I Giustiniani di Genova
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Η επίδραση των Giustiniani στη Χίο
The story of a noble
Genoese family that formed a dynasty in the island of Chios in the Aegean
stemma dei Giustiniani (Palazzo Giustiniani Bassano Romano)
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"O dura schiatta dei Giustiniani, nova sovranità della Maona libera,
dinastia di popolani magnifici, di re senza corona,
che profuman di mastice la bianca scìa o la segnan d'una rossa zona,
quando nell'isola Andriolo Banca orna templi, deduce carmi,
venera Omero, èduca lauri,
schiavi affranca!
Navi d'Italia, ecco l'Egeo. Chi viene da Lesbo? chi da Coo?
Navi d'Italia, l'Ombre cantano come le sirene."
GABRIELE D'ANNUNZIO, Canzone dei Dardanelli - "MEROPE"
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Antiche tradizioni, non
suffragate da prova storica, farebbero risalire i Giustiniani alla gens Anicia
romana, una delle famiglie della Repubblica e dell'Impero Romano. Personaggi dal nome
Anicio (Anicius) appaiono nel II secolo a.C., per lo più col cognome Gallus. Tracce di questa famiglia che ne testimoniano l'importanza anche a Roma dove è presente
un iscrizione sulla Via Appia Antica posta all'altezza dell'incrocio tra Via di Tor
Carbone e Via Erode Attico.
Da attribuirsi ad una leggenda, ancorché accolta da tutti i cronisti e storiografi che si
occuparono di questa famiglia, quella che vede i due casati Giustiniani di Genova e di
Venezia discendere dai figli di Giustino II, nipoti di Giustiniano imperatore Romano
doriente, Marco e Angelo vissuti verso il 720 d.C.
Una delle più conosciute
cronologie genealogiche
sui Giustiniani di Genova fa iniziare lo stipite Genovese da Sesto Anicio
Basilista imperatore nell'anno di Cristo 262.
Curioso anche il fatto che, allora come oggi, i Giustiniani di Genova e di Venezia si
sentissero in un certo modo consanguinei, nonostante le due Serenissime Repubbliche nel
corso della storia fossero più nemiche che amiche. Molte comunque sono le presenze della
famiglia Giustiniani individuate in diverse località dellarea mediterranea fin
dallanno mille.
In effetti i Giustiniani di Genova più che da antiche discendenze, nascono a
Genova il 27 febbraio 1347, come nome di una società: la Maona,
la prima società per azioni documentata nella storia, sorta per lo sfruttamento per conto
della Repubblica Genovese dellIsola di Chios nell'Egeo nord orientale, patria di
Omero e ricca di un albero, il lentisco, che solo qui, produce una sostanza resinosa: il
mastice, fonte all'epoca d'enorme ricchezza.
Ben presto i Maonesi, appartenenti a famiglie già in vista nella Genova di
allora, assunsero tutti il nome di Giustiniani perdendo il proprio. Pur continuando a
mantenere un saldo legame con la madrepatria e ricevere prestigiosi incarichi di governo,
i Giustiniani mantennero il dominio di Chios fino al 1566 alla conquista da
parte degli Ottomani diventando una sorta di Sovrani dell’isola pur mantenendo
il loro status di Nobilis Civis Januae, nobili cittadini Genovesi. Il popolo di Chios
infatti chiamava i Giustiniani con i titoli di Signori, Principi, Sovrani; i
documenti e gli scrittori li appellano come Dynastae alla greca e così li
chiama anche la Sacra Rota non più tardi del 14 giugno 1839 (Vincentius ex
Nobilissima Ianuensi familia Justinianorum dynastarum olim Chij in mari Aegeo). E
dynastes dal greco è princeps, regulus: signore, barone, principe e re.
La casata dei Giustiniani fu albergo, unistituzione privata ma
riconosciuta dagli statuti genovesi, sino alla riforma del 1528 e influenzerà non solo la
vita politica ma anche lurbanistica cittadina, poiché gli alberghi impongono la
contiguità dellabitazione ai propri aderenti che abitano case distribuite attorno a
piazze private e talvolta munite di una propria chiesa. La pratica dellendogamia,
cioè luso di contrarre matrimoni allinterno dellalbergo, contribuisce a
formare, di generazione in generazione, inoltre, ununica famiglia dove tutti sono
consanguinei e tutti si sentono parenti. I Giustiniani, avevano fatte proprie tutte le
prerogative della nobiltà genovese. Erano qualificati come mercanti, dove il termine
identificava i banchieri e i protagonisti dei grandi traffici internazionali che spesso
godono fuori dal dominio genovese di vere e proprie signorie feudali. I Giustiniani si
imparentavano abitualmente con stirpi signorili liguri e italiane e vi appartenevano
giureconsulti, medici, cavalieri, alti prelati e uomini di cultura.
Nel panorama politico genovese lalbergo Giustiniani si mantiene quasi sempre
neutrale e difficilmente prende parte evidente ai frequenti scontri tra le diverse fazioni
nel corso dei secoli. Con la costituzione della Repubblica aristocratica Genovese,
instaurata da Andrea Doria nel 1528, il ruolo e lo status dei Giustiniani trovano pieno
riconoscimento. Negli oltre duecentocinquantanni di vita della Repubblica, i
Giustiniani diedero cinque dogi, innumerevoli senatori e altri magistrati di governo.
La caduta di Chios nel 1566 e il martirio dei giovani della famiglia, che rifiutando di
abiurare la fede cristiana, saranno a lungo additati ad esempio dalle potenze occidentali
impegnate nella lotta contro lIslam, non impedisce ai Giustiniani di reagire
mantenendo potere e prestigio in patria e nelle altre sedi di nuova residenza, prime fra
tutte Roma e la Sicilia. Benchè privi delle antiche prerogative signorili, hanno ancora
una distinzione sociale indiscussa ed era prassi per tutti trascorrere un periodo a
Genova, probabilmente per curare i propri interessi sulle rendite del Banco di San Giorgio
che tutti gli alberghi avevano e che costituiscono un elemento di continuità per le
generazioni.
Dalle testimonianze emerge un vero attaccamento di tutti i Giustiniani a Genova sia per
quelli che vi risiedono sia per quelli che hanno fatto fortuna altrove e il senso di
appartenenza al clan è sempre fortissimo e ciò è dimostrato dalla perdurante prassi
delle nozze endogamiche anche dopo il XVII secolo.
A Roma la famiglia, grazie a Vincenzo Giustiniani, marchese e principe di Bassano aumentò
di gloria e di fama. Vincenzo si può considerare il primo grande collezionista della
storia, scopritore del grande pittore Caravaggio. I fasti della prestigiosa collezione
Giustiniani, ora dispersa in musei e collezioni private, sono stati celebrati in una
mostra proprio a Palazzo Giustiniani (ora di proprietà del Senato della Repubblica) a
Roma nel 2001. Alla sua morte nel 1631, senza eredi diretti, il Marchese Vincenzo lascia
titolo e beni ad un suo nipote: Andrea Cassano Banca Giustiniani, futuro Principe di
Bassano ed istituisce un articolato fedecommesso testamentario in cui ricomprende, per una
parte, praticamente tutti i discendenti Giustiniani che possano vantare una parentela con
quelli di Chios, anche se non direttamente con il Marchese Vincenzo.
La vicenda giudiziaria delleredità contesa si protrasse fino al 1958 dove il
Tribunale di Genova accertò ben 288 discendenti divisi in 12 stirpi tra gli intervenuti e
la definiva divisione della residua eredità. Dunque, chi poteva dimostrare la discendenza
dai Giustiniani di Chios, avrebbe dovuto intervenire nel processo per far valere i suoi
eventuali diritti. Chi non lha fatto, per mancanza di documentazione o semplicemente
per ignoranza, non potrà vantare i diritti sulleredità.
Pur decorati di innumerevoli dignità i Giustiniani sono oggi conosciuti come marchesi e
patrizi genovesi e non come nobili cittadini Genovesi e principi di Chio,
titoli che, avrebbero più autenticamente espresso il valore storico e il ruolo incarnato
da questa famiglia nel corso dei secoli, e sarebbero stati, dunque, maggiormente
corrispondenti allideale nobiliare inteso non quale privilegio fine a se stesso o
fatto meramente onorifico ma quale espressione di Tradizione e delloperato
socio-politico-economico di un ceto dirigente del quale i Giustiniani furono autorevole
parte.
Nel sito, la storia della Famiglia Giustiniani di Genova, della sua discendenza e della
vicenda giudiziaria delleredità contesa e i motivi per i quali tutti i Giustiniani
che ritengano di poter dimostrare, o supporre, di discendere dai Giustiniani di Chios,
possano considerarsi, anche non avendo partecipato al giudizio del 1958, anche se non
primogeniti del loro ramo, sia uomini che donne, nobili della Repubblica Genovese, parenti
.... e soci.
Per concludere ricordiamo l’incisiva descrizione della
famiglia fatta dallo storico Agostino Della Cella che nel 1782, celebrandone la
storia, ricorda: "Altresì in Roma
luminosa risplende la Giustiniana famiglia al presente nei signori Principi di Bassano
Giustiniani genovesi, i quali continuando verace affezione alla Patria seguitano a voler
lascrizione fra la genovese nobiltà. In altre parti dItalia, poi, nella
Spagna, Francia e Fiandra han continuato per più tempo e forte tuttora continuano
altri rami di cotesta nobilissima famiglia, con cariche illustri e decorati di titoli e
signorie pregiatissime... al presente di vita in più rami riluce in Genova la Giustiniana
famiglia corredata anche in comune di redditi e dispense considerabili et in particolare
di copiose ricchezze, ornata di titoli, feudi, signorie".
Le vicende storiche della contesa dell'eredità dei Giustiniani di Genova fino al 1958
Fidecommisseria Giustiniani
Elenco Inventario n. 93 trascritto a cura di Francesco Tripodi
(Archivio di Stato di Genova)
L'elenco descrive le carte prodotte dalla Fidecommisseria Giustiniani, giunte all’Archivio di Stato il 18 aprile 1984, a seguito del deposito effettuato dall’amministrazione avv. Mario Loi. Il fondo è composto da 292 unità numerate da 1 a 285, comprese tra i secoli XVI e XX. Sebbene
non sia stato oggetto di interventi ri riordinamento successivi al versamento, sono raggruppate in otto serie dotate di una certa omogeneità interna ora dal punto di vista formale ora da quello tematico. L’elenco proposto è la mera copia dell’elenco di versamento del 1984, è
stato compiuto un rapido controllo a scaffale che ha evidenziato alcune discrepanze che per il momento sono state recepite nell’attuale elenco senza ulteriori approfondimenti
PREMESSA METODOLOGICA
Perché cercare chi ci ha preceduto nel tempo? Quale vana gloria ci
spinge? Già il poeta Giovenale nella sua ottava satira avvertiva sulla
pericolosa ambizione dei vivi di ricercare nel proprio passato antenati famosi, quando
ormai nulla più li lega a loro: Stemmata quid faciunt? Quid prodest, Pontile,
longo. Sanguine censeri, pictosque ostendere vultus. Maiorum, et stantes in curribus
AEmilianos
Quis fructus generis tabula iactare capaci. Fumosos equitum cum
Dictatore magistros. Si coram Lepidis male vivitur? (traducibile come:
Gran lignaggio a che vale? Esser dantico sangue famoso, e porre in mostra i
pinti volti degli avi, o Pontico, che giova?... Qual pro, che in ampia tavola si vanti
dequestri affumicati Condottieri la lunga schiera al Dittator vicina, se male in
faccia ai Lepidi si vive?).
Una risposta ci viene dallo storico ligure Stefano Agostino Della Cella vissuto alla fine
del XVIII secolo: ciò che guida nella ricerca genealogica è ricercare le virtù degli
antichi genovesi, lintrepidezza ed il coraggio che avevano reso
potente la città, e sul loro stile di vita indefessamente faticoso, sobrio e
frugale, del quale hanno orrore e vergogna i moderni a farsi
imitatori. Ricerca quindi come esempio e stimolo per i contemporanei. Risposta
alla legittimizzazione del posto occupato da un individuo in una configurazione parentale
o allinterno di un tessuto economico sociale.
Ricostruire, tassello per tassello, il grande mosaico genealogico di una famiglia, è come
fare un affascinante viaggio. Svolgere una ricerca genealogica non vuol dire andare alla
ricerca di ascendenti illustri, ma ricostruire le origini del proprio ceppo familiare
risalendo all'indietro nelle generazioni e nei secoli a seconda delle fonti disponibili.
La ricerca genealogica è una forma di memoria collettiva espressa nellidioma della
parentela.
Su questo sito la storia della famiglia Giustiniani. La storia, quella a noi più vicina
che ci appartiene non deve andar dimenticata. Chi non ha memoria non ha
futuro. Il tramandarsi queste conoscenze, ci rende in qualche modo immortali e fa
vivere nella memoria dei vivi, coloro che sarebbero presto dimenticati. Ricordiamo che
tutto quello che siamo lo dobbiamo spesso a coloro che ci hanno preceduto.
Mi auguro comunque che agli occhi del lettore questo lavoro non sembri
auto celebrativo, ma soltanto un minuzioso ed imperfetto racconto
storico a disposizione di tutti gratuitamente, così come voluto
dallautore. Proprio per questo motivo ho preferito non farne oggetto di un libro che
non mi avrebbe portato né soldi né onori e soprattutto sarebbe stato
letto solo da pochi parenti ed amici e fatto sicuramente qualche nemico.
Sul finire dello stesso secolo si riporta in una cronaca
genovese che
vi sono infiniti
Spinoli che zappano in quelle montagne, né li fa nobili il domandarsi Spinoli, ma
lesser scritto nel libro della nobiltà , ribadendo quanto fosse dubbio il
concetto di una nobiltà di sangue preteso dai vecchi nobili, ancor più se
argomentato sulla pura condivisione del cognome. Gli storici Dalla Cella e Garibaldi
considerano nobile chi si è distinto per il valore militare ,
lattaccamento alla patria e il giusto ardente zelo della libertà
,
più di chi abbia acquisito un titolo senza dare prova di possedere tali valori; come si
può affermare delle famiglie che vengono in altre regioni servilmente innalzate
a fumosi titoli. E infatti di gran lunga più nobile
la
difesa e lamore della libertà propria, piuttosto che la forsennata vendita
del proprio sangue ad un vile interesse, o la malnata ubbidienza alla ingiusta e talor
tirannica ambizione di un regnante (Stefano Agostino Della Cella: Famiglie
di Genova, ms in 3 tomi 1782-1784). Viene così riaffermata lidea di una nobiltà di ascendenza comunale non feudale,
come più volte ribadita nella storia genovese.
