GIUSTINIANI - MANDURIA

Lo stemma esistente nella chiesa del Rosario di Manduria presenta l'iconografia araldica che caratterizza l’arma dei Giustiniani, così contrassegnando l’esistenza in loco della tomba gentilizia dell’antica famiglia

La meravigliosa ex chiesa dei domenicani di Manduria, nota comunemente come la Madonna del Rosario, ospita nella navata di destra (sinistra per chi entra) la cappella di San Pietro Martire o San Pietro da Verona, noto santo dell'ordine dei Predicatori, con il relativo altare che come dice il Tarentini, é “pur provvisto di quadro che rappresenta lo stesso Santo nell'atto del suo martirio per opera degli eretici albigesi.”.
L'altare, che é il primo della navata, attualmente è interamente ricoperto di bianco, così come il resto della chiesa, e presenta in alto uno scudo araldico, unico elemento architettonico risparmiato dai vari strati di pitturazione, che tramanda, a noi posteri, l’identità della famiglia che anticamente ha avuto il patronato della cappella: la famiglia Giustiniani.
La chiesa é stata una delle più importanti dell'Ordine Domenicano nella zona. L'annesso convento, oggi adibito ad ospedale civico, fu dimora, secondo il Tarentini, di alcuni vescovi di Oria, tra cui Francia, Castrese Scaglia e il delegato apostolico Luca Antonio della Gatta. Accolse nel 1662 il manduriano Pier Agostino Ferrara che, vestendo l'abito domenicano, assunse il nome di Tommaso Maria Ferrara, e divenne più tardi il celebre cardinale del titolo di San Clemente.
La notizia, finora ignota, é frutto di una mia fortunata intuizione sorta a seguito di attento esame del manufatto e di confronto con il modello araldico “ufficiale” dell'arma gentilizia del casato di origini genovesi, presente anche in Casalnuovo-Manduria dal XVI secolo.
In Casalnuovo-Manduria la famiglia Giustiniani occupò subito una posizione preminente nella vita cittadina e suoi esponenti rivestirono rilevanti incarichi politico-amministrativi come sindaci della città (con Giovanni Camillo Giustiniani), come arcipreti della Collegiata (con don Francesco Antonio Giustiniani e don Giambattista Giustiniani, in carica, rispettivamente, dal 1625 al 1634 e dal 1652 al 1680), e come priori nelle importanti Arciconfraternite dell'Immacolata e del SS.mo Sacramento .
Soprattutto va detto che il ramo mandurino della famiglia esibì il medesimo emblema araldico degli altri esponenti della gloriosa Maona. Nell’aprile 1589, un esponente della famiglia Giustiniani di Casalnuovo-Manduria, Giovanni Camillo (già sindaco della città) acquistò all’asta pubblica il palazzo di Scipione Pasanisi, benefattore e fondatore del locale convento dei Servi di Maria. L’acquisto avvenne con l’aiuto e l’intermediazione del vicemarchese don Stefano Pallavicino, genovese. La notizia è riportata da Maria Grazia Mariggiò, I Servi di Maria a Manduria dal sec. XVI al sec. XIX, Napoli 1995, pag.30.
Orbene, riprendendo il discorso iniziato, va detto che lo stemma esistente nella chiesa del Rosario di Manduria presenta l'iconografia araldica che caratterizza l'arma dei Giustiniani, così contrassegnando l'esistenza in loco della tomba gentilizia dell'antica famiglia.
La presente notizia, oltre che nelle evidenze di tipo araldico, trova sicura conferma anche in documenti storici ufficiali e, precisamente, nel Librone Magno delle famiglie di Manduria, il noto manoscritto redatto dagli arcipreti della Collegiata di Manduria a partire dal XVI secolo.
