IL REGNO VENEZIANO DI MOREA E LULTIMA GUERRA CRISTIANA CONTRO I TURCHI A SCIO DEL 1695
Il Regno di Morea si trova nellattuale zona del Peloponneso Greco,
confinante con l'attuale Albania. Morea deriva dalla trasposizione di "Romea".
Denominazione della Grecia in era postromana, quando i greci erano considerati romani.
Vedi anche RUMI o anche dal il termine veneto con cui si indica l'odierno Peloponneso,
regione settentrionale della Grecia.
Il Peloponeso ceduto dai Veneziani al Turco nella infelice pace di Passarowitz nel 1718.
E una Penisola, che si divide in quattro parti, cioè
1. Zaconia detta acora Romania, ed ha per capitale Napoli di Malvasia, che lo è pur anche
di tutta la Morea. Il famoso Corinto sta sull'Istmo nel quale sta il monte Ovejo celebre
pel Teatro destinati ai giuochi Istmici, di cui veggonsi ancora degli avanzi. Sicione,
Argo, e Micene sono città di questa Provincia, e sono celebri nella Storia antica della
Grecia.
2. La Laconia, ove havvi l'antica Sparta, o Lacedemone detta ora Misistra, e Napoli di
Malvasia fortezza riguardevole, e capitale della Provincia.
3. La Messenia, di cui è Capo la città di Navarino. Le altre Città sono Corone, e
Belvedere (Elis), che dà il nome alla Provincia.
4. Clarenza (Dyma), di cui Chiarenza è la capitale, e che forma un Principato. Petrasso
è l'altra città di questo Distretto. Qui vi ha l'antica Pisa, luogo, ove si celebravano
i giuochi Olimpici i più celebri della Grecia.
La guerra di Morea (1684-1699) rappresenta l'ultima avventura espansionistica della
Serenissima Repubblica di Venezia protesa alla riconquista dei vecchi possedimenti in
Dalmazia e in Grecia. Il conflitto si inserisce nel contrattacco vittorioso della Sacra
Lega formatasi per liberare Vienna dall'assedio turco e per dare modo alle forze cristiane
di cominciare una guerra offensiva e di conquista nei territori del declinante Impero
Ottomano.
Le campagne del Peloponneso alimentarono vittoria dopo vittoria l'esaltazione e la
curiosità dei veneziani per la guerra. Si creò un clima che la crescente circolazione di
informazioni tratte dai documenti provenienti dal fronte fomentava fino a forme di vera e
propria isteria collettiva, le cui più fortunate espressioni sono le grandi feste
barocche e le apoteosi in vita e in morte del generale doge ed eroe massimo Francesco
Morosini.
La fine del '600 coincise quindi con l'ultimo momento di gloria militare della
Serenissima.
NUOVA GUERRA TRA VENEZIA E I TURCHI CONQUISTA VENETA DELLA MOREA -
VITTORIE VENEZIANE SUL MARE - FRANCESCO MOROSINI PACE DI CARLOWITZ
Miniatura della Morea Venenziana
La guerra di Candia aveva vuotate le casse della repubblica, ma aveva mostrato al mondo
quanta forza possedesse ancora e di quali miracoli di eroismo e di sacrificio essa fosse
capace. La guerra le aveva anche insegnato che il solo valore non basta a vincere il
nemico, ma che occorre prepararsi in tempo alla lotta per respingere vittoriosamente ogni
aggressione.
Facendo tesoro dell'esperienza purtroppo fatta in ritardo, nel 1670, ratificata la pace
coi Turchi, Venezia si mise alacremente a restaurare le fortezze, a migliorare la
disciplina militare e a vigilare attentamente su i possessi d'oltremare che ancora le
rimanevano perché era sicura che presto o tardi i Turchi sarebbero tornati contro di lei
per strapparle gli ultimi lembi dell' impero coloniale.
