche le pagine di storia conservate tra le nostre spumeggianti onde…
Dopo la morte di Vittor Pisani a Manfredonia il 13 agosto del 1380, la guerra tra Genova e Venezia sarebbe continuata ancora per alcuni mesi. Certo, dopo la straordinaria riconquista di Chioggia da parte dei veneziani, il conflitto aveva preso tutt’altra piega. Genova era stata inaspettatamente sconfitta dopo aver avuto fra le mani la possibilità di attaccare e sicuramente conquistare Venezia.
La sensazione di essersi fatti scappare una vittoria tanto facile quanto clamorosa, doveva aver reso ancor più umiliante e frustrante la sconfitta con la resa incondizionata al nemico. E così i genovesi arrivarono sì a Venezia, ma non certo per mettere le briglie ai cavalli bronzei di S.Marco! Caricati su ciò che restava delle loro galee, i 4.500 genovesi potevano infatti ammirare la favolosa magnificenza di Venezia come prigionieri esibiti quali trofei lungo il Canal Grande.
Ad attenderli, terminata l’umiliante sfilata, c’erano le carceri veneziane dove alla fine vennero infatti rinchiusi. Fu in occasione di quella circostanza che si verificò, a detta di molti storici per lo più veneziani, un fatto riguardevole e degno di nota. Ancora una volta le protagoniste furono le donne veneziane che vedendo sfilare i malconci ed abbattuti prigionieri genovesi – i sei mesi di duro assedio dovevano aver segnato drammaticamente i corpi di quegli uomini –, accorsero ad aiutarli e ad assisterli durante tutta la prigionia malgrado la dura guerra che li aveva visti contrapporsi ferocemente alla loro patria. Una guerra che dopo la presa di Chioggia si trascinava sempre più stancamente fra le due repubbliche ormai stremate, in una serie di isolati ed insignificanti scontri.
Carlo Zeno, rimasto solo al comando generale della flotta veneziana, continuava imperterrito le sue operazioni militari contro le navi genovesi dall’Adriatico fino giù nel Peloponneso e da qui fino allo stesso golfo di Genova senza tuttavia ottenere particolari o considerevoli vittorie. Dopo quasi due anni di guerra, effettivamente, tanto Genova quanto Venezia avevano un estremo bisogno di pace per potersi dedicare nuovamente alle normali attività e risollevare le rispettive città dal baratro economico e finanziario in cui la lunga guerra le aveva inevitabilmente sospinte.
E così l’intermediazione fra le due repubbliche rivali del principe Amedeo di Savoia, detto il Conte Verde, venne prontamente accettata dai due governi. La pace venne presto conclusa a Torino nel 1381 e vi parteciparono non solo i rappresentanti di Genova e Venezia, ma anche quelli di tutti gli altri Stati che in qualche modo nel conflitto vi erano entrati: l’Ungheria, Padova, Aquileia.
Le condizioni sancite dal trattato, tuttavia, non si dimostrarono affatto particolarmente favorevoli per Venezia. La Serenissima, del resto, malgrado la vittoria di Chioggia era con Genova una della due parti in causa che aveva mantenuto vivo il conflitto, seppur per difesa il governo veneziano con una decisione assai astuta cercò di prevenire gli avvenimenti mettendo le mani avanti cedendo Treviso ed il suo territorio al duca Leopoldo d’Austria e questo per non correre il rischio in occasione delle trattative di pace di vedere quei territori affidati all’odiatissimo Francesco da Carrara. In fondo, in quel momento, i dominii sulla terraferma erano per i veneziani più un peso che un vantaggio.
Venezia infatti, tornava a guardare con maggior interesse al mare da dove in fondo era venuto ancora una volta il pericolo maggiore. E così il governo veneziano preferì spendersi per recuperare tutti i punti strategici della laguna, anche se si vide costretto a cedere la Dalmazia e l’isola di Tenedo, la remota causa della guerra con Genova, che venne ceduta ad Amedeo di Savoia.
La Dalmazia invece, veniva assegnata inaspettatamente al re d’Ungheria. Quest’ultimo, con il duca d’Austria, si stava rivelando il vero vincitore della situazione, per lo meno dal punto di vista delle acquisizioni territoriali, dal momento che entrambi ottenevano i territori per i quali avevano accettato di combattere contro Venezia. Quanto a Genova e a Venezia, per l’appunto, il trattato di Torino non conferiva loro un bel niente, confermandole sostanzialmente nella medesima situazione in cui si trovavano prima della guerra e forse, almeno per Venezia, con qualcosa di meno. Come se non bastasse si stabilì che le due repubbliche avrebbero continuato l’attività commerciale nel Mediterraneo fianco a fianco.
Tutto dunque, doveva rientrare. Conclusa così la pace anche i prigionieri genovesi potevano finalmente fare ritorno a casa. A tornare erano uomini stanchi e provati dalla durezza del carcere, appena alleggerita dalla generosa assistenza delle donne veneziane che provvidero ora, al momento del rilascio, a fornire ai genovesi il denaro indispensabile per comprarsi dei vestiti e per potersi pagare il viaggio di ritorno. La guerra era veramente finita.
Per Venezia si apriva, malgrado le sfavorevoli condizioni del trattato di pace, un periodo di rapida e straordinaria ripresa economica che nel giro di pochi anni si sarebbe tradotto in conquiste territoriali in quel momento ancora inimmaginabili. Per Genova, al contrario, la guerra di Chioggia rappresentò l’ultima possibilità per affermarsi come unica potenza marittima italiana al posto dell’eterna rivale. E così, per la repubblica ligure, che non riuscì a risollevarsi dalla pesante crisi economica provocata dalla guerra, iniziava un lento, triste declino che l’avrebbe portata ad essere facile preda di diverse bandiere, da quella francese a quella dei Visconti. Genova, dopo due secoli, aveva veramente cessato di rappresentare per Venezia un pericoloso, temibile avversario.
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i "capellazzi", cioè i nuovi signori
della città, borghesi che avevano preso il posto delle famiglie aristocratiche nella
conduzione del dogato, erano continuamente in lotta tra loro per prendere il potere. Tutto
questo, naturalmente, andava a discapito di una stabilità politica che permettesse a
Genova di mantenere quella indipendenza dagli stati sovrani che aveva conquistato fino dai
tempi di Federico I di Svevia e delle prime Crociate.
Accadde, quindi, che, nel 1395, a causa delle diatribe tra le famiglie Montaldo e Adorno
ci fu la prima vera interferenza straniera su Genova, che aveva sempre avuto uno stato
sovrano alle spalle, senza mai diventarne succube. Dicevamo, comunque, che queste due
famiglie si rivolsero agli stranieri per risolvere i loro giochi di potere: i Montaldo
chiesero aiuto ai Signori di Milano, mentre gli Adorno si rivolsero alla Francia.
"Sarebbe però errato - come ha scritto De Negri - voler ridurre il fatto del primo
reale asservimento di Genova a una potenza straniera al gesto inconsulto di un infido
«tiranno» (. .) L'accidens del dominio francese, anzichè sabaudo o visconteo o di
chicchessia, come vedremo, è il frutto delle circostanze contingenti (. . .) A lui spetta
il merito, o il demerito, di una scelta tra i pretendenti - che sono già alle porte al
«protettorato» della Repubblica". Comunque se la colpa dell'avvento francese non fu
dell'Adorno che li chiamò in aiuto, si sa, di certo, che il 4 Novembre 1396 veniva
firmato un trattato nel quale veniva garantita a Genova l'integrità territoriale, il
precedente ordine costituzionale, la libertà religiosa ed altri piccoli diritti, ma, di
fatto, accadeva una cosa terribile per il popolo genovese: lo stendardo di Francia veniva
issato su Palazzo Ducale.
Il 18 Marzo 1397 arrivava il prima vero Governatore francese: Vallerano di Lussemburgo,
Conte di Saint Pol (nell'immagine qui a fianco), che rinunciò ben presto alla carica per
paura della peste. Gli successero i suoi luogotenenti che, però, non riuscirono a
riportare l'ordine tra i genovesi. Le lotte tra guelfi e ghibellini e tra nobili e
"capellazzi" non volevano acquietarsi ed ogni giorno i ciotoli dei vicoli erano
insudiciati dal sangue dei duellanti. Ma sul finire del 1401, giunse in città il nuovo
Governatore Jean Le Mangre Boucicault, chiamato subito dai genovesi "Bucicaldo".
Si dimostrò subito capace ed energico, ma vediamo come racconta la sua storia
Michelangelo Dolcino: "Maresciallo di Francia, gran Conestabile dell'Impero
d'Oriente, fu detto l'ultimo dei grandi paladini medievali. S'era distinto nella difesa di
Costantinopoli dai Turchi, ma prima ancora combattendo nella Prussia Orientale i Tartari
di Russia, e da protagonista aveva vissuto il dramma di Nicopoli, dove con tanti altri
signori era finito prigioniero degli Infedeli. Riscattato, interpretò in buona misura la
successiva spedizione in difesa di Costantinopoli - otto galee genovesi, in nome del
trattato coi Francesi, e altrettante veneziane, a fianco della flotta d'Oltralpe - come
una vendetta personale alle vicissitudini patite. Per una serie di circostanze non si
ebbero i grandiosi effetti sperati, ma egli considerò soltanto rimandata la partita, mai
rinunciando al sogno suggestivo. «Il governo di Genova - leggiamo nel Vitale - non doveva
essere fine a se stesso, ma strumento per fornirgli le navi e i mezzi nella vagheggiata
impresa orientale. Ma questo non era possibile finchè durasse il turbolento disordine
interno. Di qui la ferma severità del suo governo». .
Giunto con mille uomini - contro i venti del suo predecessore - presto condannò a morte
Battista Boccanegra e Battista Luxardo De Franchi, accusati d'usurpazione di potere. Il
primo non ebbe questa volta fortuna, e venne pubblicamente decapitato all'una di notte:
non meno esterrefatto della moltitudine presente, lui che all'arrivo del Governatore gli
si era fatto incontro deferentemente. Gli spettatori urlarono, ondeggiarono, e ciò fu
provvidenziale pel De Franchi, che profittando del momentaneo smarrimento si diede alla
fuga; un po' meno, invece, pel responsabile della sorveglianza, ucciso per ordine
dell'irritato Bucicaldo. Le esecuzioni, del resto, dovevano farsi frequenti. Come per
incanto le fazioni si ridussero al silenzio, e il Governatore proseguì la sua opera. I
parlamenti vennero proibiti, nè consentita la scelta di Vicari, Gonfalonieri Conestabili
fra i Popolari; le Arti dovevano fare a meno dei loro Consoli, e giacchè li elessero
egualmente, questi ultimi finirono in gattabuia. Ad amministrare la giustizia era chiamato
un Podestà dalla Francia, mentre ai cittadini veniva vietato il possesso di armi e la
celebrazione di feste intese a ricordare le passate affermazioni della Repubblica. Si
provvedeva intanto alla costruzione di due torri in Darsena e al rafforzamento del
Castelletto; e tutto questo, e altro ancora, Le Maingre deliberò in nome del Re e non del
popolo genovese, mentre i figli di Francia soppiantavano ovunque le insegne rossocrociate.
Eppure sembra che ad un anno dal suo arrivo inviati genovesi in Francia chiedessero la sua
riconferma, e che allo stipendio dei precedenti Governatori, di lire 8.625,
volontariamente se ne aggiungessero altre 10.000. Lati positivi, senza dubbio, possiamo
riconoscergli. Così, oltre alla pace interna ottenuta con tanto vigore, vanno ricordate
le leggi che portano il suo nome: non provvedimenti personali - già nel marzo dell'anno
1400 una commissione era stata incaricata della raccolta - «ma resi possibili - notò
ancora il Vitale - dal periodo di relativa tranquillità che egli aveva rappresentato».
In vigore dal 7 ottobre 1404, «costituirono la piu' ampia raccolta che Genova abbia
avuto, comprendente in sette libri tutta la materia civile, criminale, economica, di
polizia, nonchè la legislazione sulle arti».
Quindi si può, senza dubbio, affermare che il "Bucicaldo" fu un buon
Governatore (tra l'altro portò a Genova Papa Benedetto XIII) consolidando anche
l'economia genovese, ma le trame di potere non volevano concludersi e, nel 1409, dopo lo
scontro con Teodoro del Monferrato, fu costretto a ritirarsi nel castello di Gavi e da lì
raggiungere la Francia. Ma il Bucicaldo non era uomo da vivere una comoda pensione.
Riprese a guerreggiare, finendo catturato nel 1415 ad Agincourt, morì in prigionia sei
anni dopo.
Veduta dell'isola di Chios del XIV - XV secolo
LE PRIME COLONIE GENOVESI DOLTREMARE
Come già accennato nei precedenti paragrafi, la strategia coloniale genovese non prevede
l'occupazione militare di ampi territori ma mira ad ottenere in concessione alcuni
quartieri delle città commercialmente e strategicamente più importanti. La dottrina
genovese del colonialismo di basso impatto viene dettata dalle mire strettamente
economiche delle famiglie genovesi e dall'impossibilità di proteggere costantemente ampie
aree con le ridotte risorse militari.
Le prime colonie derivano dall'impegno in appoggio alle crociate. Le prime concessioni
vengono ottenute nelle città di: Gerusalemme, Giaffa, Arsuf, Cesarea, Beyrouth, Loadicea,
Acri (1/3 dei proventi del porto), Tripoli (1/3 della città) e Gibelletto
("feudo" degli Embriaci dal 1109 al 1291).
Le crociate mutano i rapporti internazionali tra Costantinopoli e le nazioni cristiane.
Naturalmente le spedizioni volte a liberare la Terra Santa vengono viste di buon occhio
allontanando la minaccia islamica ma, la nascita di nuovi Regni Crociati ai confini
dell'impero porta a privilegiare i rapporti con le Repubbliche Marinare.
Nel 1155 Emanuele Comneno concede un fondaco in Costantinopoli ed alcuni privilegi
economici ai genovesi. I privilegi già nel 1156 non vengono mantenuti, Genova nel 1157 e
nel 1160 sollecita il rispetto dei patti. Finalmente nel 1162 i privilegi vengono
ripristinati e 300 genovesi possono insediarsi nel quartiere di S. Croce. La colonia
continua a crescere e nel 1170 incorpora uno scalo ed un fondaco a "Coparia".
Nel 1186 il tentativo di riprendere i rapporti interrotti tra Costantinopoli e Genova
fallisce.
Solo nell'aprile del 1192 si riesce a raggiungere un accordo con la conferma dei fondaci
concessi. Mentre la comunità genovese "marcia" verso la supremazia commerciale
a Costantinopoli, le attività corsare di alcuni elementi genovesi causano a tutti il
ritiro dei privilegi. Le concessioni vengono nuovamente ottenute probabilmente dopo il
pagamento dei danni causati dai pirati.
Nel 1201 il Regno d'Armenia concede alcuni privilegi e molti quartieri ai mercanti
genovesi. Già nel 1215 le concessioni vengono notevolmente incrementate.
Nel 1202 Innocenzo III organizza una crociata ma, i veneziani ne distorcono lo spirito e
gli obiettivi per motivi esclusivamente politico-economici (interessi economici veneziani
e politici di Isacco Angelo). La crociata parte da Venezia sotto la guida del Doge Enrico
Dandolo, in otto giorni viene occupata Costantinopoli ed insediato come imperatore
Baldovino di Fiandra. Venezia ottiene 1/4 dei territori di tutto l'impero.
L'isola di Candia (Creta) rientra tra i territori assegnati a Venezia nonostante dal 1208
fosse del Conte di Malta Enrico Pescatore di origine genovese. Genova non nega l'appoggio
ad Enrico Pescatore e decide la fornitura di uomini, navi e denari. La risposta veneziana
consiste nell'invio di una flotta comandata da Ranieri Dandolo. La spedizione si risolve
in un insuccesso, la sconfitta viene aggravata dalla cattura del comandante che muore
prigioniero.
Nel 1210 Enrico Pescatore giunto a Genova chiede nuovamente aiuto alla Repubblica che si
propone come mediatrice con Venezia. La via diplomatica viene scartata dai veneziani
costringendo Genova ad appoggiare nuovamente e militarmente il "Conte". Viene
approntato un contingente di 8 galee, 1 galeazza (?), 3 navi, 100 cavalli, denaro, armi
varie e rifornimenti alimentari.
Venezia considera l'iniziativa come un atto di guerra diretto e questa volta riesce a
catturare presso Corfù Leone Vetrano al comando della flottiglia genovese presso Candia.
Alla cattura segue l'impiccagione. Solo nel 1212 Lanfranco Rosso e Oberto Spinola,
recatisi a Venezia, riescono a ricomporre i dissidi tra le due repubbliche pattuendo una
pace triennale.
LINEE GUIDA DELLA STORIA GENOVESE
1339-1528
La tavola dedicata alle Cicladi, nell' Atlas Maior di Jan Blaeu
GENOVA TRA LANNO 1400 ED IL 1500: ANDREA DORIA
Riprendiamo le vicende della città dal 400, che vide lavvicendarsi di
numerosi governi, più o meno efficacemente solleciti della quiete interna, e protetti
vicendevolmente dai Francesi o dagli Spagnoli.
Si arriva con questo scenario, alla crisi del 1506-7 provocata dalle fazioni popolari
cresciute nellultimo secolo decisa a trasformare nelle istituzioni il maggior peso
che era venuta acquistando nella società. Allinterno del popolo si era consolidata
lantica distinzione tra il corpo dei mercanti e quello degli artigiani, il primo
costituito dalle maggiori famiglie della fazione: i Giustiniani, i Fornari, i Sauli, i
Franchi e gli Adorno. Contro luso tradizionale, che attribuiva metà delle
magistrature e degli uffici pubblici alla nobiltà e metà al popolo, i popolari
rivendicarono unuguale distribuzione delle cariche tra nobili, mercanti e artigiani.
Il Mediterraneo nel XV secolo
Come abbiamo accennato nel capitolo precedente, Genova aveva alla fine del XVI secolo
molti pretendenti. Le potenze, sia italiane che straniere, avevano capito quanto fosse
importante quel porto posto nella zona centrale del Mediterraneo e già pronto per i
commerci verso l'Atlantico e con navi e ammiragli abili nelle battaglie.
Dopo un iniziale successo delliniziativa e la fuori uscita delle autorità Francesi
di Luigi XII fiancheggiatrici dellattuale governo di Gian Luigi Fieschi, si giunse
ad un compromesso pacificatore.
Il colpo definitivo lo diede Luigi XII, nel 1502, accolto in città in maniera solenne.
Ma, i genovesi non riuscivano a subire passivamente l'invadente dominio francese e
l'elezione a Doge del tintore Paolo da Novi il 10 Aprile 1507, diede la scintilla alla
rivolta. Purtroppo le cose non andarono troppo bene e a farne le spese fu proprio il
"Doge plebeo". Ecco gli avvenimenti raccontati da Michelangelo Dolcino:
"Le forche e le mannaie tornarono a mostrare la loro macabra ombra, numerosissimi
furono gli arresti, le violenze. Quanto al Doge, riparò in tempo a Pisa, dove contava
numerose amicizie. Di qui sperava di portarsi a Roma presso Giulio II, il Pontefice ligure
tanto ostile ai Francesi, e per questo s'imbarcò sul brigantino del camogliese Corsetto -
o Corzetto - che aveva militato sotto di lui; ma questi per gli 800 ducati della taglia lo
consegnò al Pregent. L'11 giugno Paolo ritornava quindi a Genova, in catene, e dopo
quindici giorni di detenzione in Castelletto fu condotto in vesti cenciose sulla Piazza di
Palazzo Ducale, per l'esecuzione. Il suo corpo sarebbe stato diviso in quattro parti, da
esporre nei diversi quartieri cittadini; la testa doveva finire a sommo della Torre di
Palazzo. Chiese perdono a chi avesse offeso e invitò a pregare per lui; incitò i
popolani a non disunirsi, e anche a non fidarsi troppo dei nobili e dei
"Cappellazzi". Le ultime parole furono però per il Mastro di Giustizia: un
invito a sbrigarsi. Poi s'inginocchiò, mise il capo sul ceppo e tutto finì. Era il 15
giugno 1507. Le aspirazioni delle Cappette s'erano veramente dissolte, e definitivamente
chiusa la loro rivoluzione."
Dopo l'esecuzione di Paolo da Novi, i francesi pensarono bene di rivolgere le loro
attenzioni alla sicurezza del loro dominio, rafforzando il Castelletto e il Castellaccio,
ma, soprattutto, costruendo la celebre "Briglia", che nelle intenzioni dei
transalpini doveva servire ad imbrigliare le velleità genovesi. Invece la voglia di
libertà era più forte della prepotenza francese e la vita degli invasori non era di
certo più piacevole di quella dei sottomessi. Ogni occasione era buona per una
scaramuccia o per una vera e propria battaglia. Il resoconto, sempre del Dolcino, che
leggeremo adesso ci fa conoscere una delle tante dispute e, inoltre, introduce il
personaggio del "Principe" Andrea D'Oria.
"Un altro notevole fatto si verificò in quei giorni: il decidere la creazione di una
forza navale propriamente della Repubblica, mentre sin allora - e numerosissimi esempi
abbiamo incontrato - si aveva fatto appello agli armatori privati. Si diede quindi ordine
di impostare due galee sotto la direzione di Andrea D'Oria, rientrato in Genova con Giano;
nel relativo atto, in data 6 ottobre 1512, si precisava che Andrea doveva successivamente
assumere il comando delle nuove unità: aveva così inizio la sua carriera marinara, e
anche il suo interessarsi, non più interrotto, alle vicende cittadine. Intanto un
congiunto, Nicolò D'Oria, era posto alla guida della flotta "esterna",
allestita secondo i sistemi tradizionali. Arresosi pure il Castellaccio, rimaneva il
grosso problema della Briglia, ma invano innumerevoli attacchi vennero portati dalla terra
e dal mare. Un'unica speranza rimase agli assedianti: prendere per fame, con un
rigidissimo blocco, i francesi e il loro abile comandante, il normanno Guglielmo di
Houdetot. Nella seconda decade del marzo 1513, in una notte di mare agitato, un legno si
avvicinò alla città, con l'insegna genovese sul picco di maestro.
Gianandrea Giustiniani Longo Doge dal 4-01-1539/4-01-1541
Si seppe poi che la nave - una "barchia" normanna - era partita da Marsiglia,
aveva doppiato Genova al largo, per poi tornare da Levante, a scanso d'ogni sospetto. Lo
scafo si diresse al porto, e le unità del blocco gli diedero il passo, ritenendolo
connazionale; ma con improvvisa manovra si portò presso la scogliera della Briglia
affidandosi alla protezione delle sue bocche da fuoco. Le veglie, l'interminabile guardia
potevano d'un tratto essere completamente compromesse. I marinai, gli armati genovesi
erano smarriti, e così le autorità, radunate d'urgenza per una decisione, mentre la
"barchia" poteva iniziare da un momento all'altro lo scarico dei rifornimenti. A
queste si presentò tuttavia un oscuro cittadino, e fortunatamente venne ascoltato. Disse
di chiamarsi Emanuele Cavallo, figlio di Pietro Valente - un "cappellazzo",
dunque - e d'essere in grado di neutralizzare lo sleale stratagemma francese: occorreva
accostare la nave, svellerla dall'approdo e trascinarla lontano dalla Briglia, a impedire
i rifornimenti. Il piano non offriva certo garanzie di riuscita, ma in mancanza d'altre
proposte si aderì alle richieste del Cavallo: una nave e un pugno d'uomini. Non fu
difficile trovare trecento volontari, e tra questi era Andrea D'Oria. Alle prime luci
dell'alba una galea si dirigeva a voga serrata contro i Francesi, costretti intanto. per
difendersi, a interrompere l'iniziato sbarco di viveri e munizioni. "Si accende un
curioso combattimento tra le due navi. - scrisse De Simoni - Ai colpi delle artiglierie
scagliati dalle navi nemiche, si aggiunge una fitta pioggia di sassi e di moschettate che
partono dalla Briglia. Cadono da una parte e dall'altra morti e feriti. Tra questi ultimi
vi è Andrea D'Oria che, colpito violentemente da una scheggia di legno, giace sulla tolda
inanimato. Egli non è morto come fu ritenuto a tutta prima, ma come tale giacque a lungo
sulla tolda finchè durò il combattimento". In quell'inferno i genovesi riuscirono
ad accostare e balzarono all'arrembaggio, in una lotta ancor più sanguinosa. Finalmente
Cavallo raggiunse la prua e recise la gomena che teneva fermo lo scafo alla scogliera.