Alla pagina 460 dedicata, come altre precedenti alla famiglia Giustiniani, é scritto: “Angelo Domenico UJD... A dì 2 Agosto 1811 morì D.co Angelo per insulto apoplettico. Fu egli universalmente compianto per essersi perduto con lui il Padre della Patria e specialmente de' poveri. Nel giorno istesso li furono fatte l'esequie nella Chiesa Collegiata, a la mattina del giorno appresso fu trasferito il cadavere nella chiesa degli Padri Domenicani dove trovasi la sepoltura gentilizia de' Giustiniani. Il Capitolo che intervenne nelle funzioni de' due giorni fece tutto gratis.”


Biblioteca comunale “Marco Gatti”, Manduria (TA), Librone magno delle famiglie mandurine, col.449. Nel manoscritto la famiglia è indicata anche come Moro e, successivamente, solo come Giustiniani. Moroni era il nome di una delle famiglie aggregate nell’albergo. Alcuni rami della famiglia Giustiniani di Casalnuovo-Manduria si trasferirono a Napoli e a Lecce. Attualmente il cognome non è più presente a Manduria, ma si conserva come toponimo di una masseria dell’agro manduriano e di un’altra in agro di Torricella, probabilmente appartenute alla famiglia.


Reputo opportuno segnalare, come singolare coincidenza, che proprio un membro della casata genovese, il cardinale Vincenzo Giustiniani, prima di essere elevato alla dignità cardinalizia, era stato per molti anni Maestro Generale dell'Ordine dei Predicatori e ciò potrebbe forse spiegare la vicinanza dei Giustiniani di Manduria alla famiglia religiosa ed alla spiritualità domenicana, come anche il privilegio della concessione della tomba gentilizia nella locale chiesa dell'ordine. In effetti, non credo che sia casuale il fatto che nella famiglia mandurina ricorra spesso l'uso di nomi di santi dell'ordine, come, ad esempio Domenico, Giacinto, Vincenzo, per la denominazione di alcuni suoi esponenti.
Va anche segnalata la circostanza che l'antica casata genovese ebbe a Tinnos, nell'Egeo, un arcivescovo, tal Pietro Martire Giustiniani, che, come si può notare, assunse proprio il nome del santo domenicano a cui é intitolata la cappella nella chiesa di Manduria, mentre -secondo la testimonianza dell'abate Michele Giustiniani- il citato cardinal Vincenzo fece dono delle reliquie di San Pietro Martire alla chiesa che l'ordine religioso possedeva a Scio.
Sempre lo stesso porporato, dopo l'occupazione dell'isola di Scio da parte dei Turchi di Pialì pascià, si adoperò, con l'aiuto del Papa Paolo IV e del re di Francia Carlo IX per ottenere il riscatto e la liberazione di molti esponenti dell'antica maona che, in seguito, sarebbero giunti in Italia, insediandosi in varie località, tra cui Genova, Napoli, Bassano Romano.
Nulla di più facile che anche il ramo mandurino della famiglia sia giunto in quei tempi nella nostra zona, spinto dai medesimi avvenimenti storici: credo che la strada per le future ricerche sia tracciata.
Dalla consultazione dell’Indice dei libri proibiti, è stato materialmente rinvenuto presso l’archivio romano della Congregazione per la Dottrina della fede (ex Sant’Uffizio), dalla copertina che ne contiene i principali elementi identificativi: “Gratie concesse da Maria Nostra Signora Immaculata a molti divoti del digiuno per pane & acqua in honore della sua purissima Concettione, col modo di fare detto digiuno perpetuo, Indulgenze concesse dalla Santità di Clemente X. Fatta ristampare per ordine dell’Eccellentiss. Sig. D. Carlo Benedetto Giustiniani Prencipe di Bassano. Ad istanza del P. Bonaventura a Bagnaia Predicator Cappuccino.”. Segue l’indicazione dello stampatore: “In Ronciglione, per il Menichelli, Con Lic. de’ Sup. 1679”. Il libro di dimensioni molto ridotte e di formato in sedicesimo è inserito in un fascicolo nel quale vi sono altri documenti riguardanti il digiuno perpetuo dell’Immacolata.
