PALAZZO GIUSTINIANI A ROMA
"
questa Casa è alta, la facciata per fianco è di passi 30
A
terreno non vi sono loggie perché sono stanze ove sono cinque stanze da padroni ed doi
che ne tiene il Sig. Vincenzo Giustiniani. Vi sono stanze poi per Palafrenieri, dispense
et altri servitij, al primo piano vi è una sala con otto fra camere e anticamere
et
vi è la Galleria et Cappelletta ove si dice messa
"
Il palazzo Giustiniani, a sinistra in una stampa di Alessandro Specchi (1666 – 1729),
a destra in un'incisione di Jean Barbault (1705-1766)
Quando intorno al 1740 Charles de Brosses visitò Palazzo Giustiniani era
già arrivata la decadenza: aveva nell'interno un aspetto misero e sporco e nonostante la
presentazione di una straordinaria quantità di statue antiche, che erano state trovate
nelle terme di Nerone durante la costruzione dell'edificio, l'insieme era un misto di
buono e di cattivo, abbandonato senz'ordine e senza ornamenti.
Il barone francese intuì quello che sarebbe accaduto nel 1815, quando fu dispersa la
collezione di opere d'arte. Già a quell'epoca si poteva comprare tutto con tre o
quattrocentomila scudi e il principe Giustiniani aveva l'aria di un uomo molto male in
arnese.
Era un edificio elegante, ristrutturato da Giovanni Fontana: così ricorda il Baglione
anche se, mancandogli prove sull'autore dell'intervento, si mantenne sul sentito dire. Ed
è qui che erano conservati quindici dipinti di Caravaggio, decine di capolavori e non
poche copie, se è vero quello che scrisse De Brosses: un salone era coperto dall'alto in
basso da Madonne di Raffaello. Non mancava una ricca biblioteca, voluta da Vincenzo
Giustiniani, dove erano conservate fra i tanti libri di argomento legale, curiale e
storico, due copie dell'Alberti. Per la famiglia Giustiniani erano giorni felici e intorno
al 1650 cominciarono nuovi lavori cui fu chiamato a sovrintendere Francesco Borromini: fu
modificato l'interno, completato il fronte su via della Dogana che divenne la facciata
principale. Altri interventi furono eseguiti per tutta la seconda metà del secolo.
Poi il lento declino. All'inizio dell'Ottocento fu dispersa la collezione, nel 1898 parte
del palazzo fu espropriata dalla cassa di Risparmio agli eredi del marchese Domenico
Ottone Giustiniani.
Seguirono complesse vicende e al contempo modifiche sostanziali del volto del palazzo,
sopraelevato più di una volta. Dall'inizio del Novecento divenne proprietà e sede della
massoneria, del Grande Oriente d'Italia. Anche se durante il fascismo le logge massoniche
furono sciolte e lo Stato rivendicò la proprietà dell'edificio, il palazzo tornò alla
massoneria alla fine della seconda guerra mondiale e soltanto da tredici anni è
interamente occupato dal Senato.
E' una lunga storia dunque, perennemente segnata da ristrutturazioni (come la galleria
sotterranea che collega Palazzo Giustiniani e palazzo Madama) e restauri poco felici. Non
sempre s'avverte pienamente lo splendore seicentesco.
Porta a porta - Palazzo Giustiniani - 22/03/2018 - RaiPlay
(RAI News cultura) I tesori di Palazzo Giustiniani di Costantino D'Orazio
Il Marchese Vincenzo Giustiniani ed un prospetto del Palazzo
Palazzo Giustiniani è frutto di accorpamenti, trasformazioni, modifiche
strutturali che dal Cinquecento si sono succedute fino ad oggi.
I primi lavori di adattamento risalgono agli anni 1585-1587 e si devono alla famiglia
Vento, proprietaria dell'edificio o di una parte di esso prima dei Giustiniani.
Fu alla morte di Pietro Vento (1588) che con ogni probabilità Giuseppe Giustiniani e il
cardinale Benedetto, il maggiore dei suoi figli, presero residenza nel palazzo, dapprima
in qualità di affittuari e poi come proprietari (1590).
Non è chiaro a chi attribuire la paternità delloriginaria architettura del
palazzo, ma fonti e documenti menzionano i nomi di Giovanni Fontana e Carlo Maderno.
Nel 1600, alla morte di Giuseppe Giustiniani, i figli Benedetto e Vincenzo ereditarono il
palazzo e continuarono ad abitarlo insieme, arricchendolo con le loro straordinarie
raccolte di pittura e di scultura antica e moderna.
Nei primi quattro decenni del Seicento, sotto l'ala protettrice del marchese Vincenzo, vi
trovarono ospitalità numerosi artisti italiani e forestieri.
Qui il cardinale Benedetto riceveva personalità ai più alti livelli della politica
europea, in connessione con le prestigiose cariche da lui ricoperte nella carriera
ecclesiastica. In una lapide conservata nel palazzo resta memoria che, nella cappella,
Benedetto impose labito sacerdotale a S. Giuseppe Calasanzio, fondatore delle scuole
pie per l'alfabetizzazione del poveri.
Grazie alla lettura degli inventari è stato possibile comprendere come i due fratelli si
fossero spartiti gli spazi a disposizione: Benedetto abitava al piano nobile,
nell'appartamento orientato verso via dei Crescenzi e anche in quello verso via
Giustiniani, un tempo del padre, mentre Vincenzo aveva per sé il secondo piano e le
cosiddette tre stanze dei "quadri antichi".
Dopo la morte del fratello maggiore tutto il palazzo rimase a disposizione del marchese.
Privo di eredi, Vincenzo lasciò ogni suo bene al figlio adottivo Andrea Giustiniani
Banca, che nel 1640 sposò Maria Pamphilj, nipote del futuro papa Innocenzo X. Spinto dal
prestigio conferitogli dallillustre parentela, e dai nuovi oneri e privilegi
conquistati alla famiglia, Andrea intraprese, a partire dall'anno giubilare 1650,
uningente opera di ampliamento del palazzo, sotto la supervisione di Francesco
Borromini, che inglobò nella costruzione lotti adiacenti man mano acquisiti.
I lavori proseguirono, dopo la morte di Andrea, ad opera della moglie e del figlio Carlo
Benedetto, con la costruzione dello scalone e del cortile, decorato da antichi
bassorilievi.
Ai primi del Settecento i suoi successori proseguirono lespansione del palazzo fino
a Piazza della Rotonda. Ancora frequentato da grand-tourists e da artisti nel XVIII
secolo, e descritto in tutte le guide per la ricchezza della collezione che vi era
ospitata, dall'inizio dell'Ottocento le sorti del palazzo andarono decadendo.
Dispersa la raccolta di sculture e dipinti, tra la fine del Settecento e il primo quarto
del secolo successivo, ad opera di Vincenzo Giustiniani junior; dal 1826, anno della morte
dellultimo erede dei Giustiniani di Roma, il palazzo conobbe una fase di progressivo
degrado, legata anche a complicati passaggi di proprietà. Affittato alla metà
dell'Ottocento alla rappresentanza diplomatica dello zar di Russia e sede di studi di
artisti, l'edificio veniva persino descritto da Gogol come "uno dei più brutti
palazzi di Roma, se non proprio il peggiore".
Risalgono al 1938 i lavori con cui l'edificio fu collegato a Palazzo Madama, per il tramite di un passaggio sotterraneo tuttora esistente.
Il Palazzo fu utilizzato da Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato come residenza ufficiale al posto del più impegnativo Palazzo del Quirinale, residenza prima dei Papi poi dei re d'Italia,
e infine dei presidenti della repubblica.
Qui, precisamente nella biblioteca, fu la firma della Costituzione repubblicana il 27 dicembre 1947 da parte del Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il Presidente dell'Assemblea Costituente Umberto Terracini e il Guardasigilli Giuseppe Grassi avvenne nella Sala della Costituzione.
La consuetudine repubblicana vuole che, per lo svolgimento di consultazioni, il presidente del Senato ne metta a disposizione alcuni uffici al presidente del Consiglio incaricato, quando non è né deputato né senatore.
Nel palazzo hanno sede, oltre allappartamento di
rappresentanza del Presidente del Senato, la sala Zuccari, gli uffici dei senatori di
diritto e a vita, degli ex Presidenti del Senato, nonché alcuni servizi ed uffici
dellAmministrazione.
LA MASSONERIA E PALAZZO GIUSTINIANI, UNA
VICENDA CONCLUSA NELL'OTTOBRE 2024
Nel 1901 Palazzo Giustiniani subiva lattenzione delle cronache come sede centrale della Massoneria
italiana. Il Gran Maestro era, allepoca, il sindaco di Roma Ernesto Nathan.
La sede fu inaugurata il 21 aprile di quell'anno (La Massoneria sua azione suoi fini discorso di Ernesto Nathan per l'innaugurazione della sede massonica di Palazzo Giustiniani 21 aprile 1901) epoca erano in affitto al
costo di 11mila lire annue.
L’acquisto dell’intero immobile
al numero 29 di via della Dogana
Vecchia a Roma, consistente in
7 piani e 405 vani, al prezzo di un
milionecinquantacinquemila lire ebbe
luogo successivamente, il 16 febbraio
del 1911 a perfezionamento
del compromesso, datato 18 marzo
1910. A questo fine venne anche costituita
la Società Urbs nel cui cda
figuravano l’allora Gran Maestro Ettore
Ferrari, succeduto a Nathan, il
Gran Maestro Aggiunto Achille Ballori
che proprio a Palazzo Giustiniani
verrà assassinato per mano di un
attentatore il 31 ottobre del 1917 e i
membri di giunta.
