Il saggio presenta alcune argomentazioni fondamentali da cui partire per assemblare ledizione critica del Discorso sopra la musica de suoi tempi del marchese Vincenzo Giustiniani, scritto nel 1638 e facente parte di una serie di epistole ad argomento critico- artistico e pubblicate nel tempo solo in relazione alle discipline cui rimandano. Soprattutto il Discorso in oggetto, sempre citato ma mai realmente letto, ricopre una importanza fondamentale non soltanto per gli studi storico-musicali relativi al periodo Cinqueseicentesco, ma anche per quelli letterari dello stesso periodo poiché evidenzia alcune discendenze teorico-critiche nella esposizione argomentativa che rimandano, in gran parte, alle teorie di derivazione ciceroniana (Orator e De oratore) di Antonio Minturno, e poi, sul versante della Accademia Fiorentina, di Girolamo Mei e Francesco Patrizi.
Vincenzo Giustiniani, fu proprietario e committente di quindici dipinti caravaggeschi.
Qui raffigurati i tre quadri (Amor vincit omnia, il Suonatore di liuto e il Concerto di
giovani) fondamentali per dimostrare linteresse culturale del committente e la
vicinanza ideale e di intenti che lega Vincenzo a Caravaggio. In particolare il quadro
Amor vincit omnia («[
] un amore ridente, in atto di dispregiare il mondo, che tiene
sotto con diversi stromenti, corone, scettri, et armature, chiamato per fama il Cupido di
Caravaggio [
]», presenta, come nel Suonatore di liuto e nel Concerto di giovani,
diverse partiture riproducenti brani musicali. Vicino agli spartiti, in secondo piano,
vari strumenti sono assemblati in stile natura morta. Il tema è collegato alla
personalità di Vincenzo, la cui preferenza documentata per questo quadro sarebbe
indicativa di un rapporto più sottile, sottolineato dal gioco verbale con il proprio
nome, Omnia vincit amor / Omnia vincit Vincentius; gli oggetti simbolici presenti nel
quadro, infatti, altro non sono che la rappresentazione degli interessi giustinianei:
strumenti e spartiti alludono alle conoscenze musicali, la squadra rappresenta la
geometria, la piuma e il libro indicano le facoltà letterarie, lalloro la fama che
viene dalle virtù, la corazza il cavalierato, il globo lo studio della astronomia, lo
scettro il passato dominio su Chios e leros lideale neoplatonico,
filo-ficiniano e plutarcheo.
Vincenzo Giustiniani fu educato, per volere del padre, alla musica e fu vicino ad
Arcadelt e di Lasso, allora massimi musicisti viventi. La frequentazione dei due
compositori, gli permise di conoscere i progressi in atto a Venezia, Ferrara e soprattutto
Mantova, dove soprattutto de Wert stava istituzionalizzando i modi del «componere a più
voci».
È dunque evidente che Giustiniani ha conseguito, non solo una solida conoscenza delle
tecniche della composizione, ma che anche ha vissuto dallinterno la rivoluzione
delle scuole musicali regionali che alla fine del Cinquecento investe Roma, Venezia,
Napoli.
Grazie alla preparazione conseguita, alle personali ed indubbie capacità musicali ed agli
interessi coltivati, Vincenzo sviluppò una viva passione per l'antico, che non si
riversò soltanto nel collezionismo, ma anche nella catalogazione e nello studio della
maniera; non solo, ma fu proprio la particolare strutturazione degli interessi e degli
studi che permise al marchese di considerare larte prodotta dalla sua epoca e dal
passato, non come opera a sé stante, indipendente da tutto e tutti, ma come finalizzata
ad un pubblico, con ciò considerando larte stessa come modello propositivo e non
come prodotto indiscutibile.
Vincenzo è autore di una serie di scritti sulle arti e sui mestieri, elaborati in forma
di lettere indirizzate a Theodor Ameyden. Tra questi sono di fondamentale importanza, non
soltanto per la comprensione del suo gusto artistico ma anche per le molte informazioni
che se ne possono trarre, i Discorsi sulla pittura, sulla scultura, sulla musica e
sull'architettura.
Nel corso degli anni gli studiosi si sono soprattutto occupati degli scritti del marchese
Vincenzo sulla pittura, sulla scultura e sullarchitettura. Quasi trascurato del
tutto il discorso sopra la musica.