Emblematico a tal proposito il Dialogo della repubblica di Genova stampato a Roma da Uberto Foglietta nel 1559.
Il nome di nobile, sostiene l’annalista, non veniva ai cittadini genovesi «da altra origine o cagione, che dalla amministratione della Repubblica».
Le leggi del 1528 avrebbero cercato di modificare artificiosamente questo dato di fatto, provocando in realtà maggiori fratture tra nobili e popolari rispetto a quanto non avvenisse in passato.
L’emergere, con il procedere dei secoli XVI e XVII, della questione dell’esercizio delle arti nobili e meccaniche come elemento ostativo all’accesso alla nobiltà, appare più un portato delle discussioni che da lungo tempo conducevano giuristi
e filosofi di altre parti d’Italia, che non un’esigenza realmente sentita nella città di Genova. Come riassume lo stesso Foglietta nel 1575, «la città nostra non tollera alcuna forma di Repubblica che quella nella quale tutti i cittadini di governo
sono un corpo solo senza alcuna distintione». Si è nobili in quanto si partecipa al governo e ulteriori specificazioni, quali quelle di nobili o popolari,
sono percepite come artificiose e scarsamente rispondenti alla realtà cittadina. La costruzione della memoria del casato è solo una delle strategie messe in campo per rafforzare la propria posizione nel seno della nobiltà locale.
Un’altra via molto frequente, e battuta anche dai Giustiniani romani, è quella dell’acquisizione di un feudo, che nel caso specifico corrisponde a quello di Bassano
(di Sutri) Romano.
La nobiltà per le famiglie Genovesi, è quindi semplicemente uno strumento per accedere al governo e ci si concentra perciò sulle prove strettamente necessarie a tale scopo. Le strategie di riconoscimento nobiliare
di rango "pricnipesco" e non "civico" vengono perciò dalle famiglie genovesi solo per adattarsi secondo il contesto nel
quale operano.
Concetto anche ripreso da altri storici
più avanti, come il notaio chiavarese Angelo Della Cella, che giudica chimerico
questo vocabolo di nobiltà solo riferibile per lo più ai ricchi
né so figurarmi
per nobile se non colui che difese e governò con disinteresse e plauso la propria
Patria.
.... (continua in:
La ricerca
genealogia in ambito ligure tratto in parte dal lavoro di Massimo Angelini:
La cultura genealogica in
area ligure nel XVIII secolo introduzione ai repertori della famiglie
,
pubblicata negli Atti della Società ligure di Storia Patria, n.s. XXXV
(1995), I, pp. 189-212).
Dello stesso autore segnalo anche:
Linvenzione
epigrafica delle origini famigliari .
Sulla particolare origine dei Giustiniani: La "genealogia incredibile" di un albergo della Repubblica tra memoria erudita e memoria istituzionale
Qui trovate la prima opera del 1882 (in tedesco), qui tradotta in Francese da Etienne A. Vlasto, della
Storia dei Giustiniani dinastia di Chio di Carl Hopf
Les Giustiniani dynastes de Chios
Delle Imprese e del Dominio dei Genovesi nella Grecia di Carlo Pagano 1846 (in estratto)
LE ORIGINI DELLA FAMIGLIA GIUSTINIANI
Facilmente si associa il cognome Giustiniani a quello dellimperatore romano
dOriente Giustiniano, autore del famoso corpo legislativo. Pur se antiche
tradizioni, non suffragate da prova storica, farebbero risalire i Giustiniani alla gens
Anicia romana
(Antica genealogia della famiglia Giustiniani), è solo una leggenda, ancorché accolta da tutti i cronisti e storiografi
che si occuparono di questa famiglia, quella che vede i due casati Giustiniani di Genova e
di Venezia discendere dai figli di Giustino II, nipoti di Giustiniano imperatore Romano
doriente, Marco e Angelo (Altri studiosi parlano di un terzo fratello, Pietro, che
si sarebbe stabilito in Lombardia (per altri a Firenze, per la presenza in città di un
ramo Giustiniani poi estinto) futuro capostipite di molte nobilissime famiglie, quali gli
Acciaioli, i Visconti, i Torriani e i Della Torre), vissuti verso il 720 d.C. ed esiliati
dallimperatore Leone III lIsaurico da Costantinopoli per non costituire
minaccia al suo debole regime.
Andrea Giustiniani, primo principe di Bassano per rendere visibile tale “mitica” ascendenza, pose al centro del giardino di
Villa Giustiniani Massimi a San Giovanni, dove ancora troneggia, un colossale torso acefalo di marmo greco che nel 1638 Arcangelo Gonnelli, uno scultore della cerchia dell’Algardi specialista in restauri secondo il gusto del tempo, integrò abbondantemente (per la testa si rifece ad un ritratto giovanile di Marco Aurelio) trasformandolo nell’imperatore Giustiniano raffigurato nel fiore dell’età.
Curioso anche il fatto che, allora come oggi, i Giustiniani di Genova e di Venezia si
sentissero in un certo modo consanguinei, nonostante le due Serenissime Repubbliche nel
corso della storia fossero più nemiche che amiche. La leggenda narra che Angelo sposò la
nipote del doge Marcello Tegalliano e fu il capostipite dei Giustiniani di Venezia, mentre
Marco, rifugiatosi a Genova nel 722 d.C., sposò Beatrice figlia di Ludovico Cibo-Seniz,
guerriero di Liutprando re dei Longobardi conquistatore di Ravenna. Da Marco sarebbe nato
Giovanni Pietro, che sotto le insegne pontificie difese il Papa da Astolfo re dei
Longobardi nel 754 e sposò Laura Savelli figlia di Flavio barone romano. Dalla loro
unione nacque Marco II e così via fino alla nascita dellalbergo Giustiniani. Un
dettaglio di questa discendenza fu pubblicato dal Principe Onorato Giustiniani Arangi.
L’esigenza di fornire prove convincenti della genealogia del casato raggiunge livelli iperbolici in un testo di 14 pagine fittamente scritte, intitolato
Discorso e nota sopra l’origine dell’Eccellentissima famiglia Giustiniana nella città di Genova, e del nome di molti Huomini illustri della detta Eccellentissima famiglia (Roma, Archivio di Stato, Archivio Giustiniani, b. 1).
Dopo aver lamentato che Agostino Giustiniani, per quanto appartenente al casato, avesse scarsa contezza delle sue origini, viene riferito del dialogo avuto a Savona da Ansaldo Giustiniani di Genova in casa del veneziano Giacomo Giustiniano.
La narrazione, a dire dell’autore corroborata dal cardinale Vincenzo Giustiniani per averla letta in un libro «della libreria di San Marco di Venezia» redatto da tal Andrea Angelo, parla di tre fratelli discendenti da Giustiniano imperatore,
che sarebbero approdati rispettiva- mente a Venezia, Chioggia e Genova. Essi sarebbero stati i figli di Angelo, figlio di Giovanni, figlio di Giustino (fondatore di Giustinopoli, l’attuale Capodistria), nato da Giovanni IV e Vigilante, la figlia di Giustiniano.
A riprova della serietà con cui si è condotta l’indagine, ci si premura di sottolineare che, tuttavia, secondo Ansaldo Giustiniani, «huomo litterato et versato nell’Istorie particolarmente de Greci come quello che era nato in Scio, et ivi haveva atteso con molta
diligenza alle lettere latine e greche», la storia non sarebbe affidabile: egli è infatti convinto che Giovanni non fosse figlio di Giustino, bensì di sua sorella!
Il veneziano sarebbe stato il primo tribuno della città; il secondo fratello, da Chioggia, si sarebbe trasferito a Milano e da lui, secondo alcuni, sarebbero discesi nientemeno che gli Acciaiuoli e i Ferreri;
il terzo sarebbe andato a Genova. Giusta la spiegazione fornita nel documento precedente, i tre fratelli avrebbero abbandonato il cognome Giustiniani per identificare i loro numerosi rami con soprannomi «tolti da qualche luogo, ove habitano o signoreggiano
o da qualche altro accidente». Quando Genova propose loro il governo e l’amministrazione di Chio e delle Focee, prosegue l’anonimo estensore del manoscritto,
i Giustiniani, come quelli che riconoscevano l’origine loro venire da Levante, volentieri accettorono il partito e, poiché vi erano alcune altre famiglie partecipanti, i Giustiniani pagarono a ciaschuno quella parte ch’a loro toccava e condussero quasi tutto
il loro possesso nella loro famiglia.
All’anonimo estensore resta da spiegare il motivo dell’abbandono dell’aquila imperiale nello stemma: il simbolo sarebbe stato abbandonato dai fratelli per poter più facilmente portar via i loro beni quando lasciarono Costantinopoli
«come sospetti a chi allora teneva l’Imperio de Greci». La famiglia veneziana avrebbe poi recuperato l’aquila nello stemma, che i genovesi avrebbero reinserito a seguito della concessione fatta dall’imperatore Sigismondo a un ambasciatore Giustiniani
a Udine nel 1413.
Leggende alimentate dal fatto che, soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento, fu
consuetudine delle famiglie patrizie, specie se di recente fortuna, accreditare le proprie
origini con genealogie che partendo dallassonanza dei nomi, finivano per agganciarsi
a personaggi illustri della storia antica. Famose le false ricostruzioni storiche e i
falsi diplomi antichi del cinquecentista Alfonso Ceccarelli, medico ed erudito, nato a
Bavagna nel 1533 morto per condanna a morte a Castel Sant'Angelo (Roma) nel 1583, dopo
aver realizzato la sua ultima contraffazione: quella della donazione di
Costantino. Genealogia quindi mercenaria, intesa come elaborazione e celebrazione di
un mito delle origini famigliari, praticata talvolta con manifesta disinvoltura più che
con rigorosa analisi storica. Esempi si rinvengono anche ai giorni nostri. Le presenze
della famiglia Giustiniani prima della costituzione della Maona nel XIV secolo, sono state
comunque individuate in diverse località dellarea mediterranea. Nel II secolo a.C.,
le nobili e ricche famiglie romane cominciano a costruire le loro suntuose ville fuori dai
limitati spazi cittadini, stabilendosi in grandi tenute autonome. Si riducono i villaggi e
il territorio risulta sempre più occupato da grandi proprietà private. Così può essere
successo per la Gens Anicia che, allatto delle invasioni barbariche, abbia
cercato scampo in territori, come le isole, rimasti indenni dalle invasioni. E certo
che a partire dal IX-X secolo il nome Giustiniani era noto in tutto il Mediterraneo.
La "genealogia incredibile" di un albergo della Repubblica tra memoria erudita e memoria istituzionale
(di Daniele Tinterri)
La fondazione e lo sviluppo dell’albergo genovese dei Giustiniani presentano alcune
specificità che condizionano fortemente la memoria del gruppo parentelare tra XVI e XVII
secolo. Il contributo prende in considerazione le narrazioni genealogiche elaborate a Genova
e Roma, due contesti che differiscono profondamente sia per modalità di partecipazione
all’amministrazione e al governo, sia per struttura istituzionale e civica. Al mutare del contesto,
anche la rappresentazione dell’ascendenza nobiliare muta radicalmente. Nella città ligure,
esigenze di carattere politico e amministrativo impongono una narrazione ancorata a fonti
scritte e orali codificate e condivise nel gruppo di governo per l’accesso alle magistrature. In
ambito romano, invece, l’elemento genealogico svolge un ruolo principalmente di prestigio e
deve confrontarsi con un contesto internazionale in cui il concetto di nobiltà conosce sviluppi
assai diversi dalle precedenti esperienze comunali italiane. Tale circostanza induce ad accordare
maggiore spazio a narrazioni mitiche e incredibili, volte a sostenere la reputazione del lignaggio.
Si assiste perciò allo sviluppo di due diverse tendenze, riscontrabili in numerosi gruppi familiari tra XVI e XVII secolo. Da un lato, constatata la scarsità di documenti per i secoli più risalenti,
si cerca di colmare i vuoti con congetture assai scarsamente verificabili, producendo genealogie che
mescolano una parte più recente corroborata da riscontri documentari con una sezione antica densa di riferimenti a ipotetici antenati del periodo romano o crociato. Dall’altro lato, si cura attentamente di separare realtà e invenzione
allorché si sottopongono le proprie prove di nobiltà a un’autorità incaricata di verificarne l’attendibilità, ad esempio, per l’ammissione in un ordine cavalleresco o in un ceto di governo.
Se nel primo caso la ricostruzione genealogica non ha ricadute politiche o patrimoniali e può quindi indulgere in narrazioni più o meno fantasiose, nel secondo la prova di nobiltà emerge dal
resoconto delle vicende degli ultimi secoli senza bisogno di aggiunte, che potrebbero risultare addirittura controproducenti di fronte a un’autorità che ben conosce simili artifici.
L’analisi della memoria dei Giustiniani nei due diversi scenari consentirà di riflettere
su usi e scopi della memoria genealogica di un albergo genovese nel corso dell’Età moderna,
con particolare riferimento ai rapporti con le istituzioni civiche.
NASCITA DELLA MAONA GIUSTINIANI
STORIA DELLISOLA DI SCIO PRIMA DEI
GIUSTINIANI La prima colonizzazione Genovese di Chios nel XIII secolo. L'ascesa della
famiglia Zaccaria.
Il declino della potenza genovese si manifesta nel XIV secolo, attraverso due eventi che
da principio sembravano rilanciarla nel novero delle grandi potenze: linstaurazione
del governo popolare e linizio dellattività delle Maone.
Nellinsufficienza e nel subbuglio del potere centrale, nascono nuove associazioni
private volontarie per la tutela di particolari interessi politici ed economici, i
cosiddetti alberghi dei nobili e i conestagi popolari, che sono
simili alle consorterie che trecento anni prima avevano portato alla nascita del comune.
Lavventura di Chios comincia al momento dellelezione del suo primo Doge nel
1339, Simone Boccanegra, dei popolari, discendente del primo capitano del
popolo. Nel 1339, con l’avvento a Genova del dogato popolare, tutti i nobili furono esclusi dal
governo e molti si rifugiarono in Oltregiogo e in Riviera, nelle ville e nei feudi, da dove non
tardarono ad organizzare azioni armate e a sobillare il popolo contro il doge Simone
Boccanegra.
Nel 1344 il tentativo di pacificazione, con la creazione di un Consiglio dei Dodici, sei nobili e
sei popolari, fallì e il 23 dicembre Boccanegra si dimise. Il 25 dicembre 1344, subito dopo la rinuncia del Boccanegra, viene eletto Doge Giovanni da
Murta, che sotto l’arbitrato del Duca Luchino Visconti, riuscì a raggiungere un accordo tra
i popolari e i nobili, che poterono tornare in città e riavere i beni sequestrati.