Molti francesi lasciarono la nave per trovare salvezza alla Briglia. e con la loro
presenza annullarono il beneficio dei pochi viveri sbarcati. Altri rimasero a bordo, ormai
passivi nei confronti dei genovesi, che agganciata la preda con certi rampini
disperatamente avevano preso a trascinarla. Ad un certo momento il comandante Esclavon si
gettò in acqua, col proposito di raggiungere anch'egli la fortezza, ma fu scorto da
Benedetto Giustiniani: si tuffò a sua volta, raggiunse l'avversario, l'afferrò
saldamente lo portò sino alla nave dei nostri, che conclusero l'azione rimorchiando la
"barchia" sino alla spiaggia di Sampierdarena o - secondo altri - alla marina di
Sarzano. Trentadue, complessivamente, furono i prigionieri: ventisei vennero condannati al
remo, gli altri - certo ricordando il supplizio di Paolo da Novi - impiccati alle finestre
di Palazzo Ducale. Nel tempo alcuni autori sottrassero al Cavallo il merito dell'impresa,
per attribuirlo principalmente ad Andrea D'Oria; ma a lui fu incontestabilmente
restituito. Al proposito va sottolineato, se mai, il comune prodigarsi di nobili e no,
come già osservò il Guerrazzi: "giustizia vuole che il Cavallo, popolano, e il
D'Oria, patrizio, debbansi giudicare in virtù di questo tutto, egualmente gloriosi".
Come dire che l'aristocrazia e la povera gente lottavano per un unico ideale: la libertà.
L'unica ragione che univa qualsiasi essere di qualsiasi estrazione per riportare Genova ad
un'indipendenza totale.
Veduta del porto di Chios
L'unico uomo dell'epoca che poteva realizzare quel sogno era Andrea D'Oria, anche perchè
aveva capito che le potenze straniere erano un mezzo utile per raggiungere la libertà.
Questa è infatti l'osservazione degli storici Gori e Martini: "Molti esponenti delle
famiglie liguri avevano sacrificato Genova allo straniero pur di non perdere il loro
potere. Andrea offrì se stesso ad uno straniero purchè fosse restituita a Genova la
libertà".
"Se Machiavelli lo avesse conosciuto, forse si sarebbe ispirato ad Andrea Doria quale
modello per il suo "Principe"; ma non ebbe il tempo ne il modo, se non una volta
sola, e di sfuggita. Più stretti invece i legami del Doria con Guicciardini, anche se fra
i due non corse mai buon sangue. Andrea Doria aveva la tempra del corsaro, il fascino del
principe, la lucidità dell'uomo di Stato. Nato povero, cadetto di un ramo minore della
più illustre famiglia ligure, fu prima capitano di ventura al soldo di padroni diversi,
poi - a quarantasei anni - s'improvvisò ammiraglio, per la Francia, per il Papa, per
Genova. Conquistò il potere assoluto a sessantun anni e la tenne saldamente fino a
novantaquattro, sopravvivendo a guerre, assalti, congiure; la più sanguinosa, quella del
Fiesco, ispirò drammaturghi come Schiller e filosofi come Rousseau. La sua alleanza con
la Spagna di Carlo V ribaltò gli equilibri politici del Mediterraneo e inserì la
Repubblica di Genova nella politica internazionale del tempo, facendo dei banchieri
genovesi gli arbitri della finanza europea per quasi due secoli. Soprattutto, deve la sua
popolarità alle battaglie ingaggiate contro il pirata Barbarossa, il grande rivale che
rispettò sempre, perché gli somigliava. Severo con se stesso e con gli altri, condusse
vita austera. Mai gli venne meno il coraggio della ragione: fosse solo per questo, merita
d'essere ricordato."
Questa è l'introduzione del bellissimo libro di Paolo Lingua "Andrea Doria -
Principe e pirata nell'Italia del '500", che ci fanno capire, in poche parole, quale
sia l'importanza storica del personaggio che è riuscito nella sua lunga vita a fare da
ago della bilancia nei conflitti delle super potenze nel Mediterraneo, portando (o meglio
riportando) Genova alla sua funzione di mediatrice marittima ed economica nell'Europa di
quel tempo, garantendo alla sua città quella libertà che aveva perso nel corso dei
secoli.
Come forse qualcuno avrà notato, il cognome Doria, viene riportato in alcuni casi come
D'Oria. Il cognome con l'apostrofo è quello giusto, cioè si dovrebbe scrivere Andrea
D'Oria, ma molti storici, per comodità hanno cominciato a scriverlo senza, creando una
discreta confusione.
Andrea D'Oria, nacque ad Oneglia nel 1466, da un ramo debole della grande famiglia
aristocratica genovese e, proprio per questo motivo, da giovinetto fu inviato a Roma per
diventare "cadetto", agli ordini dello Stato Pontificio. Lì iniziò ad
apprendere i primi rudimenti dell'arte bellica che gli sarebbero stati di notevole aiuto
nel proseguio degli anni, riuscendo anche a trasferire tecniche di guerra terrestri nelle
sue numerosissime battaglie navali.
Ma la svolta nella vita di Andrea arrivava dopo i quarant'anni ed è questo il periodo
storico che ci interessa maggiormente. In quegli anni le potenze in lotta erano la Francia
e la Spagna. Andrea, grazie alle grandi capacità che aveva dimostrato, era stato assunto
dal Re di Francia come Ammiraglio della flotta navale, ma, da abile uomo di guerra, presto
cambiò idea, per passare sotto l'ala protettrice di Carlo V, l'Imperatore spagnolo.
Questo suo passaggio da uno schieramento all'altro fu da molti considerato un atto di
tradimento, ma Andrea sapeva che era l'unico modo per riportare a Genova la ricchezza e
l'indipendenza. Ecco un brano tratto da "Storia di Genova nei secoli" di
Michelangelo Dolcino, che narra questo avvenimento:
"La guerra continuava, nella sua tragica furia. Nel '24 il Re di Francia era sceso in
Italia dal Moncenisio, e rioccupata Milano affrontò presso Pavia gli Imperiali; subì una
disastrosa sconfitta - il 24 febbraio 1525 - e addirittura finì prigioniero. Condotto a
Madrid, passò per Genova e sostò al monastero della Cervara, presso Portofino; ma
tornato libero, riprese la lotta, in cui Genova ancora visse angosciosi episodi. Così,
nel '25 Andrea Doria tentò la conquista di Genova dal mare, appoggiato a terra dal
Marchese di Saluzzo; respinto, divenne "Assentista" del Pontefice e poi della
Francia. Un altro tentativo fu operato nel '27 dall'Ammiraglio, coadiuvato questa volta
all'interno dai Francesi di Lautrec. Il 19 agosto la città cedeva, e presto aveva un
Governatore - arresosi Antoniotto Adorno, ultimo Doge perpetuo, a Cesare Fregoso - nella
persona di Teodoro Trivulzio. Una nuova struttura costituzionale veniva delineata,
prevedente tra l'altro l'esclusione perpetua dai pubblici uffici di Adorno e Fregoso,
quando accadde un evento determinante: il 13 settembre 1528 Andrea Doria, passato allo
schieramento imperiale, sbarcava a Genova e vi era accolto come un liberatore. Il 28
ottobre veniva occupata Savona. Presto le sue mura dovevano essere abbattute, e il porto
colmato di sassi; la popolazione più non avrebbe potuto riunirsi a parlamento senza il
benestare della Dominante. Il Doria era passato a Carlo V con una convenzione firmata a
Madrid il 10 agosto. Per volere del Genovese il documento si apriva con tali
parole:"Piena indipendenza di Genova e piena sovranità su Savona. Libera facoltà ai
genovesi di commerciare in assoluta parità con i sudditi di Carlo V in tutti gli Stati
dell'Imperatore". Non mancarono naturalmente gli autori che accusarono il grande
"Assentista" di tradimento. Occorre al proposito osservare che al momento
dell'ingaggio da parte di Carlo V, il contratto che lo legava alla Francia era scaduto;
secondo poi la versione ufficiale del Servizio Storico dello Stato Maggiore Generale della
Marina Francese, Andrea Doria era stato privato del suo grado prima di trasferirsi al
campo opposto. Manifestazione d'avidità? Rimase la sua volontà, prima di affrontare le
clausole che lo riguardavano direttamente, di occuparsi di Genova. "
In questo brano è riportata alcune volte la parola "assentista", questo termine
veniva usato per i comandanti navali che si comportavano come i "condottieri" di
terraferma, cioè firmando contratti per l'uno o l'altro padrone, portando a chi li
assoldava tutti i benefici e tutti i difetti di questi accordi. Tutti gli stati di
quell'epoca utilizzavano questi capitani di ventura, tranne Venezia che non volle mai
farvi ricorso.
Tornando alla nostra storia, avidità o grande capacità di capire il momento portarono
Andrea in una posizione di grande potere, questo fu un vantaggio per lui e per la città,
ma anche di estremo pericolo per la sua vita.
In un'età tenacemente formalista le distinzioni e le apparenze esteriori del potere
assumevano un'importanza preminente ed erano gelosamente difese. Nel 1536 Carlo V
concedeva un amplissimo privilegio che equiparava il Doge nel grado e nelle insegne a
tutti i duchi d'Italia e del Romano Impero. In conseguenza, la Signoria stabiliva, il 27
dicembre 1538, che il berretto del Doge venisse ornato di cerchio d'oro, e che questo e la
spada non mancassero nelle cerimonie ufficiali.
Come le insegne del potere, così anche i titoli, il cerimoniale e il punto d'onore
assumevano una funzione sostanziale come elemento di valutazione per gli individui e per
gli Stati, perché ogni deroga poteva significare proposito di recare offesa o di
dimostrare minore considerazione; perciò premessa di ogni azione diplomatica era di
ottenere tutti i titoli e i segni di rispetto che si ritenevano dovuti all'ambasciatore e
allo Stato rappresentato.
Nel 1580 l'ambasciatore Giorgio Doria aveva ottenuto dall'Imperatore, Rodolfo II, (e nella
richiesta era il riconoscimento del principio medievale che poneva nell'Impero la suprema
fonte del diritto) la concessione del titolo di Serenissimo per il Doge, per il Senato e
per tutta la Repubblica; e nel 1587 fu confermato, contro il parere di Gian Andrea Doria,
che fosse attribuito al Doge (era allora Ambrogio Negrone) e ai Supremi Collegi il titolo
già assunto da altri capi di Stato, ma con l'aggiunta che a questi non fosse dato se essi
non lo attribuivano al Doge e alla Repubblica. Gli ambasciatori ebbero allora l'ordine di
essere inflessibili nel pretendere l'uso di quella denominazione.
Fiere le opposizioni, specialmente del Duca di Savoia, che alla fine fu costretto ad
arrendersi: su ben altro terreno doveva portarsi tra non molto il conflitto. Anche più
ostinato il Duca di Toscana. Interminabili vertenze in materia anche con l'Impero, che nei
propri riguardi negava la reciprocità soltanto per mercanteggiarla con compensi in
denaro, e con la Spagna per caparbia ostentazione di superiorità.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, Andrea D'Oria divenne un grande Ammiraglio
agli ordini, se così si può dire visto il suo spirito indipendente, dell'Imperatore
Carlo V. Per lui fece numerose conquiste nel Mediterraneo, traendone notevoli vantaggi, e,
soprattutto, intraprese molte battaglie contro il temibilissimo Kaireddin-Barbarossa, un
rinnegato greco/albanese che nel '16 aveva preso Algeri con altri centri nord africani.
Nel '32 Andrea D'Oria, a capo di ventotto galee spagnole conquistava Corone, in Morea; ma
la grande azione contro il Barbarossa avveniva nel '35, quando la Spagna e la Chiesa
mettevano a disposizione di Andrea settantaquattro galee e navi minori, con ventimila
uomini. Tunisi fu presa, ma Kaireddin riuscì a sfuggire,qualcuno insinuò che alla fuga
del nemico non fosse estraneo il nostro Ammiraglio, il quale in cambio avrebbe avuto la
promessa formale che i centri liguri non avrebbero più subito l'imperversare dei turchi.
Ancora di accordi si parlò nel '38, quando nelle acque di Prevesa, il 27 settembre, i
turchi - manifestamente inferiori - si sottrassero alla battaglia contro una grande flotta
ispano-veneto-pontificia, guidata dal D'Oria. Quando, dal '42 al '45, i turchi portarono
un'infinità d'incursioni sulla costa italiana, la Liguria fu sempre risparmiata: perchè
gli Ottomani erano alleati coi Francesi, e questi ancora non disperavano di portare Genova
dalla loro parte. Altre perplessità sul comportamento dell'Ammiraglio ci furono quando,
nel 1540, Giannettino D'Oria, nipote di Andrea, catturò un altro famosissimo pirata,
Dragut. Il mondo cristiano tirò un sospiro di sollievo, ma poco dopo Andrea lo rimetteva
in libertà. Si seppe poi che aveva avuto in cambio 3.500 ducati e il territorio di
Tabarca in Tunisia, dove in seguito si stabilì una colonia genovese, fiorentissima in
primo luogo per la pesca del corallo. Le grandi capacità navali del D'Oria, comunque, si
manifestarono appieno in quegli anni. La maggior prova, forse, la diede in una occasione
sfortunata: quando, nel '41, una flotta di settantatre galee e trecento navi grosse, al
comando dell'Imperatore in persona, incappò davanti ad Algeri in una terribile tempesta.
Soltanto l'esperienza e l'audacia dell'Ammiraglio riuscirono scongiurare un disastro di
enormi proporzioni, e la massima parte dell'esercito e lo stesso Carlo V poterono salvarsi
sulle navi superstiti.
La fine del governo francese significò il passaggio di Genova in campo Spagnolo con
capacità di autonomia molto limitate, mentre la vocazione repubblicana del nuovo regime
ebbe non pochi correttivi nellegemonia Signorile di Andrea Doria.
In questo nuovo assetto i nobili, che da quasi due secoli erano esclusi dalla carica
dogale, recuperano una piena capacità politica, mentre i popolari erano fondamentalmente
equiparati intermini di prestigio ai loro tradizionali antagonisti. La riforma del 1528
recepì questa tradizione con una sola variante di rilievo: il tentativo di sostituire
quali canali daccesso al governo nuovi istituti, gli alberghi, alle
vecchie fazioni, ufficialmente bandite. Gli alberghi del 1528 si costituirono attorno alle
famiglie più numerose, quelle che avevano almeno sei case aperte a Genova, delle quali 23
erano nobili e cinque popolari, raggruppavano per via dimperio e senza distinzione
di parte i restanti membri della nobiltà. La comunione del solo nome era assai povero
surrogato del cemento che aveva in passato consentito la formazione e il consolidamento
degli alberghi. Alla vecchia definizione di nobili e popolari, si
sostituì la dizione nobili nuovi (tra cui i Giustiniani) e nobili
vecchi. Il gruppo dei nuovi aveva consolidato la propria prevalenza numerica in
forza delle nuove iscrizioni e di un incremento naturale più accentuato, mentre il
carattere chiuso ed esclusivista dei vecchi lo destinava ad una posizione di minoranza.
Armorial de las antiguas familias patricias de la ciudad de Genova hasta la reforma de 1528 parte in italiano e parte in spagnolo a cura di D. Hernán Carlos LUX-WURM y CENTURIÓN. Un dettagliato elenco di tutte le famiglie genovesi secondo la suddivisione del 1528
Cacciati i Francesi e recuperata la libertà, la Repubblica di Genova aveva preteso di
essere considerata ufficialmente neutrale, anche se tale aspirazione appariva contraddetta
dallaccettazione del protettorato Spagnolo, inoltre il Re di Francia continuava a
considerarsi loro Signore e accoglieva e proteggeva i fuoriusciti Genovesi fomentando in
città intrighi e congiure. Limperatore dal canto suo parlava di Genova come città
imperiale. In ogni modo era preponderante il peso Spagnolo, tanto che controllava anche la
difesa della città. Il grosso delle forze navali spagnole nel mediterraneo era costituito
dalle galee degli assentisti, i privati Genovesi al soldo del Re.
Il prezzo più alto della Repubblica dovette pagare per il protettorato Spagnolo fu la
guerra di Corsica, che già da qualche tempo più che lindipendenza agognava alla
cacciata dei Genovesi. Nel 1553 Turchi e Francesi occuparono lisola, ma mentre i
Turchi mediante riscatto lasciarono lisola, i francesi conservarono il controllo
della maggior parte dellisola.
Ma la prova più impegnativa fu quella sopportata a terra: la cosidetta congiura dei
Fieschi, nel '47. Questo il racconto di Michelangelo Dolcino: "Animatori ne furono
Gian Luigi Fieschi, i fratelli Cornelio e Gerolamo Ottobuono, Giambattista Verrina.
Andrea, col nipote Giannettino e Adamo Centurione, banchiere di Carlo V, dovevano morire;
Barnaba Adorno sarebbe stato Doge, la Repubblica stessa sottratta all'orbita spagnola per
inserirsi in quella francese. Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, dunque, i nobili
congiurati e gli uomini scesi dai feudi fliscani occuparono le porte cittadine; le
successive mosse prevedevano la cattura delle galee dei Doria e l'insurrezione dei
galeotti musulmani. Giannettino Doria, uscito dal palazzo di Fassolo alle prime
avvisaglie, fu ucciso presso la porta di San Tommaso. Lo stesso Andrea, già avanti cogli
anni, fu colto di sorpresa. Amico di Sinibaldo, il padre di Gian Luigi, non poteva
capacitarsi del tradimento di quest'ultimo, che la sera stessa s'era recato ad un convito
presso Giannettino, giocando coi suoi figli. . . Tuttavia, quando l'azione sembrava
coronata da successo fallì nel modo più banale: nell'attraversare in Darsena una
passerella per salire su una nave dei Doria, Gian Luigi cadde in acqua e gravato
dall'armatura annegò miseramente. Il suo corpo doveva essere ritrovato soltanto quattro
giorni dopo, trattenuto dalla fanghiglia. La maggior parte dei congiurati, conosciuta la
sorte del loro capo, non rispose agli appelli di Gerolamo Fieschi, che ostinatamente,
mosso dalla disperazione si rifaceva al grido «Gatti! Gatti!», legato all'emblema di
famiglia, e alla parola "libertà". La morte di Giannettino rese più spietata
la repressione voluta dal vecchio Ammiraglio. Gerolamo, assediato nel castello di
Montoggio, vi venne catturato e ucciso; i grandi feudi fliscani dell'Appennino e della
Lunigiana furono confiscati e ripartiti tra la Repubblica, il Doria e i Farnese. Il
castello di Montoggio venne nell'agosto raso al suolo con mine, e nel giugno precedente
eguale sorte aveva avuto il sontuoso Palazzo Fieschi di Via Lata. Giambattista Verrina,
infine, ebbe il capo mozzato. E quando l'anno seguente, un cognato di Gian Luigi, Giulio
Cybo, ebbe parte in un'altra congiura tessuta da Scipione Fieschi, ancora d'ispirazione
francese, la collera di Andrea tornò ad esplodere: il Cybo fu ucciso e con lui gran parte
dei congiurati. Un Bruto, a modo suo, un eroe di stampo plutarchiano, Gian Luigi Fieschi?
Il Cardinale di Retz in una sua opera mise a fuoco soprattutto l'ambizione del congiurato,
ed eguale giudizio, in fondo, diede anche Schiller nella tragedia ispirata al fatto.
Sgombrato il campo da sciocche interpretazioni romantiche - gelosia nei confronti di
Giannettino, preteso corteggiatore di sua moglie Eleonora, o risentimento perchè lo
stesso Giannettino era stato preferito come sposo da Ginetta Centurione - validissimo
rimane il giudizio del Vitale: «Nessun Bruto o maschera di Bruto nella storia di Genova,
neanche Gian Luigi Fieschi, che molti storici del secolo scorso hanno rappresentato come
vendicatore della libertà interna e dell'esterna indipendenza della Repubblica. Basta
considerare che, riuscendo, egli avrebbe bensì sostituito il proprio predominio personale
sotto il governo francese alla larvata signoria doriana protetta dalla Spagna, ma non
avrebbe potuto, come il Doria e Carlo V imporre condizioni alla Francia chiamata in aiuto:
e la libertà di Genova sarebbe stata più che mai parola vuota di senso."
Questi avvenimenti turbarono la Spagna: il Figueroa, Ambasciatore a Genova, e Ferrante
Gonzaga, Governatore di Milano, decisero di costruire una fortezza a Pietraminuta, con un
contingente fisso di soldati affidato al Capitano Generale Agostino Spinola, ma la
presenza di soldati straneri avrebbe in sostanza segnato l'inizio di un nuovo
assoggettamento, e l'Ammiraglio «Padre della Patria», com'era stato chiamato
nell'offrirgli il dono di un edificio a San Matteo nuscì a far cambiare idea ai due
potenti. Si doveva però intervenire sulle strutture della Repubblica e così si fece. Il
Maggior Consiglio avrebbe avuto soltanto trecento membri sorteggiati dal "Liber
civitatis"; gli altri cento sarebbero stati designati invece per votazione, e allo
stesso modo si sarebbero scelti i componenti del Minor Consiglio. "Con questa riforma
- osservarono Gori e Martini - i nobili del portico di San Luca (i "vecchi" tra
i quali si annoverano i migliori amici della Spagna) vennero a trovarsi in condizioni di
favore rispetto ai nobili del portico di San Pietro (i "nuovi" meno legati alle
sorti dell'impero, in quanto non partecipanti alla fornitura di galee o di prestiti
iberici)".
Nel '48 giungeva a Genova Filippo II, erede al trono. L'ospite chiese di essere alloggiato
a Palazzo Ducale, ma il D'Oria lo volle a Fassolo, suo ospite privato, a ribadire
l'indipendenza della Repubblica; episodio che costava la destituzione al Figueroa. Ma fu
quella l'ultima vera affermazione dell'Ammiraglio. Nel '50, superati gli ottant'anni,
guidò un'azione a Mehedia, contro Dragut, però questi gli sfuggì; due anni dopo
un'altra spedizione, contro la Corsica sollevata da Sampiero di Bastelica coadiuvato dai
Turchi e Francesi, non potè impedire che gran parte dell'isola passasse ai nemici: quelle
terre sarebbero ritornate genovesi soltanto nel 1559, col trattato di Cateau-Cambrésis.
Nell'impresa di Corsica era con Andrea il pronipote Gianandrea, figlio di Giannettino,
investito di comandi navali appena sedicenne. Nel '60 lo stesso giovane partecipò, in
subordine al Duca Medina Celi, Vice Re di Sicilia alla spedizione contro Tripoli di Libia,
voluta da Filippo II nel quadro del conflitto ispano-turco. Presso le Gerbe la flotta
subiva però un pesante scacco da Dragut e Ulug-Alì, e la notizia risultò fatale per
Andrea novantaquattrenne: "Il colpo recatogli dalla sconfitta, - scrisse Vitale - che
finiva di distruggere la sua opera intesa ad assicurare alla Spagna il predominio navale
nel Mediterraneo, passato ora alla Turchia, era stato troppo forte per il vecchio
marinaio. Volle attendere in piedi i messi che gli recavano notizie del nipote; udito che
era salvo, si coricò per non alzarsi più: era il 25 novembre 1560". Moriva quando
la pace di Cateau-Cambrésis sanciva l'assoluto predominio della Spagna nella penisola:
"Per opera sua Genova, necessariamente legata alla grande potenza, conservava quel
tanto di libertà che era ancora possibile in un'Italia tutta dominata dagli spagnuoli e
poteva, con maggiore o minore fortuna, sostenere la neutralità che egli aveva inaugurato,
mentre, per effetto degli accordi da lui stipulati, i suoi concittadini si impadronivano
economicamente della nazione dominatrice".
Alla morte di Andrea Doria si apre a Genova una nuova fase di instabilità politica.
Paolo Giustiniani Moneglia Doge dal 6-10-1569/6-10-1571
Nel 1570 lazione dei nuovi modifica i rapporti di forza esistenti nello Stato fino
allora a vantaggio dei vecchi, notoriamente legati alla Spagna, anche grazie
allintercessione del Cardinal Morone, mediatore di Papa Gregorio XIII, che riuscì a
pacificare i gruppi nel 1576.
Allinterno dei nuovi, più forti delle rivalità con i vecchi apparivano gli
antagonisti tra i diversi elementi dei gruppi: i mercanti (i Giustiniani, i
Sauli, i De Fornari, i Franchi, ecc., vicini per interessi ed aspirazioni ai vecchi) e gli
artefici, ossia gli esponenti delle arti maggiori ed i dottori
(giuristi e medici). I nuovi pur cercando solidarietà diverse, il Papa, la Toscana e
persino la Francia, si erano preoccupati tempestivamente di non alienarsi del tutto la
Spagna.