Durante il fascismo, le milizie squadriste assaltarono Palazzo Giustiniani il 7 agosto1924, il 13 e 15 settembre 1924 e il 31 ottobre 1924.
Il 4 novembre del 1925 il Governo, attribuendo al Grande Oriente d’Italia un progetto di attentato a Benito Mussolini, fece diramare un lungo comunicato nel quale si leggeva, fra l’altro: “In seguito alle risultanze dei primi accertamenti sono state date disposizioni ai Prefetti del Regno per l’immediata occupazione di tutte le logge massoniche dipendenti da Palazzo Giustiniani”.
Il giorno successivo, il 5 novembre 1925, l’edificio venne occupato, in concomitanza, Domizio Torrigiani, legale rappresentante pro tempore dell’Urbs e, al contempo gran maestro del Grande Oriente d’Italia, fu arrestato dal regime fascista e mandato al confino prima nell’isola di Lipari e poi a Ponza.
Di lì a poco fu emanato il regio decreto-legge n. 2192 del 22 novembre 1925, con il quale fu prevista la facoltà del Governo di dichiarare la nullità degli atti di compravendita degli immobili di valore storico
e artistico nazionale oggetto di tutela e con il decreto del 20 gennaio 1926 del Ministro della Pubblica Istruzione fu esercitato il diritto di prelazione su Palazzo Giustiniani nonostante l'opposizione
della società U.r.b.s. (la Massoneria di Palazzo Giustiniani) a fronte del pagamento da parte dello Stato di lire 4.000.000,00. Mussolini aderì alla richiesta dellallora Presidente del Senato del Regno, Tommaso Tittoni e concesse
lutilizzo di palazzo Giustiniani al Senato.
Caduto il regime, Caduto il regime, nel 1947 il Grande Oriente rivendicò inutilmente la proprietà dell'immobile, divenuto nel frattempo sede degli uffici del Senato istaurando un nuovo giudizio civile per
far dichiarare nullo, per vizio di consenso a causa di violenza l'atto di vendita del 1927 e ottenere, per la restituzione del bene immobile, ma perse tutti e tre i gradi di giudizio, da ultimo quello della Corte di cassazione con la sentenza del 23 marzo 1950.
Nel 1961 il Goi ottenne una convenzione (rinnovabile) per l’utilizzo
per 20 anni di 48 locali all’interno del Palazzo, dietro pagamento di un canone
annuo (“limitandone la scadenza in coincidenza con quella dell’atto summenzionato [del 1961] e cioè fino al 30 giugno 1980”). Nel Nel 1981 il Senato "sfratta” la loggia per poi lasciarlo
definitivamente al Senato nel 1988 a patto che alcuni locali (circa 120
metri quadri) fossero destinati al Museo storico della Massoneria italiana
«per un periodo non inferiore a venti anni con impegno,
da parte del Senato, al rinnovo della concessione per uguali periodi successivi».
Nonostante
il parere favorevole dell’allora presidente Giovanni Spadolini
(La
trascrizione del suo intervento è custodita
nella sede della Fondazione
Antologia a Firenze. Spadolini dice
testualmente che: “il Senato, rispettoso
dei valori della storia espressa dalle
mura ma anche dei valori della storia
espressa dalle mentes, ha inteso espropriare
nello spirito dei luoghi il significato
del contributo che il Grande
Oriente d’Italia ha reso alla tormentata
storia d’Italia dal Risorgimento in
poi. Ed è così che il Senato patrocinerà
idealmente la costituzione di un museo
che possa rendere pubbliche quelle
testimonianze intrecciate alla nostra
vicenda nazionale, e la sola parte che abbiamo lasciato, una piccola parte
nella piazza del Pantheon per un piccolo
museo che sarà costituito quando
saranno composte le strutture”), l’accordo non ha mai avuto seguito.
Nel 1991 c’è stata un’altra intesa tra il Goi (più precisamente la società Urbs),
Palazzo Madama e il ministero delle Finanze: stabiliva che la loggia ottenesse
«l’uso di una limitata porzione dei locali dell’immobile, ubicati al piano
terreno ed al piano ammezzato, e relativi accessori e pertinenze con accesso da
piazza della Rotonda numeri 10 e 11 e da via Giustiniani numeri 1 e 2, per
destinarli a sede del Museo storico della Massoneria italiana». Quest'accordo
sembrerebbe andato disattese ma la Massoneria del Grande Oriente d’Italia non ha alcuna intenzione di rinunciare alla propria sede storica,
ed ha richiedendo indietro al Senato almeno i 120 metri
quadrati rispetto ai “sette piani e 405 vani” della proprietà originaria, acquistata grazie a una sottoscrizione internazionale nel 1911 quando era gran maestro Ettore Ferrari.
Nel 2016 nella attuale e splendida sede romana del Vascello, in pieno Gianicolo,
venne presentato un dossier di 200 pagine intitolato “Palazzo Giustiniani, una
questione ancora aperta”, che ripercorreva la vicenda sulla base di una raccolta
di documenti. Le richieste del GOI sono state respinte sia dal TAR (Sentenza 06245/2020 del 12 dicembre 2021),
che del Consiglio di Stato (Sentenza 09171/2022 del 13 ottobre 2022) hanno dichiarato la richiesta inammissibile per difetto di giurisdizione,
"affermando che la transazione stipulata tra le parti il 14 novembre 1991 non è qualificabile come accordo concluso ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241/1990, bensì come contratto",
indicando, quale giudice munito di giurisdizione, il giudice ordinario e non
quello amministrativo. La Massoneria ha tuttavia presentato ricorso in
Cassazione che il 24 gennaio 2024 ha accolto il ricorso proposto dalla Urbs srl
(società immobiliare del Grande Oriente d’Italia), affermando la giurisdizione
del Giudice Amministrativo. Le Sezioni Unite Civili, in accoglimento del ricorso
proposto dalla Urbs srl, hanno, dunque, annullato la ordinanza del Consiglio di
Stato che, confermando con diversa motivazione la ordinanza del Tar Lazio, aveva
affermato la giurisdizione del Giudice Ordinario.
La vicenda è anche riportata nel libro uscito nel 2022: “Palazzo Giustiniani. Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani”,
edizioni Perugia Libri di Stefano Bisi.
Il TAR del Lazio si è espresso definitivamente sulla vicenda con sentenza N. 19132/2024 REG.PROV.COLL.N. 04312/2024 REG.RIC. del 30 ottobre 2024
respingendo con fermezza il ricorso presentato dalla società Urbs Srl, legata al Grande Oriente d’Italia (GOI). Con una sentenza articolata e approfondita, il tribunale ha smontato punto per punto le motivazioni avanzate dal ricorrente, confermando così l’ennesima sconfitta giudiziale per Bisi e per il GOI.
Il TAR Lazio ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile, mettendo in luce numerose contraddizioni e lacune nelle tesi sostenute dal GOI e dal suo rappresentante. Uno dei punti chiave della sentenza è la solidità del decreto ministeriale del 1926, attraverso il quale il Ministero della Pubblica Istruzione esercitò il diritto di prelazione sull’immobile, rendendo lo Stato il legittimo proprietario. Secondo il TAR, questo decreto rappresenta un provvedimento amministrativo consolidato e non contestabile, anche perché Urbs aveva già rinunciato più volte, in passato, a opporvisi in sede giudiziale.
Il TAR ha evidenziato come le violenze perpetrate dal regime fascista contro la massoneria non intacchino la validità giuridica degli atti amministrativi che hanno interessato Palazzo Giustiniani. Il tribunale ha sottolineato che, sebbene alcuni episodi di persecuzione fossero innegabili, essi non potevano essere confusi con le azioni legali dello Stato, che operava, per quanto in un contesto dittatoriale, attraverso procedure amministrative ritenute legittime. Questo punto demolisce l’argomentazione del GOI, che mirava a sostenere l’illegittimità del decreto di prelazione come conseguenza di un’occupazione forzata e ingiusta.
Il TAR ha respinto anche i tentativi del GOI di annullare retroattivamente il diritto di prelazione dello Stato, dimostrando come il termine per contestare il decreto sia ampiamente decorso. Inoltre, il tribunale ha sottolineato che la natura stessa dell’atto di prelazione, vincolato dal diritto pubblico e relativo alla tutela del patrimonio culturale, rendeva improprie le pretese di annullamento avanzate dal GOI. Tale difesa legale del diritto di prelazione rafforza la legittimità della proprietà dello Stato su Palazzo Giustiniani.
La sentenza ha messo definitivamente la parola fine alla disputa. Non solo la decisione ha confermato la solidità giuridica della proprietà statale, ma ha anche scoraggiato ulteriori tentativi di impugnazione, sottolineando la decadenza di ogni pretesa giurisdizionale in merito.
Palazzo Giustiniani prima dell'ultimo restauro ed una visione attuale
a sinistra Palazzo Giustiniani e lo schema dell'atrio al centro il vestibolo
a destra una fota anni trenta del cortile
Particolare dell'alternanza della torre e dell'aquila, emblemi dello stemma Giustiniani sotto il cornicione di Palazzo Giustiniani a Roma (lato Via Giustiniani)
Ilaria Toesca: Note sulla storia del Palazzo Giustiniani a San Luigi dei Francesi in Bollettino d'arte 1957 - III-IV (luglio-dicembre - XLII)
Quello che segue è stato invece tratto da I palazzi del Senato; Palazzo
Giustiniani nella parte del testo di Francesco Quinterno che ha curato la parte
storica della famiglia Giustiniani e di quella architettonica di Franco Borsi (edizioni
Editalia, Roma 1989)
Gran parte della documentazione fa parte del fondo famiglia Giustiniani conservato
nellarchivio di Stato di Roma. Ulteriore fonte la fondazione Camillo Castani nel
fondo Giustiniani Bandini soprattutto per ciò che riguarda la successione.