Da questa amnistia furono però esclusi i fuoriusciti delle famiglie Fieschi, Grimaldi e Spinola,
che si radunarono a Roccabruna (tra Monte Carlo e Mentone) e a Monaco, proprietà dei
Grimaldi, ed iniziarono ad allestire un esercito di 10.000 uomini e una flotta di 34 galee
per attaccare direttamente Genova. Murta si adoperò per pacificare la città con spirito equo ed onesto, dovette
armare una piccola flotta di tre galere ed un corpo militare per domare la rivolta in
alcune località della Riviera ed in un secondo tempo 12 galere sconfiggendo di nuovo i
nobili arroccati a Ventimiglia.
Nel 1345, più o meno in concomitanza
della perdita dei possedimenti di Chios e
Focea nel Dodecaneso, il doge Giovanni De Murta
indice un concorso per formare un armata di navigli per espugnare Roccabruna e
Monaco divenuti il covo dei fuoriusciti avversari della Repubblica. A causa delle ristrettezze economiche in
cui versava lo stato, la decisione iniziale di armare le navi per comune fu modificata e si
ricorse ad armatori privati, con l’impegno di rifondere tutte le spese e gli eventuali dann1,
offrendo come garanzia un reddito corrispondente a 20.000 lire annue in comperis locorum
capituli civitatis eiusdem o in altri dazi.
Si presentarono in quarantaquattro, sette nobili e trentasette popolari, pronti ad armare ciascuno
una galea, ma quindici si tirarono indietro dopo la richiesta di 400 lire ciascuno come
garanzia. Di contro la Repubblica simpegnava a restituire il prestito
concedendo i bottini di guerra a titolo di risarcimento di questa spedizione.
Solo 29 dei candidati
di loro riuscirono ad armare una nave (altri dicono 25). Questo gruppo si costituì
attorno alla famiglia Giustiniani. La flotta fu armata da ben 6.000 uomini di cui 1.500
balestrieri. Il migliore armamento dellepoca, visto che nelle flotte erano anche
presenti i fabbri che garantivano una costante fornitura di frecce. Un cronista
dellepoca nota che tutti gli armati erano vestiti dello stesso panno, costituendo
quindi una formazione militare regolare.
Il comando fu affidato, il 19 gennaio 1346, al popolano
Simone Vignoso con il titolo di
Precettore o di comandante in capo della flotta. (estratto del "libro quarto"
della "Colonia dei Genovesi a Galata" riguardante la
storia della conquista di Chios (descritta da Ludovico Santi)
La flotta era pronta ad essere utilizzata contro gli avversari della Repubblica, ma gli
stessi intimoriti dalla poderosa flotta si rifugiarono a Marsiglia sotto la protezione del
Re di Francia. Decisione non fortunata in quanto gli stessi furono invitati a partecipare
alla guerra contro gli inglesi che li annientarono a Crecy.
La flotta si trovò quindi disoccupata ancor prima di cominciare, anche se a questo punto,
si era già accumulato un credito per il suo allestimento ed il suo mantenimento. La spedizione non si era svolta e il governo avrebbe avuto il diritto di annullare il contratto, ma
rifiutare l’indennità per le spese comunque sostenute avrebbe, con ogni probabilità, scoraggiato
futuri aiuti allo Stato e, naturalmente, creato malcontento e opposizione. Viste le
necessità della Repubblica di tutelare i suoi possedimenti in medio oriente, la flotta fu
inviata nel maggio dello stesso anno nel levante, per difendere gli interessi commerciali
Genovesi di Crimea a Caffa, tra cui i suoi ex possedimenti di
Focea Vecchia e
Focea Nuova,
governati dagli Zaccaria con il titolo di Re dellAsia Minore che erano stati ripresi
dallImperatore
Andronico
II nel 1325. A queste si aggiunse anche lisola di Chios, non posseduta dai
Zaccaria ma di cui ne avevano il titolo di Principi. Sugli stessi territori gravava poi la minaccia Mongola di Jani-beg e le mire
espansionistiche della Repubblica di Venezia.
Leventuale conquista di questi territori, avrebbe poi permesso di saldare il debito
contratto con i Giustiniani per lallestimento della flotta con una concessione
ventennale sugli stessi attraverso tutti i comodi e le utilità di tutti i luoghi e
le terre che sarebbero state acquistate dallammiraglio, dai capitani e dagli uomini
delle galee per lintera somma dovuta loro come compenso pari a 203.000 lire
genovine. Doveva essere quindi un rapporto di carattere feudale, una investitura
provvisoria delle conquiste future.
La partenza per loriente, aumentata di 4 galere, avvenne il 24 aprile 1346. Prima di
arrivare nellEgeo la flotta Genovese fu impegnata per la difesa della città di
Terracina dallassedio del Conte di Fondi. La città non era in grado di resistere e
si era offerta in sovranità perpetua a Genova. Le soverchianti forte Genovesi permisero
una facile vittoria. Per la conquista fu riconosciuto ai Giustiniani un ulteriore credito
valutato 3.600 fiorini doro. I dettagli di questo episodio sono narrati da Fabrizio
Apollonj Ghetti sulla Maona Giustiniani nel volume Destini di tre
secoli. La flotta proseguì verso Negroponte nellEubea dove Simone Vignoso
ebbe notizia che la flotta Veneziana capitanata dal Delfino di Vienne si apprestava a
conquistare i territori obiettivo della spedizione.
Le galee del Vignoso approdarono a Negroponte l’8 giugno, imbattendosi nelle navi della
lega papale che miravano a consolidare il possesso di Smirne, ripresa nel 1344 e in quel
momento minacciata dai Turchi. Le venti galee armate dal Papa, dal Re di Cipro, dai Cavalieri di Malta e da
Venezia, avevano conquistato Smirne contro i Turchi Selgiuchidi sotto il comando di Martino
Zaccaria ex Principe di Chios. Nel 1346, morto lo Zaccaria, Venezia aveva spedito un'altra
squadra nellEgeo al comando di Umberto II delfino di Vienna allo scopo di
consolidare la conquista di Smirne e soccorre Caffa. Umberto II cercò in tutti i modi di
convincere limperatrice Anna di Savoia vedova di Andronico III morto nel 1341, che
faceva parte della spedizione, di cedergli Chios come base delle operazioni.
Umberto invitò Vignoso a collaborare, ma il genovese rifiutò, ritenendo che l’isola, come anche
Focea, fosse di proprietà genovese, caduta in mano greca solo a causa di un tradimento.
Umberto tentò quindi di corromperlo, offrendo 10.000 monete d’oro per lui e 30.000 fiorini
d’oro per gli altri armatori, ma anche questa proposta fu rifiutata e Vignoso decise di
veleggiare lui stesso alla volta di Chio. Tre galee precedettero l’ammiraglio, con l’incarico di avvisare il governatore dell’isola
Giovanni Cibo dei piani di Umberto e di offrirgli aiuto e protezione a patto che inalberasse sul castello la bandiera della Repubblica e vi accogliesse dodici o quindici genovesi come
‘clienti’.
Senza aspettare l’arrivo dell’ambasciata inviata dall’imperatrice reggente per negoziare una
risoluzione pacifica, il governatore greco rifiutò l’offerta, affermando di essere in grado di
respingere qualsiasi attacco.
Dopo questo inutile intervento diplomatico con i Greci che cercavano di mantenersi
indipendenti, il Vignoso entrò nel porto di Chios il 16 giugno del 1346. In pochi giorni la parte meridionale,
dove si concentrava la produzione del mastice, e sei castelli vicini furono occupati. Il 21 giugno
iniziò l’assedio all’acropoli di Chio dove Cibo e i suoi uomini si erano trincerati. Sostennero il
blocco per tre mesi, ma il 12 settembre 1346 furono costretti ad arrendersi per la fame.
Lo stesso giorno, nella chiesa di S. Nicola all’interno della fortezza, furono firmati l’atto di resa
e il trattato che avrebbe regolato le relazioni tra i Genovesi e i Chioti.
La capitolazione fu firmata da Costantino di Chio, procuratore di Cibo, e da Vignoso e i suoi
consiglieri a nome del Comune di Genova. Il 16 settembre, il Vignoso si dirige
verso
Focea vecchia, invitando alla resa la popolazione, che si rifiutò, sperando nei rinforzi
da parte di un esercito turco. I Genovesi attaccarono, espugnando il castello dopo poche ore. Il governatore
Greco dell'isola di Chios Colajanni Cibo (Ziffo) firma la capitolazione dell'isola a Simone Vignoso
(atto di capitolazione
di chios 12 settembre 1346). Cibo giurava fedeltà alla Repubblica, che gli concedeva la cittadinanza, l’amnistia per i fatti
avvenuti nel 1329, la somma di 7.000 iperperi e l’immunità da tutte le tasse che sarebbero
state imposte dal Comune (ad eccezione di quelle commerciali) per se stesso, suo fratello Costa
e suo nipote Michele Coresi. Inoltre gli venivano confermati tutti i benefici ricevuti
dall’imperatore, manteneva tutti i suoi beni ed era libero di abitare, lasciare o ritornare
sull’isola.
Il trattato con la nobiltà greca di Chio fu firmato, a nome di tutta la popolazione chiota, da
membri delle famiglie nobili locali Argenti, Coresi, Cibo e Agelasto e, per Genova, da Vignoso
e dagli armatori.
Governati da un podestà genovese secondo le leggi della Repubblica e soggetti a questa
esattamente come prima lo erano all’imperatore, gli abitanti continuarono a godere della libertà
di culto e a mantenere le loro proprietà, privilegi e benefici.
Duecento case all’interno del castello vennero subito occupate per potervi collocare una
guarnigione, mentre le altre, destinate ad abitazione del podestà e del suo seguito, sarebbero
potute essere affittate o comprate prima del 1 maggio 1347.
Il 20 settembre
1346 un corpo di spedizione comandato da Pietro Recanelli Giustiniani,
luogotenente del Vignoso riconquista
Focea Nuova, dove risiedeva il governatore bizantino Leone Petronas
di Ninfeo. I suoi rappresentanti firmarono il giorno
stesso l’atto di capitolazione, le cui condizioni erano simili a quelle proposte ai Chioti, ad
eccezione di una clausola che vietava ai membri delle famiglie Zaccaria e Cattaneo di abitare,
possedere beni e ricoprire cariche pubbliche a Focea e nei dintorni.
Da questo momento la storia delle due Focee sarà legata a doppio filo con quella di Chio fino
alla loro caduta nelle mani di Maometto II nel 1455.
Mentre si appresta a riconquistare Tenedo e Lesbo, il Vignoso deve tornare a Chios
minacciata dagli imperiali. Il 9 novembre 1346, torna a Genova acclamato dalla folla. Il
doge non avendo risorse per ripagare il debito contratto con i nuovi ammiragli, cede ai 29
armatori (Mahonenses), il 27 febbraio 1347, la giurisdizione civile e delle
imposte di Chios (proprietas et dominium utile et directum) e il monopolio del commercio del mastice per 20
anni.
Il testo della convenzione divide il governo
dell’isola e delle due Focee tra il Comune, che si riserva sovranità e
giurisdizione (merum et mixtum imperium), e gli armatori, che ottengono la
proprietà, la gestione e i redditi che ne risultano (dominium utile et directum).
I titoli di credito degli armatori erano ripartiti in azioni chiamate
‘luoghi’, al prezzo di 100 lire ciascuno, i quali potevano essere divisi, venduti
o trasmessi ad altri membri della famiglia
La difesa e lamministrazione delle colonie furono affidate esclusivamente ai
Maonesi. La giurisdizione civile e
militare, la proprietà dei tre capoluoghi (Chios e le due Focee) col diritto di nominarvi
i podestà e i castellani, sempre daccordo con i Maonesi. Questa è la prima formazione della Maona (detta poi la vecchia) che nel 1359
assunse il nome di Giustiniani per dare un suono esplicito al consorzio famigliare da loro
creato. La Repubblica si riservava la
sovranità sui territori conquistati, la giurisdizione suprema civile e criminale (merum et mixtum
imperium et omnimoda iurisdictio) e la proprietà dei tre capoluoghi governati attraverso
podestà e castellani, da lei nominati con l’assenso dei Maonesi.
L’accordo, che era quindi una delega di funzioni statali ad una associazione privata, prevedeva
il diritto di riscatto da parte della Repubblica: le 203.000 lire genovesi (7.000 lire per ciascuna
galea) dovute ai Maonesi erano state convertite in azioni, che qualora riscattate entro venti
anni avrebbero permesso al governo di Genova di ritornare in pieno possesso di quei territori.
La validità della convenzione era inoltre vincolata alla permanenza al potere del governo
popolare: in caso di rivolgimento politico sarebbe decaduta e i soci sarebbero stati sciolti da
ogni vincolo di soggezione.
Le Maone nate come istituzioni private al servizio dello Stato, non potevano sempre avere
una politica in linea con quella governativa. Alla pari delle future compagnie coloniali
Spagnole ed Inglesi dovevano tener docchio la buona gestione ancor prima che la
grandezza dello Stato. Un sistema che aveva degli indubbi vantaggi anche per Genova sul
fronte diplomatico, nel poter disconoscere le azioni dei privati in caso di bisogno.
Durante lassedio di Chios, limperatrice Anna di Savoia aveva mandato
lammiraglio Italiano Facciolati con poche navi Greche ad assalire i mercantili
genovesi a Galata non potendo fronteggiare larmata del Vignoso. Grazie
allinsurrezione della città, la stessa Imperatrice fu costretta a pagare un
indennizzo. Lanno successivo nel 1348, il nuovo imperatore
Giovanni Cantacuzeno
(Capo effettivo della ribellione che aveva portato al potere Andronico III, ne divenne il megas
domestikos (comandante supremo delle forze armate). Morto Andronico il 15 giugno 1341 con il
figlio Giovanni V di soli 9 anni, scoppiò una guerra civile tra Cantacuzeno e l’ imperatrice madre
Anna di Savoia. Nel febbraio 1347 divenne imperatore grazie a un accordo con la reggente, secondo il
quale avrebbe regnato da solo per 10 anni e poi insieme a Giovanni V Paleologo, il quale però nel
novembre 1354 lo costrinse ad abdicare e prendere abito monacale, assumendo il pieno potere) chiese
al comune la restituzione di Chios e
Focea, mandando
ambasciatore a Genova. Il Doge, astutamente emanò un provvedimento
ma ben consapevole che la Maona non gli avrebbe ubbidito. Il Dodecaneso infestato dai
pirati, è ora minacciato dai mongoli. Genova cerca la protezione imperiale, senza troppo
penalizzare i suoi traffici. Impone un dazio alla Maona a favore dellimperatore che
la obbliga ad innalzare la bandiera imperiale. Si stabiliva che i Maonesi avrebbero mantenuto la città di Chio e goduto delle sue
rendite per dieci anni a patto di pagare un tributo annuo di 12.000 pezzi d’oro all’imperatore,
innalzare la sua bandiera, menzionare il suo nome nelle preghiere pubbliche e accettare un
metropolita dalla chiesa di Costantinopoli. Il resto dell’isola, le fortezze e i villaggi, e anche i
Greci che abitavano in città sarebbero stati governati dall’imperatore, che avrebbe inviato un
eparca e deciso anche sulle dispute tra Greci, mentre quelle tra Greci e Genovesi dovevano
essere portate di fronte alle due autorità, bizantina e genovese. Alla fine dei dieci anni i
Genovesi avrebbero dovuto lasciare completamente l’isola. In realtà tale provvedimento rimarrà, di
fatto, inapplicato.