Aree di influenza della Repubblica Veneziana e Genovese nel medio evo
GENOVA DALLANNO 1500 ALLARRIVO DI NAPOLEONE BONAPARTE
Agli inizi del 500, Genova era una delle maggiori potenze navali del mediterraneo,
ma sia la peste del 1579-80 che dimezza la popolazione di Genova, sia la cattiva annata
dei raccolti del 1590, fa inesorabilmente declinare la potenza marinara di Genova e del
suo porto. Nel frattempo lalleanza Spagnola si fa sempre più onerosa e scomoda per
Genova, nel 1572 la Spagna con il pretesto di prevedere una possibile cessione di Finale
alla Francia lo occupa militarmente, nel 1598 se ne assicura formalmente il possesso.
Nel 1611 è nominato doge Alessandro Giustiniani fino al 1623. Ci resta del suo governo
preziosi estratti dal giorno della sua incoronazione.
Alessandro Giustiniani in veste di senatore. Genova, Vandick 1622-23, olio su tela, 200
cm x 116 cm. Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Gemaldegalerie Doge dal
6-04-1611/6-04-1613
Nel 1625 ebbe inizio linvasione Franco-Piemontese. La Spagna
dimperio assume lonere delle trattative di pace per conto di Genova, che
culmina nel 1627 con la pace di Monçon.
La neutralità Genovese si fa sempre più difficile, anche perché spagnoli e francesi
eleggono il Mar Ligure come uno dei loro terreni di confronto preferiti, innestando una
spirale di ritorsioni di cui i Genovesi erano le vittime principali. Dopo un iniziale
supremazia Spagnola nel 1638 con la battaglia di Genova, la Francia prende il sopravvento.
Nello stesso anno un gruppo di cittadini decise di dar vita ad un armamento privato di
galee di libertà (La compagnia di Nostra Signora di libertà), tra i principali promotori
i principali esponenti del partito degli innovatori: Raffaele della Torre e
Galeazzo Giustiniani, il comandante delle galee della Repubblica nella guerra del 1625.
Lesperimento che permetteva una certa emancipazione di Genova, fu ostacolato dagli
assentisti Spagnoli. Contro tutte le previsioni la galea della libertà al
comando di Galeazzo Giustiniani concluse trionfalmente il suo primo viaggio. Ma nel 1639
lopposizione si fece più dura ed il successivo viaggio fu un fallimento. Sulla
strada del ritorno la frustrazione produsse tra i due capi una pericolosa rottura, un Gian
Bernardo Veneroso fece ritorno a Genova, laltro Galeazzo Giustiniani si fermava a
Napoli con una galea meditando di allearsi con gli Spagnoli contro i Francesi.
Luca Giustiniani Doge dal 21-07-1644/21-07-1646
Nel 1654, con il sequestro dei beni Genovesi di Finale dagli Spagnoli, si formalizza il
distacco di Genova dalla Spagna. Ciò permise alla Francia di cimentare un alleanza che
oltre a Genova comprendesse il Papa e Venezia, formalmente contro i Turchi, ma, in
effetti, in funzione anti-spagnola. La morte del Cardinal Mazarino, promotore
dellalleanza chiude la parentesi delle pacifiche relazioni tra Genova e la Francia.
Nel 1672 Carlo Emanuele II ritentò limpresa di Genova, ma questa volta la
repubblica seppe difendersi anche senza gli Spagnoli.
Il 17 maggio 1684, la Francia si presenta davanti al porto di Genova chiedendo il disarmo
delle galee al servizio degli Spagnoli. Il governo Genovese ripose a cannonate e subì
cinque giorni di bombardamento della città. La Repubblica contava sullappoggio del
Papa e degli Spagnoli; si trovò invece abbandonata a se stessa e dovette accettare le
condizioni dettate dai Francesi.
Nel 1656-57 lepidemia di peste investiva tutta lItalia.
Ormai, la Repubblica Genovese aveva preso coscienza, come del resto tutti gli altri
Staterelli Europei di essere alla mercé delle grandi potenze e che i titoli di
sovranità, di cui si era con tanta fatica strappato il riconoscimento internazionale nei
decenni precedenti, avrebbe costituito fragile difesa contro eventuali gesti di forza.
Nel 1716, 6.000 tedeschi invadono la Repubblica ed il governo Genovese dovette accettare
le pretese austriache. Stretta tra le mire egemoniche dei Borboni e degli Asburgo e la
persistenze aggressività Sabauda, lidentità della Repubblica non era stata mai
altrettanto in pericolo. Ma labile diplomazia Genovese riuscì ugualmente a
barcamenarsi in questo incerto quadro politico tanto che nellagosto del 1713 riuscì
a riacquistare Finale.
Giovanni Antonio Giustiniani Doge dal 22-09-1713/22-09-1715
Nel 1729 aveva inizio una nuova insurrezione in Corsica, la Francia inizialmente come
garante Genovese la occupò, concedendo la garanzia di difesa della terraferma dai
Sabaudi. Limpegno Francese in Corsica, pur con fasi alterne, andò progressivamente
allargandosi, sino alla definitiva (ma formalmente temporanea) cessione dellisola
nel 1768. Il trattato di Versailles del 1768 non aveva comunque sancito una formale
rinuncia di Genova alla Corsica. Al contrario lo scopo dichiarato era propria la
conservazione di tale diritto. Nel 1789 però la Francia unilateralmente si annette
lisola e non rinnova la garanzia territoriale della Repubblica.
La situazione internazionale era in quel momento favorevole alla Francia, in quanto la
Prussia era impegnata, assieme alla Russia, a spartirsi il territorio polacco e quindi il
piano strategico francese prevedeva l' invasione della Germania con un attacco su Vienna
su due linee fondamentali: il medio ed il basso Reno; inoltre considerava un attacco da
Sud che doveva purtroppo passare dalla Liguria, base tattica che avrebbe fatto da
trampolino di lancio verso la Padana. Il pretesto dell'invasione della Repubblica di
Genova fu duplice: la rivendicazione da parte francese di Nizza e della Savoia in mano ai
Piemontesi e la falsa attestazione che gli avversari dei Francesi volevano passare dalla
Liguria per invadere la Francia . Il piccolo esercito ligure dovette subire l'intervento
francese, impotente a difendersi contro un nemico enormemente potente. Per sottolineare il
doppiogiochismo dei francesi bisogna ricordare un episodio molto significativo:
Robespierre arrivò ad offrire ai piemontesi, nemici, Genova in cambio della Sardegna., i
Francesi sapevano bene che il loro punto debole era nei mari, di cui i padroni
incontrastati erano gli Inglesi e cercavano vanamente di creare un loro controllo sul
Mediterraneo.
La Liguria era dichiaratamente neutrale. Così come Venezia e la Toscana; d'altro lato il
Papa, Napoli e il Regno Sardo (comprendente appunto Piemonte e Sardegna) facevano parte
della lega contro la Francia.
La situazione nel mar Ligure è caotica; i corsari inglesi attaccano con le veloci navi
dapprima il Gran Duca di toscana e poi minacciano Genova, depredando le navi ad esse
dirette.
Gli Inglesi quindi assalgono e prendono dentro il porto di Genova una fregata francese.
Difficilissimo a questo punto per i liguri mantenere la neutralità; i Francesi fanno
affiggere un manifesto a Genova dove indicano che i Genovesi, mantenendo una posizione
neutrale, non hanno ostacolato l'attacco britannico alla loro nave e quindi minacciano
castighi tremendi a meno che Genova non avesse abbandonato la neutralità e si fosse unita
alla Francia contro i Coalizzati.
La sorte della Repubblica di Genova fu quella ormai di trovarsi tra l'incudine ed il
martello, il piccolo Stato era schiacciato tra le azioni militari dei Francesi ed Inglesi
da una parte, Prussiani, Austriaci e Russi dall'altra.
I Genovesi, loro malgrado decisero di mantenere la loro neutralità e rimborsarono alla
Francia la cospicua somma di quattro milioni di tornesi; accadrà che i Francesi, che
molti vollero come apportatori di ideali di libertà, non solo entrarono nel territorio
ligure con sedicimila uomini comandati dal generale Dumorbion, passando da Monaco e
Ventimiglia, ma minacciarono ritorsioni ad una Nazione neutrale e senza alcuna capacità
di difesa militare.
In realtà se i Genovesi avessero attaccato la fregata inglese, questo avrebbe significato
mettersi in guerra contro la potenza britannica. E' risibile il manifesto a cui accennavo
prima, affisso dai Francesi dove affermarono la loro intenzione di rispettare la
neutralità della Liguria (invadendola) ma siccome i tiranni d'Europa volevano
conquistarla occorreva difenderla. L'obiettivo dei loro piani era quello di farne bottino
per barattarla al momento favorevole con qualche altro territorio a loro ambito.
L'esercito francese attaccò Oneglia, che era possedimento Piemontese ed anche suo unico
sbocco marittimo, in altre e più indicative parole, il trait - d'union tra l'Inghilterra
ed il Regno Sardo.
Gli Inglesi tramite il loro astuto ministro Drake avanzarono allora una assurda richiesta
ai Liguri, "ordinando loro" di rompere ogni comunicazione con la Francia; in
questo modo i britannici, se non esauditi, ebbero il pretesto di potere considerare la
Repubblica di Genova come un nemico, facendo in modo di farla uscire dalla neutralità. La
Repubblica, rispose che nulla poteva contro l'esercito francese, ben più numeroso ed
armato di quello ligure; l'Inghilterra raggiunse così il suo scopo ed ordinò il blocco
dei porti liguri, con conseguenze terribilmente negative sulla nostra economia.
Frattanto la Corsica, dopo epici sollevamenti questa volta contro la Francia che la
sottomise con un esercito di trentamila uomini, trovò nei Paoli, famiglia corsa il cui
capo fu il simbolo dell'indipendenza contro i francesi, il polo d'attrazione per
ricominciare le ostilità contro questi . Infatti i Paoli si proclamarono signori di
Corsica alleandosi con gli Inglesi ed affissero un violentissimo manifesto di
dichiarazione di guerra alla Repubblica di Genova, in cui si affermò che i corsari
dell'isola dovevano sequestrare e rapinare le navi dirette o provenienti da Genova e che i
Genovesi presi sarebbero stati condannati a grandi e terribili pene. Iniziò così
legalizzata dagli Inglesi, la fase della pirateria corsa, tenendo anche conto della debole
forza navale francese si creò una situazione che non è poco definire drammatica per i
commerci liguri. La rivalità marittima tra la Francia ed Inghilterra, aveva indotto
quella ad acquistare con il trattato di Versaglia, la Corsica dai genovesi, in quanto
ritenevano che l'isola fosse un buon punto strategico per il controllo del Mediterraneo;
il trattato di Versaglia tra l'altro conteneva delle clausole per cui i Francesi si
impegnavano che i Genovesi potessero liberamente navigare nei loro mari e che l'isola di
Capraia rimanesse possesso dei Genovesi punto di forza dei traffici marittimi liguri.
Possiamo bene capire che tutto questo sistema cadeva alla mercé dei pirati ed infatti gli
Inglesi, con beffardo stile tolsero il blocco ai porti liguri al fine di far incappare le
navi della Repubblica di Genova in braccia ai Corsari per dividersi poi i bottini.
Arriviamo ora al 1796, anno importante perché Napoleone Bonaparte venne eletto capo
supremo dell'esercito francese: uomo pragmatico al massimo si rese subito conto che
l'erario militare era estremamente povero ed occorreva porre rimedio per potere proseguire
la guerra. Il "casus belli" scaturì in seguito alla rapina ed uccisione da
parte di banditi, tra Novi ed Alessandria , di cittadini francesi; Bonaparte incolpò
ingiustamente il Senato Ligure e chiese un fortissimo risarcimento di denaro oltre alla
fortezza di Gavi e la strada della Bocchetta tra Genova e Tortona.
Se la Repubblica di Genova non avesse acconsentito alle sue richieste la vendetta sarebbe
stata immediata. Infatti i Francesi proseguirono per il territorio ligure approssimandosi
a Savona al fine di irrompere in Piemonte; alla stessa città si avvicinarono anche le
truppe piemontesi ed austriache, al punto che il governatore di Savona, Spinola, si
fortificò nella città bombardando i luoghi circostanti e mettendo in fuga entrambi gli
eserciti.
In questa caotica situazione, l'ambasciatore francese a Genova chiedeva continuamente
soldi ed ordinò inoltre che seimila soldati francesi presidiassero il golfo di La Spezia,
che alla Lanterna vi rimanesse stabile a controllarla un drappello di soldati e che
fossero disarmati gli abitanti del Polcevera, i quali avevano indubbi sentimenti
antifrancesi, in quanto le cronache del tempo ci raccontano che in quella zona come si
trovavano dei Francesi, qesti venivano senza complimenti picchiati ed insultati.
Le richieste di denari da parte francese aumentarono arrivando a venti milioni, una cifra
enorme per i tempi, ed il Senato Ligure decise di mandare a Parigi un rappresentante,
Vincenzo Spinola, al fine di ottenere dai Francesi richieste meno esose.
Intanto a San Pier D'Arena riusciva ad arrivare di nascosto una nave francese con armi ed
oggetti d'uso militare per i suoi soldati; il vice ammiraglio d'Inghilterra Nelson ebbe
una spiata e con azione rapida usando una grossa fregata riuscì a sequestrare la nave.
Il Direttorio in Francia incolpò, come ci si può aspettate i Liguri e la loro
neutralità, ed ordinò che questi sequestrassero tutti i mercantili inglesi nel porto di
Genova. Questa richiesta mise in una gravissima situazione i Padri del Senato Ligure. Le
minacce francesi di saccheggio della città furono esplicite ed alla fine il Gran
Consiglio ed il Piccolo furono costretti a decretare che le navi inglesi fossero prese fra
tutte quelle stanzianti nei porti liguri. Purtroppo la trappola francese era scattata e
Genova si trovava ad avere incrinata la sua neutralità, accerchiata dal mare dagli
Inglesi e dai loro pirati e sulla terra dalle truppe dell'esercito francese.
A Parigi , l'ambasciatore Spinola, era costretto ad accettare le richieste dei francesi i
quali richiedevano per la "loro protezione " due milioni di franchi ed inoltre
un "prestito " di indubbia restituzione, di altri due milioni. Cosí il Banco di
S. Giorgio pagò la prima cifra ed i ricchi genovesi fornirono i soldi del prestito.
Nei giorni che precedettero la sorprendente vittoria di Arcole (15-17 novembre 1796), la
situazione dellarmata francese in Italia appariva molto difficile. Bonaparte vedeva
crescere, di giorno in giorno, la superiorità numerica del nemico e inoltre
lavvicinarsi dellinverno poneva gravi problemi per il rifornimento di viveri e
di vestiario, agendo negativamente sul morale delle truppe. Scrivendo alla moglie a
Milano, dal quartier generale di Verona, non le nascondeva le sue preoccupazioni. In
seguito Giuseppina confiderà al conte de Ségur che Napoleone non escludeva la
possibilità di una sconfitta che lo avrebbe costretto ad abbandonare Milano agli
austriaci. In tale evenienza, come soluzione estrema, il generale pensava ad una ritirata
sino a Genova, dove la vicinanza con la Francia e le molteplici possibilità difensive gli
avrebbero consentito di resistere in attesa di rinforzi. Nel quadro di queste previsioni
Bonaparte avrebbe suggerito a Giuseppina un viaggio a Genova per prendere contatto con
quella città che gli premeva avere amica. Gli avvenimenti successivi tolsero ogni
interesse alla parte «diplomatica» del viaggio, che si ridusse pertanto ad una semplice
vacanza, resa più gradita, se mai, dal momento particolare che Giuseppina stava
attraversando.
Con l'armistizio di Cherasco, dopo le sconfitte dei Piemontesi, Nizza e la Savoia vengono
annesse alla Francia il 28 Aprile 1797, fatto importante perché sarà sedici anni dopo un
falso ed assurdo pretesto per "scambiare " questi territori con la Liguria.
Tra maggio e giugno del 1797, Genova vide la fine della Repubblica aristocratica
(instaurata da Andrea Doria nel 1528) e la nascita della Repubblica Ligure democratica. A
determinare questo cambiamento, una delle pagine più drammatiche della storia della
Superba, concorsero fattori esterni e fattori interni espressione, gli uni e gli altri,
delle condizioni politiche, economiche e sociali dell'Europa nell'ultimo scorcio del
Settecento. I fattori esterni furono, tra gli altri, la presa di coscienza della
borghesia, conseguenza delle ideologie diffuse dalla Rivoluzione francese dell'89, i nuovi
equilibri di potere e le nuove correnti di traffici commerciali stabilitesi a seguito
dell'urto tra la democrazia francese e gli Stati autoritari del vecchio continente.
La Repubblica di Genova, con poche risorse territoriali e una declinante potenza
economica, si trovò compressa tra la Francia (principale partner nei commerci nell'Alto
Tirreno) e gli Stati continentali interessati a contrastare l'espansione sovversiva della
Grande Nazione. Tra i fattori interni che spinsero i liguri a cercare cambiamenti
istituzionali va collocato in primo piano il movimento dei cosidetti "nobili
poveri". A Genova, per poter aspirare a posti di governo, era necessario "un
certo censo", vale a dire una data disponibilità di denaro, il che spingeva le
famiglie nobili a concentrare tutte le ricchezze nelle mani del primogenito. Questa norma
faceva dei figli cadetti dei diseredati, riducendoli, in qualche caso, in condizioni
economiche molto modeste. Di pari passo era decaduto il ruolo del Maggior Consiglio,
assemblea di cui questi patrizi (ben 400) facevano parte. Il potere era andato così
interamente ai duecento membri del Minor Consiglio, formato da ricchi eredi delle grandi
casate che lo gestivano con criteri privatistici, attenti unicamente a tener buono il
popolo, convinti com'erano che i restanti genovesi, anche se poveri, mai si sarebbero
schierati contro il governo.
Fu quindi una sorpresa quando, nel 1749, venne alla luce una cospirazione antioligarchica:
un movimento d'opposizione, compreso ancora entro l'ambito parlamentare, con cui un gruppo
di "nobili poveri" intendeva imporre una riforma degli organismi di governo,
ridistribuendo il potere secondo i dettami della Costituzione del 1576. La cospirazione fu
repressa dalla autorità, i principali esponenti arrestati o costretti all'esilio e tutto
rimase come prima, anche se le riforme sollecitate avrebbero potuto forse salvare
l'aristocrazia dalla imminente rovina. Fallita la cospirazione, l'attività degli
oppositori, sostenuti dalla Francia, continuò nella clandestinità. II ministro Faipoult,
incaricato d'affari a Genova, uomo d'azione, grande amico di Bonaparte, fece della
Legazione il centro motore di una attiva propaganda giacobina e antioligarchia. Protetto
dai privilegi diplomatici, giungeva in porto, indirizzato al rappresentante francese,
abbondante materiale propagandistico che attraverso la farmacia Morando e altri
intermediari veniva distribuito in città per alimentare cellule sovversive di cui gli
Inquisitori di Stato erano al corrente, ma che non osavano stroncare temendo guai
peggiori. Mentre era chiaro che si preparava una insurrezione, i gendarmi si limitavano a
controllare e a riferire al governo, il quale si illudeva di tenere in pugno la situazione
in virtù del proprio paternalismo nei confronti del popolo. Paternalismo che era in
sostanza un misto di meditato calcolo e di caritatevole generosità. Rincorrendo queste
illusioni, i Magnifici non diedero il dovuto peso neppure alla grande parata del partito
filofrancese, alla fine di novembre del 1796, in occasione della visita a Genova di
Giuseppina Bonaparte.
Tra "complimenti" ufficiali, udienze riservate e ricevimenti, l'ospite ebbe
onori e attenzioni più di quanto non fosse doveroso con la moglie di un semplice
generale. Tali riguardi suscitarono infatti qualche polemica, ma il governo lasciò
correre: era quella una cortesia interessata dato che Bonaparte teneva in mano, in quel
momento, le sorti di Genova come di altri Stati italiani. L'insurrezione preparata dai
giacobini genovesi sotto la guida di Faipoult, scoppiò alla fine di maggio, il 21,
domenica. I sudditi francesi, civili e militari, avevano indetto diverse manifestazioni
per celebrare le vittorie di Bonaparte sull'armata austriaca, coronate, il 18 aprile,
dall'armistizio di Leoben. A Sampierdarena, dove era un vasto deposito militare, erano in
programma banchetti e danze. Sulla facciata del palazzo della Legazione, Faipoult aveva
fatto scrivere, con centinaia di luci, la parola Paix. Cortei di manifestanti, con
bandiere e coccarde tricolori, percorsero la città sino a tarda ora, ma sino all'alba
misteriosi via vai animarono la buia quiete dei vicoli. A dare il segnale di inizio di
quella che fu chiamata la Rivoluzione di Genova fu, la mattina del 22, la fanfara del
reggimento dei Cadetti. Mentre questo reparto d'élite si avviava a rilevare la guardia a
Ponte Reale (la stazione marittima d'allora) a un cenno del comandante Falco, trombe e
tamburi intonarono le note del Ca ira, inno proibito a Genova per i suoi accesi
significati antlaristocratici. A quelle note sbucarono, dalle strade circostanti, squadre
di giacobini armati che subito si unirono ai cadetti nell'occupazione del varco portuale e
quindi si sparsero per la città. Mentre i nobili si rifugiavano nei loro palazzi e le
botteghe chiudevano i battenti, gli insorti presidiarono le Porte delle Mura,
saccheggiarono i depositi di armi, liberarono i detenuti della Malapaga e i galeotti. Un
comitato rivoluzionario, destinato a guidare l'insurrezione, si installò nella Loggia di
Banchi: ne facevano parte Felice Morando, Filippo Doria, l'abate Cuneo, Valentino Lodi,
Andrea Vitaliani, il monaco Alessandro Ricolfi detto Bernardone. Furono subito avviati
contatti con il governo cui gli insorti chiesero le dimissioni immediate. I Magnifici
chiamarono quale mediatore il ministro francese che, scortato da alcuni senatori, si recò
a Banchi e, consultatosi con gli esponenti degli insorti, tornò a Palazzo per dire - come
era nel suo interesse - che al governo non restava che dimettersi. Il Doge Giacomo Maria
Brignole e i pochi senatori che erano riusciti ad arrivare a Palazzo stavano per accettare
quando, sobillati da qualche patrizio, da Portoria, l'inquieto quartiere di Balilla, mosse
una folla di popolani che gridando "viva il nostro Principe", "viva
Maria" penetrò nella pubblica armeria asportandone 14 mila fucili. Questi uomini,
coraggiosi e decisi, cominciarono a dare la caccia ai giacobini e ai francesi: le strade
della città divennero in breve un campo di battaglia. Due giorni durarono gli scontri con
morti e feriti. Lo stesso Filippo Doria cadde colpito a morte sugli scalini di Ponte
Reale. Le celle di Palazzo Ducale si riempirono di democratici arrestati dai "viva
Maria" e, non bastando queste, fu adattata a prigione anche la vicina chiesa di S.
Ambrogio. L'intervento del popolo in difesa del "vecchio principe", se aveva
dato al governo un buon motivo per rifiutare di dimettersi, con le sue violenze, specie
nei confronti dei cittadini francesi, diede anche a Faipoult l'occasione per ricorrere a
Bonaparte.
Questi inviò a Genova l'aiutante di campo La Vallette con una lettera per il ministro e
una per il Doge, durissime entrambe. Nella prima il generale accusava Faipoult di aver
impedito l'ingresso delle navi francesi nel porto e di aver agito con eccessiva debolezza.
Lo invitava quindi a lasciare la città nel caso che il governo genovese non avesse
ottemperato a quanto richiesto nella lettera al Doge. In questa ultima, che l'aiutante
lesse, con tono arrogante davanti al senato genovese, Bonaparte chiedeva che fossero messi
in libertà tutti i francesi detenuti, che fossero arrestati i nobili che avevano
sobillato i "viva Maria" e disarmato il popolo. «Se entro 24 ore dopo ricevuta
la presente lettera non avrete ottemperato a quanto richiesto - intimava il generale - il
ministro della Repubblica Francese sortirà da Genova e l'aristocrazia avrà esistito». I
Magnifici compresero che non restava loro altra scelta che accettare il diktat di
Bonaparte.
Una lista dei nobili arrestati dopo la caduta della repubblica aristocratica di Genova,
nel 1797, tra cui figurano alcuni Giustiniani (tratto dal volume "Lettere nella
bufera" di Pompeo Sertori, Ed Tigullio, 2004).
Solo qualcuno, nello sconforto del momento, osò protestare: "ebbene
ci batteremo", ma era uno slancio suicida. Si affrettarono i tempi. Partì per Milano
Faipoult, partì una delegazione genovese composta dall'ex Doge Michelangelo Cambiaso, dal
giurista Luigi Carbonara e da Girolamo Serra per concordare con Bonaparte, in quei giorni
"in vacanza" nella villa di Mombello, il cambio di governo.