Palazzo Giustiniani, acquistato in costruzione da Monsignor Giuseppe Vento da
Vincenzo Giustiniani nel 1590, depositario generale della camera apostolica. Esso è
frutto di una serie di ristrutturazioni, quella che comprende la facciata principale verso
SantEustachio a quella verso S.Luigi dei Francesi, porta la firma di Giovanni
Fontana, secondo Baglione, ciò confermato dallausterità dellarchitettura che
prelude e prepara il terreno ad interventi barocchi. Unausterità del resto che non
doveva essere avulsa alla famiglia genovese che si era trasferita a Roma dopo la fuga da
Chio e la caduta di Costantinopoli, e che puntava piuttosto alla tesaurizzazione delle
opere darte che sulla magnificenza civile delledificio.
Labitazione di Vincenzo Giustiniani, ricco e colto collezionista della Roma del
tardo cinquecento, uno dei primi assieme al fratello Cardinale Benedetto, a partecipare
allo studio e alla difesa del patrimonio artistico cittadino.
Il primo cardinale della famiglia Giustiniani fu Vincenzo (1519-1582), zio
dellomonimo Vincenzo (1564-1638) futuro collezionista e di Benedetto (1555-1621),
laltro cardinale. Il cardinale Vincenzo era nato a Chio nel 1519 da un ramo
collaterale della famiglia rispetto a Giuseppe, padre dei ricordati Vincenzo e Benedetto,
e aveva preso i voti contro il parere dei genitori; entrato nellordine dei
Domenicani vi aveva percorso una brillante carriera, tanche nel 1558 a soli 38 anni, ne
era generale, nonché qualche anno dopo tra i più autorevoli partecipanti al Concilio di
Trento. Creato cardinale da Pio V, alcune fonti lo danno anche fra i papabile del conclave
del 1572 che vide lelezione di Gregorio XIII Boncompagni (L.Cardella, Memorie
storiche dè cardinali della Santa Romana Chiesa, Roma, 1973 pp 146-48). Quando
vi morì venne sepolto in Santa Maria sopra Minerva, dove aveva già fondato una cappella,
dedicandola a S.Vincenzo dè Ferrari. Quando nel 1566, Giuseppe Giustiniani, futuro
acquirente del palazzo, fu costretto ad abbandonare lisola di Chio, si rivolse
appunto a Vincenzo, suo cognato, giacché fratello della moglie Geronima. Infatti,
Giuseppe, sottoposto a vessazioni e soprusi da parte dei turchi, dopo le tappe di un
esilio che è poi un fuga, prima a Malta, poi a Messina, quindi a Napoli ed infine a
Civitavecchia, venne a Roma dove, tramite laiuto del cognato, fu introdotti con la
sua attività negli affitti o nei negozi camerali riuscendo ad aumentare prodigiosamente
le sue sostanze. Lesperienza di più generazioni dedite al commercio e ai cambi,
saldamente acquisita da Giuseppe, non poteva passare inosservata nella dinamica Roma di
Gregorio XIII; inoltre il Giustiniani si imparentò, mediante matrimonio delle sue tre
figlie Angelica, Virginia e Caterina, con le famiglie dei Bandini, dei Monaldeschji e dei
Massimo. Il giovane Benedetto intanto studiava legge a Perugina, poi a Padova e a Genova
e, in pochi anni, ricevette incarichi finche entrò a far parte dellamministrazione
pontificia. Sisto V lo nominò tesoriere generale e il 17 dicembre 1586 a soli 32 anni
ricevette la porpora, dove dimorassero i Giustiniani fino a quel periodo non è chiaro,
ciò fino al 1590 quando acquistarono il palazzo, forse nel vicino palazzo di S.Salvatore
alle Coppelle posseduto dal cognato Giorgio Giustiniani.
La passione di Vincenzo per la statuaria antica, così come per la pittura ha molte
testimonianza, ma la passione per larchitettura la dispiegherà altrove, nella sua
tenuta di Bassano di Sutri acquistata per lui dal padre Giuseppe il 22 novembre 1595 e in
questo vero e proprio feudo Vincenzo adattando un preesistente castello degli Anguillara,
decorandolo con affreschi del Domenichino e dellAlbani, culminando nel simbolismo
araldico del complesso architettonico della casino, posto al culmine della
proprietà sagomato a palazzina a cinque torri (ai quattro angoli e una al colmo del
tetto. La rocca a cinque torri sormontata dallaquila coronata ad ali
spiegate era, infatti, linsegna della famiglia Giustiniani. Ebbe in moglie Eugenia
Spinola dalla quale ebbe figli che morirono tutti in fasce. Egli compensò la mancanza dei
figlioli con istituire suo erede nel 1631, fondando un fedecommesso D. Andrea Cassano
Banca detto Giustiniani, il quale ebbe in moglie donna Maria Panfilia nipote del Cardinal
Giovan Battista Panfilio, che in poco tempo divenne papa con il nome di Innocenzo X,
quindi successivi eredi i propri fratelli e in ultime i Giustiniani Recanelli.
Leredità del ramo diretto dei Giustiniani, si estingue nel XIX secolo e confluisce
nel ramo Bandini. Pur rafforzando lasse ereditario attraverso le doti dai buoni
matrimoni contratti (Gonzaga, Boncompagni ludovisi, Ruspali, Grillo, Mondragone e con gli
inglesi conti di Newburg), già sul finire del 700 la situazione economica della
famiglia era enormemente peggiorata al punto che Vincenzo, figlio di Benedetto, sposato a
Nicoletta Grillo di Mondragone, nel giro di meno di dieci anni aveva ottenuto da Pio VI
(1775-1799) e Pio VII (1800-1823) te chirografari che lo autorizzavano il primo a
contrarre debiti per 75.000 scudi (in data 20.6.1796), il secondo a vendere una delle
tenute del patrimonio (in data 28.8.1800) e, infine, il terzo a vincolare la somma di
100.000 scudi (in data 28.8.1803), con ciò tuttavia obbligando non tutto il patrimonio
diretto primogenitale bensì lantico asse trasversale disposto nel fedecommesso del
1631.
I tempi difficili della prima repubblica romana (1798) avevano costretto Vincenzo e i due
fratelli Lorenzo e Giacomo, il primo destinato a non avere eredi il secondo destinato alla
carriera ecclesiastica (diventerà cardinale) a cedere per alloggio ai
cittadini francesi a Roma e ai militari, sia la villa di San Giovanni che
parte del palazzo.
I tre chirografari papali si rilevarono una trappola quando Cecilia, unica erede di
Vincenzo e di tutto lasse Giustiniani di Roma nel 1815 dovrà procurarsi dote per
andare in sposa al nobile Carlo Bandini di Macerata, Nelle obiezioni esposte nella
supplica, emerge lomessa dichiarazione di Vincenzo, al momento del primo
chirografario nel Giugno 1796, di essere già padre di Cecilia, nata in febbraio di quello
stesso anno: Difatti se la nascita fosse avvenuta dopo la concessione del Papa
avrebbe ascoltata la sua richiesta di dote, è per questa ragione che, nel
1815, fidanzata al Bandini, impetra una dote congrua di paraggio oscillante
sui 50-70.000 scudi da trarre sopra i beni del fedecommesso, affinché restassero separate
le concessioni pontificie e le disgrazie domestiche. Donna Cecilia concluderà così la
sua discendenza diretta sposando il Bandini e trasmetterà a suo figlio Sigismondo i suoi
titoli di del ducato di Mondragone eredito dai Grillo e la contea di Newburg, ereditata
dalla nonna, confluendo il tutto nel ramo dei Giustiniani Bandini. Il cardinale Giacomo
che morirà nel 1843, lo stesso anno del fratello Lorenzo cavaliere di Malta, fu
lultimo mecenate della case della quale membro onorario della Accademia Romana di
Archeologia.
Il primo inventario seicentesco dellantica collezione Giustiniani è stato già
pubblicato integralmente da Luigi Salerno in un numero del The Burlington
Magazine nel 1960.
I marmi antichi del piano terreno
Particolare dello stemma dei Giustiniani - nel bassorilievo all'interno del cortile di
Palazzo Giustiniani di Roma posto sul capo della "Caccia al leone".
La pregevole serie di rilievi antichi, provenienti in gran parte dalla Villa Giustiniani
fuori Porta del Popolo, fu sistemata da Carlo Benedetto Giustiniani intorno al 1677,
nellambito di una nuova ristrutturazione del palazzo. Il progetto si deve a Domenico
Legendre, mentre i restauri e le integrazioni di marmo e di stucco sono prevalentemente
opera dello scultore Girolamo Gramignoli, che intervenne tra il 1679 e il 1681.
Un recente restauro, promosso dalla Presidenza del Senato ed eseguito
sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologica di Roma, ha eliminato gli
effetti del pesante inquinamento, che aveva reso grigie ed uniformi le superfici,
permettendo così di apprezzare nuovamente le lavorazioni particolari di differenti
periodi, le integrazioni e le varie qualità dei pregiati marmi bianchi.
Nellingresso principale si trovano, a destra il rilievo con coppia di defunti su
kline, raffigurati durante un banchetto allietato dalla musica e dai giochi dei bambini, a
sinistra la rappresentazione di un giovane defunto a simposio, cui rende omaggio un gruppo
di parenti, riprodotti in alto a sinistra.