Con laiuto del Genovese Giovanni Cybo, gli imperiali muovono per riprendersi il
possesso dellisola. Il Cantacuzeno favorito dalla popolazione riesce a riprendere le
due Focee, ma fallisce la presa di Chios. Due navi genovesi al comando di Andrea Petrelli dirette a Costantinopoli, avendo notizia
dell’assedio dei loro compatrioti, portarono il proprio aiuto. I Greci furono ancora una volta
vittoriosi, ma ferito e ucciso Cibo, i Focesi ritornarono in patria e i Genovesi, rimasti signori
dell’isola, si trovarono nella posizione ideale per ignorare le limitazioni della loro sovranità che
l’imperatore cercava di imporre. Le
relazioni con l’impero migliorarono invece con la sconfitta di Cantacuzeno da parte di Giovanni
V Paleologo, il quale nel 1355 con la Bolla Aurea concesse l’isola ai Maonesi, insieme al
diritto di battere moneta, in cambio di un tributo annuo di 500 iperperi.
Il possesso legale non solo di Chio, ma anche di Samo, Enussa, Icaria, Psara e Focea fu
riconfermato a Tommaso Giustiniani Longo e ai suoi soci nel giugno del 1367.
Al 1348 viene fatta risalire dallo storico Ph. P. Argenti
,anche una congiura contro i Maonesi, nella quale
sarebbe stato implicato il vescovo metropolita greco. Il piano, che doveva essere attuato la
domenica di Pasqua, fallì per un tradimento. I cospiratori furono arrestati, processati e
condannati a morte. Il metropolita fu bandito e fu sostituito da un Dichaios, eletto dai Maonesi
e, solo in un secondo momento, confermato dal Patriarca di Costantinopoli.
Nel Gennaio del 1350, muore il doge Giovanni da Murta per
un epidemia di peste, diffusasi in Europa proprio a partire da Caffa in Crimea. La
popolazione Europea viene decimata con una mortalità nelle città tra il 40% ed il 60%.
Nello stesso anno scoppia una nuova guerra tra Genova e Venezia.
Nel settembre dello stesso anno trentacinque galee venete attaccano al largo di Chios
quattordici galee genovesi comandate da Nicolò Dè Maineri, distruggendone dieci. Le
restanti quattro, unite ad altre quattro comandate da Filippo DOria, riescono il 10
ottobre a distruggere 20 galee venete e ad espugnare il castello di Caristo, tornando a
Chios cariche di bottino.
Nel maggio 1351 la repubblica veneta si alleò con l’imperatore Cantacuzeno, il quale si
impegnava a fornire una flotta per attaccare i Genovesi nel Levante a condizione che i
Veneziani sostenessero un terzo delle spese e che, se Chio fosse stata presa, sarebbe ritornata
all’Impero. Venezia avida di vendetta, manda un altra flotta a riconquistare lisola, ma la
situazione politica muta rapidamente per lincombente minaccia Ottomana. Il conflitto
tra Genova e Venezia si ricompone, tanto che troviamo la Maona alleata con Venezia nella
nuova lega contro i Turchi del luglio 1352.
I Maonesi, quasi tutti residenti a Genova dopo la spedizione, iniziarono presto ad appaltare la
riscossione delle imposte ad una società, che si era formata nel 1349 per l’estrazione del
mastice, e poi a vendere le azioni; nel 1358 l’isola era in mano ad otto uomini, dei quali solo
Lanfranco Drizzacorne era uno dei soci originari della Maona.
A seguito di tutte queste vicissitudini la vecchia Maona non riuscì più ad essere
efficacemente operativa a seguito di defezioni e vendite delle quote. La Repubblica
Genovese non essendo ancora in grado di saldare il suo debito cercò un compromesso tra i
vecchi creditori e i nuovi aventi diritto. L8 marzo 1362 (il contratto della nuova Maona e
la Repubblica Genovese ) fu stabilito che si formasse una nuova società
cui sarebbe andato il governo e lo sfruttamento commerciale di Chios per dodici anni fino
al 14 febbraio 1374 e che la vecchia Maona fosse liquidata dalla medesima
mediante il pagamento del debito residuo vantato con la Repubblica nel 1347. Tale
contratto aveva validità fino a quando a Genova fosse rimasto il governo popolare. La
Repubblica si riservò il diritto di risolvere il contratto anticipatamente, fino al 27
febbraio 1367, con il pagamento del debito delle 203.000 lire genovine ai Giustiniani. Fu stabilita una prima proroga dal 26 febbraio 1370 al 26 febbraio
1374, dopo la quale il diritto sarebbe decaduto definitivamente, ma come vedremo in seguito alla fine divenne perpetuo.
Il 14 novembre 1362 nasce la nuova Maona dei Giustiniani sotto la direzione di
Pasquale Forneto e Giovanni Oliviero. I soci fondatori erano dodici: Nicolò de Caneto de
Lavagna, Giovanni Campi, Francesco Arangio, Nicolò di S.Teodoro, Gabriele
Adorno, Paolo
Banca, Tommaso Longo, Andriolo Campi, Raffaello de Forneto, Luchino Negro, Pietro Oliverio
e Francesco Garibaldi. I soci si uniscono in albergo abbandonando il loro
cognome, escluso Gabriele Adorno. Denominati consocii ac conductores et emptores insule Syi et Folie Nove et aliorum locorum
dependencium, i membri di dodici famiglie si dividono i redditi e le cariche
dell’isola con la qualifica comune di Iustiniani, alla quale aggiungono l’avverbio olim e il loro vecchio nomen (ad esempio Giustiniani
di Banca o «olim Longo» o «olim de Vignosi»).
Gli Adorno lo tramutarono in Pinelli, nel 1528, con la
riforma degli alberghi famigliari assunsero poi quello di Giustiniani. A
questi dodici si aggiunge successivamente un tredicesimo: Pietro di S.Teodoro. A differenza dei primi Maonesi, che risiedevano quasi tutti a Genova ed erano rappresentati
nell’isola da procuratori, la maggior parte dei Giustiniani fissò la propria residenza a Chio,
inviando quando necessario a Genova proprie delegazioni. Anche se spesso si
usano i termini ‘Maonesi’ e ‘Giustiniani’ come se fossero intercambiabili, “l’albergo dei Giustiniani non era la stessa cosa della Maona Nuova di Chio”. Vi erano azionisti
che non appartenevano ai Giustiniani, e allo stesso modo, vi erano appartenenti all’albergo che non
erano partecipi della Maona.
Già nel 1362, due quote furono acquistate da Pietro Recanelli Giustiniani che succedette
a Simone Vignosi nella reggenza di Chios e ben presto divenne lanima della nuova
Maona. Pietro Recanelli era già una personalità molto in vista nella Genova di allora, a
lui si fa discendere lo stipite Genovese dei Giustiniani, aveva sposato Margherita, figlia
del Doge Gabriele Adorno. Nel 1350 a capo di una spedizione armata aveva ritolto
Focea ai
Greci. Si distinse a Smirne come luogotenente del Papa nel periodo 1361-1365, ammiraglio
della Repubblica nei tumulti dei DOria nel 1365-1366.
Ai Giustiniani del 1364 (Lunghi, de Furneto, de Banca, Arangio, di Negro, de Campis, de Garibaldo, Adorno) vengono aggregati, in ordine cronologico, altre
famiglie – de Rocha, de Castro, Recanelli, Maruffo, de Paulo, de Pagana,
Bancalaro – a seconda delle compravendite o delle trasmissioni ereditarie
dei luoghi . Finalmente, dal novembre 1373, si costituisce una societas di
tredici appaltatori che si dividono 38 carati, in modo tale che si moltiplichino
i possessori per pochi carati, fino ad un quarto di carato per i meno ricchi. Tra varie vicissitudini, si ritireranno per vari motivi parecchi azionisti,
anche se mantennero anche successivamente nel tempo il nome di Giustiniani.
D’ora innanzi la denominazione della Maona e dei suoi membri non
cambia molto. Tre parole sono utilizzate nei documenti: emptores, conductores
et participes civitatis et insule Syi, Folie nove et aliorum locorum, mentre
si diffonde l’uso di designare un Maonese con il nome del padre (per esempio
Franciscus Iustinianus quondam Raffaelis) e si perde il costume di riferirsi
al vecchio nome della sua famiglia, segno forse di una maggiore coesione
tra i membri dell’albergo. Nello stesso modo sparisce il riferimento alle
due Focee e alle isole vicine, rimanendo solo quello alla mahona Syi, molto
prima della conquista di Focea da parte degli Ottomani. Così costituito nel terzo quarto del Trecento, l’albergo Giustiniani non
ha conosciuto grandi mutamenti nel corso del Quattrocento. Le qualifiche dei Giustiniani, rintracciabili nei documenti notarili fra
Tre e Quattrocento, denotano un alto livello sociale: egregii viri, egregii domini,
spectabiles et egregii domini, spectabili segnori governatori de la citta e izolla
de Scio, vir egregius, vir prudens, discreti et sapientes viri.
Nel 1528, in seguito alla riforma voluta da Andrea Doria, i Giustiniani formarono uno dei 28 alberghi della città. Ad esso erano aggregate le famiglie: Arena, Argiroffo, Banca, Benvenuto, Bonfante, Briadate, Cavatorta, Corsi, Figallo, Giustiniani, Leonardi, Moneglia, Mongiardino, Morghio, Navazzi, alcuni rami della famiglia Di Passano, Ponte, Prandi, Prato, Rebuffo, Rocca, Roccatagliata, Salvarezza, De Secto, Vallebona e Vegetti. Nel 1561 si aggiunsero i Bona, un ramo della famiglia Chiozza, i Figari, i Massone e i Vallerani. Di seguito l'elenco delle famiglie e l'anno di ingresso nella "famiglia" Giustiniani:
LA STORIA DEI GIUSTINIANI DI SCIO DAL 1363 AL 15666
L8 giugno 1363, limperatore Bizantino Giovanni V Peleologo
rinuncia definitivamente al suo potere sulle isole e cede ai Giustiniani i diritti su
Chios, Samo, Enussa, Santa Panagia e
Focea che era diventato uno degli empori più
fiorenti dellAsia Minore, conferendo ai Giustiniani i titoli di Re e di Despota,
alla greca, riconfermando ai nobiles viros Giovanni Oliviero, Raffaele
de Forneto e Pietro Recanelli il possesso nelle forme e nei modi con cui lavevano
avuto gli Zaccaria, cioè «secundum rationem stirpis: videlicet ut eam transmittant in
filios ex eorum lumbis procreatos veros heredes et successores; vel etiam in alios, quos
ipsi voluerint». Oltre al possesso dell'isola, fu concesso anche il
diritto a batter moneta in cambio di un tributo annuo di 500 iperperi. Tale concessione fu poi rinnovata per altri quattro anni il 14
giugno 1367 a Tommaso Giustiniani.
Questo è il testo della Bolla Aurea, tuttora conservata, quale
si rapporta de verbo ad verbum, che concede ai Giustiniani il possesso
dellisola di Chio ed il titolo di Principi:
BOLLA AUREA Cum apparuerint Nobiles Viri genuenses Dominus Io: Oliverius,
Dominus Raphael de Forneto, et Dominus Petrus Recanellus recti, et boni erga nostrum
imperium, et ostenderint benevolentiam, prebuerintque; fidelitatem erga dictum nostrum
Imperium, qualem dederunt ea de causa. Voluti quoque maiestas nostra, atque decrevit eos
beneficio afficere, dareque ipsis Insulam chii, quocirca cum prelibati Viri Nobiles
requisiverint, ut in huius donationis robur et testimonium ipsis concederetur bulla aurea
Imperialis declarans raram, et firman tandem gratiam, et beneficium Maiestatis nostrae, ac
in super declararet infrascriptam constitutionem, et concordiam, quam horum causa Maiestas
nostra cum ipsis constituit et sancivit: huic supplicationi, et precibus dictorum
Dominorum Maiestas nostra prompte annuens hanc bullam auream, et mandatum eis concessit,
et elargitur, cuius tenore placet suae Maiestati; costituit, ordinat, et beneficio affict
prelibatos Nobiles Viros, et eis donat ipsam Insulam Chii cum civitate, et Castris
ommibus, quae in ea sunt, et omni eius habitatione, et districtu, ut eam videlicet ut eam
transmittant in filosea corum lumbis procreatos veros heredes, et successores, vel etiam
in alios, quos ipsi voluerint; coeterum debebunt prelibati Viri a presenti tempore, et in
posterum singulis annis adferre, et numerare in a Deo custoditum vestiarium Imperii nostra
praexcelsa Urbe Constantinopoli de mense May, vel Iunij uno quoque anno perpera quingenta;
Itaque vi, et vigore presentis bullae aureae, et mandati Imperii nostri habebunt, et
possidebunt prelibati Viri ipsam Insulam Chij cum eius Civitate, et omnibus Castris, et
omni habitatione, et districtus secundum rationem stirpis et generis cum facultate cam
transmittendi in suos filos, et erede, vel etiam alios, quos voluerint, quocirca, et ipsi
Nobiles viri, vel etiam alij Genuenses in subsequentes annos lucri facient, accipient
fructus, et reditus ab ipsa Insula Chij provenientes, et suos facient, absque eo, quod
alici omnino teneantur reddere rationem: ad haec si fortem cotigeriti, ut Majestas nostra,
aut aliquis ex foelicis memorie Imperatoribus, progenitoribus nostris auteam donaverit per
bullam auream, seu mandatum aliquibus Grecis, vel Genuensibus, vel onmino aliis aliqua
iura, et reditus eiusdem Insulae Chij, sit eiusmodi donatio irrita, et omino cassa, et
inanis. In quorum firmissimum robur facta est prelibatis Nobilibus Viris presene bulla
aurea, et mandatum Imperialis Maiestatis nostrae concessa septima presentis mensis Junij
nunc currentis Octavae Indictionis sexies, millesimo trecentesimo sexagesimo tertio.