I Turchi infatti tornavano a premere contro gli stati cristiani, spinti dalla loro
inesauribile sete di conquista, e nelle nuove guerre da loro provocate doveva Venezia
finire con l'essere coinvolta. Prima gli Ottomani si volsero contro la Polonia, ma,
battuti duramente a Chocim (1673) dal valore di GIOVANNI SOBIESKI, dovettero abbandonare
l' impresa; poi marciarono contro l' Ungheria e l'Austria e nel 1683 si presentarono,
comandati da KARA MUSTAFA' sotto le mura di Vienna.
L'imperatore LEOPOLDO, atterrito, fuggì a Linz; a difendere la capitale rimase il
generale Stahremberg, che, resistendo per un mese e mezzo, diede tempo all'alleato
Sobieski di accorrere e di sconfiggere duramente e mettere in fuga precipitosa gli
Ottomani, che tuttavia rimasero padroni di alcune piazze ungheresi.
Per respingerli definitivamente, l' imperatore si rivolse a Venezia invitandola ad entrare
nella lega che egli aveva appena conclusa con il Papa e con la Polonia. La repubblica, che
ad un invito identico rivoltole pochi anni prima aveva risposto con un saggio rifiuto, non
seppe questa volta resistere alle sollecitazioni di INNOCENZO XI; si illuse di poter
riconquistare Candia, Cipro e Negroponte, ricostituire il suo impero coloniale e
ricostruire le sue fortune, e nel gennaio del 1684 aderì alla lega. Così, dopo
quattordici anni di pace, si riaccendeva la guerra con il Turco, alla direzione della
quale furono messi FRANCESCO MOROSINI come capitano generale, il conte NICCOLÒ di
STRASSOLDO quale comandante delle truppe da sbarco, e ANTONIO ZENO con la carica di
provveditore della Dalmazia e dell'Albania.
La fortuna, fin dal principio, sorrise ai Veneziani. Mentre lo Zeno si spingeva vittorioso
fino a Castelnuovo, il Morosini con la flotta pontificia, toscana e maltese investiva con
grande vigore l'isola di Santa Maura, tra Corfù e Cefalonia, e dopo sedici giorni, nel
luglio del 1684, la costringeva alla resa. Di là il conte di Strassoldo sbarcava nella
terraferma, occupava nei primi giorni dell'autunno Prevesa e cominciava a ribellarsi al
turco l' Epiro, l'Albania e la Morlacchia, stanchi dell'oppressione ottomana.
Per provvedere alle spese della guerra, anche questa volta come aveva fatto durante la
guerra di Candia, la repubblica mise in vendita le cariche dello Stato, ricorse alla
generosità dei privati e conferì il titolo di nobiltà a famiglie popolari dietro il
pagamento di centomila ducati ciascuna. Così la guerra dispose dei mezzi per essere
continuata con maggior vigore e poterono essere strappate ai Turchi parecchie terre fra le
quali Natolico e Missolungi.
Francesco Morosini, malgrado questi positivi risultati, si sentiva oppresso dagli anni e
dalle fatiche. Persuaso che per la condotta di una guerra così faticosa occorreva un capo
nella piena vigoria dell'età, scrisse da Corfù al Doge pregandolo di sostituirlo nel
comando, ma il Senato, che aveva grandissima fiducia in lui, respinse la richiesta e lo
riconfermò nella carica di capitano generale.
Allora il Morosini volse le armi contro le fortezze di Corone, Modone e Navarino che
dovevano aprirgli la via alla conquista della Morea. Prima ad esser conquistata fu Corone,
che assediata da novemila cinquecento soldati, dopo quarantasette giorni di assedio
capitolò; si arresero poi Sarnata, Calamata, Chielafà, Passava, il forte di Mistra e
proseguendo di vittoria in vittoria, nel 1685 e nel 1886, conquistò il Morosini Navarino,
Modone, Argo e Nauplia, ne mise in stato di difesa le fortificazioni, rinnovò le milizie
e si preparò a nuove imprese.
