L'unica raffigurazione che abbiamo di Teodora, nome che in greco, significa "dono di Dio", la sovrana d'Oriente di eccezionale bellezza, affascinante, intelligente, astuta, insieme a Cleopatra la donna più amata e odiata dell'antichità, sottoposta alle maldicenze degli storici , soprattutto del cronista Procopio che, spinto dal livore per l'esclusione dal palazzo, più di ogni altro la denigrò, proprio perché le società del tempo non tolleravano le donna-protagoniste, è quella nel mosaico della basilica di San Vitale a Ravenna. E' ritratta bella e altera, con la pelle chiarissima, gli occhi grandi e profondi, le labbra rosse, in testa un copricapo riccamente adornato e intorno al collo, lungo e sottile, una preziosa collana; lo stesso Procopio la definì "bella, spiritosa, salace, fornita di accesa sensualità". Dopo cinque secoli continua a rimanere un mistero come, l'umile figlia di un guardiano di orsi, con un oscuro passato, di attrice in una compagnia di mimi e, secondo alcuni, anche di prostituta, sia riuscita ad ascendere al trono imperiale di Costantinopoli. Teodora nacque nell'anno 500. Suo padre, che svolgeva l'umile mestiere nell'Ippodromo di Costantinopoli, ben presto morì e, insieme alle due sorelle, Teodora rimase affidata alla madre. Bellissima e irrequieta, nella prima adolescenza intraprese la carriera di attrice mimica, che poi abbandonò intorno ai diciotto anni, per un uomo potente, Ecebalo di Tiro, governatore della Pentapoli, convinta di poter realizzare insieme a lui un futuro diverso, ma l'uomo non si rivelò all'altezza delle sue aspirazioni e, quando lui la lasciò, decise di realizzare da sola il suo sogno. Da quel momento in Teodora iniziò ad attuarsi un cambiamento, rivelando una forza intellettuale notevole che le consentì di distinguersi nella cultura bizantina dell'epoca. Si avvicinò al mondo religioso e teologico dei monosofiti e in Egitto entrò in contatto con il vescovo Timoteo e il teologo Severo, con i quali cominciò a disquisire sui grandi temi culturali dell'epoca, soprattutto sull'incarnazione del verbo, e sull dilemma che da sempre divideva il mondo cristiano, cioè se la natura di Dio fosse soltanto divina o anche umana, suscitando, così, ammirazione e rispetto, e conquistando una sorta di aura di santità. Celebrata come "pia", cominciò, allora, a viaggiare in compagnia dei prelati del sinodo di Alessandria, sempre ricoperta di rigorose vesti e copricapo neri. A 22 anni, completamente trasformata, placata negli entusiasmi giovanili, tornò a Costantinopoli, e qui , con l'aiuto di Macedonia, un ballerino di Antiochia, e col sostegno della compagnia degli Azzurri, riuscì a conoscere Giustiniano (allora ancora console dell'imperatore Giustino, suo zio ), che aveva vent'anni di più e che fu acceso di ardente passione fino al punto di volerla sposare. Pur avendo idee divergenti, ad esempio Teodora era monosofita, credeva nella natura esclusivamente divina del verbo, ed era di estrazione mediterraneo orientale e di cultura greca, invece Giustiniano non credeva alla natura divina, parlava latino ed era più proteso verso l'Occidente, entrambi già guardavano al mondo medievale ed insieme costituirono una coppia unica nella storia. Teodora era una donna dell'antichità, non auspicava la liberalizzazione della donna, era convinta dei ruoli di moglie e madre nella famiglia, dunque è impossibile scorgere in lei una protofemminista, eppure influenzò fortemente il marito riuscendo a far emanare delle leggi che favorirono le donne, come l'eliminazione delle prostitute dalle strade e il riconoscimento del diritto di entrare nell'asse ereditario. Dopo la sua morte, avvenuta nel 548, dopo vent'anni di trono, su Teodora scese l'oblio, ma solo perché lo scrittore Procopio non fu tradotto fino al XVII secolo; da allora in poi non si è più smesso d'indagare sulla donna umile e povera che seppe assurgere al ruolo di sovrana e che, con la sua intelligenza e la sua energià, esercitò positiva influenza sul marito, contribuendo a regalare all'impero orientale il periodo più splendido del VI secolo.
Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio Percorso di lettura: La corte di Bisanzio, a cura di Giorgio Ravegnani, Venezia gennaio 2000 su Reti MedievaliUN PROFILO DELL'IMERATRICE TEODORA
tratto dal lavoro di Giorgio Ravagnani su "Reti Medievali"
La figura di Teodora, moglie di Giustiniano, è una delle più controverse della storia di Bisanzio. L'imperatore riconosce a più riprese la sua proficua collaborazione nella gestione dello stato e, sulla stessa linea, gli scrittori a lei favorevoli lodano i provvedimenti adottati a favore, soprattutto, delle classi più deboli. I detrattori, e fra questi in primo luogo Procopio di Cesarea nella Storia Segreta, le rimproverano al contrario una giovinezza dissoluta e una condotta del tutto negativa sul trono di Bisanzio. A questa nota opera di Procopio si deve, tra l'altro, la deformazione della figura di Teodora nei termini in cui è giunta fino a noi nella mentalità collettiva; la critica più recente tende però a rivalutarla, giudicandola sostanzialmente una vittima dello storico, mosso nei suoi confronti da risentimenti personali e di casta, date le origini popolari dell'imperatrice. In occasione della rivolta di Nika, Teodora infuse coraggio negli uomini, incitandoli a resistere fino alla fine nel palazzo assediato.
... Gli elogi a Teodora imperatrice... Procopio, La guerra persiana, I, 24. (in Procopii Caes., Opera omnia, I, a cura di J. Haury G. Wirth, Lipsia 1962).