Varie fonti storiche attestano che la pia pratica del digiuno dell’Immacolata, così come essa si svolge tradizionalmente il giorno della vigilia della festa (7 dicembre), é nata a Manduria (all’epoca denominata Casalnuovo) nella metà del XVII° secolo. Inizialmente si trattava di un digiuno osservato a turno da devoti estratti a sorte, ai quali veniva assegnata una data nell’anno attraverso una precisa procedura. Alla richiesta di assegnazione (proveniente da singoli individui, gruppi familiari, comunità religiose, città, ecc.) pervenuta all’Arciconfraternita dell’Immacolata di Casalnuovo, seguiva l’estrazione a sorte, da parte del Priore, della data annuale del digiuno (lo scopo della pratica religiosa era quello di assicurare che, durante l’intero corso dell’anno, vi fossero sempre dei fedeli ad osservare lo speciale digiuno a pane ed acqua). Il richiedente, una volta che gli era stata assegnata la data, riceveva una pagellina a stampa (la cosiddetta “Carta di Casalnuovo”), che riportava impresso, come promemoria, il giorno stabilito.
Per promuovere la pratica, che ebbe larghissima diffusione in Italia e anche all’estero, fu stampato un libretto, del quale era nota soltanto l’interdizione da parte delle autorità ecclesiastiche. Il volumetto è composto da una parte introduttiva che ripercorre le fasi della nascita del digiuno manduriano a pane acqua, da una seconda che descrive i “fatti prodigiosi” di molti devoti scampati al pericolo dei fulmini (pericolo che era stato il motivo della nascita del digiuno stesso) con un elenco di tutte le località in cui la pratica si era già affermata, da una terza che fornisce istruzioni per istituire la pratica del digiuno in altre città e, infine, da un’ultima sezione che contiene un’originale preghiera mariana riferita al digiuno. Sono pure riportati il breve di papa Clemente X del 10 luglio 1676 che promuoveva il particolarissimo culto mariano nato a Manduria, arricchendolo di indulgenze, e tre belle immagini xilografate, due dell’Immacolata ed una dell’Angelo custode.


Nell’opera, a pag. 342 è riportata la citazione del libretto in questione (la cui consistenza sarebbe di 80 pagine) ed il luogo in cui esso è conservato, ossia l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, a Roma. L’indicazione, per la precisione, è la seguente: “ACDF. S.O., St.St., H 2 I” nella quale la sigla ACDF sta, appunto, per Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio) e le altre dovrebbero riferirsi alla posizione del testo nell’archivio. Per quanto riguarda le possibili ragioni dell’interdizione, comminata al supposto libretto mandurino, sembrano calzanti le considerazioni che, in via generale, gli autori svolgono nella premessa: “Avant 1854 (n.d.a., anno di ufficiale proclamazione del dogma dell’Immacolata da parte di Papa Pio IX), il est interdit de publier sur l’Immaculée Conception et surtout de taxer d’hérésie l’une ou l’autre des opinions qu’on pouvait alors librement souvenir.” (traduco: Prima del 1854, era vietato pubblicare sull’Immacolata Concezione e soprattutto tacciare di eresia l’una o l’altra delle opinioni che si potevano allora liberamente sostenere.). L’interdizione del libretto in questione, pertanto, potrebbe essere stata motivata proprio da queste ragioni.

Come anticipato dalla sua copertina, il libretto - il cui contenuto sembra essere compatibile con la pratica del digiuno mandurino- è stato ristampato nella località laziale di Ronciglione per interessamento di Carlo Benedetto Giustiniani (* Roma, 09.11.1649† Bassano, 25.11.1679), Principe di Bassano Romano (in provincia di Viterbo) e figlio di Vincenzo, il quale ultimo aveva ereditato il feudo e il castello di Bassano di Sutri (oggi Bassano Romano), venduto al padre dagli Anguillara nel 1595.