Ionnes in Cristo fidelis Imperator, et moderator Romeorum Paleologus.
Questa conferma era stata necessaria, perché qualche anno prima nel 1348
limperatore Giovanni Cantacuzeno aveva richiesto lisola di Chios ai Genovesi,
i quali lanno prima, esattamente il 12 febbraio 1347, lavevano ceduta in
dominio utile con le isole di Samo, Nicaria, Demussa e Santa Panagia ai Giustiniani, ed
avevano ad essi concesso anche il privilegio di batter moneta quod posset dictus
potestas (Syu) nomine comunis Ianuae cudi et cudi facere in insula Syi monetam argenti de
liga. Privilegio rinnovato il 15 settembre 1439, il quale esclude ogni dubbio circa
la sovranità piena ed intera dei Giustiniani sullisola. Lultima moneta
coniata a Chios porta le iniziali di V.I. (Vincentius Iustinianus) ed è del
1562.
Avvicinandosi la scadenza del tempo utile, nel novembre del 1373 il Comune ricorse ad uno
stratagemma per poter pagare completamente il debito e riacquistare l’isola. Lo Stato prese in
prestito il denaro necessario dai singoli Maonesi e con un atto separato estinse il debito verso gli stessi,
questa volta considerati nella veste di azionisti della Maona, che cessava così di
esistere anche se si continuerà ad utilizzarne il nome.
Il debito ora era nei confronti di singoli individui, ma la Repubblica si trovava sempre
nell’impossibilità di saldarlo (anche a causa delle spese per la spedizione a Cipro) e fu quindi
firmato un nuovo accordo.
Ai creditori venivano date in concessione per vent’anni le isole appena riscattate, con tutti i
diritti inerenti, e i 2.030 loca della vecchia Maona per un valore di 100 lire ciascuno, in
cambio del mantenimento del merum et mixtum imperium et omnimoda iurisdictio e di un
pagamento annuale di 2.000 fiorini, con un anticipo di 14.000, equivalente a sette anni.
Tra il 21 novembre 1391 e il 21 novembre 1393 la Repubblica avrebbe avuto la possibilità di
recuperare i territori pagando 152.250 lire; in caso contrario avrebbe mantenuto solo la
giurisdizione e la sovranità su Chio (come negli accordi precedenti), oltre al diritto di continuare
a ricevere il tributo annuo di 2.000 fiorini.
La condizioni dell’erario pubblico non migliorarono e nel marzo 1380 il Governo fu costretto a
ipotecare per 100.000 lire alcune rendite, tra le quali il censo annuo pagato dai Maonesi. Il 28
giugno 1385, in cambio di un prestito di 25.000 lire genovesi e di un censo annuo di 2.500
lire, la convenzione fu prorogata.
Non potendo rimborsare il credito, il dominio della Maona Giustiniani fu
poi ulteriormente protratto dalla
Repubblica di Genova, in momenti diversi fino al 21 novembre 1418. L’analisi delle diverse convenzioni tra il Comune e la
Maona dei Giustiniani pone diverse domande: perché, se non per l’insufficienza
finanziaria cronica della Repubblica, l’isola è rimasta durante due secoli
proprietà e base delle risorse di un gruppo di privati? Perché la rivolta
del 1408, se non per creare una signoria autonoma ed eliminare i versamenti
dovuti al Comune? Soprattutto, richiedeva di essere chiarito il mantenimento
del dominio genovese per più di cento anni dopo la caduta di Costantinopoli.
L’isola di Chios è stata considerata un ponte, una cerniera tra l’Occidente
cristiano e il mondo turco, che aveva bisogno di legami commerciali con le
potenze occidentali.
Il governo dei Giustiniani, non fu in ogni modo sempre continuo. Durante la guerra con
Venezia nel 1379, Focea
Vecchia fu momentaneamente conquistata dai Veneti. Anche nei rapporti con
Venezia i rapporti non furono sempre di contrapposizione, nel 1388 si formò una lega
decennale contro i Turchi composta dal comune di Pera, la Maona di Chio, Francesco
Gattilusio signore di Lesbo, gli Ospitalieri di Rodi e il re di Cipro Giacomo I.
Nella metà del XIV secolo il centro dellAsia minore sfugge al controllo dei Mongoli
e si affacciava sulle coste Turche un nuovo terribile nemico: gli Ottomani, ostili e
diffidenti nei confronti dei Genovesi.
Linstabilità politica di Genova facilitò lascesa e le pretese delle colonie
e delle maone utilizzate da Genova anche per scopi diversi da quelli di sfruttamento
coloniale, come nel 1378, quando sotto il peso dei costi della guerra di Chioggia, il
comune utilizzò la Maona per coprire loperazione diinfeudazione della Corsica a sei
cittadini chiamati promiscuamente Mahonenses, Feudatarii, Apaltatores che poi
si ridussero al solo Leonello Lomellino nel 1405. Dallinizio del XV secolo, le Maone
non hanno più come scopo la conquista di nuove territori, ma la conservazione di quelli
già posseduti.
Genova controlla il Mar Nero attraverso Galata e lisola di Tenedo ma per le medesime
ragioni commerciali devono ogni volta confrontarsi con i Veneziani e con gli imperatori
Bizantini. Proprio in questo momento emerge la figura di Francesco Gattiluso, che sposando
la sorella di Giovanni Paleologo ottiene lisola di Lesbo come dote. Qualche anno
prima nel 1386 la grande città di Enos si aggregò spontaneamente ai domini del Gattiluso
e ben presto di aggiunse lappalto di
Focea vecchia (anche se sotto il dominio
formale dei Giustiniani), e più tardi tutte le altre Sporadi settentrionali: Taso, Lemno,
Imbro e Samotracia. I Gattiluso hanno il grande pregio diplomatico di assimilarsi ai
costumi Greci, sono vassalli di Bisanzio, parenti della casa imperiale e adottano per i
loro figli nomi greci.
Nel 1380 i giannizzeri di Murad I e Rajasid I avevano tolto alla Maona lisola di
Samo. Vista la pressante potenza Turca,
Focea Vecchia e
Focea Nuova dovettero aprire le
loro porte agli Ottomani.
Nel 1403 legemonia del medio oriente passò nuovamente ai Mongoli, con lascesa
del suo condottiero Temur lo zoppo detto il Tamerlano che riuscì
a riunire gli smembrati regni mongoli. Nel 1402 ad Angora inflisse una dura sconfitta agli
ottomani. Tutta lAsia minore fu spazzata più che dai Mongoli dal terrore degli
stessi. Il Tamerlano morì poco dopo nel 1405 e così, come rapidamente era cominciato il
suo dominio, così terminò rapidamente, ed gli Ottomani ripresero legemonia
dellEgeo.
La Maona si garantì ancora una certa indipendenza pagando un forte tributo agli Ottomani
di circa 4.000 ducati. Una consuetudine normalmente seguita con altri popoli
dellAsia per assicurarsi la loro benevolenza.
Nel quattrocento, cambiano le modalità di gestione delle colonie, non più direttamente
controllate dal Governo di Genova, ma per lo più dalla Casa di San Giorgio che rileva i
debiti del comune nei confronti di gran parte delle Maone e degli amministratori delle
colonie. Così fu per Famagosta, per la Corsica e per molte altre colonie del Mar Nero.
I Giustiniani beneficiano di molti
spazi di prestigio: palazzi a Genova, specialmente
nella zona tra la Chiavica, il carrubeus Crucis e la
Platea Longa, case ad Albaro, giardini e case nella
Valbisagno, parecchie sepolture a
Santa Maria di Castello (La Chiesa dei Giustiniani)
Santa Maria di Castello,
nelle chiese di San Francesco e di Santa Tecla.
Le assemblee dell’albergo, almeno per i nove governatori residenti a Genova,
si fanno « nella solita volta », che nel 1404 appartiene ad uno di loro, Ottobuono Giustiniani, o nel chiostro dei canonici di San Lorenzo. Ma
non si può parlare di una continuità di residenza, un’istanza normativa per
gli altri alberghi genovesi di cui i membri si impegnano a vivere in palazzi
attigui e a non alienare le case di un parentado ad estranei. A Chio, invece,
lo spazio intorno alle mura sembra accogliere tutte le case dei Giustiniani,
poiché nessun documento si riferisce ad abitazioni al di fuori della cinta
muraria, almeno durante il primo secolo del loro insediamento nell’isola. La
coerenza d’insediamento sembra totale: i dodici governatori della Maona residenti
a Chio si radunano sempre nella vicinanza del palazzo del podestà, o
nella torre vicina alla barbacane o nel palazzo stesso. Più specificamente si deve cercare le ragioni dell’aggregazione delle famiglie
maonesi nell’affinità economica. L’albergo sembra essere nato per cementare una solidarietà già maturata sul terreno
degli interessi economici e fiscali: prima il rimborso delle
spese di armamento della flotta del 1346, poi lo sfruttamento delle risorse
principali di Chio e di Focea, il mastice e l’allume. I Giustiniani dominano uno dei più importanti
traffici commerciali del mondo medievale e nessun altro albergo
genovese può competere con esso a questo livello di attività economica. Ne
risulta una ricchezza ben ovvia, considerando la tabella della distribuzione
delle fortune secondo l’avaria del 1466: l’albergo dei Giustiniani è quello
dall’impronta più plutocratica di tutti.
Non c’è grande spazio tra il potere economico e quello politico. La
spartizione dei redditi va di pari passo con la spartizione delle cariche pubbliche.
Tra gli alberghi popolari, i Giustiniani arrivano al primo posto per il
numero dei loro membri eletti fra gli anziani (dal 1400 al 1528) e per i consiglieri
di San Giorgio (fra 1425 e 1528), con 5,4% e 6,1% del totale rispettivamente.
A Chio quasi la totalità degli uffici viene riservata ai Maonesi: nei
primi anni della dominazione genovese solo le cariche di governatori e di massari,
poi tutte le cariche dell’isola, dopo la fondazione della Maona nuova, sono
sorteggiate e ripartite in dodici parti per dieci o dodici anni. Ognuno tra i
Giustiniani riceve una carica ogni anno diversa da quella dell’anno precedente:
può esercitarla personalmente o delegarla ad un terzo, conservandone pure i
redditi relativi 30. Ne risulta un elevato turn-over delle cariche, al di fuori di
quella del podestà designato nella madrepatria.
Con queste caratteristiche l’albergo Giustiniani somiglia agli altri alberghi
genovesi, ma allos stesso tempo se ne distingue. Costituito dall’aggregazione
di famiglie che condividono gli stessi interessi politici ed economici, cresciuto
con nuove famiglie che via via si aggiungono, l’albergo, pur non molto diverso
dalle altre associazioni di questo genere tipico della società genovese, tuttavia
riveste anche caratteristiche proprie. Prima di tutto, la spartizione per competenze
dell’insediamento: una parte delle famiglie a Genova, un’altra residente
a Chio. La lentezza delle comunicazioni non aiuta i membri dell’albergo
a definire e ad applicare una politica coerente: lo si vede nel 1414, durante la
guerra civile tra i partigiani degli Adorno e quelli dei Montaldo, quando
l’albergo si divide in due rami, l’uno favorevole al doge Giorgio Adorno,
l’altro a Battista Montaldo. Ora i Giustiniani cercano una mediazione tra i due
campi, ora si arruolano in uno dei due 31. Seconda differenza essenziale: nessun
albergo come quello dei Giustiniani ha ricevuto l’amministrazione di un territorio
coloniale che gestisce in un modo quasi autonomo. Difatti le diverse
convenzioni concluse con il Comune fanno dell’albergo uno stato nello
Stato, che può determinare la politica estera genovese, particolarmente nei
riguardi agli Ottomani: ne risulta una potenza e una ricchezza senza corrispettivo
nel mondo dei potentiores genovesi. In questo modo l’albergo dei
Giustiniani non è tanto un modello, quanto un’eccezione.
Con la caduta del Governo popolare a Genova, il governo passò al re di Francia Carlo VI di Valois e
il maresciallo Jean Le Meingre detto Boucicaut, nominato governatore nel 1401, approfittando di un articolo
della convenzione stipulata con la Repubblica, del 1347 e 1362, relativa al
decadimento dei diritti di Genova sull’isola, qualora fosse venuto meno il
governo popolare, i Maonesi si ribellarono ai rappresentanti del Re di Francia
che avevano assunto la Signoria di Genova. Il 21 dicembre 1408
deposero il Podestà e gli altri ufficiali e proclamarono la loro indipendenza. In previsione di una reazione da parte della madrepatria, venne imposto ai commercianti di
Chio un prestito forzato di 15.000 ducati e si mandò un’ambasceria a Venezia, chiedendo un
ulteriore prestito di 20.000 ducati e forniture di armi.
Il nuovo governo
filo-Francese, riconquista Chios dopo solo sei mesi dalla proclamazione
dell'indipendenza, il 18 giugno 1409 con una spedizione comandata
da Corrado DOria. In pochi giorni la maggior
parte del territorio fu riconquistato e i cittadini asserragliati nel castello si arresero il 30
giugno. Il condottiero cercò un compromesso con i Giustiniani per
impossessarsi del controllo personale dellisola, pretendendo per la
libertà dei soci della Maona, le quote dei maggiori azionisti.
Un paio di mesi più tardi, all’inizio di settembre, i Genovesi si ribellarono e i Francesi furono espulsi da Genova,
grazie all’aiuto del marchese di Monferrato Teodoro II, il quale tenne il potere a Genova dal 1409 al 1413 e annullò le misure prese dal suo predecessore riguardanti Chios.
Mediante un abile opera diplomatica, il conflitto fu ricondotto e la
ribellione presto dimenticata, anche per lestremo valore della Maona
nella difesa degli interessi commerciali di Genova da pirati e Ottomani. Genova inviò a Chios una piccola flotta per dimostrare la sua sovranità, ma non ce ne fu bisogno, in
virtù di un nuovo compromesso il quale limitò ulteriormente l'autorità della Repubblica
sulla Maona.
Questo fu lultimo atto di autorità della Repubblica sui suoi possedimenti di
Oltremare, che da allora ebbero una autonomia praticamente illimitata, frutto più dalla
debolezza della madrepatria piuttosto che dalla forza delle colonie, una soluzione che
finì per nuocere a tutti.