La conquista di Calamata da parte del Morosini
La campagna del 1687 registrò nuove vittorie e nuove conquiste. Il grande ammiraglio veneziano, che aveva impiegate tutte le sue ricchezze per allestire una flotta, espugnò Patrasso, Corinto e Lepanto; riconquistando così in tre anni di vigorosa guerra quasi tutta la Morea alla patria, la quale ebbe notizia dell' importante conquista mentre il Consiglio Maggiore era adunato per l'elezione dei magistrati cittadini. La vittoria fu celebrata con un solenne ufficio divino in San Marco, e il Senato decretò che nella sala del Consiglio dei Dieci fosse conservato lo stendardo tolto al Serraschiere e venisse collocato un busto di bronzo del Morosini con l'epigrafe: Francisco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi Senatus.
lo stendardo tolto al Serraschiere
Francesco Morosini intanto non riposava sugli allori. Conquistata la
Morea, portava le armi nelle regioni vicine, occupava Sparta e Misistra e con il
Konigsmuk, che era successo allo Strassoldo, si volgeva contro Atene. La capitale della
Grecia, vigorosamente assediata, cadde nelle mani del Morosini. Questa vittoria fu
amareggiata da un disgraziato incidente: una bomba cadde sul Partenone, che i turchi
avevano trasformato in polveriera, e danneggiò gravemente il magnifico tempio di Pallade,
il capolavoro dell'arte ellenica.
Dopo questa vittoria il Morosini concepì il disegno di strappare al nemico Negroponte.
L'andamento generale della guerra era propizio ad un' impresa di tanta importanza;
Girolamo Cornaro riportava vittorie nella Dalmazia e nell'Albania, gli eserciti imperiali
comandati dal principe EUGENIO di SAVOIA e dal DUCA di LORENA battevano ripetutamente gli
Ottomani e liberavano la Transilvania e la Bosnia. I Turchi alla fine versavano in
tristissime condizioni economiche e sembravano depressi dalle sconfitte patite.
Il Morosini, che dopo la morte del doge Marcantonio Giustiniani, era stato
nell'aprile del 1688, chiamato a succedergli nell'altissima carica, mosse contro
Negroponte, ma per la prima volta dopo l'inizio di questa guerra, la fortuna doveva
volgere le spalle alle armi veneziane: la resistenza ostinata dei Turchi, le malattie e
l'azione poco concorde delle milizie mercenarie frustrarono i tentativi del Morosini e
malgrado qualche scontro favorevole ai veneziani, la spedizione fallì. I Turchi cercarono
di trarre profitto da questo insuccesso del nemico ed avanzarono proposte di pace, ma le
condizioni imposte dalla repubblica furono così onerose che le trattative vennero rotte e
la guerra continuò.
Nel 1689 Francesco Morosini espresse il desiderio di ritentare l' impresa di Negroponte,
ma l'insufficienza delle forze di cui disponeva e l'opposizione degli altri capitani, lo
costrinsero a rinunziarvi. Allora egli si volse contro Malvasia per condurre a termine la
conquista della penisola greca e già le operazioni contro questa piazza ne facevano
prevedere prossima la caduta, quando il Morosini si ammalò e dovette tornarsene a
Venezia, cedendo il comando a GIROLAMO CORNARO.
Questi si mostrò degno successore del grande doge: stretta maggiormente Malvasia, la
costrinse sul finire dell'agosto del 1690 alla resa. Né questo fu il suo unico trionfo;
avendo saputo che la flotta turca era uscita per difendere la piazza, le corse incontro e
nelle acque di Mitilene la sbaragliò, quindi, piombato fulmineamente su Valona, se ne
impadronì di sorpresa. Venezia non riuscì a godere a lungo dei suoi successi, i quali
vennero rattristati dalla morte del Cornaro. Poco dopo un'altra sciagura si abbatteva
sulle armi della repubblica: ALESSANDRO VALIER che era al comando di due navi sosteneva
per quattro ore una feroce battaglia presso Milo contro dieci galee ottomane e anche lui
vi trovava una morte gloriosa. Le due navi, non soccorse dalla squadra di Marco Pisani che
si trovava a Malvasia, andarono perdute.