Lo stesso Bonaparte, tra il 5 e il 6 giugno, con l'aiuto di Faipoult, stese il testo di
una Convenzione che prese il nome di "Convenzione di Mombello", con cui si
sanciva la fine della Repubblica di Genova, oligarchica e aristocratica, e la nascita
della Repubblica Ligure democratica. Al testo dell'accordo, che fu poi approvato a Genova
il 9 giugno, Bonaparte unì una lista di 22 persone designate a formare il nuovo governo,
tra cui figuravano alcuni nobili, compreso il marchese Giacomo Maria Brignole. Questo
governo, detto provvisorio fu insediato il 13 giugno con a capo lo stesso Giacomo Brignole
che, in tal modo, cambiava soltanto carica: da Doge diventava Presidente.
La Repubblica di Genova finì il 14 giugno 1797 dopo trecento anni di indipendenza, al suo
posto nacque la Repubblica Ligure, voluta dai francesi ma, ancora per poco, indipendente.
Napoleone annesse anche alla neo repubblica i feudi di Arquata, Ronco e Torriglia con una
popolazione complessiva di centoventimila abitanti.
Immaginiamo adesso le vendette dei Giacobini con quali forme si potessero esprimere;
Napoleone fu chiamato " benefattore ' della Liguria e cominciarono gli atti di odio
verso i nobili e quanti rimpiangevano la persa vera indipendenza, non certo quella ibrida
dei giacobini.
Fu dato fuoco al Libro d'Oro, con indicati i nomi dei patrizi, alla Bussola, alle insegne
ed agli stemmi Dogali; insomma a tutto quello che poteva ricordare l'antica forma di
governo.
Un triste fatto seguì poco tempo dopo: a Palazzo Ducale vi erano, all'ingresso, due
statue del 500 dei Doria, una delle quali rappresentava Andrea; i Giacobini, pochi di
numero, ma forti della presenza di numerosi soldati francesi prossimi alla città, non
contenti di avere già distrutto molti stemmi gentilizi sulle travi dei portoni delle case
dei nobili, fecero scempio delle due statue, decapitandole.
Dopodiché si recarono alle carceri del Palazzetto ed a quelle della Torre e liberarono
tutti i malfattori che erano lí rinchiusi per reati comuni, azione che i
"rivoluzionari", avevano già compiuto nella precedente sommossa. Gli eccessi e
le violenze dei filo-francesi durarono fino al sedici giugno.
Il primo di luglio il nuovo governo assunse, con grande pompa il possesso del Ducale; si
ordinò di togliere dalla sala del Gran Consiglio le statue dei nobili benemeriti e di
cancellare con gli scalpelli le insegne dei patrizi che per le loro beneficenze del
passato si trovavano nell'albergo dei Poveri e nei due ospedali genovesi. Non dobbiamo
dimenticare che l'assistenza sanitaria era un fiore all'occhiello di Genova, in quanto,
completamente gratuita, funzionava in modo egregio grazie ai cospicui lasciti
dell'aristocrazia genovese.
Il titolo di Doge fu abrogato e sostituito con quello più giacobino di " presidente
".
Si crearono in seguito cinque comitati municipali; quello degli Edili (di cui conserviamo
un monumento da questi dedicato alla Repubblica Ligure, si tratta di un tempietto con
all'interno dei lavatoi, che per chi lo volesse vedere si trova dentro dei giardini
''Baltimora") il quale soprassedeva alla sussistenza ed ai bisogni generali della
città; il secondo comitato era quello dei Pubblici Stabilimenti suddiviso negli uffici
delle Consegne, della Giunta, del Contrabbando, della Moneta, della Seta e della Lana; fu
poi rinnovato il comitato dei Conservatori del Mare; tutti questi organismi costituirono
il Tribunale Provvisorio del Commercio. Furono inoltre istituiti gli Ispettori di Pace
(due per ogni quartiere della città) i quali dovevano provvedere alla pubblica quiete.
Il primo grosso passo falso del nuovo governo fu di creare delle norme per cui i vescovi
non avrebbero potuto, senza il permesso governativo, ordinare i sacramenti e tanto meno
ordinare frati o monaci.
Questa ingerenza giacobina nella vita della Chiesa, si accompagnò simultaneamente ad
un'altra novità: veniva formato un altro gruppo di " missionari " (o apostoli)
giacobini, i quali dovevano predicare al popolo, sia nelle città ma principalmente nelle
campagne, le nuove teorie sociali della Rivoluzione Francese al fine pratico di far ben
accettare la nuova forma di governo. Questi personaggi portavano appeso al collo un nastro
bicolore, bianco e rosso, assieme ad un piccolo crocifisso, a voler simboleggiare l'unione
della fede con i principi giacobini.
I nuovi " apostoli " certamente si attirarono subito l'avversità dei preti e
cominciarono anche le reazioni del popolo, che mal li vedeva; infatti parecchi di loro
furono minacciati e cacciati dai luoghi di predicazione.
Il 14 luglio fu decretata la Festa della Libertà, in ricordo della presa della Bastiglia
ed il 22 nella chiesa di S. Ambrogio, furono celebrate le esequie dei giacobini uccisi
durante i precedenti scontri. Accenniamo ora a quello cui i francesi ambivano in sommo
grado: le continue ed incessanti richieste di denaro, malgrado che l'erario ligure fosse
praticamente vuoto: il ministro genovese a Parigi, Stefano Rivarola, fu sostituito
dall'avvocato Boccardi ed il precedente accordo fatto da Vincenzo Spinola, per cui la
Repubblica di Genova si obbligava a pagare quattro milioni di tornesi ai francesi ,venne
modificato in modo che il risultato fu che le famiglie genovesi dei Doria, Pallavicini,
Durazzo, Fieschi, Carrega, Spinola, Lomellini, Grimaldi, Cattaneo, avrebbero dovuto pagare
l'ingiusta tassazione.
Il Governo oltre ad ordinare queste misure, decretò che tutti i possessori di beni
franchi li avrebbero dovuti denunciare minacciando pene per chi non ottemperasse alle
norme e premi ai delatori di chi non pagava le imposte.
La politica giacobina e le incessanti richieste finanziarie francesi, portò ad odi e
sospetti e si creò una situazione per cui gran parte del popolo cominciò a dare segni
d'insofferenza perché la persecuzione dei nobili si ripercuoteva sull'economia tutta
dello Stato Ligure.
Non si deve dimenticare che il Mar Ligure essendo infestato dai Barbareschi, di fatto
fermava tutti i traffici marittimi; i Francesi avevano promesso, nella convenzione di
Montebello, di combattere i pirati per aiutare il commercio ligure, ma in realtà non
fecero nulla. A questo si aggiunse l'ordine di Napoleone di spedire nuove milizie a
Genova, comandate dai generali Casabianca e Duphot, chiara dimostrazione questa, di forza
e di perduta libertà per le belle terre di Liguria; l'esercito con la sua presenza
massiccia era poi il mezzo sicuramente più efficace per convincere i Genovesi a pagare le
nuove tasse ed evitare eventuali ribellioni.
Però a questa azione, già di per sé lesiva dello spirito di indipendenza genovese, ne
seguí un altra ben grave: fu dato ordine di rimuovere le artiglierie poste a difesa delle
porte della città, simbolo queste della libertà e della sovranità genovese.
La reazione a questi gravi fatti non tarderà a farsi sentire. Lo stesso governo si divise
in due fazioni: una presieduta da Serra, voleva mantenersi, il più possibile, lontano
dalle pretese francesi, inoltre desiderava il rispetto dei preti e dell'aristocrazia ;
l'altra posizione era invece più consona alle richieste degli stranieri. Si avvicinava
intanto l'approvazione della nuova costituzione; il governo decise che dopo la sua
discussione si sarebbe svolto un plebiscito per il 14 settembre. I malumori non avrebbero
però tardato a farsi sentire, infatti sarebbe presto cominciata una sanguinosa rivolta
antifrancese ed antigiacobina che verrà poi repressa duramente.
Dapprima, come già ho accennato prima, vi furono nel governo provvisorio stesso delle
profonde diversità d'opinione in merito alla costituzione e furono poi nominati dodici
commissari; loro compito sarebbe stato di spiegare ai Liguri, le nuove leggi e la nuova
forma di governo; però, particolarmente tra le campagne il comportamento del popolo fu di
avversione alle nuove idee. Non possiamo certo negare il ruolo che ebbero nobili e preti
nel cercare di contrastare la ventata giacobina, perché con la nuova costituzione quelli
vedevano diminuire il loro potere, ma dobbiamo capire che i beni dell'aristocrazia
sarebbero finiti nelle casse francesi e non di certo nelle mani del popolo; sarebbe un
errore affermare che i cittadini liguri furono sobillati, tout court, dal clero e dai
patrizi; tanto meno rifiuto di pensare ad un "plagio" del popolo delle campagne
contro la nuova repubblica: credo piuttosto che tutti gli abitanti liguri che si
sollevarono contro di essa avessero a cuore la propria indipendenza e libertà dal giogo
straniero e capirono che ingiuste tasse ai nobili, cuore finanziario dei commerci,
avrebbero significato fame per tutti.
I Giacobini poi, erano la " lunga mano " del potere fortemente centralista
napoleonico, un potere che veniva da lontano e certamente tutti i Liguri, fedeli al
proprio passato, capivano che la realtà, sostanzialmente, sarebbe stata di vedere, ed i
fatti lo dimostreranno, i Francesi come padroni assoluti dei loro territori. Un governo
giacobino, non era certamente democratico, quando rimetteva la sovranità, non certo nelle
mani del Popolo, ma del francese invasore.
Le genti liguri che primi presero le armi per la grande ribellione, furono quelle che
vivevano nelle valli del Bisagno, che riunitasi in massa si avviarono verso Genova per
liberarla dagli stranieri e dai loro alleati. Il governo provvisorio, spaventato, ordinò
che per il momento si soprassedesse alle già avviate riforme costituzionali, ma emanò
anche un decreto che dichiarava rei di lesa nazione, condannandoli a morte, quanti
agissero o "parlassero" contro il nuovo governo e la sua costituzione.
Furono quindi arrestati alcuni nobili ingiustamente e tutta la zona di Albaro insorse; il
generale francese Duphot, noto per la sua durezza in guerra, attaccò con violenza il
popolo alla cui testa vi erano i valorosi frate Pezzuolo ed il giovane Marcantonio da
Sori.
L'esercito francese vinse a Sori, anche se i difensori ebbero per poco tempo un breve
successo ed inseguirono gli attaccanti, ma arrivati sotto Carignano furono dispersi e
falcidiati dalle batterie là disposte. Il popolo fu costretto a ritornare in Albaro, qui
i Francesi ed i loro compari Giacobini vi entrarono e trattandola alla stregua di una
città nemica misero il quartiere a sacco e bruciarono il teatro e la bella villa
Defornari, ove dicevano si riunivano i capi della rivolta.
La feroce repressione dei Bisagnini e di Albaro, non bastò a calmare gli indomiti animi
del popolo, infatti, con grande spirito unitario ligure, i Polceveraschi accorsero in
aiuto dei fratelli e presero il Forte Sperone, centro del sistema difensivo delle mura di
Genova, e Forte Tanaglia; inoltre occuparono tutto il secondo cinto delle mura e le
batterie di S. Benigno. Era la rivolta di tutto il popolo.
I Giacobini, essendo poco numerosi e non avendo forze sufficienti per contrapporsi alla
furia popolare, si dispersero, l'esercito francese non si aspettava la sollevazione
generale; così il governo filo francese cercò, vista la malaparata, di iniziare
trattative con i rivoltosi, anche per prendere tempo e permettere all'esercito invasore di
organizzarsi meglio.
Fu promessa, così, l'impunità ai Patrioti Liguri, per i loro atti di ribellione, ma
questi non erano intenzionati a restituire le fortezze occupate; fu allora che il
comandante Daphot, con truppe fresche, attaccò in modo violentissimo Forte San Benigno e
dopo quattro ore di furiosi combattimenti il popolo, poco armato, fu costretto a
soccombere allo straniero. I francesi misero in catene cinquecento genovesi: fu subito
formato un tribunale speciale militare, che condannò a morte otto patrioti e molti altri
ebbero la dura condanna "del remo" nelle galee . La rivolta repressa, portò
come conseguenza immediata assurde richieste di denaro dai Francesi, che però l'erario
ligure non poteva soddisfare; il governo cominciò così a gravare il popolo di nuove
tasse e si inventò un nuovo modo di riempire le casse francesi: si arrestavano nobili,
sebbene innocenti e si rilasciavano solo quando pagavano forti somme di denaro; una sorta
di sequestro legalizzato.
Napoleone mandò a Genova il generale Lannes, che aveva una personalità caratterizzata da
modi rudi ed autorevoli, egli prese la città con la forza e se ne impadronì con presidi
militari atti a prevenire eventuali nuove rivolte. Frattanto Corvetto, Bertuccioni, Lupi,
Sommariva e Rossi erano quasi arrivati al termine del loro lavoro di formazione della
nuova costituzione. Il Governo Francese, sicuro che la situazione era ormai in mano sua,
pretese imposte per cinquantaquattro milioni e ottocentoventicinque mila lire, somma
astronomica per quei tempi. La costituzione prevedeva tre codici: civile, criminale e
commerciale; il Senato sarebbe stato formato da trenta senatori di cui era presidente il
Doge; i magistrati erano sei: Supremo, di Giustizia, di Legislazione, dell'Interno, di
Guerra e del Mare, delle Finanze. Il Doge sarebbe durato in carica sei anni, il Senato
due; gli ordini Civili erano formati dai Possidenti (duecento membri), dai Commercianti
(duecento membri), dai Dotti (cento membri) . La Repubblica Ligure si obbligava a
mantenere una flotta formata almeno da due vascelli, due fregate e quattro corvette;
Napoleone comandò che fosse eletto Doge (o meglio dire presidente) Francesco Cattaneo, ma
questi rifiutò e vi surrogò Giacomo Maria Brignole, che già ricopriva la carica.
Tra folte schiere armate di soldati francesi si tennero i comizi popolari. La costituzione
fu approvata da centomila voti contro diciassettemila. La Liguria cedeva oppressa da
irresistibile violenza, anche se, almeno sulla carta l'indipendenza rimaneva.
Alla fine del Settecento, Genova, con circa 89 mila abitanti, era la capitale di uno Stato
che, nel complesso, ne contava poco più di 600 mila. La popolazione urbana era divisa
sostanzialmente in due classi. Laristocrazia e il popolo, tra le quali si andava
affermando una borghesia benestante, se non ricca, formata da mercanti, professionisti,
intellettuali, molti dei quali discendenti delle grandi casate nobiliari, decaduti nella
scala sociale semplicemente per via del loro censo modesto. E questo perché, attraverso i
tempi, leggi e consuetudini avevano cucito a filo doppio ricchezza e potere, rendendo le
due cose interdipendenti. Il governo della Repubblica di Genova, fondata da Andrea Doria,
era in mano ad un ristretto numero di famiglie che da anni se lo passavano dalluna
allaltra, arroccate in una tenace difesa dei loro privilegi ma anche
dellindipendenza e neutralità dello Stato. Per garantirsi libertà e sicurezza, il
governo oligarchico aveva munito la città di una formidabile cerchia di mura, e di una
catena di forti che ne facevano una delle piazze meglio difese dEuropa. Entro la
cerchia delle nuove mura, che si spingevano sino alla sommità delle colline, disposte
come un verde fondale alle spalle della città, labitato era andato espandendosi in
superficie e in altezza, con case altissime addossate le une alle altre per conservare
gelosamente allintorno orti e giardini dove, per non guastare il paesaggio, era
persino vietato innalzare muri divisori. Il panorama di Genova, scrive un anonimo del
primo Ottocento, offriva «le più pittoresche vedute» sia per la quantità dei palazzi e
delle ville situate su ridenti colline, sia per i campanili e le cupole delle chiese che
ladornavano, tanto da offrire a chi losservava dal mare, uno spettacolo
paragonabile a quello di Napoli e di Costantinopoli, città decantate dai viaggiatori. Non
esagerava certamente, lanonimo ottocentesco, ponendo come nota dominante del
paesaggio genovese le cupole e i campanili. In quellepoca infatti si contavano,
entro la cerchia delle mura secentesche 119 tra chiese e conventi, alcuni dei quali
imponenti, 35 oratori e alcune cappelle. Il vanto dellurbanistica genovese erano
però i palazzi privati che, a decine, sorgevano nei vari quartieri della città e in
particolare in quella Strada Nuova, straordinario esempio di lottizzazione cinquecentesca,
dove si allineava una serie di edifici che Pietro Paolo Rubens, durante il suo lungo
soggiorno genovese, volle disegnare e i disegni raccogliere in volume quale esempio
magistrale ai futuri architetti. In queste splendide dimore abitava la nobiltà genovese:
principi, marchesi, conti, ma contemporaneamente banchieri, diplomatici, navigatori,
soldati di ventura, latifondisti, che in secoli di vantaggiosi affari, di ardite
speculazioni, di sagge economie, avevano accumulato enormi fortune, che custodivano
gelosamente ma non di rado allegramente sperperavano. Da questi palazzi uscivano i dogi
biennali, i membri dei Serenissimi Collegi, che detenevano il potere esecutivo, i deputati
al Minor e Maggior Consiglio, organi legislativi della Repubblica. La vita culturale della
città era piuttosto limitata. Esistevano un paio di biblioteche pubbliche, e altre
private, ricche di preziosi volumi, rimaste però quasi segrete sino ai nostri giorni.
Molte famiglie patrizie avevano collezioni darte, dove figuravano molti bei nomi
dellarte italiana e fiamminga, e vantavano tradizioni di un mecenatismo molto
riservato. Le signore genovesi conducevano unesistenza piuttosto libera quale
consentiva loro la vita pure molto indaffarata e libera dei mariti. Nelle stemmate
portantine le dame si trasferivano dalle «conversazioni» pomeridiane nei diversi
salotti, agli spettacoli del teatro SantAgostino, o del Falcone, dove si alternavano
drammi, commedie e accademie musicali, offrendo soprattutto loccasione per uno
sfoggio della ricchezza. I salotti cittadini avevano le loro sacerdotesse: signore assai
ammirate per cultura e grazia, come Anna Pieri Brignole, fiorentina di nascita, Lilla
Cambiaso Giustiniani, Luigia Pallavicini, ispiratrice dellode foscoliana, Antonietta
Costa Galera, pittrice, che riunirà attorno a sé, durante la Repubblica Ligure, patrioti
e poeti e sarà celebrata da Vincenzo Monti in una famosa ode. Il popolo abitava le alte
case dei vicoli, con poco sole e poche comodità, ma sostanzialmente non in polemica con i
ricchi. Il porto era la prima fonte di guadagno, seguito dallartigianato,
dallagricoltura e dagli impieghi domestici nelle case patrizie. Allorché la
rivoluzione costringerà molti nobili a chiudere i palazzi e le ville, si porrà
drammaticamente il problema della disoccupazione per un buon numero di cittadini. Per
questa dipendenza vitale il popolo rimase quasi sempre, tranne casi limitati, schierato a
fianco del patriziato, spesso gloriandosene come di una propria creatura.
Il colpo di stato del 1799
Gli ultimi giorni di gennaio del 1798 fu eletto il direttorio esecutivo, formato da: Luigi
Corvetto, Giorgio Ambrosio Molfino, Agostino Maglione, Nicolò Littardi, Paolo Costa; fu
eletto segretario il medico Stefano Emanuele Sommariva, l'avvocatoDomenico Assereto
diventò Ministro di Polizia, Ministro dell'Interno e della Finanza fu Giambattista Rossi,
Ministro degli Affari Esteri e Giustizia Francesco Maria Ruzza e Ministro di Guerra e Mare
Marco Federici. I Francesi non persero tempo a chiedere altre somme di denaro alla nata
Repubblica, che consideravano ormai terra da cui depredare fiumi di soldi per mantenere il
loro esercito e si inventò così una nuova tassa: quella delle finestre, ogni cittadino
doveva pagare una imposta secondo la quantità di luce e di aria che riceveva nella sua
casa, in altre parole più finestre aveva più pagava.
Il 7 dicembre 1799, l'autorità francese effettuò un "colpo di stato" mediante
il quale le istituzioni, ancora formalmente indipendenti della Repubblica Ligure, vennero
soppresse. Tutti i poteri furono concentrati nelle mani di una "Commissione di
Governo" che era in pratica formata da personaggi sottomessi ai voleri francesi. La
Liguria aveva ormai per la Francia un'importanza militare fondamentale ed occorreva il suo
assoggettamento. I Francesi avevano bisogno di un governo fantoccio per i loro scopi
bellici in modo da poter spogliare la Liguria dei suoi beni con imposte e requisizioni.
Furono arrestate 36 persone e fucilati 9 controrivoluzionari (dal " Monitore Ligure
" del 7, 11 e 28 dicembre 1799).
Napoleone requisì ai Liguri la loro flotta, al fine di poterla usare nella spedizione
d'Egitto, ove peraltro, giocò male le sue carte, tanto che la Francia dopo la poco
fortunata impresa africana rese l'Inghilterra padrona assoluta dei mari e questo sarà, a
livello grande - strategico, forse la vera importante ragione, della caduta Napoleonica
negli anni a venire. E' certo che gli Inglesi stessi, con loro spie all'interno del
Direttorio francese, fecero in modo che i Francesi si gettassero nella assurda spedizione
navale, proprio perché convinti di poter distruggere la flotta nemica e controllare tutte
le vie di comunicazioni marittime.
Nel 1798 si ebbe una piccola guerra tra la Repubblica di Genova ed il Piemonte; si formò
a Carrosio, terra situata in Liguria ma suddita del Piemonte, un movimento tra le genti
del luogo, che aveva come obiettivo di fare una secessione dal Piemonte.
I Carrosiani svaligiarono i corrieri del re piemontese ed assaltarono Serravalle, ma qui
furono respinti dalle truppe dei Savoia; frattanto Brune, comandante francese, che
sostituiva in quel momento Bonaparte quale capo dell'esercito in Italia , formò a
Pallanza sul Lago Maggiore un corpo di repubblicani piemontesi filofrancesi, i quali,
secondo i piani si sarebbero dovuti lanciare nel Novarese e prendere Domodossola;
l'impresa riuscì in un primo tempo ma Carlo Emanuele IIº riprese la cittadina dopo
scontri molto sanguinosi. Gli abitanti di Carrosio continuarono nelle loro azioni contro i
Savoia, il loro paese era però circondato completamente dal territorio della Repubblica
Ligure e per il re piemontese attaccare i sudditi ribelli, significava passare con il suo
esercito sotto la fortezza di Gavi, roccaforte dei Genovesi.
Da questi non venne il permesso di passare, così il Savoia, attaccò la stessa Carrosio
violando il territorio Ligure; questo fu un vero affronto e si unì al disgusto che il re
piemontese suscitò per i supplizi che inflisse ai ribelli Carrossiani, di idee
repubblicane.
Questo portò a scontri tra Liguri e Savoia, finché la Francia intervenne ed impose a
questi ultimi la cessione della cittadella (fortezza per la difesa della città) di Torino
assieme ad un compenso per la Repubblica Genovese per i danni ricevuti in seguito
all'invasione del loro territorio. Nel contempo la Coalizione fra Austria, Russia,
Inghilterra contro Napoleone, mandò un poderoso esercito in Italia comandato da Melas,
settantunenne generale austriaco e dal russo Suwarov. L'Inghilterra, con la flotta,
batteva tutte le coste italiane tenendole sotto stretto controllo.
I Francesi inviarono allora nel nostro paese il generale Scherer, ma furono battuti due
volte ed i loro avversari confederati passarono l'Adige; gli Astrorussi vinsero nuovamente
a Cassano e conquistarono la Lombardia ed il Piemonte. Il comando francese fu ridato a
Moreau, il quale si rifugiò con le truppe superstiti a Genova. La cittadella di Torino fu
ripresa dai Coalizzati e un altro esercito francese partiva frattanto dal Sud, dal Regno
di Napoli, guidato dal generale Mac Donald dirigendosi verso Nord, dove si scontrò con
gli Austriaci sul Panaro ma sopraggiunsero i Russi presso Piacenza , i Francesi persero
altre due battaglie, con grande bagno di sangue. Moreau si arroccò sui monti liguri con
quello che gli restava del suo esercito, decidendo di non scendere sulla pianura a dare
battaglia; conquistò Tortona ed attese la prossima mossa dei nemici. Questi frattanto
presero Alessandria, Mantova e Serravalle.
Il Direttorio francese, data la rotta del suo esercito, decise il cambio del comando
militare; a Moreau successero altri due generali: Championnet e Joubert, il primo doveva
cacciare i nemici dal Piemonte attaccando da Nord, il secondo doveva invece attaccare da
Sud, prendendo i nemici in una manovra a tenaglia. Joubert attaccò Acqui e la prese
mettendola a sacco, poi scese la Bocchetta e cacciò gli Austriaci da Novi. Qui si
diressero gli eserciti al completo degli Austrorussi ed il 15 agosto 1799 vi fu una
sanguinosissima battaglia ove cadde valorosamente lo stesso Jobert ed i Francesi furono
battuti. La città di Novi fu presa dai Russi e la popolazione civile dovette subire
barbare uccisioni e violenze personali. Moreau subentrò nuovamente al comando dei
francesi, raccolse quello che restava delle truppe e si arroccò nuovamente fra i monti
liguri.