Nel vestibolo sono collocati la composizione con gli episodi del rapimento di Persefone e
della lotta tra Greci ed Amazzoni ed il sarcofago con il tema della caccia al leone;
infine sulla parete di destra è sistemata la raffigurazione di Mitra tauroctono.
Nel cortile sono murati rilievi di soggetto mitologico o decorativo-simbolico; a partire
da sinistra, in senso orario, si trovano un pannello composito restaurato come
raffigurazione delle imprese di Eracle (1) e sarcofagi con diversi temi: Muse (2), thiasos
marino (3), Geni stagionali che recano il clipeo con i ritratti dei defunti (4), trionfo
di Dioniso (5), frammento con corteggio marino (6), mito di Penteo con le Baccanti (7),
ratto di Persefone (8), mito di Oreste (9). Questultimo è sulla fronte di un
sarcofago, i cui fianchi sono stati riutilizzati per una composizione inserita su una
parete dellingresso secondario del palazzo.
Nellandito verso via Giustiniani si trovano a sinistra, uscendo, il sarcofago con la
raffigurazione del mito di Endimione, il rilievo composito con il riconoscimento di
Ifigenia ed il giudizio di Oreste, ricavato dai lati brevi del sarcofago con il mito di
Oreste, sito nel cortile. Sulla parete opposta sono collocati la composizione occupata
centralmente dalla scena matrimoniale di dextrarum iunctio entro colonne, ampiamente
integrata ai lati ed il pannello costituito dal rilievo con soldati e cavallo e dal lato
breve di un sarcofago che raffigura scene di caccia con personaggio vestito di tunica e
mantello.
I rilievi dello scalone
Lungo lo scalone principale, al primo pianerottolo, è stata collocata, dopo il restauro
eseguito nel 1983, una fronte di sarcofago con scena di battaglia tra Romani e barbari,
che precedentemente era nel vestibolo verso via della Dogana Vecchia.
Sullo stesso pianerottolo, una doppia targa, in latino e in russo, ricorda che a palazzo
Giustiniani soggiornò lo Zar Nicola I durante la sua visita a Papa Gregorio XVI nel 1845.
Nella targa in latino la data è indicata secondo il calendario gregoriano, mentre nella
targa in russo essa è indicata sia secondo il calendario giuliano che secondo quello
gregoriano. Le due targhe sono sormontate dallo stemma della famiglia Romanov, oggi
adottato come stemma della Federazione russa. L'aquila bicipite reca in petto uno scudo
con l'effigie di San Giorgio mentre uccide il drago.
Nel terzo ripiano si trovano, sopra le porte, due rilievi con scena di battaglia, di cui
uno raffigura imponenti prigionieri barbari, un uomo e una donna, sotto il trofeo di
guerra e laltro un condottiero, in primo piano, accompagnato da altri cavalieri e da
vessilliferi.
La "galleria" di Palazzo Giustiniani
Hoggidì si usano molto a Roma, et a Genova, et in altre città
dItalia quel genere di fabbriche che si dicono Gallerie; forsi per essere state
introdotte prima nella Gallia, o Francia per trattenersi a passeggio i personaggi nelle
corti, le proportioni loro si cavano dalle Loggie; ma sono alquanto meno aperte di esse.
Questa sorte di edificio fu parimente appresso agli antichi, come si legge nella Vita di
Lucio Lucullo, et altrove, et in vero sono di grandissima comodità, et accrescono
meraviglioso ornamento alle fabriche; ma però si convengono solo a signori, e gran
personaggi.
Come dimostra questo passo dallopera di Vincenzo Scamozzi Dellidea
dellarchitettura universale (Venezia 1615), le gallerie non erano in origine
concepite come luoghi destinati principalmente allesposizione di opere darte,
ma servivano per passeggiare. Essendo luoghi di riposo, esse si trovavano accanto alle
stanze private dei palazzi. Come le logge e nellantichità i portici, esse avevano
una pianta allungata e si aprivano spesso verso una vista gradevole. Queste
caratteristiche favorirono la collocazione di antichità nelle gallerie: da una parte, si
perpetuava così luso antico di decorare i portici con statue ritratto e con
eccellenti opere darte; dallaltra, le antichità, collocate nello spazio
privato della galleria, venivano sottratte al pubblico sguardo, secondo i precetti della
Controriforma.
Gabriele Paleotti, uno fra i principali teorici dellarte della Controriforma, nel
1582 aveva sostenuto che le antichità pagane dovessero restare accessibili soltanto alle
persone colte per i loro studi privati: perché la casa hà alcuni luoghi come
publici, & altri privati, potrassi più facilmente concedere ad una persona letterata
& di giudicio, di poterle [le immagini] tenere ad uso buono in luoghi privati per sua
commodità, che nei luoghi publici, (
) dove capitano altre persone. Nello
stesso senso si pronunciarono nei loro trattati anche Gian Paolo Lomazzo (1584) e Giulio
Mancini (ca. 1620), ammettendo che nei luochi di piacere privati come nelle
gallarie di giardini fossero permesse rappresentazioni licenziose e pagane.
Nessuna meraviglia dunque, se il gesuita Ottonelli lamentava nel 1652 che le gallerie
fossero piene di dipinti osceni. Forse spronato dal suo coautore Pietro da Cortona,
avrebbe però giustificato alla fine questo uso: par cosa lecita, che si pongano
opere indifferenti, & anche fatte con qualche licenza in detti luoghi [gallerie,
stanzini, camere da studio], ove servano alla grandezza, e magnificenza dun gran
palazzo; e non stanno esposte alla vista comune: e non si mostrano per lo più, se non à
glintelligenti, ò ad altri desiderosi di vedere simili curiosità. E così tengo,
che nelle Gallerie, e negli studij sia tollerabile la varietà dellopere: che se ve
ne sono delle licentiose, non nocono, né scandalizzano gli Spettatori deboli di spirito,
per essere in luoghi ritirati, e conservarsi lontane dalla comune frequenza.
Al più tardi dopo la pubblicazione della raccolta di poesie La Galeria (1619), opera di
G.B. Marino, fu possibile denominare galleria anche un musée imaginaire. In
questo senso va inteso il titolo della Galleria Giustiniana, raccolta di incisioni
comparsa nel 1636: essa riunisce oggetti che erano sparsi in tutti i possedimenti dei
Giustiniani; solo una frazione delle antichità che vi erano riprodotte si trovava
effettivamente nella galleria di palazzo Giustiniani. Come cercherò di dimostrare, la
galleria reale era un luogo in cui le qualità erotiche dellarte antica erano
particolarmente valorizzate. In accordo con le fonti appena citate, questo era qualcosa di
perfettamente lecito e usuale nelle stanze private di un palazzo. Per la presentazione
delle antichità al pubblico, invece, dovevano essere adottati altri criteri. Anche se la
Galleria Giustiniana avrebbe dovuto comparire in poco più di duecento esemplari, essa
mirava comunque ad una risonanza pubblica e trasmette quindi una impressione decisamente
più decorosa della collezione. Nel testo che segue cercherò di porre in evidenza le
differenze, come pure le affinità, fra la Galleria stampata e quella reale.
La galleria di palazzo Giustiniani è un ambiente di circa 18 metri per 7, decorato da
affreschi della fine del Cinquecento: non potendo disporre di finestre sui lati lunghi, le
vedute di paesaggi debbono fare le veci di un panorama reale. Sul soffitto, cinque
quadri riportati raffigurano scene della vita di Salomone. Le colonne tortili
in bronzo che articolano le pareti su cui sono affrescate, alludono al Tempio di Salomone
ed evocano, allo stesso tempo, latmosfera di un portico antico.
Linventario del lascito di Vincenzo Giustiniani, redatto nel 1638, ci permette di
ricostruire la disposizione delle antichità nella galleria. A mano manca
allentrare canto al muro si trovavano 26 oggetti, in parte statue, in parte
busti (fig. 2, nn. 237 - 352); poi seguitano laltre file canto alla sudetta in
terra. Dal momento che nella seconda fila sono elencate soltanto 25
sculture invece che 26 (nn. 353 - 377), si può supporre che gli oggetti fossero collocati
in corrispondenza degli intervalli vuoti, così da permettere una migliore visione di
quelli nella fila alle loro spalle. La terza fila canto alla sudetta come la
quarta fila canto alla sudetta comprendevano complessivamente 58 busti, che -
stando ad una descrizione di Sandrart - poggiavano sopra bassi pieducci sul
pavimento. Il medesimo schema era ripetuto sulla parete di fronte: due file, in cui statue
e busti si alternavano in una sequenza irregolare (nn. 214 - 272), e davanti ancora due
file di busti. Le file costituite soltanto da busti, come pure le teste sotto la
finestra capo la Galleria non sono state inserite per mantenerla facilmente
leggibile. Complessivamente, nella galleria erano sistemate 247 sculture.
Nel corso del Settecento e dellOttocento i Giustiniani avrebbero venduto poco a poco
la loro importante collezione di antichità. Alcune sculture passarono nel patrimonio
Torlonia, ma di molte altre si è perduta ogni traccia. Tanto più stimolante risulta
dunque il tentativo di ricostruire graficamente una piccola sezione della galleria a
grandezza naturale, che si fa in occasione della attuale mostra presso la Calcografia. Per
questo esperimento è stato prescelto il settore nordorientale della galleria, dal momento
che in questarea si trovavano alcuni dei nuclei scultorei più importanti Ho già
illustrato altrove i modelli ed i principi informatori del concetto della esposizione
seicentesca; in questa occasione desidero approfondire alcuni aspetti centrali della
questione, concentrandomi sul rapporto fra realtà espositiva e rappresentazione incisa.