Al Cornaro successe nel comando DOMENICO MOCENIGO, che «deliberò di tentare il
riacquisto di Candia, cosa - scrive il Battistella - che stava sempre in cima ai desideri
della Repubblica e a cui non aveva creduto di cimentarsi lo stesso Morosini, ben sapendo
come i Turchi l'avessero messa in ottimo stato di difesa e vi facessero buona guardia.
L'armata veneta fece rotta pertanto verso la Canea nella speranza di poterla avere al
primo impatto, ma il colpo non riuscì e si dovette disporre in un regolare assedio.
Pareva che la fortuna assecondasse le armi veneziane, tanto che, in breve si erano avviate
avance agli abitanti favorevoli alla resa della città, allorché il Mocenigo,
impensierito per certe voci sparse nel campo che i Turchi si accingevano a sbarcare in
Morea e ad assalirla durante l'assenza della flotta, nonostante il consiglio e le
esortazioni di alcuni diffidenti, senza curarsi di appurare la verità, volle
improvvisamente levare l'assedio e partire per correre a contrastare quell'assalto
immaginario. Fu destituito e punito: ma il male commesso per la sua inettitudine e
sconsideratezza era irrimediabile e l'occasione di riacquistare Candia andò perduta per
sempre ».
medaglia celebrativa coniata in rame nel 1685 per celebrare le vittorie veneziane in
Morea contro i Turchi (gr. 23,10 - rame) coniata dal Doge Marc'Antonio Giustinian ( 1684 -
1688 )
Allora la repubblica si rivolse ancora al Morosini e tornò a nominarlo capitano
generale. Il glorioso vecchio accettò quel gravoso incarico lieto di poter giovare ancora
alla patria e la moltitudine de' suoi concittadini andò sul lido a salutarlo commossa e
ad augurargli nuove vittorie (24 maggio 1693).
Ma il grande capitano era stanco e carico di anni e non poteva perciò reggere alle
fatiche di una nuova campagna; tuttavia non lievi vantaggi ottenne sul mare contro i
barbareschi e strappò ai Turchi alcune isole fra cui Salamina. Erano questi gli ultimi
suoi trionfi: nuovamente ammalatosi a Nauplia, vi morì settantacinquenne nel gennaio del
1694.
La sua salma venne trasportata a Venezia e venne accolta con grandi manifestazioni e
cordoglio da quel medesimo popolo che otto mesi prima gli aveva rivolto il saluto
augurale.
Al Morosini successe nel comando ANTONIO ZENO, che nel settembre del 1694 riprese agli
ottomani l'isola di Scio: ma la sua titubanza gli impedì di conseguire una
maggiore vittoria: infatti non osò affrontare una flotta turca che incrociava in quelle
acque e quando questa prese il largo alla volta di Smirne egli la inseguì così da
lontano da lasciarla fuggire senza recarle alcun danno.
Tornarono i Turchi alla riscossa nell' inverno del 1695 con una forte flotta comandata da
HUSSEIN pascià e dal corsaro MEZZOMORTO, i quali nelle vicinanze di Scio
costrinsero lo Zeno alla battaglia. Questa si svolse con grande accanimento dall'una e
dall'altra parte.
Singoli atti di valore non mancarono fra i Veneziani, ma mancò loro l'energia e la
sapienza del comando e questa sola fu la causa della sconfitta. La vittoria dei Turchi
mise Scio in grave pericolo, che però si sarebbe potuto scongiurare se lo Zeno
fosse rimasto a difenderla o ne avesse affidata la difesa al provveditore Giustino Riva
che si era, offerto di contrastare l'isola al nemico. Ma lo Zeno volle abbandonarla e Scio
poco dopo ricadde in potere dei Turchi. Richiamato a Venezia e messo in carcere per questa
sua dannosa condotta, nel 1699 lo Zeno vi morì mentre si istruiva il processo contro di
lui.