La Repubblica di Genova divenne così teatro strategico importante e il generale Klenan a
capo dei Coalizzati attaccò la Riviera di Levante dirigendosi verso Genova, occupò
Rapallo ed arrivò a Recco.
Fu qui respinto dal francese Miollis e si ritirò allora oltre Sarzana, avventandosi dopo
La Spezia e se ne impadronì favorendo l'avvicinarsi degli Austriaci a Genova; vi furono
altre piccole battaglie nei pressi di Novi; per l'ennesima volta Moreau fu sostituito,
stavolta dal solo Championnet e il 9 novembre ci fu una scontro sulle rive dello Stura tra
Fossano e Savigliano dove i Francesi vennero battuti ancora una volta. La disfatta della
Francia in Piemonte: caddero Savigliano, Lavaldigi, Mondovì, Garessio, Irmea, Cuneo.
Napoleone abbandonò intanto l'Egitto sconfitto sul mare e mandò a Genova il generale
Massena, il quale aveva ordine preciso di tenerla finché Bonaparte stesso non fosse
riuscito a riunire un forte esercito per potere riprendere Piemonte e Lombardia. Massena,
noto per la sua inflessibilità, divise l'esercito in due parti: una comandata da Soult,
il quale doveva da Recco procedere per la Bocchetta verso Voltaggio e Campofreddo,
coprendo così anche Savona; l'altra comandata da Souchet doveva distribuire le truppe fra
Noli e Nizza.
Questa strategia avrebbe dovuto garantire, conservando le Riviere, il rifornimento di
Genova e delle truppe francesi, dove vi era già penuria di vettovaglie. In quei tempi, la
logistica cioè quella parte dell'arte militare che studia ed organizza i rifornimenti,
trasporti di cibo e polveri da sparo era di complicata gestione. Per questo motivo se si
spezzava una linea di rifornimento, qualunque esercito, anche se numeroso, poteva essere
battuto; ecco perché gli Astrorussi cercarono di chiudere i francesi in una sacca a
Genova. Napoleone calcolava con precisione millimetrica i suoi piani, era maestro nella
velocità di spostare i suoi eserciti e nella rapidità di concludere le battaglie in modo
da fare dipendere, al minimo, i suoi eserciti dai fattori logistici.
Melas, capo supremo austriaco, distribuì anch'egli il suo esercito lungo le Due Riviere,
località per località, opponendosi ai Francesi in ogni luogo al fine di tagliare tutti i
rifornimenti alla capitale della Liguria. Gli inglesi erano ben attenti intanto sui mari
con la loro flotta. Il 6 aprile l'austriaco Ott assaltò il francese Miollis, nella
Riviera di Levante e lo spinse fino al Bisagno; Hohenzollern, comandante Coalizzato,
cacciò Gazan da Voltaggio ed il generalissimo Melas batté Gardanne tra S. Bernardo e
Stella, occupando Savona. Elsnitz batté Suchet presso Finale e lo spinse oltre Loano.
Queste vittorie austriache tolsero tutte le vie di comunicazione all'esercito di Francia e
gli Austriaci presero infine la Bocchetta, via d'accesso alla città di Genova. Qui i
Francesi furono costretti a rinchiudersi e i Coalizzati si prepararono all'assedio. Le
truppe napoleoniche erano formate da circa diciasettemila uomini ed i loro nemici da
trentamila. Gli Inglesi, comandati dall'ammiraglio Keith erano pronti a bombardare Genova.
Il 30 aprile, mentre i Britannici già sparavano con i cannoni dalle loro navi sulla
città, gli Austriaci scendendo dal Monte Fasce, cacciarono i francesi dal Forte dei
Ratti, occupandolo e cinsero d'assedio il Forte Richelieu.
L'obiettivo tattico era di attaccare la Porta Romana ed infatti riuscirono ad avvicinarsi
a S.Martino d'Albaro. Dall'altra parte della città i Francesi perdevano le posizioni dei
Due Fratelli e i Coalizzati si ponevano all'assedio delle fortezze dello Sperone e del
Forte Diamante, dove per dovere di cronaca combatté anche Ugo Foscolo. Massena capì che
doveva cercare di forzare l'assedio e tentare il tutto per tutto.
L'undici maggio assaltò il Monte Fasce e fece in modo che Soult penetrasse attraverso
Olmo, Prati, Vignone e Travasco fino alle falde orientali del monte; gli Austriaci si
ritirarono a Bogliasco ed i Francesi ne approfittarono per riprendere Nervi
momentaneamente, al fine di rifornirsi di vettovaglie e fecero anche mille prigionieri
austriaci. Massena sperò di spingere gli avversari oltre la Bocchetta e mandò
all'attacco Soult e Gazan, i quali valorosamente combatterono, ma gli Austriaci
resistettero e fecero retrocedere i Francesi, i quali furono poi battuti. Fu ferito ad un
ginocchio da una palla di moschetto e fu preso prigioniero lo stesso Soult. Massena e
Genova erano adesso alla mercé degli Austriaci .
L'assedio che i Genovesi dovranno subire sarà tremendo; ai cittadini si distribuì
all'inizio un'oncia di pane a testa; Massena, privo di denaro per le paghe dei soldati,
costrinse i genovesi a contribuire con cinquecentomila tornesi.
Da sottolineare che Massena, pagava circa quattromila facinorosi, che ricevevano
giornalmente tre franchi oltre ad una razione di pane che veniva distribuita loro dai
forni alle undici di notte, ora in cui vigeva il coprifuoco, che avevano il preciso
compito di terrorizzare i cittadini che intendevano protestare per l'assedio. Il capo dei
" bravi " era un certo Lanata.
Il quartier generale di Massena si trovava a Palazzo Ambrogio Doria, dove c'è l'attuale
sede della Banca di Roma - in Piazza De Ferrari -, allora Piazza San Domenico.
Un certo Assereto, unitosi ad un certo numero di abitanti della Fontanabuona, si unì agli
Austriaci e andò per le Riviere inneggiando alla ribellione contro i Francesi; gli
Inglesi intanto bombardavano S. Pier d' Arena e Albaro, sperando di spaventare la
popolazione e di farla rivoltare a Massena. Eroico fu il capitano di fregata Giuseppe
Bavastro, nato a Genova S. Pier d' Arena, che al comando di una piccola galera genovese
(la Prima) guidò un gruppo di imbarcazioni, il 20 e 21 maggio 1800, contro i due colossi
del mare Audacious ed Aurora, della marina Britannica, opponendosi valorosamente al
nemico. Nella città vi erano centoventimila persone destinate o meglio dire dannate a
soffrire una terribile fame; Massena non si piegava né si spezzava e non voleva
arrendersi;una libbra di riso si pagava sette lire, una di vitello quattro, una di cavallo
32 soldi, una di farina dieci lire o dodici, sei uova quattordici lire, la crusca trenta
soldi alla libbra. Insomma, prezzi astronomici. Finì il grano e si sostituì con semi di
lino, di paníco, di cacao, di mandorle, di gesso e si abbrustolivano e si cuocevano con
il miele: anche con questo si impastava la crusca, in miscele stomachevoli. Finiti anche
questi, il popolo andava raccogliendo tutte le erbe (ed erbacce) che si trovavano; donne
nobili e plebee, ricchi, facchini, mendicanti e aristocratici, andavano vagando come
fantasmi per gli orti del Bisagno e per le colline d'Albaro per prendere tutto quello che
fosse commestibile.
Ci furono liti e risse per pochi ciuffi d'erba. I fanciulli orfani o abbandonati,
cercavano per le fogne qualunque rifiuto o qualche bestia morta. Molti furono i suicidi;
inoltre quattro o cinquemila austriaci prigionieri, erano tenuti sopra certe barcacce
ferme in mezzo alla Darsena, mangiavano le loro scarpe e le pelli degli zaini e tentarono
anche di forare le barche per affogarsi. Venne poi la terribile peste; i topi diventarono
cibo prelibato e ci si picchiava per poterne mangiare uno. Però Massena non si piegava;
aveva promesso a Napoleone di aspettarlo.
Finalmente la pazienza del popolo finì, per una guerra che in fondo non lo riguardava; il
suo grido voleva finissero le sofferenze portate dagli stranieri; i Liguri non furono mai
giacobini, non furono né filofrancesi, né filoaustriaci; moltissimi furono i morti per
stenti e per malattie.
Il terrore della fame vinse, infine, la paura delle armi francesi e Massena pur rendendosi
conto della situazione difficile rifiutò un'onorevole resa.
Gli Inglesi allora, rabbiosi, bombardarono furiosamente la città durante la notte e la
rabbia dei cittadini verso i Francesi arrivò al limite; Massena riuní i suoi capitani e
propose una sortita inaspettata contro il nemico, al fine di rompere l'assedio e dirigersi
verso Nizza. L'idea fu considerata pazzesca fra i suoi ufficiali, tenendo conto che i
Francesi erano ridotti a ottomila unità ed erano stremati dalla fame. Alla fine il
comandante francese cedette e mandò una delegazione agli Austriaci a cui chiese una
convenzione e non volle sentir nominare la parola "capitolazione ". Il quattro
giugno, millecentodieci francesi lasciarono la città; il grosso delle truppe, fra cui lo
stesso Massena fu portato via nave dagli Inglesi, verso Antibes ed il golfo di Juan,
mentre un altro piccolo gruppo si avviò a piedi verso la Francia.
Gli Austriaci occuparono la lanterna ed il porto con l'armata di Keit, mentre il
comandante Ott entrò trionfante in città. I Giacobini più compromessi, fra i quali
l'anzianissimo Morando, l'abate Cuneo, l'avvocato Lombardi, i fratelli Boccardi dovettero
partire con i Francesi onde evitare rappresaglie nei loro confronti. Il popolo, finalmente
libero dalla fame cantava per le vie inni di ringraziamento, suonarono tutte le campane e
furono accese luminarie.
A guardia della città fu posto Hohenzollern e gli Austriaci crearono una reggenza di cui
fecero parte Paolo Celesia, Carlo Cambiaso, Agostino Spinola, Giambernardo Pallavicino,
Girolamo Durazzo, Francesco Spinola e Luigi Lambruschini.
Gli Austriaci si comportarono, né meglio né peggio dei Francesi.
Passò un po' di tempo ed intanto Napoleone raccolse il suo esercito e con circa
sessantamila uomini entrò nella pianura italiana, occupò Aosta, Chatillon, Chivasso,
Vercelli e cacciò gli austriaci da Milano ove entrò vittorioso il due giugno 1800, per
ristabilire la Repubblica Cisalpina; il suo generale Lannes intanto riprese Pavia e Murat
e Piacenza.
Dopo gli scontri di Caseggio e Montebello, ci fu la grande battaglia di Marengo ove
Napoleone, perdente in un primo tempo riuscì a stento a vincere grazie all'intervento
decisivo del comandante di cavalleria francese Kellerman che con circa seicento dragoni
irruppe nel fianco delle truppe nemiche, sconvolgendole.
Di lui, Napoleone, nel futuro non parlerà mai, cercando di attribuire tutte le ragioni
della vittoria a se stesso. Il comandante austriaco in capo Melas, chiese i patti ed alla
convenzione di Alessandria si decise che i Coalizzati avrebbero tenuto la linea tra il
Mincio, Fossa Mestra ed il Po, conservando Peschiera, Mantova e Borgoforte.
I Francesi si sarebbero invece stanziati presso le fortezze di Tortona, Alessandria,
Milano, Torino, Pizzighettone, Arona, Cuneo, Ceva, Savona e Genova . Con una certa
difficoltà i Francesi ripresero l'Italia ed in base al trattato sopra citato la Liguria,
ritornò nelle mani della Francia.
Curioso fu il comportamento del comandante austriaco di Genova Hohenzollern, il quale dopo
avere forzato i cittadini a pagare un milione di lire, " barattò " la città
con i Francesi, dai quali prese altri soldi; le truppe napoleoniche vi entrarono, condotti
dal Suchet, il 24 giugno. Napoleone mandò il suo consigliere Dejan a presidiare Genova,
assieme ad una "Commissione di Governo" rivestita di tutti i poteri eccettuati
quello giudiziario e legislativo.
I membri erano Giambattista Rossi, Agostino Maglione, Agostino Pareto, Girolamo Serra,
Antonio Mongiardini, Luigi Carbonara e Luigi Lupi. Il potere legislativo fu affidato
invece ad una consulta di cui facevano parte Luigi Corvetto, Emanuele Balbi, Girolamo
Durazzo, Cesare Solari, Giuseppe Fravega, Nicola Littardi, Giuseppe Deambrosis, tutti
presieduti dal francese Dejan. Questi lunghi elenchi di nomi, sono importanti perché la
scelta cadeva, logicamente fra i simpatizzanti francesi, così come i nomi dei reggenti
austriaci che li avevano preceduti, erano invece avversi alla Francia. Questo per
dimostrare come l'ingerenza straniera negli affari politici dei Liguri era determinante di
tutti gli avvenimenti.
Ben conosceva Bonaparte, lo spirito indipendistico dei Liguri, e capì che la sua
strategia doveva essere improntata a mettere la Repubblica di Genova in una condizione
tale per cui o accettava l'unione alla Francia o sarebbe perita, data la situazione
internazionale, economicamente, smembrata fra gli stranieri.
La situazione per la Repubblica Ligure era pessima " i Francesi la spogliavano di
denaro, gli Inglesi ne bloccavano i porti ed intanto anche la natura, per colpa delle
guerre straniere, ci si mise contro. L'epidemia di peste si espandeva sempre più e la
mortalità fu altissima nei mesi di giugno e luglio, conseguenza delle cattive condizioni
igieniche relative all'assedio ed al caldo. Nel 1800 il numero di morti nella città fu di
12.492 cittadini contro i 3.700 dell'anno precedente, con un aumento del 300%.
Nel 1802, dopo la momentanea pace tra la Francia ed Austria, il 19 giugno, Napoleone
deliberò una nuova costituzione per la Repubblica Ligure, con la forma meno "
giacobina " ma più vicina agli interessi dell'aristocrazia (qui si dimostra come non
esistevano " ideali " democratici, ma solamente interesse di potere politico da
parte francese ).
Fu deciso, per l'appunto, che la Repubblica fosse retta da trenta Senatori, presieduti dal
Doge e che il potere esecutivo fosse dato a cinque magistrati (Supremo, di Giustizia, di
Legislazione, dell'Interno, della Guerra e del Mare e delle Finanze) . Il nuovo sistema
tendeva a centralizzare il potere, in modo da poterlo controllare più agevolmente;
inoltre Napoleone volle che a Genova si fondasse un arsenale di costruzione navale
(militare) e che la Repubblica possedesse un armamento marittimo composto almeno da due
fregate e quattro corvette e due vascelli da settantaquattro cannoni e che tre milioni di
lire fossero assegnate per le spese della marina, inoltre nuove imposte avrebbero dovuto
fruttare nove milioni di denari.
Il Bonaparte, creò tre collegi: quello dei Dotti, dei Possedenti e dei Negozianti, tutti
con potestà politica civile amministrativa, che avevano il potere (e qui mi trovo
d'accordo con questa norma) di rimuovere due Senatori o anche due Giudici per tribunale,
due giureconsulti e due consultori. Cioè a dire che i rappresentanti diretti delle
categorie sociali avevano il potere di censurare e mandare via gli amministratori
incapaci.
Il 29 giugno 1802 entrò in carica il nuovo Governo, di cui supervisore era il famoso
corso, amico di Napoleone, Saliceti, Ministro Plenipotenziario di Francia. Bonaparte
elesse direttamente i Senatori ed il Doge nel nome di Girolamo Durazzo.
Si inaugurarono due statue di marmo nell'atrio del Palazzo Ducale, una di Napoleone e
l'altra di Cristoforo Colombo al fine di creare un'unione ideale fra le due nazioni . I
Sarzanesi fecero anche una petizione al Governo Ligure per poter erigere nella loro città
un monumento dedicato alla famiglia Buonaparte, in quanto si affermava che questa aveva
avuto origine tre secoli prima a Sarzana, ove si erano trovate scritture autentiche
dell'epoca sul fatto.
Il 18 maggio 1804, Napoleone abrogò il consolato e si incoronò Imperatore di Francia.
Saliceti fece il possibile per fare in modo che il Doge Durazzo, il cardinale di Genova
Spinola ed i Senatori Carbonara, Roggieri, Maghella, Fravega, Balbi, Maglione, Delarue e
Scassi si presentassero tutti al cospetto dell'Imperatore a Milano per fargli omaggio e
dare cosí segno di sottomissione. Il Doge stesso poi considerò che non rimanesse ai
Liguri altra scelta, perchè la Francia, se avesse voluto, con il suo esercito vincitore
avrebbe spianato Genova. Saliceti, al fine di prevenire un rifiuto del Doge e dei
Senatori, dichiarò che la Repubblica Ligure si sarebbe trovata in una grave situazione
politica, dal punto di vista internazionale se avesse continuato a rimanere indipendente
in quanto l'Inghilterra aveva dichiarato al famoso congresso di Amiens che la Repubblica
Ligure non sarebbe stata riconosciuta se non fosse tornata alle vecchie forme di governo.
Inoltre i mari erano infestati dai Barbareschi (pirati africani, ferocissimi) e che le
comunicazioni terrestri della Liguria erano diventate impraticabili anche per il rigido
sistema doganale francese: insomma Saliceti affermava, con tanti giri di parole, che i
Liguri avrebbero ovviato a questi problemi solamente se avessero chiesto, badate bene
l'artifizio diplomatico, l'annessione all 'Impero Francese dal quale avrebbe avuto allora
totale protezione. In fondo non sarebbe stato un male riassumere le antiche forme di
governo, ma restare però indipendenti ed in buoni rapporti con tutti. Il piano di
Saliceti portò alla corruzione alcuni Senatori, per fare nascere la paura nel Governo
Ligure che non ci si sarebbe potuti difendere contro gli Austriaci ed Inglesi.
Il cuore del problema era che non esisteva un forte esercito ligure.
Così come il primo Doge di Genova, Boccanegra, portò in trionfo il popolo, l'ultimo Doge
Durazzo, fu costretto, con minacce velate di diplomazia e dalla paura della distruzione
con l'accerchiamento dal mare e dai monti, a porre ai piedi di Napoleone Bonaparte la
libertà della sua patria.
Nel lontano 1685 un altro Doge, il Lercaro, andò supplichevole a Versaglia ai piedi di
Luigi Decimo Quarto: ma poi l'indipendenza tornò.
Napoleone disse che non vi era altra strada per i Liguri che diventare sudditi della
Francia sotto la protezione dell'aquila imperiale. La tesi dell'Imperatore era che se egli
avesse abbandonato la Liguria, questa sarebbe perita nei commerci finendo smembrata fra le
fauci delle diverse potenze straniere; prevalse il diritto del più forte, come sarà poi
con i Savoia e non certo ebbe mai ragione il diritto internazionale. Saliceti fece esporre
al pubblico dei registri ove i Genovesi avrebbero dovuto sottoscrivere la loro intenzione
di unirsi alla Francia, con una specie di referendum ma quasi nessuno firmò. ed allora il
Saliceti disse che "il silenzio si doveva interpretare come voto affermativo" e
consegnò la nota al Doge attestando che la maggioranza del popolo voleva l'annessione .
Confermato, o meglio dire, imposto l'impegno di unione si stabilì : che il Debito
Pubblico Ligure sarebbe stato assoggettato alle leggi francesi, che fosse conservato il
porto franco, che si sarebbero creati tre Dipartimenti Liguri comprendenti quello di
Genova, quello di Montenotte e quello degli Appennini.
Per effettuare l'unione fu inviato dapprima Champigny e poi il principe Lebrun,
arcitesoriere dell'Impero, il quale avrebbe dovuto sistemare lo Stato Ligure secondo la
legislazione dei cugini d'oltralpe.
La costituzione del 1802 fu abrogata, le insegne liguri furono rimosse e sostituite da
quelle francesi. L'ex Doge Durazzo, fu eletto, quasi per scherno, prefetto provvisorio di
Genova.
I Liguri chiesero come prima cosa la protezione navale contro i terribili barbareschi, la
qual cosa avvenne immediatamente senza combattimenti. Tanto che sorse il dubbio che i
pirati stessi furono usati dai Francesi stessi al fine di far chiedere aiuto dai Liguri
che vedevano chiuse le loro linee marittime. Morì così la Repubblica Ligure che venne
annessa alla Francia nel 1805; il 30 giugno 1806 l'Imperatore Bonaparte arrivò a
Campomorone, avviandosi poi verso Genova dove il sindaco, o meglio dire " maire
" alla francese, Michelangelo Cambiaso, eletto da Lebrun gli consegnò le chiavi
della città.
Napoleone poi si recò alla chiesa di San Teodoro dove lo aspettava il Cardinale di
Genova. Fatte le cerimonie, il corteo si recò a Palazzo Doria, sontuosamente preparato e
da lí Bonaparte uscì dalla porta che metteva a mare per mezzo di una galleria
artificiale sulle acque ed arrivò ad un pantheon in mezzo al mare, chiamato per
l'occorrenza di Nettuno era questa una grossa zattera con un prato di fiori e verdure e
retta da sedici colonne vi era una cupola ornata di pitture ed ori. Napoleone si avviò in
compagnia della moglie , Giuseppina. Sopra la cupola vi era una adulatoria epigrafia
redatta dal padre scolopio Solari, studioso ellenista . Strana e contraddittoria da
approfondire l'influenza dei vari ordini religiosi del tempo; non dimentichiamo, per
esempio, che la cultura torinese, era in mano ai Gesuiti. Quando l'Imperatore e
l'Imperatrice furono ben sistemati sulla strana zattera - prato, questa fu lasciata andare
alla deriva verso l'ingresso del porto e ci si fermò nel mezzo. Poi accorsero barchette,
battelli e iniziò la regata che fu vinta dalla bandiera del Ponte Spinola. Dopo la
pomposa festa acquatica, Napoleone si recò a casa di Gerolamo Durazzo dove vi fu un
grande ricevimento. Furono consegnate le insegne della Legion d'Onore e l'Imperatore
ordinò che fosse restituita la statua di Andrea Doria (per imbonirsi gli aristocratici ).
I Giacobini furono il mezzo con cui i francesi ruppero l'unità di Genova ed ora erano
ripagati con forti ammiccamenti francesi alla nobiltà; Napoleone partì il giorno dopo
lasciando a comandare Genova il principe Lebrun.
L' economia ligure fu asservita agli interessi francesi; le devastazioni che essa dovette
subire per essere infine assoggettata alla Francia recavano un colpo mortale alle risorse
economiche; la politica continentale, mossa dall'Inghilterra, aveva messo Genova ed il suo
porto in una situazione critica, già prima del dominio francese, riducendo il suo ruolo
al commercio intra - mediterraneo; le nuove strade del Moncenisio, del Sempione e del
Monginevro, create da Napoleone, facilitarono agli eserciti francesi, ad ogni occasione,
di poter rapidamente venire in Liguria per opprimere ogni tentativo di ribellione. Fu
imposta la lingua francese nei documenti ufficiali liguri e un grave danno subirono gli
antichi idiomi, le tradizioni ed i costumi in genere. La coscrizione obbligatoria voluta
dai Francesi, tolse la gioventù ligure dagli studi e dal lavoro mettendo in crisi
l'artigianato, l'agricoltura ed i commerci; tanti ragazzi delle nostre terre furono
mandati a morire in terre lontane, sotto bandiera straniera .
Svanito il potere dei nobili, voluto dalla Francia rivoluzionaria , la Repubblica visse
nell'anarchia; la Seconda Coalizione creò un formidabile blocco commerciale e furono
moltissimi i commercianti che per questo motivo lasciarono le città liguri. Per mantenere
l'esercito francese si crearono nuove imposte insostenibili per il popolo; non furono mai
restituiti gli enormi prestiti che i Liguri fecero alle corti straniere, compresa quella
francese; su un deficit di quasi sei milioni, più di quattro milioni di lire gravavano
per le vettovaglie delle truppe francesi, che si lamentavano continuamente oltre a
maltrattare il popolo. Il costo totale per mantenere l' esercito straniero fu di più di
venticinque milioni. La Francia razziò tutta la flotta ligure, praticamente
distruggendola nella campagna d'Egitto. I prestiti totali fatti alla Francia, furono di
quaranta milioni di lire, che non vennero mai restituiti e quindi meritano l' appellativo
di " confiscati " e non quello di imprestati. Saliceti eliminò il partito
indipendentista rappresentato da alcuni Senatori (Serra e Pareto) e tramò affinché il
Senato Ligure fosse formato solamente da membri fedeli alla Francia. L'annessione della
Liguria all'Impero d'oltralpe fu sancita ufficialmente il 1º giugno 1805; ma fu un atto
formale in quanto le terre della vecchia e gloriosa repubblica di Genova erano già da
tempo, di fatto, nella sfera d'influenza politica francese.