Possiamo affermare che il Discorso sulla musica de suoi tempi di Vincenzo
Giustiniani è quasi sicuramente la prima, effettiva storia della musica di cui si ha
notizia;
Lo stimolo alla scrittura, proveniente da una precisa richiesta di Teodoro Amayden («Ma
solo con lintenzione che ho di dar gusto e sodisfazione a V. S. nella richiesta che
mi fece»), è organizzato e gestito «quasi come una narrazione in guisa distoria»
corredata di esempi e organizzata, come nel discorso sulla musica, a partire dalla
fanciullezza e dalla epoca dei suoi primi studi musicali, fino a comprendere tutta
lattività musicale del tempo a lui contemporaneo.
Vincenzo Giustiniani vive nel particolare clima culturale che contraddistingue la Roma
papale tra il regno di Sisto V (eletto nel 1585) e quello di Clemente VIII (deceduto nel
1605), periodo in cui va sistemizzandosi quel tentativo di instaurare una monarchia
assoluta, fattore storico, politico e culturale che era già chiaro ed evidente ai
contemporanei dei due fratelli Giustiniani, basti pensare alle relazioni da Roma
dellumanista Paolo Paruta risalenti al 1595.
La cultura, dunque, se passa ancora per le mani di una aristocrazia letteraria che se ne
serve come accidente affettivo e cortigiano, pure, comincia però ad assumere tutti quei
contenuti di rivoluzionarietà e progressivismo storico che caratterizzerà lepoca
successiva; e più si caratterizzerà in questa maniera, più la chiesa si chiuderà in se
stessa cercando protezione al suo interno.
La più recente edizione a stampa del Discorso sopra la musica di Vincenzo Giustiniani
risale - insieme ad altri Discorsi che il cardinale scrive sulla pittura,
larchitettura, la scultura, la caccia - alledizione curata da Anna Banti per
Sansoni (Firenze, 1981). Loriginale, con il titolo Delle fabbriche, è manoscritto e
composto sotto forma di lettera indirizzata a Teodoro Almyden, conservato presso la
Biblioteca Apostolica Vaticana, mentre unaltra copia è conservata, presso
lArchivio di Stato di Lucca.
Lo scritto sulla musica è da datarsi tra il giugno e lottobre 1628, limitazione
temporale, pur non imposta dallautore, e quella che si desume da alcune opere
pubblicate al tempo di Vincenzo Giustiniani.
Vincenzo non è lunico autore che rivolge la propria attenzione verso la
catalogazione di nomi e stili compositivi musicali, ma ciò che invece rappresenta
unautentica novità nel Discorso giustinianeo è la classificazione della produzione
e degli stili in base alla propria vita, alla propria formazione e livello sociale di
riferimento. Per la prima volta forse, si tiene conto di un pubblico, di effetti e
risultati di quella data composizione o di quel dato stile su di esso rispetto al livello
sociale ed al grado di autoreferenzialità del brano musicale rispetto al clima culturale
in cui esso è stato prodotto e recepito. Pur con un grado di empirismo eccessivo e con
vistosi errori o omissioni (sarebbe interessante, infatti, indagare il perché della
mancata citazione di Emilio de Cavalieri e di altri illustri assenti), il discorso
volutamente storicizzato di Giustiniani si muove in sei punti ben precisi e delineati che
poi, tra di loro, si intersecano creando nuovi interrogativi e nuovi argomenti da
affrontare.
Il primo di essi è relativo alla musica «de suoi tempi», quella cioè composta ed
eseguita (per generi, forme e stili) al tempo della sua prima formazione musicale. Così,
le musiche di Arcaldelt, Striggio, Lasso, de Rore e de Monte e le villanelle in uso nella
sua infanzia sono il primo approccio, per generi, forme e stili, che la storia della
musica in epoca moderna conosca, a prescindere dal catalogo nominativo degli autori.
Il secondo aspetto è rappresentato dalla novità, in termini di progresso compositivo,
della musica dallepoca della infanzia a quella della maturità di Vincenzo; i
«dilettosi» Marenzio, Palestrina («Pellestrina») e Giovannelli sono i nuovi campioni
di questa seconda generazione di compositori italiani, capaci di traghettare la musica
italiana dalle scuole regionali barocche al predominio sulla musica europea.