La perdita di Scio non interruppe il corso della guerra, che tornò a volgere
favorevole ai Veneziani. Nel 1697 il provveditore ANTONIO MOLIN respinse uno sbarco dei
Turchi sulle coste della Morea e, scontrata la flotta ottomana nelle acque di Scio,
la sconfiggeva duramente vendicando l'onta patita dallo Zeno; l'anno dopo, il provveditore
straordinario GIROLAMO DOLFIN, mandato a vuoto un tentativo contro isola di Tine, inseguì
la flotta nemica fin dentro i Dardanelli, dove il 30 settembre del 1699 si combattè una
furiosa battaglia nella quale gli Ottomani riportarono danni considerevoli.
Questa battaglia, fu seguita da altri scontri vittoriosi per le armi della repubblica, la
quale con il blocco dei Dardanelli effettuato dal medesimo Dolfin si assicurava il
possesso dell'Arcipelago e del Peloponneso e la padronanza quasi assoluta del
Mediterraneo.
Stanchi erano i Turchi, dopo quindici anni di accanita guerra terrestre e marittima. Li
avevano fiaccati i colpi terribili di Venezia e le dure disfatte inflitte dagli eserciti
imperiali, specie quella di Zenta dell'11 settembre del 1697 (comandava l'esercito
austriaco - EUGENIO di SAVOIA) nella quale erano periti il gran visir, diciassette pascià
e trentamila ottomani. Ma se stanchi erano i Turchi, non meno lo erano i veneziani e i
"cristiani", i quali non rifiutarono le proposte di pace avanzate dal sultano.
Il 13 novembre del 1698 si riunirono a Carlowitz i plenipotenziari dell'impero, della
Polonia, della Russia, deei Veneziani e dei Turchi. I negoziati furono lunghi e poco
sereni sia perché ciascuno dei delegati voleva ottenere vantaggi per la propria nazione,
sia per la resistenza dei Turchi, sia ancora per l'agire del plenipotenziario veneziano
Carlo Ruzzini, che su ogni questione voleva sentire il parere del suo governo, che non
sempre era sollecito a mandarlo questo parere.. Il 26 gennaio del 1699 fu firmata la pace
tra l'Austria, la Polonia, la Russia e la Turchia e il 21 febbraio anche Venezia
sottoscrisse il trattato. Per esso la repubblica conservava la Morea, Egina, Santa Maura e
le conquiste fatte nella Dalmazia e nell'Albania; scambiava i prigionieri e non pagava
più il tributo per l'isola di Zante; restituiva però Lepanto e le isole dell'Arcipelago
e si impegnava di abbattere le fortificazioni delle Rumelia e di Prévesa. Inoltre il
trattato stabiliva che si delimitassero i confini della Dalmazia e dell'Albania.
A queste condizioni la repubblica concludeva la pace col Turco. Questa veramente non era
quella che Venezia sperava d'imporre dopo tanti sacrifizi e tante vittorie, ma erano
tuttavia onorevoli sia per le terre che acquistava, sia per la soppressione del vergognoso
tributo al sultano. Infine poteva dirsi lieta Venezia di essere uscita vittoriosa dalla
guerra e di aver dimostrato a tutta l'Europa quanto ancora al suo tramonto potesse la sua
forza sul mare.
Quando gli alleati della Serenissima con il trattato di Karlowitz (1699) mettono fine alla
guerra di Morea, inizia per Venezia un quindicennio di relativa tranquillità. In Europa
si sta combattendo un'aspra guerra per la successione spagnola, che vede l'Austria
impegnata in primo piano. I turchi, che hanno riportato una vittoria sulla Russia nel Mar
Nero intuiscono che l'Austria è snervata ed esausta e, confidando di cogliere Venezia
priva di alleati, nel 1714 portano un decisivo attacco alla Morea e la riconquistano,
incontrando una resistenza assai blanda da parte dei comandanti delle fortezze veneziane.