Nel 1786, Genova e la Liguria tutta, si stavano preparando ad un grande slancio economico
che avrebbe dovuto portarle a primeggiare nel commercio europeo, infatti fu fondata la
"Società Patria delle Arti e Manifatture " che affermò, per la prima volta
nelle nostre terre, teorie liberistiche (Cfr. A. Balletti, L'economia politica nelle
accademie e ne' congressi 1750 -1860 Modena 1891, pp 26-29). uesto importante movimento di
progetto economico, fu frustrato dal fatto che le linee marittime del Mediterraneo furono
continuamente disturbate da Inglesi e Barbareschi, certamente a fini precisi, quelli cioè
di fermare l'espansione economica del porto di Genova perché concorrenziale con il Regno
Unito.
Certamente una soluzione per la Liguria, sarebbe stata quella di trovare un accordo con
una grande potenza, che le assicurasse protezione alle sue navi mercantili, conservando
beninteso l' indipendenza. Quando l'ultimo Doge Durazzo, si recò da Napoleone per dargli
in mano la Liguria, si chiese apertamente all'Imperatore di favorire almeno l'esportazione
ed il commercio dei prodotti liguri , in modo che fossero almeno eliminate le barriere
doganali tra Francia e Liguria. Queste ultime furono effettivamente tolte, ma non ci fu
nessun miglioramento dei commerci, anzi il fisco impose nuove tasse, dazi e pesi di ogni
tipo (C. Mioli, La consulta dei Mercanti genovesi, Genova, 1928) che mostrarono come
Napoleone voleva unicamente sfruttare il Popolo Ligure.
La Francia che era certamente più progredita industrialmente della Liguria, invase con i
suoi prodotti le nostre terre, con prezzi molto bassi e frustrò tutte le nostre piccole
industrie; il retroterra naturale, di cui aveva bisogno la Liguria era il territorio
lombardo, ma come quest'ultimo fu unito alla Francia fu impossibile difendersi contro la
concorrenza di Marsiglia che faceva transitare i suoi prodotti per la via di Lione;
risultato definitivo, a risposta di quelli che affermarono che i Francesi portarono la
"democrazia" si risponde, prove alla mano, che portarono invece al totale
decadimento dei commerci e delle industrie liguri a tutto vantaggio degli imprenditori
d'oltralpe.
Fu certo creata a Genova una Guardia Nazionale, di cui ve ne sarebbe stato in passato
certamente bisogno, si ricostituì il Banco di San Giorgio e si formò una Camera di
Commercio assieme alla riorganizzazione dell'Università, ma furono, questi miglioramenti
che sparivano di fronte al disastro dell'economia ligure. A questo bisogna aggiungere che
le strade napoleoniche interessanti interessavano Genova, avevano più un interesse
militare che commerciale; quelle che dovevano avere quest'ultimo specifico interesse
furono progettate ed appena incominciate come quella della Cornice o quella per Bobbio e
Piacenza, tutte mai terminate.
L'industria genovese, a carattere prevalentemente artigianale, esigeva nuovi sbocchi;
notevole era l'industria ed il commercio dei tessuti di cotone, di cui esistevano una
ventina di fabbriche; notevolissima l'industria della carta da scrivere (e da gioco)
considerata una delle migliori perché fabbricata con acqua a bassissimo contenuto di
ferro, quindi con la caratteristica di non prendere, invecchiando, macchie rossastre. Un
migliaio di famiglie si tramandavano la fabbricazione e l'esportazione di velluti,
damaschi e rasi, vendendo a tutto il Nord Europa; nel Ponente era floridissima, lungo
tutti i paesini del litorale, l' industria dei filatoi e vi erano più di diecimila telai
per la seta, anche nell'entroterra, particolarmente a Novi, la cui produzione era a
livello qualitativo conosciuta in tutta Europa; non mancava la celebre industria di
merletti, pizzi, ricami, fiori artificiali e le fabbriche di coralli; non dimentichiamo le
costruzioni navali con commesse da tutto il continente europeo (C. Barbagallo - Le origini
della grande industria contemporanea - vol.II ). Il lasso di tempo tra il 1805 ed il 1814
e gli anni seguenti segnerà il passo per il decadimento progressivo del commercio ligure,
cominciato per azione dei Francesi e proseguito dai Savoia.
Se la popolazione ligure cercava un'unione (plebiscitaria e democratica) certo l'avrebbe
desiderata con la Lombardia, indipendente e repubblicana però. Grandi interessi legavano
Liguria e Lombardia da secoli: la necessità di un'unione commerciale e non solo, è da
ricercarsi nei rapporti con i Visconti nei secoli XIV e XV. Fu reale l' idea di un'unione
della Liguria con la Cisalpina e trattative furono iniziate; particolarmente i Milanesi
vedevano molto bene la possibilità di avere uno sbocco marittimo a Genova; purtroppo il
ministro francese di Napoleone, Talleyrand, abilissimo negli intrighi fece andare a monte
il progetto di unione ligure-cisalpino; certamente la storia stessa del Risorgimento
avrebbe avuto un corso diverso se tale programma fosse avvenuto e così i destini
d'Italia, che avrebbero visto primeggiare nella sua unità non le forze miopi e retrive
della Monarchia Piemontese ma nuove forze imprenditoriali che si sarebbero certo rese
presto attive sul piano europeo.
LANNESSIONE DELLA REPUBBLICA DI GENOVA ALLA CORONA SABAUDA
Allindomani della sconfitta dei Francesi, il Congresso di Vienna, cui la Repubblica
di Genova partecipa sovrana, decide con atto d'imperio l'annessione della Repubblica
Genovese, al Regno Sardo governato dai Savoia. Col Proclama del 26 dicembre 1814 la
Repubblica di Genova "depone" la sua secolare sovranità; all'inizio di gennaio
del 1815 i Savoia prendono possesso di Genova. Atto per alcuni giudicato illegittimo in
quanto il popolo genovese non è stato chiamato a votare un plebiscito che ne sancisse
tale annessione.
Già nel 1813 il rappresentante austriaco a Napoli, conte Neipperg, propose al re di
Napoli Gioachino ed all' Inglese Lord Bentinck , comandante in capo delle truppe
britanniche in Italia, un piano d' attacco contro i Francesi che consisteva in uno sbarco
a Livorno e da lì proseguire per la Riviera di Levante della Liguria per arrivare infine
ad occupare Genova.
Il piano venne messo, in seguito, in pratica ed il giorno 8 marzo 1814 Lord Bentinck
occupò la città di Livorno. Il 26 marzo, il comandante inglese partì con il suo
esercito alla volta del capoluogo ligure; le sue armate erano formate da: 1600 Siciliani e
Calabresi, al cui capo vi era il brigadiere Roth, da 3400 Inglesi capitanati del generale
Montresor; vi erano inoltre truppe miste anglo - sicule a cui si aggiungevano parecchi
mercenari, formate da circa 7000 elementi, comandati dal generale Mac Farlane e dai
colonnelli Travers e Ciravegna. L'esercito anglo - siculo passò il fiume Magra ed
attaccò il fortino di Santa Maria, che sta all'ingresso del golfo di La Spezia,
occupandolo il giorno 30.
L'esercito proseguì nel suo cammino, anche se lentamente, verso Genova. Lord Bentinck,
comportandosi in modo falso, fece intendere ai Liguri di essere apportatore di libertà;
infatti giunto a Chiavari fece promulgare un proclama in cui si dichiarava che "le
Potenze alleate avevano l'intenzione di restituire l'indipendenza alla Liguria";
inoltre alla testa delle sue truppe fece sventolare un vessillo con scritto "Libertà
dell'Italia"
Man mano che si avvicinava a Genova , in tutti i paesi che attraversava, faceva issare la
bandiera dell'antica Repubblica, con grande entusiasmo della popolazione. La situazione
generale nel capoluogo era drammatica; i negozianti ed i commercianti vedevano i loro
affari fermi per causa dei Francesi, la nobiltà era stata particolarmente vessata dalla
politica filogiacobina ed aveva depauperato gran parte delle sue ricchezze nelle casse di
Francia e le classi più povere avevano certamente sofferto notevolmente di riflesso le
grosse difficoltà economiche delle classi ricche. Tutti i Liguri erano però d' accordo
su un punto preciso: desiderare l'indipendenza e la libertà che erano andate perdute.
Bentinck giunse il primo aprile a Nervi, dove insediò il suo quartier generale presso il
Palazzo Fravega e dispose le sue truppe lungo Sturla. I Francesi comandati dal generale
Fresia erano circa quattromila ed inoltre vi erano quattro coorti di Milizia Nazionale, da
poco formate. Ci fu battaglia ed il 16 aprile i Francesi furono sconfitti, anche se erano
in buone posizioni difensiva attestati sui forti Richelieu e Santa Tecla; frattanto
giungeva davanti al porto di Genova la flotta inglese comandata dal contro - ammiraglio
Pellew.
La città era stretta da una morsa: un attacco dal mare ed uno da terra la minacciavano .
Il popolo genovese cominciò allora a protestare ed i giorni 14 e 15 aprile ci furono
delle sommosse in cui si gridava di non voler più guerre ma pace e si inalberava per le
strade l'antica bandiera repubblicana. L' insurrezione popolare contro i dominatori
francesi, portò alla distruzione della statua di Buonaparte, i Francesi venivano
insultati per le pubbliche vie e le minacce furono particolarmente rivolti al prefetto
Bourdon, certamente ingrato ai Genovesi. Si arrivò addirittura a minacciare il generale
Fresia, che risiedeva a Palazzo Spinola in salita Santa Caterina. Il sindaco della città
Vincenzo Spinola si recò quindi assieme al cardinale Spina dal generale Fresia per
convincerlo a non tentare una difesa perché la cittadinanza non voleva certamente
soffrire un altro assedio come quello del 1800; fu deciso di mandare una deputazione
presso il comandante Lord Bentinck per trattare i patti.
I membri della deputazione, Agostino Pareto ed Emanuele Balbi chiesero all'inglese la
tregua delle armi. La risposta fu negativa ma la negoziazione continuò, finché il
sindaco Spinola si recò, questa volta accompagnato dai soldati Liguri della Milizia
Nazionale, ancora una volta dal comandante francese, ove fu chiarito in termini minacciosi
che la volontà popolare era per una resa onorevole dei Francesi e che un proseguo delle
ostilità avrebbero visto le Milizie Liguri ed il popolo contro i soldati Francesi e
sarebbe stato impossibile fermare una insurrezione su larga scala. Cosí Lord Bentinck
s'impadronì di una delle città più difese d' Europa, con 292 cannoni, perdendo
solamente 32 uomini, per merito dei Genovesi .
La resa della città fu trattata da parte francese dal colonnello Dubignon e
dall'Ispettore delle Riviste Chopin . Questi si recarono al Comando Inglese a San Martino
d'Albaro e là si incontrarono con i rappresentanti degli Inglesi gen. Mc Farlane e il
colonnello Boverly. Fu la capitolazione dei Francesi e nei patti si accordarono gli onori
delle armi ai perdenti; si dimenticò però, fatto normale per quei tempi, di introdurre
nelle condizioni di resa, gli articoli che garantissero gli interessi dei cittadini della
città occupata.
L'accordo, comunque, fu ratificato da Lord Bentinck, dal contro - ammiraglio Pellew , dal
comandante francese Fresia e da Luca Solari a nome del Municipio di Genova . Il giorno 18
aprile i militari Inglesi fecero ingresso nella città; lord Bentinck si stabilí nel
palazzo del marchese Durazzo in Via Balbi.
La sera di sabato 20 aprile si recò da lui il giurista Benedetto Perasso assieme a
Giuseppe Fravega e Giambattista Carrega in rappresentata dei Liguri. Perasso perorò
subito la causa del ritorno alla vecchia Repubblica, ma trovò, inaspettatamente, Bentinck
molto renitente a questa prospettiva.
Dobbiamo, a questo punto fare due importanti premesse: la prima riguarda il fatto che il
Popolo Genovese contribuì, in modo determinante a cacciare i Francesi; il gen. Fresia ,
infatti, si arrese solamente quando capí che ci sarebbe stata un' insurrezione della
città e delle Milizie Liguri, quindi si deve dare atto che la popolazione di Genova non
si comportò da nemica contro il Bentinck, credendolo apportatore d'indipendenza. La
seconda, importantissima, è relativa al trattato di Amiens, sottoscritta da tutte le
Potenze alleate, fra cui primeggiava l' Inghilterra, in cui si affermava in modo preciso,
che tutte le Nazioni occupate dai Coalizzati SAREBBERO DOVUTE TORNARE AL LORO STATO DI
DIRITTO QUALI ERANO PRIMA DEL 1789 e che in ogni caso l'occupante AVREBBE DOVUTO LASCIARE
INALTERATA LA FORMA DI GOVERNO ESISTENTE PRIMA DELLA INVASIONE FRANCESE. Questo a
dimostrazione esemplare di come L'ANNESSIONE AI SAVOIA FU ATTO COMPLETAMENTE ILLEGALE PER
LE LEGGI INTERNAZIONALI D 'ALLORA E DI OGGI .
I Liguri parteciparono inoltre direttamente nella battaglia contro i Francesi, infatti
all'esercito di Bentinck si unirono, man mano che procedeva verso Genova, un grosso corpo
di volontari montanari dell'entroterra rivierasco capitanati dal Leveroni. Questo si
aggiunge a pieno titolo a quanto affermato sopra e cioè che i Liguri rivoltandosi contro
i Francesi, avevano pieno diritto di non essere trattati come nemici, o peggio, di
schiavi, come poi avvenne.
Gli Inglesi occuparono militarmente Genova il 18 aprile 1814; i delegati dei Genovesi, con
a cuore le sorti della propria patria, speravano di capire cosa tramassero gli Inglesi:
infatti il diretto superiore di Bentinck, che era il Segretario di Stato Inglese Lord
Barthutst, dette ordine di tenersi continuamente in contatto con i Savoia, al fine di
creare le basi per prendere, come poi avverrà, possesso della Repubblica Ligure, per
conto del Re di Sardegna. Prova che ne è la lettera che Barthurst scisse a Castlreagh,
capo della Diplomazia Britannica: " ... Mylord ... tutti i genovesi richiedono il
ritorno della loro antica Repubblica e non c'è cosa che gli spaventi di più quanto l'
idea di poter essere uniti al Piemonte, paese contro il quale in ogni tempo hanno provato
avversione...." .Il visconte Lord Castlreagh gli rispose il sei maggio 1815 con
una lettera, di cui cito il passo più rilevante: " Vostra Signoria....eviterà di
parlare dell' antica forma di governo (repubblicana) ai Genovesi ".
Mentre Bentinck continuava ad affermare che era giunto in Liguria per caso (essendo un
soldato) e che egli poco poteva fare, in quanto obbediva agli ordini dei suoi superiori: i
rappresentanti dei Genovesi dopo aver studiato la situazione dal punto di vista del
diritto internazionale, trovarono negli atti della Pace di Amiens, come già accennato, l'
esplicita dichiarazione dell' Inghilterra in cui si affermava perentoriamente che si
avrebbe riconosciuta la Repubblica di Genova come indipendente e come Stato se la
costituzione di quest' ultima fosse stata diversa da quella avuta dopo il 1797 . Occorreva
eliminare la" Costituzione Giacobina " per essere riconosciuti da tutte le
Potenze Europee che avevano battuto Bonaparte.
Perasso disse a lord Bentinck che la nuova costituzione, che i Liguri stavano preparando,
era basata su quella del 1576 e che nulla aveva a che vedere con quella del 1797. Bentinck
proclamò allora riconosciuta l'antica Repubblica di Genova il 26 aprile 1814, sebbene in
via provvisoria e con un Governo i cui membri erano stati nominati direttamente da lui
stesso . Il rappresentante dei Liguri disse chiaramente agli Inglesi che i Liguri volevano
formare un insieme di cittadini elettori ed eleggibili democraticamente, nella quale tutte
le classi fossero ammesse, come era nello spirito della Costituzione del 1576. Il 23
maggio, Bentinch impose che il governo di Genova fosse dato in mano alla nobiltà
ereditaria .
Il Governo provvisorio, elesse il marchese Agostino Pareto quale rappresentasse della
Repubblica di Genova a Parigi, ove si svolgevano i lavori preparatori al Congresso di
Vienna. Pareto, figura eminente di nobile illuminato, cercò con tutte le sue forze di
perorare la causa dell'indipendenza della Liguria e dei suoi interessi commerciali. Egli
contattò i Genovesi che risiedevano a Parigi, sperando di trovare aiuto; infatti lí
accordò con Luigi Corvetto ed il marchese Stefano Rivarola per preparare un documento
(redatto dal Corvetto) in cui si chiedeva ai Sovrani Alleati vincitori della Francia, di
restituire la Liguria alla sua antica indipendenza e libertà da ogni giogo straniero.
Finalmente il 14 giugno 1814 il Pareto fu ammesso a Lord Castlereagh, il quale, quale
rappresentante in capo della diplomazia britannica, affermò che era già stata decisa
L'ANNESSIONE FORZATA DELLA LIGURIA AL REGNO DEI SAVOIA E CHE IN OGNI CASO L'INDIPENDENZA
SAREBBE ANDATA PERDUTA !
A nulla valsero le accese rimostranze del Pareto, il quale disse esplicitamente che il
Piemonte avrebbe sicuramente gravato la Liguria di nuove tasse, come i Francesi già
fecero, e questo avrebbe distrutto l'economia ligure, senza dimenticare il lato più
importante che riguardava l'assurdità giuridica di annettere contro la sua volontà uno
stato libero ad un altro in netto contrasto con i principi espressi poi dallo stesso
Congresso di Vienna. Ogni opposizione fu inutile; il Pareto cercò allora di essere
ricevuto dall'Imperatore dell'Austria e da quello di Prussia e di Russia. Nessuno
riconosceva ufficialmente il Pareto, per la semplice ragione che non si riconosceva la
Repubblica di Genova. Il Pareto infine chiese di essere ammesso come privato e come tale
fu ammesso al cospetto del Metternich e dall' Imperatore d' Austria.
Stranamente il Metternich, che ricevette il Pareto lo stesso giorno, si comportò in modo
cortese, perlomeno senza ironia, anche se disse in modo chiaro che sarebbe stato
impossibile per la Liguria conservare l'indipendenza; a nulla valsero le argomentazioni
del Pareto sul fatto che da quasi duecento anni tra Liguria e Piemonte vi erano dissapori
e che i Genovesi avrebbero preferito un'unione con il Milanese. In ogni modo il 30 maggio
si chiuse il Trattato di Parigi, prologo al Congresso di Vienna . La seconda clausola
segreta del Trattato affermava l'assoggettazione della Repubblica Ligure al Regno di
Sardegna.
La risposta dei Genovesi alle brutte notizie del Pareto fu articolata in due punti : la
Liguria voleva rimanere indipendente, che tutto il territorio Ligure rimanesse libero di
commerciare con Lombardia e Toscana.
Il marchese Antonio Brignole Sale fu eletto dai Liguri (sottolineo che facevano parte del
Governo Provvisorio i rappresentanti delle due Riviere) quale rappresentante al Congresso
di Vienna. Diciamo subito che allora le trasmissioni erano difficoltose e un filo di
speranza era rimasto ai Liguri, perché tutto era stato comunicato ufficiosamente e quindi
non si sapeva con certezza quali erano i contenuti degli articoli " segreti " .
Quindi era lecito pensare che forse al Congresso di Vienna ci sarebbero potute essere
state modifiche al Trattato di Parigi. Il marchese Brignole sale partì con il suo
segretario di Finale, Giorgio Gallesio, per Vienna dove arrivarono il 2 settembre 1814. Il
Congresso cominciò ai primi di novembre.
Il marchese cercò prima dell'apertura di avere dei contatti ma non gli furono accordate
udienze . Questo perché la Liguria non era riconosciuta nè come entità politica
territoriale nè come popolo. Il Governo di Genova, saputo del pericolo reale di perdita
totale della libertà, inviò un dispaccio al Marchese il 12 novembre raccomandandogli di
non desistere, per ogni minaccia che venisse fatta, dal chiedere l'indipendenza. Il
Brignole Sale protestò presso i Ministri avversari riaffermando che la Nazione Genovese
non aveva alcuna intenzione di essere aggregata al Piemonte e che tale annessione sarebbe
stato un atto di violenza. Quella violenza che proprio il Congresso di Vienna diceva di
volere combattere, adesso si ritorceva contro un piccolo Stato la cui indipendenza era
tanto antica. Nel frattempo il ministro piemontese, il marchese di San Marzano, al
congresso sorvegliava il Brignole Sale e chiedeva continuamente che fosse reso esecutivo
il secondo articolo segreto del Trattato di Parigi.
Frattanto il Brignole Sale, che non sapeva più che fare, redigeva l'undici ottobre uno
scritto in cui affermava che la Repubblica di Genova aveva tutto il diritto di essere
libera perché essa da indipendente che era fu aggregata con la forza alla Francia
napoleonica e quindi l'indipendenza legale era un diritto sacrosanto e che sarebbe stato
un assurdo giuridico trasmettere, con l'occupazione di uno Stato, il diritto di
occupazione ad un altro Stato.
In altre parole: la Liguria era libera, fu occupata con la forza ed ora doveva tornare
libera, perché non aveva attinenza col diritto internazionale trasmettere un diritto di
guerra dai Francesi al Re di Sardegna per il semplice fatto che quest'ultimo faceva parte
della Coalizione che aveva vinto la Francia.
Inoltre le otto Potenze vincitrici avevano esse stesse proclamato al Congresso di Vienna
che gli Stati che esistevano prima della Rivoluzione Francese si dovevano considerare
legittimi; ora è un dato di fatto che la Repubblica di Genova era Stato di diritto
legittimo e non poteva perdere i suoi diritti.
Quindi visto che giuridicamente i Liguri avevano ragione e che era inammissibile, sempre
da punto di vista giuridico, la violenza che si stava facendo alla Repubblica di Genova
occorreva rapidamente il "colpo di spugna", anche perché ad esempio gli
Spagnoli, per mezzo del loro rappresentante il Cavaliere del Labrador, cominciavano ad
avere dei dubbi sul valore legale dell'annessione forzata. Infatti l'inglese Castlereagh
con veemenza affermò che il secondo articolo segreto doveva essere attuato subito senza
essere modificato perché a Genova c'era il rischio di formazioni rivoluzionarie; la sua
arringa fu così impetuosa che purtroppo tutti i ministri delle otto Potenze deliberarono
l'annessione senza nemmeno consultare il rappresentare dei Genovesi, peraltro eletto da un
Governo che era stato formato dagli Inglesi stessi!
A nulla valsero le lettere di protesta dei Genovesi tramite il marchese Brignole Sale
contro la lesione dei loro diritti; anzi Lord Castlereagh diede subito ordini al
colonnello Darymple di occupare Genova con altre truppe onde prevenire disordini e di
consegnarla nelle mani del Re di Sardegna.
Il giorno 27 dicembre 1814 il comandante inglese prese possesso militare della città ed
ordinò, pena l'arresto, a tutti gli abitanti dello Stato Genovese di "prestare la
dovuta obbedienza alle autorità amministrative, municipali e giudiziarie di Sua Maestà
il Re di Sardegna".
Il primo gennaio 1815 la Liguria finí sotto il dominio dei Savoia. Contro la volontà del
suo Popolo.
La politica economica piemontese appare contraddittoria fino ai primi anni del regno di
Carlo Alberto. Da un lato applicò un protezionismo severissimo, con monopoli, privilegi e
dazi che bloccavano tutte le iniziative liberistiche, dall'altro tese a proteggere la
marina e a stringere rapporti commerciali con i Turchi e le Americhe, con risultati
scarsissimi.
Dobbiamo ammettere che dopo il 1815 tutta l' Europa fu altamente protezionistica, ma in
Piemonte l' interesse delle classi agricole, che fu antitetico a quelle commerciali
genovesi, portò ad un forte contrasto fra le due regioni. In altre parole, mentre i
commercianti genovesi avrebbero voluto potere lavorare, attraverso il porto, con i mercati
di tutto il mondo, le lobby agrarie del Piemonte, arretrate e chiuse, fecero di tutto per
fare elevare i dazi e impedire ai liguri di commerciare.