I consiglieri dell'imperatore discutevano su quale linea di condotta fosse meglio adottare, se rimanere oppure fuggire con le navi, avanzando molte ipotesi a favore dell'una o dell'altra soluzione. L'imperatrice Teodora così parlò: «Ritengo che nella situazione presente sia irrilevante tener conto della sconvenienza che una donna mostri coraggio fra gli uomini e proponga soluzioni ardimentose a chi ha paura, sia che si pensi così sia in altro modo. Per coloro i quali sono giunti a un pericolo estremo, infatti, null'altro pare essere più utile se non risolvere nel modo migliore la situazione in cui si trovano. Personalmente ritengo che la fuga nella situazione presente sia inutile, ammesso e non concesso che talvolta non sia tale, anche se porta alla salvezza. Nessuna persona venuta al mondo può infatti evitare di morire e a chi regna non deve essere consentito di fuggire. Che io non sia mai priva di questa porpora e che non veda mai il giorno in cui coloro nei quali mi imbatterò non mi chiameranno imperatrice! Se tu, o imperatore, vuoi salvarti, non ci sono difficoltà. Abbiamo infatti molte ricchezze, il mare è là e le navi sono pronte. Ma stai attento che non ti capiti, una volta in salvo, di preferire la morte alla salvezza. A me infatti piace un antico detto, secondo il quale la veste regale è un bel sudario».
... e le critiche... Procopio, Storia Segreta, IX (trad. it. in Procopio, Storie Segrete, a cura di F. Conca e P. Cesaretti, Milano 1996).
Tale, per quanto ci è riuscito di tratteggiarlo, il carattere di Giustiniano. Sposò una donna: penserò io a chiarire quale ella fosse per origine e per educazione, e come, dopo il matrimonio con costui, abbia distrutto sino alle radici lo Stato romano. C'era in Bisanzio un tale Acacio, guardiano delle belve nel Circo: apparteneva alla fazione dei Verdi, il cosiddetto allevatore d'orsi. Costui morì di malattia ai tempi d'Anastasio imperatore, lasciando tre figlie: Comitò, Teodora, Anastasia. La primogenita non aveva neppure sette anni. La moglie, caduta in miseria, si unì a un altro uomo, che doveva occuparsi con lei, in futuro, della famiglia e del lavoro. Accadde però che il coreografo dei Prasini, Asterio, cedendo a denaro altrui, li rimosse da quella carica, e non si peritò a installare al loro posto colui che l'aveva compensato. In effetti, i coreografi potevano dirimere tali questioni a piacimento. Quando la donna vide il circo gremito dal popolo, poste le corone sul capo e tra le mani delle figlie, le fece sedere a mo' di supplici. Ma i Verdi non avevano intenzione di accogliere la supplica, gli Azzurri invece le reintegrarono nella carica: anche il loro guardiano, difatti, era mancato da poco. Quando le figlie divennero giovinette, subito la madre le avviò alla scena, poiché erano davvero belle: però non tutte simultaneamente, bensì a seconda che ciascuna le paresse matura al compito. La primogenita, Comitò, già brillava tra le cortigiane della sua età; Teodora la seguiva vestita di una corta tunica con le maniche, come uno schiavetto. Tra gli altri servigi che le rendeva, portava sempre a spalla lo scanno sul quale l'altra soleva star seduta nei suoi incontri. All'epoca Teodora non era affatto matura per andare a letto con uomini, né ad unirsi a loro come una donna; si dava invece a sconci accoppiamenti da maschio, con certi disgraziati, schiavi per di più, che seguendo i padroni a teatro, in quell'abominio trovavano sollievo al loro incomodo e anche nel lupanare dedicava parecchio tempo a quest'impiego contro natura del suo corpo. Non appena giunse all'adolescenza e fu matura, entrò nel novero delle attrici e divenne subito cortigiana, del tipo che gli antichi chiamavano la truppa. Non sapeva suonare flauto né arpa, né mai s'era provata nella danza; a chi capitava, ella poteva offrire solo la sua bellezza, prodigandosi con l'intero suo corpo. Poi si associò ai mimi per tutti gli spettacoli teatrali e partecipò a ogni loro attività, assistendoli in ogni loro scherzo e burla. Era quanto mai spiritosa e salace; così, ben presto seppe mettersi in evidenza. Era persona affatto ignara di quel che fosse il pudore; mai nessuno la vide tirarsi indietro, anzi, non esitava ad acconsentire alle pratiche più svergognate, e quand'anche fosse presa a pugni e a schiaffi, riusciva a scherzarci sopra, e se la rideva della grossa; si spogliava e mostrava nudo a chicchessia il davanti e il didietro, che devono invece restare nascosti, invisibili agli uomini. Con i suoi amanti, era maliziosa e finta tonta; snervandoli con sempre nuove tecniche di accoppiamento, riusci va a legarsi per sempre l'affetto di quei dissoluti. Non pensava certo d'essere abbordata da chicchessia, al contrario, ci pensava lei a provocare chiunque capitasse, con i suoi sorrisetti, con i suoi buffi ancheggiamenti: e soprattutto tentava i ragazzini. Mai vi fu persona più succuba a qualsivoglia forma del piacere; spesso giungeva a presentarsi a pranzo con dieci giovanotti, o anche di più, tutti nel pieno delle forze e dediti al mestiere del sesso; trascorreva l'intera notte a letto con tutti i commensali, e quando erano giunti tutti allo stremo, quella passava ai loro servitori, che potevano essere una trentina; s'accoppiava con ciascuno di loro, ma neppure così riusciva a soddisfare la sua lussuria.
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