Il terzo momento riguarda levoluzione del canto e la nascita, in Roma prima e poi a
Modena e Ferrara, della moda del virtuosismo vocale, argomento questo che permette di
introdurre il quarto punto, quello relativo invece alla musica in Napoli (Gesualdo su
tutti).
Il terzo momento riguarda levoluzione del canto e la nascita, in Roma prima e poi a
Modena e Ferrara, della moda del virtuosismo vocale, argomento questo che permette di
introdurre il quarto punto, quello relativo invece alla musica in Napoli (Gesualdo su
tutti).
Il quinto argomento interessa invece il rapporto che lega mecenati e compositori, in
particolare ancora a Roma (il cardinale Montalto) e Firenze (il cardinale Ferdinando de
Medici poi Granduca di Toscana)11. A sua volta, questa parte serve da introduzione al
mecenatismo di Filippo IV di Spagna ed al favore che la musica sacra policorale incontrava
soprattutto nel paese iberico, pendant con lequivalente parte del dialogo sopra la
pittura in cui si parla della moda del collezionismo in Francia ed, appunto, in Spagna.
Ciò accade anche perché, il marchese Giustiniani appartiene, come Amayden, al partito
filospagnolo e dunque la citazione continua della cultura spagnola, come esempio da
seguire, è anche un modello di riferimento politico non indifferente.
La tradizione musicale narrata da Giustiniani obbedisce a canoni e principi costruttivi
che non sono a lui coevi, ma che il barocco ed il manierismo del Cinquecento hanno saputo
cambiare, tenendo lo stesso docchio, sia la tradizione che i cambiamenti artistici e
le nuove visioni che, i poeti in particolare, avevano saputo costruire nella propria
riflessione.
Tale scelta narrativa è voluta e dichiarata, non a caso Giustiniani prende in
considerazione solo la musica sacra e quella strumentale.
Il melodramma non può interessare (ed è questo uno dei motivi per cui non si cita
lattività di Vincenzo Galilei, la Camerata dei Bardi ed Emilio de Cavalieri)
perché, da un lato, in presenza di una forma sostanzialmente monodica (e raramente
polifonica), non è in grado di assorbire il linguaggio contrappuntistico ed i principi
imitativi allinterno delle proprie forme, dallaltro, è impotente di fronte
allo svilupparsi delle tecniche di esecuzione strumentali che, sempre più, at tirano il
pubblico e ne determinano i gusti molto più che gli intermedi e le tragedie in musica.
Unaltra novità letteraria del Discorso risiede nella trattazione e nel modello di
scrittura adottato. Questa, infatti, passa da monologo tecnico a trattato vero e proprio.
Infatti, quella che, apparentemente, sembra una semplice epistola a carattere
trattatistico, diventa un testo che, pur nella brevità e stringatezza dei concetti,
mostra una struttura retorica chiara e ben delineata, completamente aderente alle regole
retoriche fissate dalla latinità classica ed in particolare Cicerone. Il collegamento,
infatti, è ancora il Cicerone dei trattati di retorica, visto che, la struttura
espositiva portante dellautore latino (inventio, actio, memoria) viene rispettata in
pieno.
Il Discorso, sotto forma di scrittura adottata, è doppiamente importante, primo perché
investe tutti i Discorsi e non solo quello sulla musica, secondo perché dimostra una
volontà scritturale completamente immersa negli stili comunicativi adottati dalla sua
epoca, la quale peraltro, offre diverse testimonianze sulla trattatistica epistolare, a
partire da Torquato Tasso per giungere ancora al già citato Pietro della Valle e tanti
altri autori a loro contemporanei. La lettera offre lo spazio necessario a descrivere,
confutare (se il caso) ed esporre le proprie idee in maniera succinta ma chiara (in
omaggio alla brevitas ciceroniana), non tralasciando argomenti e permettendo di scegliere
in maniera adeguata tutti i contenuti principali.
Il modello è, ancora una volta quello tassesco dei Discorsi, qui ridotti dal nostro
marchese di Bassano a compendio argomentativo altamente conciso e pure lo stesso
esauriente, scritto per un pubblico (una sola persona in questo caso, il che mantiene la
forma strutturale breve dellepistola) che riconosce in quel modello scritturale
modi, forme e contenuti autoreferenziali ancora cortigiani e collegati alla funzione
stessa dellaspetto musica in un ambito prima di tutto sociale e culturale di
intrattenimento, e poi anche professionale tout court.
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