L’ 11 marzo 1413, cinque anni prima della scadenza, la convenzione tra Maonesi e Genova
venne rinnovata per altri 29 anni (per cui il diritto di riscatto sarebbe stato esercitabile tra il 21
novembre 1445 e il 21 novembre 1447), mantenendo il tributo annuo di 2.500 lire genovesi e
aggiungendo un nuovo prestito di 18.000.
A partire dal XV secolo, quasi tutte le colonie videro lentamente inaridirsi le fonti di
ricchezza economica. Linizio della decadenza, non impedì comunque a Pera, Chios e
Famagosta di abbellirsi e di abbagliare i forestieri di passaggio con la bellezza dei loro
palazzi. Ciriaco dAncona, umanista-mercante percorse tutto lEgeo a scoprire i
monumenti della Grecia classica. Andriolo Banca, grazie al suo sapere divenne amico di
Eugenio IV e cantò in versi la guerra contro Venezia del 1431 (Cyriac
of Ancona: later travels di Edward W. Bodnar una raccolta delle lettera
dell'umanista sui suoi viaggi in Oriente)
La Maona riuscì ugualmente a mantenere una certa prosperità nei commerci e nel controllo
dellarcipelago, con abili giochi di alleanze con gli Stati concorrenti: Venezia e il
Regno di Rodi, contro il pericolo comune degli Ottomani.
Giovanni Adorno Giustiniani, figlio del Doge Giorgio e successivamente Percivalle
Pallavicini sono a Costantinopoli come ambasciatori alla corte Ottomana di Maometto I. I
Gattiluso e i Giustiniani nel 1416 prendono parte ad una spedizione vittoriosa dello
stesso Maometto I contro il Principe Selgiuchide di Smirne Djonneid.
Dopo la vittoria i Maonesi ottennero dal sultano la garanzia della sicurezza e dell’ indipendenza
delle loro isole e la libertà di commercio con tutti i possedimenti ottomani in Europa e in
Asia, in cambio di un tributo annuo (kharadj) di 4.000 ducati d’oro.
Con la pressione degli Ottomani dopo il 1420, i Giustiniani videro progressivamente calare
i proventi della produzione locale del mastice del vino e della seta. Il gettito
dellimposta portuale calò da lire genovine 1.942,10 nel 1408, 1.700 lire genovine
nel 1424. Quanto a
Focea, lo smercio del suo allume fu reso sempre più problematico per la
crescente concorrenza dei minerali estratti da tutti i paesi Turchi, per opera di un
recente cartello dei Gattiluso, che aveva appaltato molte nuove miniere di allume in Asia
ed in Europa, tra cui quelle di Ipsala sulla Màriza che incanalavano i loro prodotti per
lesportazione lungo il fiume Enos. Questa circostanza, e la costante prosperità
agricola delle isole fecero si che i Gattiluso fossero forse i soli esenti dalla crisi tra
i Genovesi dellEgeo.
Ma non sempre le forze latine sono compatte di fronte il comune nemico. Non di rado
assistiamo ad alleanze miste come quelle genovese-turca come in passato quelle con gli
Egiziani, non frutto di un disegno politico statale ma piuttosto frutto
delliniziativa dei singoli per tornaconto personale, più che per guadagno
territoriale per riduzione del pesante tributo imposto per continuare a commerciare in
quelle terre.
Questa alleanze personali portarono alle estreme conseguenze nel 1444, quando
durante la crociata di Papa Eugenio IV, legni privati genovesi, al soldo degli Ottomani,
permisero di sconfiggere i cristiani a Varna il 10 novembre, dopo liniziale vittoria
di Nish. Il sabotaggio della crociata acuì il disagio dellEuropa nei confronti dei
Genovesi.
Lerrata ed innaturale alleanza con i nemici di fede e di razza fu causa altrettanto
grave quanto la corruzione dei funzionari coloniali e la decadenza economica delle
colonie. I Turchi erano ben altri avversari che gli Egiziani di inizio millennio. Finchè
il Sultano era disposto a far vivere le colonie pagando un tributo era un sacrificio che
le Genovesi e Veneziani potevano sopportare, se paragonato al costo di una guerra e alla
rovina dei traffici durante i combattimenti.
E in questo periodo che gli Ottomani lavorano al potenziamento della loro flotta,
che fino ad allora era assolutamente insufficiente come mezzi e come preparazione marinara
rispetto ai remi Italiani. Ad uscire da questa inferiorità, paradossalmente, furono
aiutati proprio dai stessi tecnici e militari delle due repubbliche Genovese e Veneziana,
che abbandonarono le loro patrie per contribuire, per denaro, al progresso bellico degli
Ottomani.
Nel 1431 la guerra tra Veneziani e Fiorentini contro il duca di Milano coinvolse anche Genova
(dal 1421 al 1435 soggetta a Filippo Maria Visconti) e le sue colonie. Nel
novembre di quell'anno scoppia una nuova guerra con Venezia. Una flotta di trenta navi Veneziane
con alla testa Andrea Mocenigo e Dolfino Venier e
Scaramuzza
da Pavia stringono dassedio Chios, mentre i Genovesi cercarono di rifarsi sui
Veneti di Tana. La Maona dispone nella fortezza di Chios assediata di solo 300 armati capitanati da
Leonardo di Montaldo, ma resiste stoicamente ai ripetuti attacchi delle soverchianti forze
nemiche. Nel giorno di Natale 1431 attirando il nemico nel porto difeso solo da
mercantili, lo aggira sferrando un poderoso e vittorioso attacco contro i Veneti, colti di
sorpresa. Lassedio a Chios fu tolto il 17 gennaio 1432. In aprile, Andrea De Marini
sconfigge definitivamente i Veneziani nel Dodecaneso. Mocenigo e Venier di ritorno a
Venezia sono giustiziati per aver mal condotto lassedio alla fortezza di Chios.
Nello stesso anno, la definitiva pace tra Genova e Venezia, anche perché il nemico comune
Ottomano si faceva sempre più pressante nei possedimenti delle Repubbliche
nellEgeo. Venezia per loccasione seppe trovare validi alleati come il
turcomanno Uzun-Hassan allora padrone della Persia. Genova, governata dal Visconti, chiese
anche aiuto al Sultano Turco Murad II per la difesa di Chios, contro la gens
superbissima Venetorum”. Cosa che per fortuna non fu necessaria in quanto
la Maona riuscì a difendersi da sola, ben dieci giorni prima che la sola notizia dell’attacco
giungesse a Genova.
Quattro anni dopo, il 17 dicembre 1436, l’accordo tra Giustiniani e Comune di Genova su Chio
fu prorogato per altri 29 anni, fino al 21 novembre 1476, con possibilità di riscatto negli ultimi
due anni, in seguito ad un nuovo prestito di 25.000 fiorini.
In occasione della guerra con Venezia, i Genovesi avevano scritto al sultano Maometto II
(1444-1446, 1451-1481) affinché impedisse ai Veneziani la costruzione di una fortezza a
Tenedo; richiesero inoltre aiuti che furono concessi ai Maonesi. Queste relazioni pacifiche
vennero messe in pericolo dalle iniziative dell’autorità papale contro i Turchi.
Il disastro di Varna tolse alla cristianità le ultime velleità di difesa delle
roccaforti latine in oriente ed anticipò di qualche anno la caduta di Bisanzio. I Genovesi si trovarono a dover bilanciare i bisogni e le richieste della Santa Sede con quelle dei
Giustiniani di Chio, i quali non potevano dichiararsi apertamente nemici dei Turchi e incorrere
nella loro ostilità.
Alla battaglia di Costantinopoli, che ebbe il suo epilogo il 29 maggio 1453, ci si arrivò
dopo un anno di assedio da parte dei turchi, da quando cioè, il 14 aprile 1452, il
sultano Maometto II fece iniziare i lavori per la costruzione di una fortezza militare
sulla sponda europea del Bosforo, a pochi chilometri da Costantinopoli.
Il sogno di Maometto II era quello di conquistare la città per farne la capitale
dell'impero ottomano. Anche suo padre, Murad II, aveva tentato in passato la conquista, ma
venne respinto. Quando l'imperatore Costantino XI succedette nel 1448 a suo fratello
Giovanni VIII, Costantinopoli era una città quasi in rovina, abbandonata da metà della
popolazione, con scarsi commerci a garantirle la sopravvivenza. Era considerata
imprendibile, dato che era circondata da alte e spesse mura, e fino all'avvento di
Maometto II aveva saputo respingere molti tentativi di invasione. Quando ancor prima del
1453 la situazione si fece seria, Costantino XI si rivolse all'Occidente perché si
assumesse l'onere e l'onore di difendere la capitale d'Oriente. Egli offriva, in cambio di
truppe e di navi, l'unione delle due Chiese, l'orientale e l'occidentale, che però non
convinse i principi della cristianità, sempre divisi da discordie tra di loro.
Nel marzo del 1453 Maometto II pensò di essere pronto. Intorno a Costantinopoli aveva
concentrato un esercito di circa centoventimila uomini. Inoltre poteva contare su
centoquarantacinque navi e su potenti artiglierie.
Pur continuando a essere grande dal punto di vista storico, da quello politico
Costantinopoli non lo era più. Invece per Maometto fu grande sia in un senso che
nell'altro. Gli parve che la città imperiale fosse la quintessenza della vita. Possedere
Costantinopoli significava essere padrone del mondo civilizzato, oltre che farne parte:
da tempo immemorabile il suo aureo splendore ingolosiva i nomadi.
Il sultano dei turchi credeva che il titolo di imperatore dei romani fosse legato al
possesso di Costantinopoli e sperava che conquistandola avrebbe acquisito legittimità
agli occhi degli europei, poiché sapeva che essi lo consideravano un barbaro. Non solo
desiderava impadronirsi di una celebre metropoli, ma ambiva al «riconoscimento sociale»,
prova ne sia il suo tentativo di negare l'ascendenza turca e di millantarne una comnena.
Venezia, che considerava Costantinopoli un'enorme azienda commerciale, non sapeva se
aiutare o no la città minacciata. Da un lato temeva per i possedimenti che aveva sul
Corno d'Oro, dall'altro però non voleva guastare i favorevoli rapporti commerciali
instaurati con gli Ottomani. Genova, che abitava nel quartiere di Pera, reagì in maniera
altrettanto indecisa. Pur lasciando ai propri mercanti piena libertà di schierarsi prò o
contro i turchi, ordinò contemporaneamente al podestà di Galata di trovare con Maometto
un accomodamento che garantisse l'in violabilità dei beni genovesi. I ragusani, presenti
a Costantino poli da quando i latini erano stati scacciati, avrebbero appoggiato Bisanzio
soltanto se si fosse costituita una grande coalizione cristiana contro i turchi.
Neppure Inghilterra e Francia sarebbero potuti venire in soccorso, in quanto ambedue erano
appena uscite dalla guerra dei cento anni.
Il Papa, che aveva invano scongiurato Federico III di aiutare la città minacciata,
dovette alla fine contentarsi di inviare sul Bosforo un legato con qualche centinaio di
armati. Risultato: lEuropa piantò in asso Costantinopoli, il mondo cristiano aveva
cancellato dalla memoria la sua antica capitale. L'occidente aveva ben altro a cui
pensare. La città sul Bosforo dovette fare ricorso alle sue poche forze militari.
Nel porto di Costantinopoli c'erano navi veneziane, ai cui capitani non
reggeva il cuore di abbandonare la città minacciata; quindi misero gli equipaggi
al servizio dei bizantini. Da Genova, all'ultimo momento, era giunto con 700
mercenari il celebre capitano di ventura GIOVANNI GIUSTINIANI LONGO (segnalo
due interessanti romanzo sul
personaggio che descrive anche abbastanza bene la storia dei Giustiniani di
La caduta di Costantinopoli. Il Capitano Giovanni Giustiniani A.D. 1453 di Giorgio Bertone edito da ERGA nel 2017
e L'ultimo Costantino,
di Luigi Oriani edito da Rossini editori, 2023); che voleva provare il brivido dell'assedio,
ricordato anche nelle memorie di Lord Byron nellottocento. In tutto c'erano quindi
2000 stranieri.
Da parte sua Costantinopoli aveva meno di cinquemila Soldati. Veramente poco per difendere
ventidue chilometri di mura dall'assalto di centoventimila musulmani. Per essere precisi,
poteva contare su 4973 uomini abili alla guerra, un'inezia, se si pensa al milione circa
di abitanti che aveva ai tempi di maggior splendore. Anche la flotta era assai malridotta:
cerano otto navi Veneziane, cinque Genovesi, una di Ancona, una di Barcellona e una
di Marsiglia ed altre dieci più piccole bizantine, per un totale di 26 navi che restarono
per tutto l'assedio ormeggiate al porto. Armi e munizioni: poche colubrine, scarse
quantità di polvere e qualche antiquatissima catapulta.
Un piccolo contributo dall'Europa quella delle libere repubbliche, in uno scontro tra
civiltà libertà contro bestialità e oppressione, la libertà del mediterraneo morì
praticamente con Costantinopoli.
Lestrema difesa di Costantinopoli restituisce parzialmente lonore a Genova.
Sulle mura combattono Greci, Latini, Veneziani e Genovesi. Tra essi citiamo: Maurizio
Cattaneo che forzò temerariamente gli Stretti ed il Corno dOro per portare soccorso
a Costantinopoli con le sue tre navi e Giovanni Guglielmo Giustiniani Longo Giustiniani,
il miglior condottiero della città, che non tardò ad assumere il comando supremo delle
operazioni. Lex corsaro fu lanima della difesa saldo come un diamante al
fuoco scrisse il cronista Greco Calcocondila, ma pur provenendo da Chios, combatteva
per proprio conto e non per i Maonesi, con la promessa del Ducato di Cipro.
Il 29 maggio 1453 cade Costantinopoli, sempre rimasta indenne nella cerchia delle sue mura
poderose, nonostante i ripetuti assalti avvenuti in precedenza. In quella terribile notte
Giovanni Giustiniani Longo si adoperò senza posa a far chiudere le brecce nelle mura.
Vicino alla Porta di San Romano, dove la muraglia era completamente in rovina, egli
innalzò per mezzi di fasci di arbusti un nuovo vallo, dietro al quale si trincerò in un
fosso. Giustiniani, era una vera torre nella battaglia e perciò un bersaglio costante
dell'astio dei suoi avversari. La fama del suo coraggio si dice essere arrivata fino al
sultano, il quale cercò invano di corromperlo. Ma di fronte alla pietosa condizione delle
mura, che crollavano da tutte le parti, tutta la prudenza e la risolutezza del genovese e
dei suoi aiutanti fu vana.