Apparentemente, quindi, il testo rinvenuto non sembrerebbe presentare collegamenti immediati con la città di Manduria. A partire dal secolo XVI, anche in Casalnuovo-Manduria é presente una famiglia Giustiniani, i cui esponenti occupano posizioni preminenti nell’ambito della vita cittadina rivestendo importanti incarichi politico-amministrativi (Sindaco della città) ed ecclesiastici (nel capitolo della Collegiata).
Altri esponenti della famiglia mandurina, inoltre, a decorrere dal 1680 (un anno dopo la ristampa del libretto in questione) si trovano a ricoprire le maggiori cariche direttive all’interno della Arciconfraternita dell’Immacolata di Manduria (da cui nasce, come noto, la pratica del digiuno perpetuo), figurando come Prefetti (o Priori), Assistenti e Segretari del sodalizio.
Alcuni rami della famiglia Giustiniani di Casalnuovo-Manduria si trasferirono a Napoli e a Lecce. Attualmente il cognome non è più presente a Manduria, ma si conserva come toponimo di una masseria dell’agro manduriano e di un’altra in agro di Torricella, probabilmente appartenute alla famiglia.
Il ramo locale della famiglia, sebbene proveniente dalla vicina Francavilla Fontana, presentava alcuni collegamenti con esponenti della nobiltà genovese, tra cui il patrizio Don Stefano Pallavicino, presente nel ‘500 a Manduria con l’incarico di vice marchese e governatore per conto dei genovesi feudatari Imperiali. 
E’ possibile pertanto ipotizzare che un ramo della famiglia (o unione di famiglie) genovese che reggeva la Maona di Chio, a seguito della fuga e della conseguente diaspora causata dall’invasione dei Turchi nell’Egeo o ancor prima, si sia stabilita proprio a Casalnuovo-Manduria, in Terra d’Otranto, mantenendo o recuperando, nel corso del tempo, i contatti con altri rami della casata Giustiniani che si erano stabiliti in altre parti d’Italia, come Genova, Roma o Bassano Romano.
Nell’aprile 1589, un esponente della famiglia Giustiniani di Casalnuovo-Manduria, Giovanni Camillo (già sindaco della città) acquistò all’asta pubblica il palazzo di Scipione Pasanisi, benefattore e fondatore del locale convento dei Servi di Maria. L’acquisto avvenne con l’aiuto e l’intermediazione del vicemarchese don Stefano Pallavicino, genovese. La notizia è riportata da Maria Grazia Mariggiò, I Servi di Maria a Manduria dal sec. XVI al sec. XIX, Napoli 1995, pag.30.
Questi legami conservati avrebbero potuto favorire la scelta della tipografia laziale di Giacomo Menichelli (sita nei pressi di Bassano) per la ristampa del famoso libretto del digiuno, una volta che i Giustiniani di Manduria avevano assunto la direzione dell’Arciconfraternita dell’Immacolata. La scelta potrebbe essere stata suggerita da ragioni economiche (le tipografie secentesche di Ronciglione, cittadina a poche miglia da Roma, ricca di cartiere che fornivano carta di ottima qualità, consentivano la stampa a buon mercato) o logistiche, per sfuggire al controllo ed all’opposizione di ambienti ecclesiastici mandurini contrari alla ristampa (come si suppone che fossero i religiosi della comunità domenicana locale).
Peraltro, va detto che il mecenatismo del principe di Bassano, quando si trattava di finanziare la stampa di opere letterarie (soprattutto se provenienti da esponenti di altri rami dell’antico casato Giustiniani) sembra trovare conferma nella dedica contenuta in una edizione delle Lettere memorabili scritta dal noto abate genovese Michele Giustiniani (autore anche delle altre due più celebri opere dedicate agli scrittori liguri e ai diciotto fanciulli Giustiniani martirizzati dai Turchi durante la conquista di Chio). La parte terza dell’opera dello scrittore che si definisce sempre “Patritio genovese de’ Signori di Scio”, stampata “In Roma, per il Tinassi, MDCLXXV” (1675), innalza nel frontespizio lo stemma della casata e nella pagina successiva contiente la dedica al finanziatore Principe Carlo Benedetto Giustiniani di Bassano (lo stesso della ristampa del nostro libretto) cui l’opera è indirizzata anche in ragione delle sue “qualità gentilizie” (leggasi parentela) atteso che “…la sua prosapia Giustiniana è una delle più aristocratiche di Genova delle già signoreggianti dell’Arcipelago (egeo) e delle presenti baronali di Roma”.