La ricostruzione a grandezza naturale dovrebbe avere sul pubblico contemporaneo lo stesso
effetto sorprendente che lallestimento originale esercitava sul visitatore del
palazzo nel Seicento. Sebbene i grandi collezionisti romani del principio del XVII secolo,
Scipione Borghese e Ludovico Ludovisi, nelle loro ville avessero già messo alla prova
delle nuove idee espositive, fin dal Cinquecento lideale normativo era rimasto
quello di presentare nelle gallerie soltanto poche e scelte antichità, isolandole entro
nicchie. Per questo motivo, le sculture antiche compaiono spesso allinterno di
nicchie anche nelle incisioni del tempo. Vincenzo Giustiniani, al contrario, popolò la
sua galleria di un vero e proprio esercito di statue. Questo non mancò di suscitare delle
critiche: nel Settecento, numerosi visitatori lamentavano che la galleria assomigliasse a
un deposito o a un magazzino. Francis Haskell vide in Vincenzo Giustiniani il
collezionista arrivato in ritardo, che poteva suscitare sensazione soltanto con la
quantità piuttosto che con la qualità, in un momento in cui il mercato antiquario non
poteva più offrire pezzi di alto livello.
È certo che nella galleria di palazzo Giustiniani si mirava non tanto alla valorizzazione
del singolo pezzo, quanto piuttosto allimpressione dinsieme. Sono del parere
che Vincenzo Giustiniani abbia voluto sperimentare una nuova estetica: una messa in scena
pittorica al posto della presentazione tradizionale delle antichità nelle
nicchie, architettonica e strettamente simmetrica. Nella galleria di palazzo Giustiniani,
le sculture erano disposte in modo volutamente asimmetrico: mentre di fronte
allingresso si trovavano pressoché soltanto busti, dai quali spuntava qui e là
ogni tanto una statua isolata, altrove si alternavano in vivace sequenza statue, busti e
statuette, mentre in alcuni punti si ammassavano grandi figure, formando un vero e proprio
bosco. La concentrazione delle sculture cancellava i contorni del singolo
oggetto. Sequenze ariose, costituite prevalentemente da busti, contrastavano
con zone fitte, oscure, composte da statue di grande formato. Le antichità
erano usate quasi come masse pittoriche, per creare un chiaroscuro. Nel suo
giudizio sui paesaggi di Tiziano e dei Carracci, Vincenzo Giustiniani aveva mostrato la
sua sensibilità per lestetica delle macchie, cioè per uno stile che
antepone luci e ombre al contorno ed è concepito per essere osservato da lontano
piuttosto che da vicino. Proprio a simili principi pittorici sembra
richiamarsi la concezione della galleria Giustiniani, in deciso contrasto con le altre
gallerie di quellepoca, che presentavano le sculture in una cornice strettamente
architettonica.
Mentre le nicchie avrebbero mantenuto le antichità a distanza, le sculture della galleria
Giustiniani si affollavano intorno allosservatore, circondandolo e dando
limpressione di rivolgersi direttamente a lui coi loro gesti. Vincenzo Giustiniani
non aveva alcun interesse alla creazione di un ordinamento sistematico, separando
rigidamente, ad esempio, le statue dai busti o le opere dellantichità greca da
quelle romane, oppure costituendo una serie completa di imperatori e imperatrici. Per la
gran massa delle opere, non era possibile sviluppare un programma tematico unitario, che
comprendesse tutte le sculture; esistevano però alcuni raggruppamenti significativi. Le
sculture, non essendo isolate nelle nicchie, potevano essere riunite in unità narrative -
ancora un principio pittorico. La ricostruzione a fig. 3 mostra uno di questi
gruppi narrativi, particolarmente rilevante, in quanto si trovava proprio al centro della
parete principale In questo punto cruciale ci si aspetterebbe il centro ideale della
galleria, una dichiarazione programmatica sui valori e gli ideali del signore del palazzo.
E proprio qui Vincenzo Giustiniani presentava un caprone, personificazione degli istinti
animaleschi, fiancheggiato da figure non meno lascive: due amorini, una baccante e Leda
con il suo amante, il cigno. È quasi ironico che Giustiniani ponesse al centro della sua
galleria non un imperatore, un antico eroe o una Minerva quale dea delle arti, ma un
caprone! Mentre molte famiglie romane consideravano le antichità come una patente della
loro nobiltà e, per esempio con la solenne presentazione di busti imperiali, alludevano
alle pretese remote origini dei loro casati, Giustiniani si prendeva evidentemente gioco
di un simile modo di utilizzare le antichità. Egli, al contrario, voleva esaltare la
gioia di vivere degli antichi.
Lunico altro essere animale della galleria si trovava di fronte al
caprone: una sfinge mezza in aria che ha rapito una testa dhuomo qual tiene
fra le branche (fig.2, n. 361). Creatura saggia, sacra, misteriosa, essa costituiva
in qualche modo il contrapposto del caprone, essere bestiale; metà animale, metà donna,
questa sfinge assassina poteva dare corpo al fascino letale del bel sesso. Essa era
inquadrata fra due busti che linventario non descrive con precisione, ai lati dei
quali seguivano due nudi maschili: una statua antica ristaurata nuda (si crede
dun Apollo) con braccio dritto alzato con una facella in mano e nellaltra
certi pomi (n. 359; fig. 4) e dallaltra parte una statua antica nuda
ristaurata (si crede dun Imperatore) che tiene un delfino per tronco (n. 363;
fig. 5). Da questo lato si aggiungeva una statua duna Diana vestita con
braccia ignude in atto di pigliar una freccia . Per la vistosa collocazione dei
nudi, anche questo insieme denotava un carattere erotico. In relazione con il gruppo di
fronte poteva sorgere limpressione che gli amorini, con le loro frecce, stessero per
infiammare damore i due uomini per Leda e la baccante. Anche Diana, la dea della
castità, dà mano alle frecce e prende parte allamoroso tiro con larco.
Porrà forse termine alla scena? Forse anche lei simboleggia il potere dellamore:
gli antichi uomini (
) delle cacciatrici Ninfe favoleggiarono assai spesso e
delle loro boscareccie prede, pigliando per le vaghe Ninfe le vaghe donne, che con le
punte de loro penetrevoli sguardi prendono gli animi di qualunque uomo più
fiero. Anche con la disposizione delle file di busti si sottolineava come qui stesse
infuriando una amorosa battaglia dei sessi: sulla parete dellentrata era schierata
una falange di 43 uomini, di fronte un esercito di 42 donne.
Come ho già esposto al principio, nella Roma della Controriforma era cosa perfettamente
lecita il godere di opere darte licenziose nelle gallerie private. Nella
pubblicazione della Galleria Giustiniana, comunque, laspetto erotico passa
decisamente e decorosamente in seconda linea: qui gli oggetti non vengono dunque
raggruppati in unità narrative, ma sobriamente assortiti secondo i tipi iconografici.
Come indica la mancanza di didascalie esplicative, lopera si rivolge agli studiosi e
ai conoscitori, che non hanno bisogno di aiuto nellidentificazione delle statue. Per
facilitare i confronti iconografici, le statue del medesimo tipo si susseguono une alle
altre, come daltronde nella serie dincisioni di François Perrier, Segmenta
nobilium signorum et statuarum quae Romae extant, che venne realizzata contemporaneamente
alla Galleria Giustiniana. Mentre Perrier opera una stretta suddivisione secondo il sesso
- illustrando prima le figure virili e poi quelle femminili - la Galleria Giustiniana
stabilisce invece una gerarchia dalle differenze più sottili: al principio si trovano le
divinità, alla fine gli uomini e le divinità minori della natura, quali fauni e sileni.
Il caprone, che nella galleria reale era così importante, qui non trova affatto posto.
Lingresso dellappartamento al piano nobile di palazzo Giustiniani era
fiancheggiato da due statue di Apollo, come a proteggere la soglia del regno delle Muse.
Sorprendentemente, però, non è Apollo ad aprire la serie delle incisioni, e nemmeno il
sommo dio Giove, come pure sarebbe da aspettarsi per il suo legame con laquila
araldica dei Giustiniani; al primo posto si trova piuttosto uno dei pezzi più preziosi
della collezione Giustiniani, la Pallade, dea delle arti e delle scienze, protettrice di
Atene. Seguono delle altre rappresentazioni di Minerva e della dea Roma, quale chiara
allusione alla duplice radice greco-romana della cultura classica. Si continua quindi con
la sezione dedicata a Ercole, spesso accoppiato ad Atena, per esprimere il dualismo di Ars
e Mars, vita activa e vita contemplativa. Le prime tavole della Galleria Giustiniana
alludono dunque programmaticamente ad un ideale culturale delloccidente, che cerca
di conciliare cultura greca e cultura romana, vita activa e vita contemplativa, secondo il
modello Hercules Musarum. Ecco dunque il solenne nucleo ideale, che mancava nella galleria
reale! La medesima collezione poteva quindi essere presentata in modi del tutto
differenti, a seconda che si trattasse di un contesto pubblico o privato.