Resta memore la disputa di Giustiniani durante la battaglia con Lucas Notaras il Grande
Duca sotto l' Imperatore Costantino Paleologo per una frase che il Giustiniani disse,
sembra in dialetto veneziano, arrabbiatissimo al Duca impugnando un coltello: ''O
traditor -scrive Zorzo Dolfino-et che me tien che adesso non te scanna cum questo
pugnal!'', per il fatto che Notaras ritardava apposta il rifornimento dei cannoni
richiesti al punto più cruciale della battaglia. La frase drammatica è riportata anche
nell'opera della Storia nazionale Greca ( Istoria tu Elliniku Ethnus) dello
storico greco Paparigopoulos nell'edizione del 1932. Per l'intervento dell' Imperatore
stesso la disputa si spense.
Proprio mentre il coraggio stava già tornando tra le file dei cristiani, si diffuse la
spaventosa notizia che il Giustiniani fosse stato ferito (sul tema:
Gli ultimi difensori. La morte di Costantino XI e Giovanni Giustiniani Longo di Mattia Caprioli). Poco dopo corse voce che l'eroe
genovese avesse abbandonato la sua posizione e, con i mercenari, fosse fuggito a Galata.
Quando vide scorrere il suo sangue Giustiniani perse di colpo tutto il coraggio. Lo
splendido cavaliere rinascimentale, il generoso avventuriero, parve rendersi conto per la
prima volta di essere anch'egli un mortale, e tale scoperta lo annientò. Si fece portar
via su una lettiga, seguito da quasi tutti gli italiani, forzando il blocco degli
assalitori. Tentativo inutile in quanto morì due giorni dopo essere arrivato a Chios.
Lelogio funebre di Giovanni Longo Giustiniani fu fatto da Maometto II che disse di
lui che da solo valeva più dellintera flotta greca. Nonostante che la figura ancora
resti controversa per questa repentina non spiegabile fuga, Giovanni Giustiniani Longo
(Ioannis Iustinianis) è ancora oggi considerato un eroe dell'ellenismo ed a lui sono
dedicate strade e scuole in tutta la Grecia. La fermezza eroica dei restanti difensori, comandati dal balì veneziano Gerolamo Minotto,
non bastarono a fermare lassalto.
Costantinopoli fu saccheggiata per tre giorni, i maggiorenti della città furono tutti
decapitati tra di essi Maurizio Cattaneo e Girolamo Minotto. Altri genovesi parteciparono
alla difesa tra essi citiamo: Antonio Bocciardo, Gerolamo Interiano, Lodisio Gattiluso,
Francesco Salvatici, Leonardo di Langasco, Giovanni del Carretto e Giovanni De Fornari.
Il Cronachista Leonardo (Giustiniani) da Chio, testimone oculare agli eventi riporta i momenti della conquista di Costantinopoli
e delle vicende di Giovanni Longo, nella sua Epistula de urbis Costantinopoleos captivitate
La caduta di Costantinopoli suscitò una grande impressione in tutto il mondo cristiano
più per il turbamento degli equilibri politici e la probabile interruzione delle correnti
commerciali, piuttosto che per gli effetti religiosi sulle popolazioni.
La Battaglia di
Costantinopoli
Le crociate tra oriente e occidente
Dopo Costantinopoli cadde incruentamente anche Pera con un atto di sottomissione che non
impedì distruzioni e saccheggi da parte degli Ottomani.
La Maona cercò in ogni modo di mantenere la sua indipendenza, pattuendo un salatissimo
tributo da pagare al Sultano di 40.000 ducati doro, che fortunatamente si
Accontentò poi della metà.
Limpero Ottomano con la conquista di Costantinopoli si era ormai rafforzato in tutta
la zona del Mar Nero ed in buona parte dellEgeo dove agivano le fiorenti colonie
Genovesi e Veneziane. Nonostante che ai tempi delle Repubbliche marinare non ci fosse buon
sangue tra le due rivali non erano rari i momenti in cui erano intensi i commerci tra le
due, ne abbiamo una testimonianza proprio a Chios da parte del veneziano Gio Rolando
Villani, giurista letterato e mercante nato a Pontermoli agli inzii del XVI secolo. Suo
padre lo chiama a Chio ed egli stesso ci racconta il viaggio nelle cronache che poi
scriverà. Parte da Pontremoli nel marzo 1529 per Venezia, qui s'imbarca su una delle navi
dei Giustiniani di Genova. Viaggia lungo ladriatico dall'Istria fino a Durazzo,
sfugge alle navi turche, percorre le coste della Grecia e gli arcipelaghi dell'Egeo; alla
descrizione aggiunge rilievi urbanistici ricordando le vicende degli eroi omerici. Vede
Atene e Samo, e finalmente giunge a Chios il 3 luglio del 1529, dove trova il padre
onorato amministratore della giustizia. Il vecchio Villani spinge il figlio verso i
commerci approfittando dell'aiuto che gli può venire dagli stessi Giustiniani, i quali
prestano subito del denaro al giovane e lo affidano a un loro agente che gli insegni il
mestiere. Lo vediamo allora vendere stoffe a Tiro in Asia e a Lamek. Compie altri viaggi a
Smirne, Lesbo, a Costantinopoli, nel Mar Nero, da qui si spinge lungo il Danubio fino alla
Valacchia acquistando e vendendo merci. Torna a Chio il 27 luglio del 1531 ma trovando il
padre morto, decide di tornare in patria.
Nel frattempo a Chios la vita proseguiva piuttosto tranquillamente anche perché le lotte
intestine in Italia non interessavano le colonie doltremare anche perchè non
cera da aspettarsi nessun aiuto in caso di pericolo. La convenzione con i
Giustiniani per lo sfruttamento di Chios fu rinnovata ancora in tempi diversi dalla
Repubblica Genovese fino al 15 giugno 1542, per poi divenire un diritto perpetuo nel 1527,
mediante il pagamento annuo a Genova di un tributo di 2.800 lire (lantico canone
pattuito già nel 1385). Per la solenne occasione furono iscritti nel libro doro
della Repubblica tutti i Maonesi Giustiniani vivi allepoca.
Gli Ottomani, tuttavia, continuarono a cercare a tutti i costi di prendere il definitivo
controllo sulle isole, mirando a scacciare tutti i cristiani dallEgeo.
Con il pretesto di spalleggiare militarmente la pretesa creditizia del nobile Genovese
Francesco Drapperio, nei confronti della Maona per una partita di Allume (vedi anche i
siti: Cronologia della storia
dellAllume e sulle
alluminiere di Tolfa ) non pagata, nella primavera del 1455, una poderosa flotta
Ottomana attracca a largo di Chios.
Lammiraglio turco Hansabeg vista la buona fortificazione dellisola, valutò
che non era il caso di rischiare un attacco. L'ammiraglio, per ritorsione, si limitò a distruggere i vigneti e i giardini dellisola
e a prendere in ostaggio a Rodi gli ambasciatori della Maona Nestore e Quilico De
Furnetto, che furono portati con i Turchi
nell’attacco all’isola di Kos. Prima di ripartire un soldato turco della spedizione, sorpreso a profanare una Chiesa, fu
ucciso e nella scaramuccia che seguì, una galea turca fu affondata per il
sovraccarico dei marinari Turchi che precipitosamente si dettero alla fuga. Prevedendo una reazione del sultano, i Maonesi chiesero aiuto alla madrepatria e nel 1456 il
doge Pietro Campofregoso, dopo aver scritto al Papa e ai re cristiani, in particolare Enrico VI
d’Inghilterra, per invocare supporto militare, mandò un piccolo contingente in soccorso di Chio.
La Repubblica Genovese, impegnata nella guerra con Alfonso dAragona, non potendo ben
aiutare le sue lontane colonie si limitò ad armare due Galee con 800 uomini al comando di
Pietro Giustiniani ed ad invocare laiuto del Papa e del Re dInghilterra Enrico VI.
Una nuova flotta turca, inizialmente inviata contro l’isola, ripiegò a causa di
una tempesta verso Mitilene e poi Focea.
La vendetta turca non tardò ad arrivare, nellautunno 1455. Venti trireme turche
comandate da Junusberg, muovono verso Chios, nonostante che una tempesta ne disperde la
maggior parte, i Turchi conquistano senza combattere
Focea Nuova, governata a quel tempo
da Paride Giustiniani, che gli si consegna spontaneamente. Questo non impedì il
saccheggio del porto, la profanazione delle Chiese e la messa in schiavitù di buona parte
della popolazione.
Domenico Gattiluso fu costretto a cedere Taso ed aumentare il suo tributo al sultano per
Lesbo ormai rimasta con Chios gli unici possedimenti genovesi nell’Egeo.
Maometto II continuò la cacciata dei Latini lungo le coste del Mar Nero, occupando
Salmastri, Sinope e Trebisonda tra il 1459 ed il 1462.
Il 24 dicembre 1455 i Turchi occupano lisola di Lesbo che poi prenderanno
definitivamente il 16 novembre 1462. Lultimo dei Gattiluso, Niccolò II fu fatto
prigioniero e strangolato a Costantinopoli. Il fatto di aver resistito alla ferocia
Ottomana per quindici giorni provocò un devastante saccheggio. Nello stesso anno Kalidsh
Ali, satrapo del sultano occupa Samo. Nel 1456 il tributo (kharag’”) è
portato gradualmente da 6.000 a 14.000 monete d’oro, oltre ad un indennizzo di
10.000 monete d’oro per la perdita della galea per i fatti della primavera del
1455. Non era raro comunque che altri tributi una tantum venissero estorti con i
pretesti più vari.
Nel 1463 Giovanni Antonio Longo è a Costantinopoli per trattare una pace duratura con gli
Ottomani, ma ciò non impedì continui soprusi e scontri con gli stessi fino al 1477.
Le minacce continuarono, ma mentre gli altri domini italiani cadevano in mano turca Chio
resisteva, con più o meno difficoltà, e i Maonesi il 19 novembre 1476 rinnovavano, con
qualche modifica allo statuto, la convenzione con Genova per altri 29 anni, sino al 19
novembre 1505 con i consueti due anni successivi per il pagamento.
Oltre alle minacce militari, i Turchi continuarono a sposare le proteste di chiunque si dicesse
creditore della Maona e dei singoli soci, in genere esigendo dai Giustiniani il risarcimento del
presunto torto e una multa.
Tanto che, per evitare queste continue "estorsioni", l’8 febbraio 1488 la
compagnia dispose che non avrebbe più risposto per alcun debito, vero o
presunto, contratto dai singoli Maonesi e
dai Chioti.
Nel 1473 cade la colonia di Caffa sul Mar nero. Nel 1481 i Giustiniani abbandonano
lisola di Samo e lasciano Nicaria ai Cavalieri di S.Giovanni, cui già prima avevano
lasciato Cos. Queste isole prive di porti e quasi deserte, erano già di scarso interesse
sia per i Giustiniani che per gli Ottomani. Nel 1482 muore Maometto II, scatenando una
lotta per la successione. Una flotta composta da navi napoletane, pontificie e genovesi
comandate da Paolo
Fregoso e stipendiate dal Papa ligure Sisto IV Della Rovere, espulsero
i turchi da Otranto. Poteva essere loccasione per rilanciarci nella riconquista dei
possedimenti perduti in oriente ma anche questa volta le discordie degli italiani ne
vanificarono il progetto.
Ci fu una nuova minaccia Ottomana allisola di Chios nel 1495, ma grazie alla difesa
di 300 scelti comandati da Tommaso Giustiniani non ci fu battaglia. Continua fu
lazione diplomatica dei Maonesi, gli ambasciatori di Francesco I di Francia in
oriente (Barone S. Blancard e Barone DArman) passano più volte a Chios, così come
il Principe di Lussemburgo nel 1552.
Nel 1508 il tributo annuo dovuto al sultano venne incrementato a 12.000 ducati e la Maona,
benché le entrate fossero ancora abbondanti, fu costretta ad iniziare a contrarre prestiti, a causa
degli ingenti tributi e della necessità di mantenere gli armamenti, per tenersi sempre pronta in
caso di attacco. Nel 1519 la conquista turca dell’Egitto e la ripresa della pirateria barbaresca sotto Khair-ad-Din,
conosciuto in Occidente come Barbarossa e divenuto anche re di Algeria, causò un ulteriore
tracollo del commercio, già in crisi a causa della caduta di Costantinopoli, della perdita delle colonie tauriche e della scoperta di nuove vie di navigazione, come la rotta per l’India
doppiando il Capo di Buona Speranza.
Nonostante i continui sforzi finanziari e diplomatici per difendersi dagli Ottomani, fu
paradossalmente la stessa Repubblica di Genova ad accelerare la disfatta della Maona,
temendo il crescente potere dei Giustiniani.
Nel frattempo si avvicinava la scadenza dell’ultimo rinnovo del contratto con Genova, che era
stato prorogato il 16 novembre 1507 per un biennio. Il governo genovese decise di muoversi
attivamente per riscattare l’isola e nel 1510 raccolse la somma pattuita di 152.250 lire.
I Maonesi ebbero però da eccepire sulla procedura seguita e rifiutarono di accettare il
pagamento, ritenendolo insufficiente in considerazione delle ingenti spese sostenute e del
deprezzamento del denaro.
La crisi fu risolta nel 1513, con un rinnovo della convenzione per i successivi 29 anni più i due
di transizione, con alcune modifiche per migliorare l’amministrazione dell’isola.
Questa fu l’ultima convenzione stipulata tra i Maonesi e il Comune di Genova, in quanto nel
1528 quest’ultimo rinunciò ad ogni diritto, lasciando in perpetuo l’isola alla Maona, che
avrebbe però continuato a pagare il tributo annuale di 2.500 lire.
Trent’anni dopo, nel 1558, Genova rinunciava completamente a Chio, dando ordine agli
ambasciatori presso il sultano, di dissociarsi dalle colonie e rinnegare ogni diritto di sovranità
sull’isola. Ciò tuttavia non impedì che, negli anni successivi, i Maonesi continuassero a subire
le conseguenze della politica della madrepatria.
Nel 1528 l’Ammiraglio Andrea Doria, scaduto il contratto con il re di Francia Francesco I,
passò al servizio dell’imperatore Carlo V e Genova fu liberata dalla dominazione francese
(iniziata l’anno prima) e restaurata come Stato indipendente.
Gli Asburgo erano ormai i veri avversari degli Ottomani per il dominio del Mediterraneo e
l’entrata nella sfera di influenza imperiale fece di Genova e di Chio, che pur governata dai
Maonesi continuava ad essere considerata genovese, potenziali nemici della Sublime Porta.