I Genovesi, per tradizione, avevano due sistemi principali di investimento: il primo,
consisteva nel fare prestiti alle banche estere, il secondo, più radicato nella cultura
ligure, consisteva nel commercio di commissione. Vi era allo stato embrionale, dopo
l'apertura delle nuove strade che mettevano praticamente la Liguria in contatto diretto
con tutta la Europa, la possibilità di passare dal commercio di semplice commissione a
quello diretto di importazione ed esportazione. Questo avrebbe enormemente sviluppato il
commercio genovese e di conseguenza delle Due Riviere.
Malauguratamente, la politica doganale del Piemonte, come era da aspettarsi d'altronde,
all' indomani dell'annessione, fu basata sul protezionismo puro ad oltranza, che anzi
andò, col passare del tempo, a farsi sempre più miope, tanto che toccò livelli
altissimi intorno al 1830, sprofondando Genova e la Liguria tutta nella miseria.
Dopo il periodo giacobino rivoluzionario ed i lunghi anni delle guerre di Napoleone, la
Liguria, economicamente rovinata, si sarebbe potuta risollevale con un'intelligente
politica doganale, che si sarebbe dovuta basare su saggi principi liberisti ; invece il
Governo Piemontese, cancellò tutte le riforme dei Francesi (perché dannose all'
assolutismo monarchico) ma non le sostituì con alcunché che potesse in qualche modo,
anche minimamente, risollevare il commercio da un così lungo periodo in crisi.
Il Piemonte mantenne le barriere doganali con la Liguria (non si capisce di che tipo di
annessione si può parlare, se non per spillare soldi dalle tasche dei Liguri) perchè
intendeva soprattutto aumentare le entrate per il fisco. Ci furono scontri politici per
togliere le dogane interne tra Liguria e Piemonte; il Garatta, che fu per molti anni
Direttore delle Dogane di Genova si batté a lungo finché riuscì nel suo intento, ma fu
una magra vittoria per i Liguri, in quanto i Piemontesi, riuscirono a fare raddoppiare i
dazi sulle navi estere, facendo in modo che il porto di Genova, fosse disertato per quello
di Livorno (A. Segre-Manuale di storia del Commercio vol. 1.2 pag. 272 ).
La situazione dell'erario piemontese era pessima e la sua capacità economica generale
critica; questo indusse il Piemonte, dopo il 1818, ad alzare ulteriormente le tariffe
doganali, continuando in tale politica estrema per quindici anni e questo influì in modo
disastroso sul commercio ligure.
Il porto di Genova, in modo particolare, era alimentato dalla riesportazione dei grani
provenienti dall'Italia Meridionale e in parte dal Mar Nero; il Comandante del Porto di
Genova, in un suo rapporto trimestrale (Archivio Storico Torino, Sez. I Commercio, Cat.
III 1814-1819) afferma, confermando la diminuzione dei prodotti in arrivo :...... "
il vino ....è mancato di metà in arrivo giacché nell'anno 1818 ne sono giunti
dall'estero 277.000 barili circa, e nell' anno 1819 non ve ne sono giunti dall'estero che
circa 148.000 barili, questa diminuzione di arrivi è dovuta alla savia misura del
governo, che ha aumentato il dazio in entrata.....". Come ho accennato prima, la
Liguria aveva un rapporto privilegiato con i traffici di grano proveniente dal Sud, di
questo divenne gelosissima l'Inghilterra e sicuramente questa fu una delle cause
economiche per cui la Grande Potenza Navale tramò contro la piccola ma indipendente
Liguria per fare in modo che, annettendola di forza al Piemonte, avrebbe tagliato le
importazioni di grano dal Sud per creare un monopolio inglese; infatti i rapporti tra Gran
Bretagna e Regno di Sardegna erano ottimi e la premessa a quest'ultimo di bloccare l'
importazione del poco costoso grano del Regno delle Due Sicilie, a tutto vantaggio del
grano piemontese.
Ma nel 1817 avvenne un fatto inaspettato: ci fu una grande carestia, per cui anche il
Piemonte fu costretto ad intensificare le importazioni di grano, ma l'influenza delle
lobby agrarie piemontesi, ottuse, fecero sì che tra il 1818 ed il1822 la tariffa doganale
sull'importazione dei grani aumentò, fermando per il momento il grano russo, del mar
Nero, che dopo il 1823 scese al di sotto delle sette lire al quintale.
Con il manifesto camerale del 17 gennaio 1825, il dazio sul grano fu elevato a nove lire
al quintale. Inoltre con sommo svantaggio della Liguria, fu imposta la famigerata "
tariffa differenziale", la quale consisteva nell'applicare un aumento di dazio per le
merci trasportate con navi straniere, ed una conseguente diminuzione di tariffa doganale
per le mercanzie, invece, trasportate con le navi battenti bandiera del Regno Sardo. Così
aumentarono, secondo questo principio, i diritti di ancoraggio, di faro, e su tutti gli
altri diritti portuali (Cevasco, Statistique de Genes, Genova, 1840, vol. 2º ).
L'effetto fu quello di fare scappare il traffico di navi straniere da Genova e dirottarlo
su porti con tariffe concorrenziali. Genova avrebbe potuto aspirare ad essere un porto di
importanza non solo mediterranea od oceanica ma addirittura transatlantica se il Regno di
Sardegna non lo avesse stretto fra le sue maglie d'arretratezza economiche. I diritti
differenziali furono dannosissimi per Genova , la quale non riuscì mai a sfruttare a
pieno la sua posizione geografica per essere al centro del commercio marittimo come un
tempo.
A questo si aggiungeva un aumento ingiustificato dalle spese portuali, come le spese di
consolato e tutte quelle uscite che se prese singolarmente, apparivano piccole ma tutte
assieme rendevano il porto di Genova non competitivo: inoltre le operazioni burocratiche
di sbarco ed imbarco erano complicate e lunghe e questo faceva perdere troppo tempo e
deviava i traffici marittimi su altri porti concorrenti.
I grandi mercati della Svizzera e dell'entroterra germanico erano così preclusi ai
Liguri, i quali avrebbero potuto giovarsi della condizione di lasciare il commercio
completamente libero. Inoltre se si sarebbe potuta formare una commissione che avesse
cercato di eliminare la miriade di formalità per le spedizioni delle mercanzie, per i
diritti di magazzino, per il "peso sottile" (unico considerato legale)
certamente si avrebbero avuti dei vantaggi.
Invece che eliminare le lungaggini burocratiche i Piemontesi riunirono tutti i regolamenti
nel Manifesto Reale del sette dicembre 1838, a garanzia di leggi complicate ed antiquate
anche nel lontano futuro.
Inoltre vi erano altre cause che contribuivano ad aumentare la crisi economica genovese;
oltre alla concorrenza di Livorno, Marsiglia, Trieste e Venezia, la Gran Bretagna era
riuscita nel suo intento di fare entrare le Due Sicilie nella sua sfera d'influenza
commerciale inglese e ciò aveva portato a sottrarre il Sud alla dipendenza commerciale di
Genova, come succedeva da sempre; a ciò si aggiungeva il fatto che il nascere delle
ferrovie, portò a spostare il traffico svizzero dal Piemonte alla Francia, attraverso la
naturale via di comunicazione del bacino del Rodano; con le tariffe differenziali, Carlo
Felice, allontanò le navi straniere e, cosa ben più grave, rese gli stati esteri ancora
più protezionistici nei riguardi del Piemonte (e della Liguria) danneggiando tutto il
commercio.
Una testimonianza precisa della rovina del porto di Genova a causa della politica
dell'invasione piemontese, ci viene data ancora dai Rapporti Trimestrali del Comandante
del porto tra il 1817 ed il 1821. (Archivio Storico di Torino sez. 1ª Commercio, cat III
- 1814-1819) :
" ........il commercio di questa piazza (di Genova) però si può dire
annichilito, perché gli arrivi di questo trimestre, che passano i trenta milioni, più
della metà sono granaglie (per la grande carestia d'Europa ): perciò commercio quasi
passivo e poi di circostanza fortuita ....che si riducesse solamente agli arrivi delle
mercanzie, non sarebbe che circa quindici milioni, delle quali merci molte sarebbero
invendute come si vede col fatto essendovi nel porto franco di Genova più di centoventi
milioni di generi invenduti, e da ciò risulta che la massima parte della popolazione che
vive della attività del commercio, languirebbe nella miseria, e ripeto che senza questa
circostanza fortuita del commercio dei grani, per la metà della popolazione sarebbe
languita, e parte emigrata. Al nuovo raccolto............cesserà il rovinoso (perché si
dovevano pagare in contanti - ndr.) commercio dei grani e la piazza di Genova si ridurrà
ad uno stato di che gradatamente porterà l' estinzione della popolazione ligure, l'
emigrazione e l'espatrio dei capitalisti..... La prova che questa non può sussistere è
negli arrivi delle mercanzie ..... per non esservi smercio; si è che, posto anche che
l'arrivo dei quindici milioni di mercanzie giunte si fossero vendute tutte, ma sarebbe
risultato una somma circa di centotrenta mila lire di circolazione nella classe dei
facchini, battellieri, imballatori ed altri inservienti al commercio, e centocinquanta
mila lire nella classe dei mediatori; dimando ora se circa duemila famiglie che oppongono
queste classi, possono resistere per tre mesi con circa trecentomila lire ? .......Se il
commercio di Genova non fa almeno tanti affari per l'importare quaranta milioni ogni
trimestre non può sussistere la popolazione e conviene perciò che emigri. Le due piazze
di Marsiglia e di livorno, che per la loro posizione geografica erano inferiori alla
nostra, sono divenute ora superiori .....del commercio di Genova, e trionfano sulle nostre
rovine.....La mancanza del passaggio delle merci....ne porta che non circola denaro
nell'interno ........ . In un altro rapporto del febbraio 1818, lo stesso Comandante del
porto, ammette che le poche mercanzie che sono arrivate a Genova, formate da alimentari
quali granaglie, legumi e vino, sono giunte fortuitamente a causa della grande carestia
europea e quando questa cesserà, nel porto non arriverà certamente quasi più nulla; gli
arrivi a Livorno, ad esempio, sono quadruplicati rispetto a quella di Genova, perché il
quel porto vi sono poche formalità, non esiste protezionismo e nessun problema fiscale.
Da tempo immemorabile la Svizzera, commerciava esclusivamente con Genova, malgrado le
difficili comunicazioni, ebbene dopo l'annessione al Piemonte fu costretta a rivolgersi al
porto di Marsiglia, per le impraticabili condizioni burocratiche e fiscali di Genova.
L'Inghilterra voleva, frattanto, creare un precedente di navigazione nel Mar Nero e tramò
affinché il Piemonte ratificasse un trattato di navigazione e commercio con la Turchia, a
netto vantaggio di quest'ultima; quando il Piemonte si mostrò titubante a questo accordo,
la Gran Bretagna prospettò addirittura una possibile guerra europea e così nel 1824 fu
inviato a Costantinopoli il Marchese Sauli, il quale sottoscrisse il trattato, però i
commercianti genovesi non riuscirono a sfruttare l'accordo perché non si riuscì ad
esportare nulla visto lo stato dell'industria e delle manifatture messe in crisi totale
dai Francesi e Piemontesi; addirittura nel 1827, in un rapporto (Archivio Storico di
Genova, Prefettura Sarda, 22/402) la Camera di Commercio studiava le cause della
"prossima rovina" delle manifatture liguri. le cause di tale stato erano
riconosciute dai dazi troppo forti sulle materie prime, che portavano come effetto
l'emigrazione degli industriali verso Livorno e zone limitrofe.
Inoltre scoppiò in seguito la guerra russo-turca, e dal 1828 al 1829 anche tutti i
commerci con il Mar Nero si chiusero. Un corrispondente del Corriere Mercantile (n. 83 del
17 ottobre 1829) rilevava che nel 1828, ben 342 navi da carico erano rimaste inattive nel
porto di Genova; il Mar Nero era diventato uno dei più importanti centri di esportazione
di granaglie ed altri prodotti; tale commercio era in mano agli stranieri particolarmente
Inglesi ed Austriaci, ma anche molti Genovesi lasciata la loro città si naturalizzassero
ad Odessa e lí fecero i centri del loro commercio . Genova importava olio, formaggi,
frutta e coloniali, ma questo suscitò gelosie, particolarmente in Gran Bretagna, la quale
voleva continuare ad essere il centro principale di esportazione in tutta l' Europa,
obiettivo che raggiungerà in pieno nel ventennio a venire . Infatti in un prospetto
tratto dagli "Scritti e Documenti sul Commercio di Genova" di G. Papa (in
M.S.R.N., carte Ricci, n. 1572) si ricava che l'Inghilterra era la nazione da cui si
importa la maggior parte dei prodotti, circa il 43 % del totale. Il potere del Regno Unito
nasceva principalmente dall'essere riuscita a rivolgersi direttamente nei mercati
d'origine dei prodotti, particolarmente del Medio Oriente, dove aumentava sempre più la
sua influenza politico-commerciale; ben sapevano gli astuti statisti inglesi che
consegnando Genova ed il suo porto nelle mani dell'arretrato Regno di Sardegna si sarebbe
eliminato, per molto tempo, un pericoloso concorrente marittimo .
Se questo ultimo fosse riuscito, rimanendo indipendente a creare un trait-d'union con la
Europa centrale, con la potenzialità reale di poter divenire il vero grande sblocco
marittimo sul Mediterraneo della Svizzera e peggio dell'Impero Austriaco. Genova non potè
ritornare alle sue tradizionali rotte commerciali dell'Oriente o dell'Africa del Nord
semplicemente perché impedita dalla politica doganale dei Savoia.
Nizza, ad esempio, che faceva parte del Regno Sardo era cinta da ben tre barriere
doganali: la prima verso il Ducato di Genova, la seconda verso la Francia e l'ultima verso
Cuneo; questo con grave danno per la Liguria. La richiesta di togliere la linea doganale,
non fu presa in considerazione per molto tempo.
Non possiamo non ricordare che prima del 1790 i filatoi erano presenti tutte le località
del litorale ligure per un' estensione di quindici miglia da Genova e che durante il
dominio napoleonico, fu resa libera l' introduzione dei tessuti francesi facendo così
fallire gli opifici liguri e che lo sviluppo impressionante dell'industria inglese delle
stoffe di cotone prostrò in seguito quello che rimaneva delle nostre manifatture. Non
bisogna poi dimenticare che l'Inghilterra chiuse le sue coste ai bastimenti esteri con una
certa frequenza, rendendo molto difficile la creazione di spazi per la concorrenza
(Notizie topografiche e statistiche degli Stati Sardi, De Bartolomeis, Torino 1847 ).
Il problema centrale per gli anni seguenti all'annessione forzata era quello di conciliare
interessi che erano per natura opposti: quelli del commercio ligure e quelli
dell'agricoltura piemontese. Ma ogni tentativo di accordo fu destinato a fallire perché
partiva non da basi unitarie scelte liberamente, ma fortemente coercitive per uno dei
soggetti; la prova del fuoco fu la già citata politica iniziata intorno al 1825 delle
tariffe differenziali che allontanò dalla Liguria la speranza di veder affluire navi
straniere per attuare, con il porto franco, di cui Genova andava orgogliosa, quel
commercio di transito che si attuava da secoli.
Il commercio della Svizzera, di cui Genova fu per moltissimo tempo l'unico porto, si
volgeva ormai a Marsiglia e non possiamo dimenticare di citare le lettere del console
svizzero a Genova indirizzate al Presidente della Dieta di Zurigo (Museo Storico del
Risorgimento Nazionale di Genova, Carte Ricci, n. 3615) in cui si faceva notare che era
certo il pericolo dell'annessione della Liguria al Piemonte che avrebbe determinato un
nuovo regime doganale dannoso al commercio ligure-elvetico. Infatti il transito da Genova
verso l'Europa centrale venne quasi completamente a mancare.
Nel 1818 il commissario di Polizia Bianchi (Archivio Storico di Torino Sezione I,
Commercio Categoria III, 1814-1819, mazzo 2) affermò in modo esplicito che esaminando gli
arrivi di merce a Genova ed a Livorno, la causa per cui quest'ultima li quadruplicò
rispetto alla prima è da addebitarsi esclusivamente al fatto che Livorno era esente da
tante e complicate formalità di dogana.
Il Frizzi (Informazioni di polizia sull'ambiente ligure 1814-1716 pubblicato da Vitale
Atti R. Deputazione di Storia Patria vol. LXI) racconta che ".....l'organizzazione
delle Dogane e Gabelle era così intensa non tanto per i dazi che dovevano pagare le
mercanzie, quanto per le difficoltà delle spedizioni e spacci che erano soggetti ad
infinite firme, ed a tante complicate ed inutili formalità che ritardavano le operazioni,
che prima d'allora si facevano in Dogana in un giorno, attualmente non si potevano fare in
una settimana. Allorchè le mercanzie erano fuori della Dogana di Genova, prima di passare
i confini dello Stato e, quello che era più ridicolo, quelli del Piemonte, erano soggette
alla visita di tre linee di Preposti, i quali visitavano a capriccio, facevano ogni sorta
di concussioni, dalle quali non si poteva esimersi che col denaro. Un altro inconveniente
era quello che nel Piemonte il regolamento delle Dogane era diverso da quello del
genovesato; alcuni generi fabbricati in Genova per essere introdotti nel Piemonte, dopo
che la Liguria era sotto l' attuale Governo, pagavano un Dazio maggiore come se questi
popoli avessero appartenuto ad un altro Sovrano tanto che nei primi giorni che fu
pubblicato il Regolamento delle Dogane, avvenne un "ammutinamento" e già si
parlava di "rivoluzione".
La città veniva descritta come malcontenta per " l'enormità delle imposte " e
per l'arbitrio delle procedure e dell'amministrazione politica ed economica " (C.
Bornate, Insurrezione di Genova nel marzo 1821) e la città veniva descritta come
desiderosa di libertà e d'indipendenza.
GENOVA IN RIVOLTA 1849
Il passaggio dalla repubblica alla monarchia di Vittorio Emanuele I è
tangibile anche in porto, dove non si lavora. I potenti camalli, scaricatori di banchina,
ne sono il termometro. Nell'economia del sette-ottocento, succede frequentemente che gli
scambi si riducano, non perchè ci siano divieti alle importazioni o dazi tali da
impedirne l'esecuzione, ma solo perché è vietata o soggetta a dazio l'esportazione delle
merci. Tale stato di cose, comprensibile per i prodotti della natura che se esportati
creano una rarefazione sul mercato con gravi conseguenze sociali, non si capisce per il
prodotto industriale soggetto a più variabili. L'aumento della produzione, anche agli
occhi di non esperti sarebbe la soluzione migliore, ma qui entrano in campo altri fattori
come la cultura agricola e industriale, l'istruzione e non ultimo la miglior
organizzazione del lavoro e del ciclo produttivo. Fattore questo che avrà a che fare a
breve con le rivendicazioni salariali degli operai e della nuova borghesia. Tutto quello
che avviene fuori dalla Liguria è filtrato ancora con gli occhi del Balilla del 1746, con
l'affronto di una sconfitta (Novara) che non sentono, di un futuro che può essere anche
peggiore del presente. Gli austriaci, si dice, arriveranno a Genova un'altra volta. Il 25
marzo 1849 il comandante la Piazza Gen. De Asarta delibera lo stato d'assedio. Si
costituisce intanto fra i rivoltosi un triumvirato con a capo Giuseppe Avezzana,
comandante la Guardia Nazionale di fede Mazziniana. Armati anche i camalli, il 31 marzo
inizia la caccia al Governativo. E' una strage senza precedenti per ferocia, che non
lascia presagire nulla di buono.
I frati cappuccini cominciano pietosamente ad assistere e curare i feriti, a seppellire i
morti. Il 2 aprile quello che resta del presidio regio (carabinieri e granatieri) esce
dalla città. Dal Nord, lasciati i problemi della successione al trono, cala Alfonso La
Marmora con un grosso corpo di spedizione (oltre 19.000 uomini), con 2 battaglioni
bersaglieri tratti da diverse compagnie. I numeri che spesso si leggono sono di una
consistenza anche superiore, ma si commette probabilmente l'errore di inglobarvi anche la
divisione lombarda (quasi 6000 uomini) allora in arrivo sulla costa. Questi uomini sono
già circondati da un aura antimonarchica e il loro impiego in Genova è fuori
discussione, anzi c'è il rischio che s'uniscano ai rivoltosi. Per questo a Chiavari dove
alloggiano viene fatto di tutto per fornire loro, quello che in 12 mesi di campagna, non
è stato possibile dare: vestiario, scarpe, cibo ed alloggio. Gli inglesi, a Genova con
una loro nave, hanno già minacciato di sparare sui rivoltosi dal 29 marzo. Al termine
della rivolta al Capitano di vascello Lord Charles Philip HARDWICKE della Marina di S. M.
britannica viene assegnata una Medaglia d'oro al Valor Militare per i servizi resi al
Governo Piemontese nel ristabilimento dell'ordine a Genova quale Comandante della
VENGEANCE.
La minaccia probabilmente è degenerata. Il 4 aprile l'attacco piemontese, preceduto da
colpi di cannone che finiscono per errore su un ospedale, si spiega su tre colonne
ciascuna rinforzata da una compagnia di bersaglieri. Fra i combattenti ha fatto intanto la
sua comparsa Alessandro La Marmora superiore del fratello. Diversi ufficiali dei
bersaglieri, Pallavicini, Ferrè, Grosso-Campana e piccole squadriglie erano state inviate
per occupare dal mare moli e porte della città (degli Angeli), allora fortificata. Le
navi inglesi dal mare hanno aperto il fuoco, a loro si attribuiscono i colpi dell'ospedale
di Pammatone, che fanno 107 vittime. Tutte e quattro le compagnie dei capitani Cassinis,
Longoni, Viarigi e Canosio ora sono impegnate negli scontri furibondi che si sono aperti.
Il giovedì santo la 2a compagnia conquista forte Begato dove rimane gravemente ferito
Alessandro de Stefanis. Alle cinque del pomeriggio del 11 aprile la lotta si spegne dopo
che nella città sono stati perpetrati saccheggi, rapine, fucilazioni sommarie, violazione
di chiese. Il numero preciso dei morti e feriti non si saprà mai, ma certamente si
avvicinò al migliaio. I reggenti comunali stileranno una lista di 463 persone che avranno
subito violenza, e 250 genovesi saranno sepolti nella cripta della chiesa dietro Piazza
Corvetto. Da parte Regia ci furono condanne contro militari per una situazione sicuramente
sfuggita di mano.
Da Genova città di mare e quindi già portata alla marineria, non verranno bersaglieri
per molti anni, se non per espressa richiesta d'arruolamento. In occasione del raduno del
1994 a parziale gesto rappacificatore l'unico rappresentante in Italia dei Savoia, il duca
Amedeo d'Aosta porgeva le scuse alla città. Il caso dopo 145 anni poteva considerarsi
chiuso.