La Galleria Giustiniana è unopera autonoma, che non deve assolutamente essere
intesa come riproduzione della galleria reale di palazzo Giustiniani. Soltanto un quarto
circa delle 150 sculture in tutto riprodotte nel primo volume della Galleria Giustiniana
si trovava effettivamente nel 1638 allinterno della galleria; esse erano disposte
nella realtà secondo principi completamente diversi da quelli adottati nellopera a
stampa. Oltre alle unità narrative di cui si è appena parlato, cerano di certo
anche sequenze che permettevano confronti fra oggetti simili. Diversamente che nella
Galleria Giustiniana, tuttavia, questi pezzi non erano mai accostati direttamente, in
omaggio ad un criterio di varietas. Infine, era escluso qualsiasi ordinamento gerarchico:
nellesempio citato, due statue del dio del sole Apollo si alternano a due fauni che,
quali divinità minori, nella Galleria Giustiniana a stampa sarebbero dovuti comparire
molto dopo Apollo.
Le incisioni non forniscono una impressione attendibile della galleria reale non soltanto
nella disposizione, ma anche nella presentazione grafica degli oggetti. Le sculture sono
riprodotte per la maggior parte a lati non invertiti; ma, mancando nelle incisioni una
scala metrica, tutti gli oggetti appaiono più o meno delle stesse dimensioni, sebbene in
effetti avessero misure assai diverse, come si può ricavare dagli inventari e ora anche
dalla ricostruzione a grandezza naturale. Allo stesso modo, la luce nelle incisioni non
riproduce la situazione reale nella galleria. Se si dispongono le tavole una accanto
allaltra, nella sequenza in cui si trovavano le statue secondo linventario del
1638, non sempre se ne ricava uno schema unitario dellilluminazione.
Questultima osservazione fa sorgere un interrogativo circa il luogo e il modo in cui
vennero eseguiti i disegni preparatori delle incisioni. Joachim von Sandrart, che
partecipò in maniera determinante al progetto, sostenne nella sua Teutsche Academie
lopportunità di studiare sempre con grande attenzione e dal vero il modo in cui la
luce cadeva sugli oggetti, senza far ricorso allimmaginazione. Se dunque
lilluminazione nelle incisioni non corrisponde alla reale incidenza della luce nella
galleria, si deve forse concludere che nei primi anni Trenta del Seicento una parte delle
sculture si trovasse ancora collocata in luoghi diversi da quelli in cui sarebbero state
alla morte di Vincenzo Giustiniani nel 1638. Dal momento che Sandrart, durante il suo
soggiorno romano tra il 1629 e il 1635, acquistò numerose sculture per conto del Marchese
e li collocò nel palazzo, non vi sarebbe da stupirsi se in conseguenza di ciò si fossero
verificati degli spostamenti nella galleria: E siccome per lungo tempo, avendo io
appunto servito questo famosissimo principe Giustiniani per molti anni, ed avendone
ricevuto ogni genere di grazie, ho comperato (scil. per lui) circa 270 pezzi tra statue
antiche di marmo, intere e a mezza figura, busti ritratto e anche bassorilievi,
distribuendoli qua e là nel suo palazzo e nella sua vigna al Popolo, così che soltanto
in questo Antiquario o grande sala si trovavano più di 500 pezzi. Se non vogliamo
liquidare questa affermazione come una smaccata esagerazione, non è dunque possibile
escludere che prima del 1635 nella galleria fosse collocato un numero sensibilmente più
alto di oggetti rispetto al 1638 - in particolare, probabilmente, una maggiore quantità
di busti. Il concetto espositivo registrato nellinventario del 1638 si è forse
sviluppato poco a poco. Alcuni raggruppamenti significativi sono tuttavia certamente
documentabili fin dagli anni immediatamente successivi al 1630.
Il principale compito di Sandrart a palazzo Giustiniani era quello di guidare una
Accademia di artisti, che portarono larte dellincisione alla sua
massima fioritura. In confronto con altre opere grafiche romane del XVII secolo di
soggetto antiquario, la Galleria Giustiniana si distingue per la sua grande finezza
tecnica e estetica. Sandrart aveva formulato nella sua Teutsche Academie
laspirazione di riprodurre le antichità con la massima fedeltà possibile, e
criticava le incisioni che avessero laspetto di un Callot o di un Perrier, di
Spranger, Goltzius o Rubens, piuttosto che quello dellantichità stessa: come le
Sacre Scritture, i migliori pezzi antichi non avrebbero tollerato né amputazioni
né aggiunte. Laccostamento tra sculture e incisioni mostra tuttavia che
nemmeno la Galleria Giustiniana offre una riproduzione fotograficamente esatta degli
oggetti, ma piuttosto una interpretazione artistica, che si discosta in molti punti dal
modello. I principi di questa interpretazione dovranno dunque essere esaminati più da
vicino, dal momento che in essi si manifesta unestetica che, come vedremo, si
rispecchiava anche nel concetto espositivo della galleria reale.
Elizabeth Cropper ha già illustrato come le incisioni della Galleria Giustiniana cerchino
quasi di riportare in vita le sculture antiche. Questo avviene, ad esempio, per mezzo
dellintensità dello sguardo, attraverso un vivace chiaroscuro o ancora -
specialmente nelle incisioni di Mellan - grazie alla fiammeggiante dinamica dei tratti di
bulino. Paragonate alle proporzioni slanciate delle statue antiche, le figure nelle
incisioni mostrano quasi sempre una corporeità più turgida, una vitalità barocca.
Lopera grafica spesso elimina i puntelli, così che la scultura appaia meno
artificiosa. Come in Perrier, le sculture sono volentieri riprodotte di scorcio: da una
parte, questo enfatizza il rilievo scultoreo e dallaltra suscita
limpressione che la statua si rivolga direttamente allosservatore. La
rotazione offre inoltre una maggiore varietas e vivacità visiva. I due fauni della
collezione Giustiniani sono in realtà quasi identici; i disegnatori riescono invece,
grazie alla rotazione del punto di vista, a farli apparire come pendants simmetrici.
Nellambito della discussione seicentesca intorno al paragone tra pittura e scultura,
uno dei topoi era quello secondo cui una particolare difficoltà della scultura sarebbe
consistita nel far sembrare viva lopera darte anche senza lausilio del
colore. Vincenzo Giustiniani apprezzava nella scultura antica proprio la sua capacità di
riprodurre una autentica vita spirante. Nella Galleria Giustiniana fu possibile tradurre
questa qualità attraverso una tecnica che si collocava a mezza strada fra la pittura e la
scultura: se da una parte lincisione è bidimensionale come la pittura, nasce però
da una lavorazione di tipo scultoreo della lastra di rame- gli artisti si firmano quindi
con lespressione sculpsit. Lincisore crea quasi una nuova scultura
sulla carta. Secondo i criteri del paragone, egli deve in questo superare ostacoli ancora
più grandi di quelli incontrati da un pittore o da uno scultore: egli non può, infatti,
impiegare né colori, né la massa tridimensionale della pietra, per simulare la
corporeità. Nonostante questo, le incisioni della Galleria Giustiniana spesso superano i
modelli antichi nellimitazione della realtà.
Mentre talvolta altre opere a stampa giungono perfino a collocare nello spazio libero le
sculture, come figure vive, nella Galleria Giustiniana, invece, non si rinuncia mai alla
rappresentazione del plinto, che connota senza equivoci loggetto come opera
darte. Questa base ha una sua importanza non soltanto perché porta le firme degli
artisti, ma anche perché è spesso ornato dello stemma Giustiniani. Con questo
espediente, tavola dopo tavola, Vincenzo Giustiniani si richiama alla memoria
dellosservatore e si presenta doppiamente come mecenate delle arti: quale possessore
di una grandiosa collezione di antichità e, insieme, come promotore di una
Accademia privata, che ha trasformato la pubblicazione di quella raccolta in
una opera darte autonoma, in parte superando perfino il modello antico. La
collezione e la sua riproduzione servono, in sostanza, allesaltazione del mecenate,
il cui ritratto inaugura la serie delle incisioni (fig. 10): cunctorum splendor ab uno.
Dovrebbe ormai risultare chiaro come alla base sia della galleria reale che di quella
stampata si trovasse una concezione estetica simile. Come i disegnatori cercavano di
infondere vita nelle sculture antiche con mezzi grafici, così anche i gruppi narrativi
nellambiente della galleria si prefiggevano lo stesso obiettivo. Tanto nella
Galleria Giustiniana quanto nella galleria del palazzo, un ruolo importante era assegnato
al continuo coinvolgimento dellosservatore, alla varietas della presentazione visiva
e alla conseguente predilezione per lo scorcio e lestetica del chiaroscuro. Nella
galleria reale come in quella stampata, si cercò di esaltare la magnificenza del
collezionista attraverso la massa degli oggetti, ma tuttavia si trasmettevano due messaggi
sostanzialmente diversi. Nella pubblicazione Vincenzo Giustiniani si presentava come
mecenate, dalla seria formazione classica. Cosa si prefiggeva invece con la decorazione
così licenziosa della galleria del suo palazzo? Vi si nascondeva forse un programma
preciso?
Per dare risposta a questo quesito è necessario prendere in considerazione anche il resto
dellallestimento della galleria. Vincenzo subentrò nel possesso del palazzo alla
morte di suo fratello, il cardinale Benedetto, nel 1621. La sala possedeva già a
quellepoca una decorazione in affresco. Salomone era stato allo stesso tempo re e
sacerdote: i cinque episodi della sua vita che ornavano il soffitto della galleria
potevano, dunque, ben costituire un esempio sia per un capofamiglia religioso che per un
laico. La principale virtù salomonica, quella giustizia che è protagonista di tre delle
scene, si poteva intendere come allusione al nome dei Giustiniani. Il quadro
riportato centrale, che rappresenta la visita della regina di Saba, insieme
allepisodio della costruzione del Tempio, illustrano la magnificenza di Salomone -
ancora un tema che doveva riuscire gradito a Vincenzo. Il programma figurativo ven, le virtù cardinali sulle pareti. La Religione ha come attributo unaquila,
che si poteva interpretare come un riferimento allanimale araldico dei Giustiniani.