I Turchi rivolgono quindi le loro mire su Corfù e flotte cristiane, in particolare
contingenti portoghesi e pontifici, accorrono in aiuto della Serenissima . Interviene
anche l'imperatore d'Austria e grazie a una sua vittoria contro l'esercito ottomano in
Ungheria (1716) Corfù è salva. I veneziani allora riprendono le operazioni per mare,
rafforzano Corfù con l'intervento decisivo del capitano generale von Schulemburg, ma sono
costretti dall'Austria ad una pace che riterranno poco onorevole e quasi offensiva delle
virtù dimostrate nel corso del conflitto. Il trattato sancì infatti la definitiva
perdita della Morea
Cartina della Turchia nel 1793
Cartina della Grecia nel 1793
Sul percorso storico e linfluenza Veneziana nellEgeo vedi:
Linfluenza
Veneziana nellEgeo
Lo sviluppo dellArmata grossa
nell'emergenza della guerra marittima di Guido Candiani in Storia di Venezia -
Rivista, I, 2003, 89-96, ISSN 1724-7446, ©2003 Firenze University Press
Estratto degli
Accadimenti nel Levante narrati nel Compendio dell'Antica e Moderna Istoria della
Repubblica di Venezia di Tommaso Salmon Scozzese Stampato in Venezia da Giambattista
Albrizzi nel 1754.
Sulla descrizione delle fortezze Veneziane in Morea vedi:
Memorie Istoriografiche
del Regno della Morea Riacquistato dall'armi della Sereniss. Repubblica di Venezia stampato
in Venezia nel 1692
La dissoluzione delle signorie
latine in Morea di fronte alla turcocrazia di Walter Haberstumpf. Stampa in
Studi Veneziani, XXVIII (1997), pp. 61-81 © dellautore - Distribuito in
formato digitale da Reti Medievali
Il despotato di morea a
cura di Sergio Berruti. Tratto da www.imperobizantino.it
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tutto ciò, lisola di Chios divenne ben presto meta dun notevole afflusso
immigratorio, che vide arrivare in loco non solo gente proveniente da Genova e dalla
Liguria, ma altresì da altre regioni italiane ed anche extra italiane. Ed uno degli
elementi che caratterizzò questa immigrazione - e che storicamente appare fra i più
importanti ed interessanti - è rappresentato dallafflusso nellisola di Chio
di più membri di un medesimo gruppo familiare, i quali talvolta, dopo un certo tempo,
rientrarono in patria e talvolta, invece, restarono colà vita natural durante, vi
defunsero e vi vennero sepolti. Gli esempi che, circa questo fenomeno, si possono trarre
dalla lettura di anche soltanto una parte dei numerosissimi atti notarili pervenutici,
redatti da notai genovesi e/o liguri nellisola di Chios nel Quattrocento, sono molti
e si riferiscono ai più diversi livelli della scala sociale.
GLI ORIZZONTI APERTI. PROFILI
DEL MERCANTE MEDIEVALE , a cura di G. Airaldi, Torino 1997 © degli autori e
dell'editore. (Indice. - Gabriella Airaldi, Introduzione. Per la storia dellidea di
Europa: economia di mercato e capitalismo. - Jacques Le Goff, Nel Medioevo: tempo della
Chiesa e tempo del mercante. - Roberto S. Lopez, Le influenze orientali e il risveglio
economico dellOccidente. - Eliyahu Ashtor, Gli ebrei nel commercio mediterraneo
nellalto medioevo (secc. X-XI). - Abraham L. Udovitch, Banchieri senza banche:
commercio, attività bancarie e società nel mondo islamico del Medioevo. - Nicolas
Oikonomides, Luomo daffari. - Armando Sapori, La cultura del mercante
medievale italiano. - David Abulafia, Gli italiani fuori dItalia. - Gabriella
Airaldi, Modelli coloniali e modelli culturali dal Mediterraneo allAtlantico. -
Jacques Heers, Il ruolo dei capitali internazionali nei viaggi di scoperta nei secoli XV e
XVI. - Gabriella Airaldi, Leco della scoperta dellAmerica: uomini
daffari italiani, qualità e rapidità dellinformazione)
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NOSTRA DE ZENOA IL PROBLEMA DELLA DIFESA DI CHIO NEGLI ULTIMI ANNI DEL DOMINIO
GENOVESE. di Enrico Basso tratto da: Associazione di
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