Stemmi e
Dogi della Repubblica Genovese
I DOGI DI GENOVA
I DOGI DELLA REPUBBLICA (vitalizio) | |
23-9-1339/23-12-1344 | Simone Boccanegra |
25-12-1344/6-01-1350 | Giovanni di Murta |
9-01-1350/8-10-1353 | Giovanni Valente |
9-10-1353/14-11-1356 | dominazione Milanese |
15-11-1356/3-03-1363 | Simone Boccanegra (2ª) |
14-03-1363/13-08-1371 | Gabriele Adorno |
13-08-1371/17-06-1378 | Domenico di Campofregoso |
17-06-1378 | Antoniotto Adorno |
17-06-1378/7-04-1383 | Nicoló Guarco |
7-04-1383 | Federico di Pagana |
7-04-1383/14-06-1384 | Leonardo di Montaldo |
15-06-1384/3-08-1390 | Antoniotto Adorno (2ª) |
3-08-1390/6-04-1391 | Giacomo di Campofregoso |
6-04-1391/16-06-1392 | Antoniotto Adorno (3ª) |
16-06-1392/15-07-1393 | Antoniotto di Montaldo |
15-07-1393 | Pietro di Campofregoso |
15-07-1393/16-07-1393 | Clemente di Promontorio |
16-07-1393/30-08-1393 | Francesco Giustiniano di Garibaldo |
30-08-1393/24-05-1394 | Antoniotto di Montaldo (2ª) |
24-05-1394/17-08-1394 | Nicoló Zoagli |
17-08-1394/3-09-1394 | Antonio Guarco |
3-09-1394/27-11-1396 | Antoniotto Adorno (4ª) |
27-11-1396/3-09-1409 | Dominazione Francese |
6-09-1409/21-03-1413 | dominazione di Teodoro II Paleologo di Monferrato |
21-03-1413/27-03-1413 | Governo degli 8 Rettori |
27-03-1413/23-03-1415 | Giorgio Adorno |
29-03-1415/3-07-1415 | Barnaba di Goano |
4-07-1415/23-11-1421 | Tommaso di Campofregoso |
24-11-1421/25-12-1435 | dominazione Milanese |
28-03-1436/3-04-1436 | Isnardo Guarco |
3-04-1436/24-03-1437 | Tommaso di Campofregoso (2ª) |
24-03-1437 | Battista di Campofregoso |
24-03-1437/18-12-1442 | Tommaso di Campofregoso (3ª) |
19-12-1442/28-01-1443 | Governo degli 8 Capitani della Libertà. |
28-01-1443/4-01-1447 | Raffaele Adorno |
4-01-1447/30-01-1447 | Barnaba Adorno |
30-01-1447/16-12-1447 | Giano di Campofregoso |
16-12-1447/4-09-1450 | Lodovico di Campofregoso |
8-09-1450/enero-1458 | Pietro di Campofregoso |
9-03-1458/9-03-1461 | Dominazione Francese |
9-03-1461/12-03-1461 | Governo degli 8 Capitani degli Artefici. |
12-03-1461/17-07-1461 | Prospero Adorno |
18-07-1461/20-07--1461 | Spinetta di Campofregoso |
25-07-1461/14-05-1462 | Lodovico di Campofregoso (2ª) |
14-05-1462/31-05-1462 | Paolo di Campofregoso |
31-05-1462/8-06-1462 | Governo dei 4 Capitani Artefici. |
8-06-1462/enero-1463 | Lodovico di Campofregoso (3ª) |
8-01-1463/abril-1464 | Paolo di Campofregoso (2ª) |
13-04-1464/15-03-1477 | dominazione Milanese |
20-03-1477/28-04-1477 | Governo di Ibleto Fieschi e gli 8 Difensori della Patria. |
30-04-1477/7-07-1478 | dominazione Milanese |
7-07-1478/23-10-1478 | Prospero Adorno, Governatore con 12 Capitani. |
23-10-1478/25-11-1478 | Prospero Adorno e Lodovico di Campofregoso, Governatori con 12 Capitani. |
26-11-1476/25-11-1483 | Battista di Campofregoso |
25-11-1483/6-01-1488 | Paolo di Campofregoso (3ª) |
6-01-1488/7-08-1488 | dominazione Milanese |
7-08-1488/13-09-1488 | Governo dei 12 Cittadini, Doge nel nome dei Capitani dei Riformatori della Repubblica. |
13-09-1488/26-10-1499 | dominazione Milanese |
26-10-1499/10-04-1507 | Dominazione Francese |
10-04-1507/27-04-1507 | Paolo da Novi |
29-04-1507/29-06-1512 | Dominazione Francese |
29-06-1512/25-05-1513 | Giano di Campofregoso |
25-05-1513/20-06-1513 | Dominazione Francese |
20-06-1513/7-09-1515 | Ottaviano di Campofregoso |
20-11-1515/31-05-1522 | Dominazione Francese |
31-05-1522/1-08-1527 | Antoniotto Adorno |
1-08-1527/12-09-1528 | Dominazione Francese |
septiembre-1528/11-10-1528 | Governo dei 12 Riformatori della Libertá. |
PERIODO BIENNALE | |
12-10-1528/4-01-1530 | Oberto Cattaneo Lazzari |
4-01-1531/4-01-1533 | Battista Spinola |
4-01-1533/4-01-1535 | Battista Lomellini |
4-01-1535/4-01-1537 | Cristoforo Grimaldi Rosso |
4-01-1537/4-01-1539 | Giovanni Battista Doria |
4-01-1539/4-01-1541 | Gianandrea Giustiniani Longo |
4-01-1541/4-01-1543 | Leonardo Cattaneo della Volta |
4-01-1543/4-01-1545 | Andrea Centurione Pietrasanta |
4-01-1545/4-01-1547 | Giovanni Battista di Fornari |
4-01-1547/4-01-1549 | Benedetto Gentile Pevere |
4-01-1549/4-01-1551 | Gaspare Grimaldi Bracelli |
4-01-1551/4-01-1553 | Luca Spinola |
4-01-1553/4-01-1555 | Giacomo Promontorio |
4-01-1555/4-01-1557 | Agostino Pinello Ardimenti |
4-01-1557/3-12-1558 | Pietro Giovanni Chiavica Cibo |
4-01-1559/4-01-1561 | Girolamo Vivaldi |
4-01-1561/27-09-1561 | Paolo Battista Giudice Calvi |
4-10-1561/4-10-1563 | Battista Cicala Zoaglio |
7-10-1563/7-10-1565 | Giovanni Battista Lercari |
11-10-1565/11-10-1567 | Ottavio Gentile Odorico |
15-10-1567/3-10-1569 | Simone Spinola |
6-10-1569/6-10-1571 | Paolo Giustiniani Moneglia |
10-10-1571/10-10-1573 | Gianotto Lomellini |
16-10-1573/17-10-1575 | Giacomo Durazzo Grimaldi |
17-10-1575/17-10-1577 | Prospero Centurione Fattinanti |
19-10-1577/19-10-1579 | Giovanni Battista Gentile Pignolo |
20-1015479/20-10-1581 | Nicoló Doria |
21-10-1581/21-10-1583 | Gerolamo de Franchi Tosso |
4-11-1583/4-11-1585 | Gerolamo Chiavari |
8-11-1585/13-11-1587 | Ambrogio di Negro |
14-11-1587/14-11-1589 | Davide Vaccari |
20-11-1589/15-11-1591 | Battista Negrone |
27-11-1591/26-11-1593 | Giovanni Agostino Giustiniani Campi |
27-11-1593/26-11-1595 | Antonio Grimaldi Cebá |
5-12-1595/4-12-1597 | Matteo Senarega |
7-12-1597/15-12-1599 | Lazzaro Grimaldi Cebá |
22-12-1599/21-02-1601 | Lorenzo Sauli |
24-12-1601/25-02-1603 | Agostino Doria |
26-02-1603/27-02-1605 | Pietro de Franchi (Sacco) |
1-03-1605/2-03-1607 | Luca Grimaldi (de Castro) |
3-03-1607/17-03-1607 | Silvestro Invrea |
22-03-1607/23-03-1609 | Gerolamo Assereto |
1-04-1609/2-04-1611 | Agostino Pinello Luciani |
6-04-1611/6-04-1613 | Alessandro Giustiniani Longo |
21-04-1613/21-04-1615 | Tomaso Spinola |
25-04-1615/25-04-1617 | Bernardo Clavarezza |
25-04-1617/29-04-1619 | Giovanni Giacomo Imperiale (Tartaro) |
2-05-1619/2-05-1621 | Pietro Durazzo |
4-05-1621/12-06-1621 | Ambrogio Doria |
22-06-1621/22-06-1623 | Giorgio Centurione Becchignone |
25-06-1623/16-06-1625 | Federico de Franchi |
16-06-1625/25-06-1627 | Giacomo Lomellini |
28-06-1627/28-06-1629 | Giovanni Luca Chiavari |
26-06-1629/26-06-1631 | Andrea Spinola |
30-06-1631/30-06-1633 | Leonardo della Torre |
5-07-1633/5-07-1635 | Giovanni Stefano Doria |
11-07-1635/11-07-1637 | Giovanni Francesco Brignole Sale |
13-07-1637/13-07-1639 | Agostino Pallavicini |
28-07-1639/28-07-1641 | Giovanni Battista Durazzo |
14-08-1641/19-06-1642 | Giovanni Agostino de Marini |
4-07-1642/4-07-1644 | Giovanni Battista Lercari |
21-07-1644/21-07-1646 | Luca Giustiniani |
24-07-1646/24-07-1648 | Giovanni Battista Lomellini |
1-08-1648/1-08-1650 | Giacomo de Franchi (Toso) |
23-08-1650/23-08-1652 | Agostino Centurione |
8-09-1652/8-09-1654 | Gerolamo de Franchi |
9-10-1654/9-10-1656 | Alessandro Spinola |
12-10-1656/12-10-1658 | Giulio Sauli |
15-10-1658/15-10-1660 | Giovanni Battista Centurione |
28-10-1660/22-03-1661 | Gian Bernardo Frugoni |
28-03-1661/29-03-1663 | Antoniotto Invrea |
13-04-1663/12-04-1665 | Stefano de Mari |
18-04-1665/18-04-1667 | Cesare Durazzo |
10-05-1667/10-05-1669 | Cesare Gentile |
18-06-1669/18-06-1671 | Francesco Garbarino |
27-06-1671/27-06-1673 | Alessandro Grimaldi |
5-07-1673/4-07-1675 | Agostino Saluzzo |
11-07-1675/11-07-1677 | Antonio da Passano |
16-07-1677/16-07-1679 | Giannettino Odone |
29-07-1679/29-07-1681 | Agostino Spinola |
13-08-1681/13-08-1683 | Luca Maria Invrea |
18-08-1683/18-08-1685 | Francesco Maria Imperiale Lercari |
23-08-1685/23-08-1687 | Pietro Durazzo |
27-08-1687/27-08-1689 | Luca Spinola |
31-08-1689/1-09-1691 | Oberto della Torre |
4-09-1691/5-09-1693 | Giovanni Battista Cattaneo |
9-09-1693/9-09-1695 | Francesco Invrea |
16-09-1695/16-09-1697 | Bendinelli Negrone |
19-09-1697/26-05-1699 | Francesco Maria Sauli |
3-06-1699/3-06-1701 | Girolamo de Mari |
7-06-1701/7-06-1703 | Federico de Franchi |
1-08-1703/1-08-1705 | Antonio Grimaldi Cebá |
22-08-1705/22-08-1707 | Stefano Onorato Ferreti |
9-09-1707/9-09-1709 | Domenico Maria de Mari |
14-09-1709/14-09-1711 | Vincenzo Durazzo |
22-09-1711/22-09-1713 | Francesco Maria Imperiale |
22-09-1713/22-09-1715 | Giovanni Antonio Giustiniani |
26-09-1715/26-09-1717 | Lorenzo Centurione |
30-09-1717/30-09-1719 | Benedetto Viale |
4-10-1719/4-10-1721 | Ambrogio Imperiale |
8-10-1721/8-10-1723 | Cesare de Franchi |
13-10-1723/13-10-1725 | Domenico Negrone |
ott.1725-gen. 1726 | sede vancate |
18-01-1726/18-01-1728 | Gerolamo Veneroso |
22-01-1728/22-01-1730 | Luca Grimaldi |
20-01-1730/20-01-1732 | Francesco Maria Balbi |
29-01-1732/29-01-1734 | Domenico Maria Spinola |
3-02-1734/3-02-1736 | Stefano Durazzo |
7-02-1736/7-02-1738 | Nicoló Cattaneo |
7-02-1738/7-02-1740 | Costantino Balbi |
16-02-1740/16-02-1742 | Nicoló Spinola |
20-02-1742/20-02-1744 | Domenico Canevaro |
1-02-1744/1-02-1746 | Lorenzo de Mari |
3-03-1746/3-03-1748 | Gian Franceso Brignone Sale II |
6-03-1748/6-03-1750 | Cesare Cattaneo della Volta |
10-03-1750/10-03-1752 | Agostino Viale |
28-03-1752/7-06-1752 | Stefano Lomellini |
7-06-1752/7-06-1754 | Giovanni Battista Grimaldi |
23-06-1754/23-06-1756 | Gian Giacomo Veneroso |
22-06-1756/22-06-1758 | Giovanni Giacomo Grimaldi |
22-08-1758/22-08-1760 | Matteo Franzoni |
22-09-1760/10-09-1762 | Agostino Lomellini |
25-11-1762/25-11-1764 | Rodolfo Giulio Brignone Sale |
nov.1764-gen.1765 | sede vacante Sale |
29-01-1765/29-01-1767 | Francesco Maria della Rovere |
3-02-1767/3-02-1769 | Marcello Durazzo |
16-02-1769/16-02-1771 | Giovanni Battista Negrone |
16-04-1771/16-04-1773 | Giovanni Battista Cambiaso |
7-01-1773/9-01-1773 | Ferdinando Spinola |
26-01-1773/26-01-1775 | Pier Franco Grimaldi |
31-01-1775/31-01-1777 | Brizio Giustiniani |
4-02-1777/4-02-1779 | Giuseppe Lomellini |
4-03-1779/4-03-1781 | Giacomo Maria Brignole |
8-03-1781/8-03-1783 | Marco Antonio Gentile |
6-05-1783/6-03-1785 | Giovanni Battista Ayroli |
6-06-1785/6-06-1787 | Gian Carlo Pallavicino |
4-07-1787/4-07-1789 | Raffaele de Ferrari |
30-07-1789/30-07-1791 | Alerame Maria Pallavicini |
3-09-1791/3-09-1793 | Michelangelo Cambiaso |
16-09-1793/16-09-1795 | Giuseppe Maria Doria |
17-11-1795/17-11-1797 | Giacomo Maria Brignole (2ª) (unico dei biennali ad essere rieletto) |
1802-1805 | Girolamo Durazzo (deposto)* |
*eletto in un ultimo colpo di coda della Repubblica Ligure durante la dominazione
Napoleonica.
Storia della bandiera di San Giorgio a cura del Comune di Genova
PALAZZI DEI ROLLI
Nella Repubblica rifondata da Andrea Doria che tra il cinquecento e seicento é crocevia
di traffici, corti e ambiasciate, si precettavano dimore adeguate alle visite di stato.
Questo avveniva attraverso elenchi (Rolli degli alloggiamenti pubblici) suddivisi in
"bussoli" per categorie di qualità. I 5 rolli conosciuti (degli anni 1576,
1588, 1599, 1614 e 1664) descrivono un universo di dimore storiche che in buona parte sono
giunte fino a noi e che testimoniano un tipo di struttura urbana definita dal Poleggi come
"una reggia repubblicana, vera contraddizione in termini dietro a cui si spalancano
orizzonti di storia abitativa e urbana, piuttosto che di sola architettura".
www.irolli.it
Questo sito si propone di divulgare la conoscenza di questa storia e di questi palazzi che
raccontano una Genova magica di re, corti, dogi e principi uniti alla concretezza
tipicamente genovese e alla modernità di un'ospitalità fatta di case private rese
pubbliche.
Palazzi storici di Genova
Il sito dellUniversità di Genova da è riportata la fedele trascrizione del volume
originale: LES PLUS BEAUX ÉDIFICES DE LA VILLE DE GÊNES ET DE SES ENVIRONS
di M. P. GAUTHIER, ARCHITECTE.
SPIGOLATURE DI STORIA GENOVESE
Ferragosto era il giorno che, anche nei secoli passati, dava il segnale dell' esodo dalla
citta': le catene che sbarravano l' accesso delle carrozze ad alcune vie della citta'
venivano aperte e i ricchi genovesi potevano cosi' raggiungere le rilassanti localita' di
villeggiatura come Albaro e Sampierdarena, oggi quartieri integrati nel tessuto urbano.
Secondo le cronache dell' epoca erano molti i cittadini che andavano in vacanza, ma tra
loro non figurava mai il Doge, obbligato dalle Leggi a rimanere a Palazzo Ducale: solo in
cinque occasioni, per le principali festivita', gli veniva concesso di uscire, perche'
altrimenti - si riteneva - avrebbe potuto distrarsi dalle cure di Governo. Al primo
cittadino era persino vietato raggiungere la Cattedrale di San Lorenzo uscendo sul
selciato: per partecipare alle principali cerimonie usava infatti un passaggio interno.
Alla luce di cio' desto' infatti scalpore la richiesta, avanzata nel 1727, dei medici di
Gerolamo Veneroso, che suggerirono ai Collegi di accordare un periodo di riposo di un mese
nella Villa di Albaro, precisamente dove sorge l' attuale Via Puggia, per curare il
gonfiore dei polpacci del Doge. Veneroso ottenne il permesso con 129 voti a favore contro
16, aiutato anche dal precedente del 1644, quando al Serenissimo Luca Giustiniani venne
accordato un periodo di una villeggiatura di un solo giorno sempre in Albaro. Visto che i
gonfiori del Doge non cessavano, i medici richiesero un altro permesso sempre per trenta
giorni, che pero' vennero accordati solo dopo il quinto scrutinio di voti. Dopo la seconda
villeggiatura le condizioni del Doge migliorarono e dopo il biennio dogale pote' cosi'
essere inviato come Governatore della Corsica. (copyright Ansa)
La Soprintendenza Archivistica per la Liguria ha avviato dal 2006 un progetto denominato "Repertorio di fonti sul Patriziato genovese" . Tale progetto, curato da Andrea Lercari, collaboratore della Soprintendenza, si propone di redigere una scheda per ognuna delle famiglie ascritte al patriziato genovese tra il 1528 al 1797, quantificate in 637, indicando per ognuna una breve memoria storica che ne individui origine e ruolo svolto nel panorama cittadino, le forme antiche col quale può trovarsi scritto il cognome nei documenti, la descrizione dello stemma portato dalla famiglia, la distinzione tra i vari rami familiari o tra le famiglie componenti lalbergo antico antecedente al 1528, leventuale albergo al quale furono aggregate se lascrizione è compresa tra il 1528 e il 1576. Per ogni famiglia verranno quindi indicate le principali fonti manoscritte reperibili negli Archivi e nelle Biblioteche, la bibliografia, gli eventuali archivi gentilizi e gli archivi parrocchiali di riferimento. Nel link sopra evidenziato l'elenco delle famiglie già esaminate
Altri argomenti collegati:
STORIA DEI
GIUSTINIANI DI GENOVA
STORIA DELLISOLA DI CHIOS PRIMA DEI
GIUSTINIANI
LA VITA AMMINISTRATIVA DEI
GIUSTINIANI A CHIOS
L’isola col turbante. I Giustiniani di Chio tra Greci e Turchi (XIV-XV secolo) (di Daniele Tinterri)
I GIUSTINIANI QUATTRO SECOLI DI RICCHEZZE di Giovanni Assereto
LE COLONIE GENOVESI DURANTE
LAVANZATA TURCA (1453-1473) di Giustina Olgiati (in inglese).
NUCLEI FAMIGLIARI DA GENOVA A CHIO NEL
QUATTROCENTO
Il questo link uno studio di Laura Balletto su come i Giustiniani seppero interessare allo
sviluppo dei commerci di Chios anche i nativi isolani, che si sentirono così
gradualmente, per così dire, genovesizzati, anche attraverso vincoli familiari. Oltre a
tutto ciò, lisola di Chios divenne ben presto meta dun notevole afflusso
immigratorio, che vide arrivare in loco non solo gente proveniente da Genova e dalla
Liguria, ma altresì da altre regioni italiane ed anche extra italiane. Ed uno degli
elementi che caratterizzò questa immigrazione - e che storicamente appare fra i più
importanti ed interessanti - è rappresentato dallafflusso nellisola di Chio
di più membri di un medesimo gruppo familiare, i quali talvolta, dopo un certo tempo,
rientrarono in patria e talvolta, invece, restarono colà vita natural durante, vi
defunsero e vi vennero sepolti. Gli esempi che, circa questo fenomeno, si possono trarre
dalla lettura di anche soltanto una parte dei numerosissimi atti notarili pervenutici,
redatti da notai genovesi e/o liguri nellisola di Chios nel Quattrocento, sono molti
e si riferiscono ai più diversi livelli della scala sociale.
GLI ORIZZONTI APERTI. PROFILI
DEL MERCANTE MEDIEVALE , a cura di G. Airaldi, Torino 1997 © degli autori e
dell'editore. (Indice. - Gabriella Airaldi, Introduzione. Per la storia dellidea di
Europa: economia di mercato e capitalismo. - Jacques Le Goff, Nel Medioevo: tempo della
Chiesa e tempo del mercante. - Roberto S. Lopez, Le influenze orientali e il risveglio
economico dellOccidente. - Eliyahu Ashtor, Gli ebrei nel commercio mediterraneo
nellalto medioevo (secc. X-XI). - Abraham L. Udovitch, Banchieri senza banche:
commercio, attività bancarie e società nel mondo islamico del Medioevo. - Nicolas
Oikonomides, Luomo daffari. - Armando Sapori, La cultura del mercante
medievale italiano. - David Abulafia, Gli italiani fuori dItalia. - Gabriella
Airaldi, Modelli coloniali e modelli culturali dal Mediterraneo allAtlantico. -
Jacques Heers, Il ruolo dei capitali internazionali nei viaggi di scoperta nei secoli XV e
XVI. - Gabriella Airaldi, Leco della scoperta dellAmerica: uomini
daffari italiani, qualità e rapidità dellinformazione)
LOCHIO DRITO DE LA CITÀ
NOSTRA DE ZENOA IL PROBLEMA DELLA DIFESA DI CHIO NEGLI ULTIMI ANNI DEL DOMINIO
GENOVESE. di Enrico Basso tratto da: Associazione di
studi storici militari
LE MONETE A CHIOS AL TEMPO DEI
GIUSTINIANI
Si ringrazia in particolar modo il Prof. Andreas Mazarakis per il suo contributo alla
stesura di questo paragrafo
MONNAIS INEDITES DE CHIO di P.
Lambros, Parigi 1877 (testo in francese)
LEVANTINE HERITAGE diversi
contributi in inglese sulla storia delle famiglie levantine
NOTIZIE ARALDICHE E VICISSITUDINI
STORICHE DELLE FAMIGLIE DI ORIGINE GENOVESE A CHIOS DOPO IL 1566
I GENOVESI D'OLTREMARE I PRIMI COLONI
MODERNI di Michel Balard IL SECOLO XIX 29/4/2001
STORIA DELLA CITTA DI GENOVA DALLE
SUE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA MARINARA
LINEE GUIDA DELLA STORIA GENOVESE
1339-1528
Presso la Libreria Bozzi
di Genova si può trovare un ricco assortimento di testi sulla storia della Città e
Ligure
LA BATTAGLIA DI LEPANTO 7 OTTOBRE 1571 (Pietro
Giustiniani, Veneziano, Ammiraglio della flotta dei Cavalieri di Malta e Gran Priore
dellOrdine).
STORIA DI GENOVA, DEL REGNO DI
SPAGNA IN ITALIA DAL 1600 AL 1750
MEMORIE DI GENOVA (1624 -
1647) di Agostino Schiaffino a cura e con introduzione di Carlo Cabella in Prima
edizione nei "Quaderni di Storia e Letteratura": Settembre 1996. Opera completa.
IL REGNO VENEZIANO DI MOREA E
LULTIMA GUERRA CRISTIANA CONTRO I TURCHI A SCIO DEL 1695
PIRATI E PIRATERIA NEL MEDITERRANEO
MEDIEVALE: IL CASO DI GIULIANO GATTILUSIO di Enrico Basso. Stampa in Praktika
Synedriou Oi Gatelouzoi tìs Lesbou, 9-11 septembríou 1994, Mytilini, a cura
di A. Mazarakis, Atene 1996 (Mesaionikà Tetradia, 1), pp. 343-371 ©
dellautore - Distribuito in formato digitale da Reti Medievali
HISTORE DE LA RÉPUBLIQUE
DE GÊNES di Émile Vincens, un testo in francese del 1843, scaricabile gratuitamente
su internet
CASTIGATISSIMI ANNALI
DELLA REPUBBLICA DI GENOVA di Agostino Giustiniani, versione integrale del libro
Segnalo inoltre un breve, ma interessante romanzo storico sulla genova del trecento per la
Fratelli Frilli Editore di Roberto Dameri: Gelindo Lercaro: una
storia genovese del 1300. Attraverso le vicende d'amore e di guerra del
protagonista, riviviamo la storia della Genova del Trecento e del primo Quattrocento.
Conosciamo la vita quotidiana di un genovese che acquistava la carne al Molo o ai macelli
di Soziglia, mentre il pesce veniva comperato a Caricamento presso la "clapa
piscium" o "ciappa" in dialetto, un lastrone di pietra che veniva usato
anche per bastonare i condannati per reati comuni. Rivediamo i palazzi di Genova, le sue
chiese, i vicoli stretti e maleodoranti percorsi giornalmente da asini, buoi, cavalli ma
non da carretti, allora vietati in città. Senza dimenticare i dogi di allora, compreso
Simone Boccanegra che nel 1339 viene eletto a vita, mentre nel 1340 nasce la
"compagnia del caravano", la prima corporazione dei camalli. Ecco la storia
della Lanterna e del Banco di San Giorgio ed alcuni avvenimenti riguardanti le colonie
genovesi della Sardegna, Corsica e del Mar Nero. Emergono le tante battaglie tra Genova e
Venezia, nonché le lotte intestine tra le varie classi sociali, con alcune famiglie che
non esitarono a vendersi allo straniero pur di emergere sulle rivali. E lincubo
della terribile peste nera del 1347, portata in Italia dai marinai genovesi provenienti da
Caffa, sul Mar Nero.
La Finanza genovese e il sistema imperiale spagnolo di
Manuel Herrero Sánchez, Universitá Pablo de Olavide, Siviglia
Molto documentazione su questo periodo storico su:
Associazione Culturale Bisanzio Reti Mediovali
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