La "Regina di Saba" e il "Tempio di Salomone" - Palazzo Giustiniani
La rappresentazione della Edificazione del tempio sul soffitto sembra in qualche modo trovare un proseguimento sulle pareti, nelle quali le colonne bronzee illusionistiche si richiamano a quelle che un tempo dovevano sorgere davanti al Tempio di Salomone e che compaiono effettivamente anche sullo sfondo del quadro riportato centrale. Raffaello ha raffigurato questo portico in un celebre arazzo.
Il visitatore di palazzo Giustiniani riceve limpressione di trovarsi
in un simile portico: il palazzo appare così lequivalente moderno del Tempio di
Salomone, considerato il paradigma del fasto antico per la ricchezza dei suoi arredi.
Mentre gli affreschi della volta presentano le vicende del re israelita semplicemente come
lontano esempio storico, nello spazio della galleria la magnificenza di Salomone sembra
risvegliarsi a nuova vita. Vincenzo Giustiniani allora, come attraverso la presentazione
delle proprie sculture infondeva nuova vita allantichità greco-romana, così nella
galleria del suo palazzo poteva sentirsi un vitale rinnovatore della tradizione
giudeo-cristiana.
Secondo linventario dei beni del Cardinale Benedetto, ai suoi tempi erano appesi
nella galleria 40 dipinti, prevalentemente di soggetto religioso. Vincenzo ne lasciò al
proprio posto soltanto sette, aggiungendone altri nove. Come si deduce da una attendibile
guida del palazzo del 1725, in quel periodo la decorazione pittorica delle pareti non era
ancora stata imbiancata; ne consegue che i 16 quadri dovevano in parte essere appesi sopra
gli affreschi. I quadri che Vincenzo Giustiniani collocò nella galleria rappresentavano,
da una parte, la famiglia e i suoi Santi protettori, dall'altra Cristo e la Madonna. Oltre
a questi, cerano dui quadri con due mezze figure una, che ride, laltra,
che piange (probabilmente Eraclito e Democrito) e, ancora, le due versioni di
Baglione dell amor virtuoso, che calpesta amor lascivo. Come negli
affreschi della volta, laccento cadeva sulla religione e la virtù. Se ne potrebbe
dedurre che il programma figurativo servisse da correttivo alle antichità: i
gruppi licenziosi di sculture e in particolar modo i Cupidi avrebbero dunque rappresentato
l amor lascivo degli antichi, che nel mondo cristiano, però, come nei
dipinti del Baglione, sarebbe stato vinto dalla virtù e dallamor di Dio.
Un qualche paragone fra gli antichi e i moderni era certamente previsto. Vincenzo
Giustiniani aveva fatto restaurare la propria collezione dai migliori maestri
contemporanei: Bernini, che amava attualizzare le antichità nel gusto barocco, rilavorò
probabilmente l"Apollo"; Duquesnoy integrò un Bacco e notoriamente creò
il suo Mercurio in competizione con un Ercole antico; Algardi dovrebbe aver restaurato il
caprone ed una Venere accovacciata. Questa Afrodite mezza antica e mezza moderna era
collocata nella galleria di fronte ad una Venere tutta antica molto simile.
Allo stesso modo, anche le incisioni della Galleria Giustiniana costituiscono in qualche
modo un paragone, nel senso che le riproduzioni moderne dovevano possibilmente sorpassare
le antichità. Ma davvero la competizione artistica con lantichità si estendeva a
una gara ideologica, così che lamor virtuoso celebrato nei dipinti
religiosi riuscisse, programmaticamente, a trionfare sullamor lascivo
degli antichi?
Se si considerano con attenzione gli scritti del marchese (recentemente
ripubblicati nelle edizioni Città
del Silenzio con una prefazione di Lauro Magnani), si potranno individuare
numerosi passaggi di intonazione ironica e critica, talvolta persino epicurea. Nel
Discorso sopra la caccia, egli si prende gioco di coloro che vogliono dimostrare, con
dotte dissertazioni, se la caccia sia una virtù o un vizio - lui, da parte sua, a caccia
si diverte, e questo fa risultare la questione sulla virtù del tutto superflua. Nel
Discorso sopra la musica, Giustiniani parla della grazia, chè dono
dIddio benedetto. Quale esempio di come si giudichi la grazia secondo un gusto
soggettivo, egli cita però le prostitute nei bordelli e le carni nei macelli
- una linea di pensiero, che lascia trapelare una certa mancanza di rispetto nei confronti
della grazia divina. Nella satira Dialogo tra Renzo e Aniello Napolitano sugli
usi di Roma e di Napoli, il gusto epicureo della vita prende il sopravvento: mangiare e
bere, donne e cavalli. Il testo contiene, fra laltro, commenti critici sul commercio
di vini dei Cardinali, sulla questione delle indulgenze e sul nepotismo (non si
vedono altrove simili salti che le persone fanno da niente in grado sì alto, con diventar
prencipi quando loro stessi e gli altri meno laspettano). Aniello, che è
venuto a Roma in occasione dellAnno Santo, viene dissuaso da Renzo dal recarsi
assieme alludienza del Papa: potria far di meno di prendersi questo fastidio e
di darlo anche a me, e sarà meglio che andiamo a qualche maneggio per il fresco a veder
cavalcare. Quando Aniello ritorna da una rapida visita alle quattro basiliche
maggiori, Renzo non gli chiede affatto delle sue esperienze religiose: Ma dicami
V.S. come ha veduto belle donne et in particolare dame nobili.
Questi testi rivelano, con la stessa chiarezza della presentazione delle antichità nella
galleria, come Vincenzo nutrisse una certa simpatia per una condotta di vita che
privilegiava gli aspetti epicurei e goderecci, con un certo distacco nei confronti della
Chiesa. Il provocante Amore vincitore del Caravaggio, che si prende gioco dei valori
tradizionali (e a cui lAmor virtuoso del Baglione, che già era appartenuto al
Cardinal Giustiniani, costituiva un pendant corretto) può forse bene illustrare queste
inclinazioni epicuree di Vincenzo. Negli scritti, una simile concezione poteva essere
espressa soltanto in passi secondari e pressoché nascosti, oppure sotto le vesti della
satira (è significativo che i trattati di Giustiniani restassero inediti durante la sua
vita). I quadri a soggetto religioso nella galleria potrebbero aver rivestito la stessa
funzione protettiva della forma letteraria della satira: di fronte ai critici,
Giustiniani poteva così replicare che egli in realtà stigmatizzava i vizi contrari alla
morale cristiana e auspicava il trionfo dell amor virtuoso.
Cesare Colonna nel 1653 si sentì in dovere di premettere queste parole ad una poesia
allegorica: le parole di Fato, Cielo, Divinità, ed altre simili, apprendile come
detti per vaghezza Poetica, non già per prevaricare dalla Catolica Fede. Questo è
uno dei molti esempi di come in quel periodo ci si sentisse obbligati a dare conferme
della propria ortodossia quando si avesse a che fare con il patrimonio ideologico
dellantichità. Tematiche liberali potevano essere legittimate ove vi si potesse
interpretare, attraverso delle allegorie, un messaggio cristiano. Allo stesso modo,
Vincenzo Giustiniani seppe sottendere allesposizione delle antichità nella sua
galleria la possibilità di una lettura in chiave cristiana (il trionfo
dellamor virtuoso sullamor lascivo). Le incisioni con
Madonne, che dovevano concludere il primo volume della Galleria Giustiniana, non sono
forse affatto dei frammenti erratici, come si è finora creduto, ma piuttosto, nel senso
che si è qui delineato, un contrappunto ben calcolato allentusiastica celebrazione
della cultura antica. Analogamente, nel secondo volume della Galleria Giustiniana, le
vedute della chiesa eretta da Vincenzo a Bassano sottolineavano linappuntabile
sentimento religioso del marchese.
In conclusione, non è davvero necessario decidere se nella galleria del palazzo sia
lantichità a trionfare sul cristianesimo o viceversa - il senso dellinsieme
potrebbe trovarsi proprio nella coesistenza della civiltà pagana e di quella cristiana.
Vincenzo Giustiniani identificava le proprie radici tanto nella tradizione romana antica
che in quella cristiana, ma prendendosi la moderna libertà di confrontarsi
con questa eredità non dogmaticamente, con spirito critico e talvolta perfino con ironia.
Egli non soltanto si esprimeva con distacco nei confronti della Chiesa, ma accettava
altrettanto malvolentieri lautorità assoluta degli antichi. Nella sua Istruzione
per far viaggi formulava il principio generale secondo cui lopinione delle autorità
riconosciute dovesse essere verificata criticamente sulla base delle esperienze personali.
Non credeva in ideali generalmente vincolanti, ma favoriva al contrario una apertura verso
le differenti usanze nazionali e verso stili artistici diversi. Elizabeth Cropper ha
sottolineato quanto sia importante nei trattati di Giustiniani il gusto personale - in
altre parole, il libero giudizio individuale al di là delle regole accademiche. Alla luce
dellimportanza che la conversazione civile rivestiva per Vincenzo
Giustiniani, si può immaginare come lallestimento della galleria dovesse
sollecitare la libera discussione sugli antichi e i moderni, lamore e la virtù, gli
ideali astratti e le esperienze empiriche.