Che anche i Giustiniani di Manduria, quando si è trattato di dare alle stampe il libretto del digiuno, si siano ricordati del potente parente romano e abbiano fatto ricorso alla sua influenza ed al suo mecenatismo?
L’ipotesi, ad avviso di chi scrive, è verosimile e sembra trovare anche il conforto delle date.
Il 1679 è l’anno della ristampa del libretto nella sua edizione ronciglionese. Il 1680 è indicato dal Libro magno del digiuno (conservato dall’Arciconfraternita mandurina) come anno in cui vengono registrate alla pratica devozionale nuove città, terre, casali e persone, dopo la ristampa del “libretto”. Il 1683 (per la precisione il febbraio di quell’anno) è la data in cui interviene il decreto di interdizione del Sant’Uffizio.
Ponendo in relazione tra loro le anzidette date, è francamente difficile escludere che il libretto sul digiuno perpetuo dell’Immacolata abbia a che fare con il libretto, mai trovato, di cui parlano il Libro magno dell’Arciconfraternita e le cronache locali relative al digiuno.
Altra coincidenza singolare è poi quella relativa all’ascesa di esponenti della locale famiglia Giustiniani alle più alte cariche dell’Arciconfraternita: nel 1680, anno successivo alla ristampa del libretto, Francesco Antonio Giustiniani è segretario del sodalizio, l’anno seguente Giacinto Giustiniani è nominato prefetto (o priore), in quello successivo due esponenti della famiglia assumono ben due delle quattro cariche elettive, in quanto Francesco Antonio è prefetto, mentre Giacinto è primo assistente, e così via in un susseguirsi quasi ininterrotto, durante il quale la famiglia assume il pieno controllo della confraternita.
Sembra quasi che il successo in termini di crescita della pratica devozionale, legata alla ristampa del libretto, e l’ascesa della famiglia alla guida della pia associazione siano strettamente legate tra loro, nel senso che il primo abbia potuto favorire la seconda.
Altra coincidenza di nomi molto singolare è quella tra il Bonaventura Ferrara citato nel mio precedente studio (come priore dell’Arciconfraternita dell’Immacolata di Manduria) e il Bonaventura Ferrara indicato dall’Index quale autore del libretto proibito e, nel libretto rinvenuto nell’archivio della congregazione romana, come Bonaventura da Bagnaia (località laziale sempre nei pressi di Bassano, sede di un convento di Cappuccini) predicatore cappuccino. Sono la stessa persona o persone tra loro imparentate? La risposta certa, anche in questo caso, richiederà la consultazione diretta del testo in archivio.
Un’ultima notazione, per finire, va fatta per la tipografia in cui il libretto è stato ristampato.
Da alcuni decenni è stata segnalata, dagli studiosi del settore, l’importanza di Ronciglione, una cittadina poco distante da Roma, ricca di cartiere, e delle sue stamperie secentesche per l’attività editoriale dei librai di Roma, che vi commissionavano la stampa di opere letterarie di varia importanza.
Nelle tipografie ronciglionesi però si affermò anche la stampa di testi letterari appartenenti al genere popolare, costituiti da libretti di non molte pagine, realizzati su carta poco pregiata, con caratteri consunti e incisioni sul frontespizio, prodotti a costi molto bassi.
Tra queste tipografie vi era quella di Giacomo Menichelli (* Ronciglione, 12.05.28 † Ivi, 05.03.1705), attiva dal 1656, presso la quale il libretto conservato a Roma ha visto la luce.

(tratto da tre articoli di ricerca di Giuseppe Pio Capogrosso)


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