Se, come Scamozzi, si intende una collezione come autoritratto del collezionista, è
possibile allora vedere nella galleria di palazzo Giustiniani il riflesso di una
personalità complessa, che sottolineava la propria modernità mettendo in scena
lincontro di differenti tradizioni culturali. Lantico e il moderno si
trovavano nella galleria in un rapporto di tensione, che potesse stimolare il visitatore a
definire la propria posizione nella vivace controversia che in quel tempo si dibatteva fra
gli antichi e i moderni. La preponderanza numerica e visiva delle
sculture potrebbe accennare alle preferenze di Giustiniani in questo campo. Attraverso la
presentazione delle sue sculture, il marchese si mostrava come un uomo ricco di idee e di
spirito, che sapeva godere della vita. Egli si circondava delle sue antichità in un modo
quale non si era ancora mai visto a Roma: il criterio espositivo era pittorico e narrativo
piuttosto che architettonico, venato di umorismo e di elementi erotici, invece che carico
di significati genealogici o scientifici. Con il caprone sistemato al centro della sala,
Giustiniani ironizzava su chi prendeva troppo sul serio il rapporto con lantichità;
allo stesso modo di Democrito, il cui ritratto era probabilmente appeso nella galleria,
appare come un uomo che volentieri sorrideva del mondo, come ha dimostrato nei suoi
scritti satirici.
La pubblicazione della Galleria Giustiniana non fu meno straordinaria e innovativa della
galleria stessa, ma dovette, per motivi di decoro, presentarsi in maniera più composta e
solenne rispetto allesposizione. Lopera a stampa non può in alcun modo essere
intesa come illustrazione della galleria reale. Allallestimento reale, come pure
alla presentazione grafica delle antichità, erano certamente sottesi principi estetici
simili, ed entrambi celebravano la magnificenza del collezionista, ma, a prescindere da
ciò, essi comunicavano messaggi diversi. Come già proponevano programmaticamente le
prime tavole dellopera a stampa, Giustiniani si prefisse qui di promuovere
seriamente, da mecenate, lideale della cultura classica. La Galleria Giustiniana e
la galleria di palazzo Giustiniani ci manifestano così due aspetti completamente diversi
dello stesso uomo, in un certo senso il volto pubblico e quello privato di Vincenzo
Giustiniani.
Gli Uffici del Senato a Palazzo Giustiniani
Tratto dal Sito Istituzionale del Senato della
Repubblica
Sala dei Presidenti
La sala, così denominata poiché è destinata a custodire i fondi dei Presidenti del
Senato, si caratterizza per il cielo che decora il soffitto. Sui lati più lunghi due
ampie librerie custodiscono una vasta collezione di atti parlamentari, mentre in fondo è
collocato il tavolo utilizzato per i convegni organizzati dall'Archivio storico.
Sala degli studiosi
Questa ampia sala è percorsa da un ballatoio in metallo che permette l'accesso ai
documenti disposti negli scaffali. Nelle librerie sono contenuti progetti di legge e
schede personali dei senatori del Senato del Regno. Un piccolo balcone offre a questo
ambiente, frequentato ogni anno da numerosi studiosi, una splendida vista sulla Piazza del
Pantheon.
Sala rossa
Questa sala, che prende il nome dal colore della tappezzeria, è un ampio ambiente di
rappresentanza in cui il Presidente del Senato accoglie le delegazioni in visita. Le
poltroncine e i divani in velluto rosso, la consolle con il ripiano di marmo e i dipinti
alle pareti corredano il salone. Il soffitto a cassettoni impreziosito con ornamenti
dorati, il parquet ad intarsi e gli eleganti lampadari completano un ambiente di grande
raffinatezza
Sala degli specchi
In questa sala, dominata da dieci grandi specchi, il Presidente del Senato accoglie le
delegazioni in visita. Il soffitto è a cassettoni con ornamenti dorati e da esso pendono
due preziosi lampadari. Le decorazioni alle pareti sono di epoca recente. Sempre in questa
sala si svolgono due incontri annuali tra il Presidente e i giornalisti parlamentari: a
Natale e prima della sospensione estiva (cerimonia della consegna del Ventaglio).
Sala della Costituzione
Questa stanza è un simbolo importante per la storia della Repubblica: qui infatti il 27
dicembre 1947 Enrico De Nicola, Alcide De Gasperi e Umberto Terracini firmarono la Carta
Costituzionale, momento immortalato da una bella foto che campeggia su una parete, sotto
un planisfero. Sulle altre pareti una carta che descrive le conquiste di Roma ed una
veduta della città imperiale. La stanza non è grande. Vi domina un'alta libreria di
legno, con il ballatoio e una ripida scaletta a chiocciola per accedere agli scaffali più
alti. Una copia della carta costituzionale è posta su un leggio. Il tavolo in stile
rinascimentale è lo stesso della storica firma. Oggi in questa sala il Presidente del
Senato riceve capi di Stato e di Governo.
Palazzo
Giustiniani a cura dell'Ufficio comunicazione istituzionale del Senato
Visita virtuale a Palazzo
Giustiniani dal sito del Senato un video-audio
con la spiegazione di alcune sale delledificio.
Bassorilievi di Palazzo Giustiniani
L'incredulità di S.Tommaso di Caravaggio - collezione Giustiniani
C'era un luogo,a Roma, dove i viaggiatori e gli appassionati d'arte
potevano toccar con mano, attraverso splendidi capolavori, la nascita, lo sviluppo,
l'articolarsi della pittura del Seicento. Questo luogo era il palazzo Giustiniani, di
fronte a San Luigi dei Francesi, dove erano raccolti circa 600 memorabili dipinti,
purtroppo dispersi all'inizio dell'Ottocento e finiti nei musei di varie nazioni.
A quattro secoli dalla sua formazione, nel 2001, il nucleo fondamentale della collezione
Giustiniani è ritornato nel palazzo di famiglia, oggi sede della Presidenza del Senato
della Repubblica Italiana: un'occasione irripetibile per comprendere il magico rapporto
che, in una antica collezione, legava le opere allo spazio che la conteneva. Le sale del palazzo sono state aperte per la prima volta al pubblico, offrendo l'immagine
di uno spazio privato ed esclusivo, lontano dagli sfarzi delle grandi sale barocche. Si
rivela così, in un percorso senza precedenti, l'atmosfera appartata di una cultura di
raffinati conoscitori, sensibili all'arte come alla musica, al teatro ed alla letteratura,
ma anche aperti alle suggestioni affascinanti della scienza galileiana. L'esposizione ha
permesso di ammirare settanta opere dei grandi protagonisti della pittura del XVI e XVII
secolo: Lorenzo Lotto, Veronese, I Carracci, Poussin, maestri italiani, francesi e
olandesi, e, soprattutto, le tele di Caravaggio, di cui Vincenzo Giustiniani fu il primo e
forse il più grande estimatore e collezionista.
ALLE RADICI DELLA STORIA DEI MUSEI
NAZIONALI: IL COLLEZIONISMO ROMANO DEL SEICENTO
BENEDETTO E VINCENZO GIUSTINIANI
Nella mostra è stata presentata la scoperta della prima versione del Cristo di Santa
Maria sopra Minerva eseguita da Michelangelo e rimasta incompiuta a causa di un difetto
nel marmo, una macchia sul viso emersa durante la esecuzione. I risultati della ricerca,
vagliata da un comitato di esperti di Michelangelo, sono pubblicati su The Burlington
Magazine, dicembre 2000. In un filmato le autrici della scoperta, Silvia Danesi Squarzina
e Irene Baldriga, spiegano perché la statua rintracciata in una chiesa di Bassano Romano
è del grande maestro toscano e come arrivò nella collezione Giustiniani. (A cura di:
kwArt & kwBroadcast)
vai
al filmato della scoperta del Cristo Portacroce di Bassano Romano
Grazie ad un progetto di Renato Passacantando per la Rai è nato il progetto "mostre
impossibili",un ricco apparato didascalico: multivisioni, documentari, film,
audio-video guide personalizzate a raggi infrarossi, musiche attinenti ai dipinti, DVD,
cataloghi, libri scritti ad hoc, siti Internet, rappresentazioni teatrali, programmi
televisivi ecc. su grandi artisti Italiani, online quello sul Caravaggio:
Tutta l'opera del Caravaggio: una mostra
impossibile
Il progetto Giove
sulla Collezione Giustiniani di Silvia Danesi Squarzina
LA GALLERIA GIUSTINIANA - PROGETTO DIGITALIZZAZIONE “SUPERBA ANTIQUA”
a cura della Biblioteca Universitaria di Genova
Altri link alla Collezione antica dei fratelli Vincenzo e Benedetto Giustiniani
"I GIUSTINIANI E
L'ANTICO" Nellottobre del 2001 a Palazzo Poli di Roma la mostra della
collezione classica del Marchese Vincenzo Giustiniani
Il cannone Giustiniani grazie al
contributo di Renato G. Ridella
Christina Strunck: Lhumor
peccante di Vincenzo Giustiniani Linnovativa presentazione
dellAntico nelle due gallerie di Palazzo Giustiniani a Roma (1630-1830 circa)
Il mitra di Kriton e la copia della
Collezione Giustiniani a cura di Claudia Valeri (presente nel giardino di Palazzo
Giustiniani a Bassano Romano)
"CARAVAGGIO IN PRUSSIA"
questo
il titolo della mostra a Berlino svolta nel giugno-settembre 2001 che a Roma si chiamava
"Caravaggio e i Giustiniani"
Torna alla pagina iniziale dei Giustiniani di Genova