La Francia nel frattempo si era venuta a trovare priva di una flotta in grado di affrontare quella
imperiale agli ordini di Doria e si rivolse quindi al sultano turco Solimano (1520-1566) e ai suoi
tributari, i pirati barbareschi, guidati dal Barbarossa, Gran Ammiraglio (Kapudan Paşa) del
sultano dal 1533. La nuova alleanza anti-asburgica comportò anche una politica punitiva nei
confronti dei Genovesi. Finché Andrea Doria fu in vita, l’ostilità turca verso Chio si limitò ad azioni dimostrative,
pressioni diplomatiche e aumenti del tributo fino a 14.000 ducati. Il 2 Marzo 1558, è a Costantinopoli un
plenipotenziario del Doge, Francesco de Franchi Torturino, per negoziare i diritti dello
sfruttamento di Chios agli Ottomani. Lopera diplomatica dei Giustiniani che ne seguì, valse
soltanto a ritardare la loro fine. Dal 1560 iniziarono gli attacchi dei Turchi.
Nel XVI secolo il governo genovese era impegnato su altri fronti e ormai l’unico modo per
mantenere l’indipendenza di Chio era continuare a pagare il tributo ai Turchi e ingraziarsi
chiunque potesse avere influenza presso il sultano, in particolare gli ambasciatori francesi, due
dei quali visitarono Chio nel 1537 e 1550.
Il ritardo nel pagamento fu però solo uno dei motivi che portarono il sultano ad ordinare la
definitiva conquista di Chio.
L’isola si trovava in una posizione strategica, avrebbe potuto essere utilizzata come base per
operazioni navali contro i possedimenti turchi, e costituiva un punto di passaggio per schiavi
fuggitivi in attesa del rimpatrio, contrabbandieri e semplici mercanti, che erano i vettori
principali attraverso i quali le notizie sull’impero ottomano giungevano in Occidente. I
Maonesi furono accusati di aver avvisato i Cavalieri di Malta dell’attacco progettato,
contribuendo a rendere vano l’assedio turco del 1565.
La questione degli schiavi cristiani, scappati dai padroni turchi, era da tempo fonte di fastidio
per gli Ottomani. Dopo la conquista di Costantinopoli la Maona, che aveva istituito un apposito
magistrato con l’unico compito di assistere i fuggitivi, fu costretta a rifiutare loro aperta
protezione, ma ogni anno continuavano ad essere rimpatriati un numero variabile tra i
cinquecento e un migliaio di schiavi.
Fu proprio il pretesto di un riscatto per il rapimento di un genovese non pagato, appartenuto a Sokullu Mehmet Paşa, gran visir dal 1565 (il
messo della Maona era fuggito con i soldi), che spinse il Sultano ad
accelerare la conquista di Chios. Ora restava solo l'isola ai Giustiniani definita dai
Veneziani locchio destro di Genova. A quel tempo lisola aveva una
popolazione molto più numerosa di oggi pari a 120.000 abitanti su una superficie di
nemmeno mille chilometri quadrati con una densità eccezionale per lepoca.
Il gran visir inoltre elogiava presso il sultano i vantaggi della conquista di Chio, tra i quali il
mastice, la posizione e la ricchezza dell’isola in generale, forse anche spinto da sentimenti di
vendetta personale, in quanto i Giustiniani avevano supportato nel 1562 la nomina a gran visir
di Alì Paşa, loro sostenitore e rivale di Mehmet Paşa.
Era dal 1564 che i maonesi non pagavano al Sultano il tributo promesso ad Amurat II nel
1435, nellanno in cui si era impadronito di
Focea vecchia e
Focea nuova.
Temendo che i Maonesi potessero ricevere l’aiuto degli Spagnoli e dei Cavalieri di Malta,
Solimano diede ordine a Piyale Paşa di coglierli di sorpresa. Il 14 aprile 1566 una flotta imponente di ottanta galee comandate da Kapudanpascià Pialì
(o Paoli come da altre fonti) arriva al porto di Chios che riesce in sostanza
ad occupare senza combattere con un sottile tradimento. Gli Ottomani chiesero infatti
lapprodo al passaggio come amici, ma appena approdati, richiamarono il capo della
Maona, il podestà Vincenzo Giustiniani, il vescovo Timoteo Giustiniani e i 12 governatori
e li fecero imprigionare. Ciò non impedì che lisola subisse un violento
saccheggio, le Chiese furono tutte distrutte o convertite in Moschee, ben presto tutto
ciò di bello, funzionale e utile a Chios fu depredato o devastato.
Il 17 aprile, come riporta l’iscrizione in turco su una moschea, allora chiesa, la città fu presa.
I Genovesi avevano governato Chios per 220 anni.
Vincenzo Giustiniani
con gli altri 12 governatori e gli altri Giustiniani più in vista furono portati a
Costantinopoli. I più giovani sotto i 12 anni furono chiusi in un convento intitolato a
S. Giovanni Battista. Ventuno giovinetti tra i 12 e i 16 anni furono separati dai
genitori, costretti ad abiurare la fede cattolica ed ad arruolarsi nel corpo dei
giannizzeri. Quei bambini, martiri cristiani ricordano i Santi Innocenti dell'inno di Prudenzio, o certi delicati passi di S. Cipriano dedicati ai bambini confessori e martiri.
Tre di loro si piegarono alle volontà Ottomane, furono circoncisi, ma poi riuscirono a
fuggire a Genova, riabbracciando la fede avita. Gli altri 18 furono uccisi dopo atroci
torture il 6 settembre 1566. Questi ultimi furono canonizzati dalla Chiesa.
Un dipinto di Francesco Solimena
ne fregiava il martirio nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale andato distrutto durante un
incendio nel 1777 (il bozzetto è esposto al museo di Capodimonte a Napoli).
Una copia del dipinto fu eseguita da Corrado Giaquinto, uno dei suoi più validi allievi e seguaci attualmente esposta al Palazzo Rosso di Genova. I Giustiniani tentarono dapprima un restauro dell’opera per poi successivamente lanciare nel 1782 un nuovo concorso per un nuovo affresco (o dipinto ad olio). Il soggetto proposto era un'allegoria della Liguria, incoronata tra le sue Virtù, con riferimenti a Chios e a Jacopo Giustiniani il condottiero genovese vincitore a Ponza della flotta di Alfonso V d'Aragona, re di Sicilia, nell’agosto 1435. Il 9 settembre 1783 la commissione scelse il bozzetto di Gian Domenico Tiepolo
(Venezia 1727–1804) figlio di Giovanni Battista, veneziano, che nonostante fosse arrivato secondo a pari merito con Jamer Durno, fu prescelto a discapito del primo classificato Cristoforo Unterperger per una minor pretesa economica (6000 scudi romani Unterperger mentre Tiepolo ne chiese circa la metà). Dello stesso concorso si conoscono anche i bozzetti già noti di altri due pittori partecipanti allo stesso concorso oggi conservati alla Galleria degli Uffizi di Firenze e alla Galleria Statale di Stoccarda rispettivamente di Giovanni David e Martin Knoller.
Tiepolo eseguì l'affresco, scoperto il 14 novembre 1785, l'immagine a destra si
riferisce al modello preliminare olio su tela (116.8 x 82.6 cm) conservato al Metropolitan Museum of arts
di New York nel fondo John Stewart Kennedy 1913. Nella parte superiore della scala centrale Jacopo Giustiniani è inginocchiato davanti
alla personificazione della Repubblica Genovese. Gli stemmi dei Giustiniani e di Genova
sono visibili sulle due bandiere. Una figura femminile in vestito greco posta
nellangolo di sinistra rappresenta l'isola di Chios; il rotolo che tiene nelle mani
ha le iniziali V.I. e 1562, in riferimento a Vincenzo Giustiniani Garibaldi
podestà dal 1562 al 1566 (anno della conquista turca dell’isola). Le figure in
vestito orientale nella parte di destra potrebbero alludere alle conquista turca
dell’isola nel 1566 o alle imprese commerciali dei Giustiniani nell’Asia minore
e nelle isole dell'arcipelago Greco. A causa del deterioramento il dipinto del
Tiepolo sul martirio dei Giustiniani nel 1866 fu coperto da Giuseppe Isola che ridipinse
l'allegoria del Commercio dei Liguri attualmente visibile nella sala del Maggior
Consiglio di Palazzo Ducale di Genova.
Del tragico evento del 1566 abbiamo la cronaca scritta, esattamente un secolo dopo (1658), dall’abate Michele Giustiniani
(contenuta nel manoscritto: "La gloriosa morte de' diciotto fanciulli Giustiniani patritij genouesi, de' signori di Scio, scritta dall'abate Michele Giustiniani del sangue stesso, e celebrata da diuersi eruditi ingegni d'Europa")
.... Le cannucce infocate conficcate nelle dita dei
piedi e delle mani, le percosse brutali, il piccino che tiene stretto stretto il pugno,
perché non si creda che voglia alzare l'indice (che era il segno della resa, della
volontà di farsi maomettano), e lo stringe così forte, che né da vivo né da morto gli
si poté mai disserrare, quel piccolo, cristiano pugno. Erano i fanciulli di più vivido
ingegno e di più alta estrazione sociale, il Solimano voleva farne dei paggi del suo
Serraglio, e li fece portare da Chio a Costantinopoli: sarebbero diventati certo ministri,
governatori, pascià (come accadeva); ma prima dovevano convertirsi ad Allah. E quei
piccini preferirono Cristo:"O decem et octo lustiniani" "sanguinea
stola exornati!"."Stringe a pugno la destra per non poter perdere / ciò
che porta nelle mani: porta l'anima nelle mani" ("Comprimit in pugnum
dextram, ne perdere possit/ quod gerit in manibus: fert animam manibus"). Gli
informatori di San Pio V non hanno potuto, da Costantinopoli, riferire tutto sui fanciulli
Giustiniani, ma un episodio che sa di miracolo, sì. E il grande Papa si commuove e
ringrazia Dio per il severo e dolce dono del martirio e della perseveranza di uno di quei
bambini: grazia altissima, Il Cardinale Gambara dirà :"ll Santissimo nostro
Signore disse (in Concistoro,ai Cardinali,il 6 Settembre 1566) che un giovinetto di
tredici anni,della famiglia Giustiniani(...) né da allettamenti né da terrore poté
essere indotto a convertirsi alla religione dei Turchi. Ché anzi, minacciandogli il
Pascià la morte, o col farlo precipitare ipso facto dalla finestra o col trafiggerlo
colla spada, non solo non provò spavento ma espresse invece il desiderio grande del
martirio, dicendo che non potevano fargli nessun dono maggiore che mutare nella morte la
vita, per la fede di Cristo. Fu gettato allora nel carcere, e qui, dopo che ebbe riversato
tutte le sue preghiere ai piedi di Dio, perché si degnasse di concedergli la corona del
martirio, tre giorni dopo, intatto e senza veruna offesa, fu trovato morto. Di questo
Santi volle far partecipi i Reverendi Cardinali, perché fossero grati a Dio, che anche ai
nostri tempi donava grazie di questo genere. Tempi forti, di lotta e fede vera. I
"duodeviginti lustinianae gentis Pueri",di cui fu scritto, con suggestiva,
sonante, antitesi nella Cappella del Palazzo Ducale genovese, nell'epigrafe acclusa
all'affresco di Giovan Battista Carlone:". . le loro grandi anime, per
ritrovarle, sotto le percosse intrepidamente persero"".. .magnas animas, ut
invenirent, constantissime perdiderunt (traduzione dal latino di Aldo
Bartarelli).
I capi della Maona furono internati a Caffa in Crimea, dove molti morirono. I superstiti,
furono liberati dal Sultano Selim nel 1567 e gli fu concesso di tornare a Chios o in
Italia per intercessione di Carlo IX re di Francia, su preghiera del Papa S.Pio V, per
mezzo del suo ambasciatore De Guanterie de Grandchamp (Dall'opera di P.P. Argenti "Chius
Vincta" alcuni estratti in inglese sulla
sorte dei diciotto fanciulli Giustiniani e la liberazione dei superstiti a Caffa).
La cittadella di Chios fu presidiata e lisola occupata con il divieto ai residenti
di abbandonarla, pena la morte, mantenendogli però anche alcuni dei privilegi concessi in
precedenza dai Maonesi.
Si spiega così come ancora nel 1594, sia i Giustiniani che rimasero che quelli che
tornarono a Chios riuscirono comunque a mantenere un certo lignaggio, anno in cui per gli
inasprimenti dellamministrazione, i più furono costretti ad andarsene. Risulta
comunque che ancora oggi ci siano famiglie che portano lantico cognome dei
Giustiniani o sue varianti Greche.
Ci fu ancora un vescovo di Chios nel secolo scorso: Ignazio nel 1830 ed un altro con lo
stesso nome nel 1879, con sede a Nasso dove un certo Giovanni Giustiniani possedeva ancora
nel 1670 vasti possedimenti. (Diocesi di Chios
- Vescovi della diocesi di Chios dal 1363 al 1698)
I più dei sopravvissuti tornarono a Genova con la vana speranza di vedersi riconosciuto
un indennizzo per la perdita dellisola di 152.250 lire Genovine nel caso di perdita
della colonia, più altre 70.000 lire genovine per altre indennità ed il rimborso con gli
interessi di 600 luoghi (60.000 lire) che i Giustiniani avevano depositato presso il Banco
di S.Giorgio a Genova come garanzia per il censo annuo dovuto alla Repubblica.
Tutti i richiami che i Giustiniani fecero fino al 1805 per farsi riconoscere il debito,
furono inutili. Le speranze finirono definitivamente quando il Banco di S. Giorgio fu
chiuso nel 1815.
Gli antichi domini dei Giustiniani nel Dodecaneso, sotto il gioco Ottomano, andarono molto
presto in rovina. Chios fu ridotta ad un covo di ladri e di pirati. I pochi latini rimasti
furono incarcerati. La maggior parte della popolazione rimasta era per lo più plebea. Di
tutte le Chiese dellisola rimasero solo la cappella dei Domenicani e il convento dei
Francescani.
Nel 1681 l'Abate di Burgo censisce le antiche famiglie genovesi di Chios. Oltre ai
Giustiniani, nell'elenco, tratto dal libro
Viaggio di cinque anni; pubblicato
nel 1686 nelle stampe dell'Agnelli (In Milano) compaiono le seguenti famiglie di cui
alcune presenti nella stessa Maona Giustiniani: Alessi, Argiroffi, Balzarini, Barbarini,
Banti, Balli, Baselischi, Bavastrello, Borboni, Bressiani, Brissi, Calamata, Cametti,
Caravi, Casanova, Castelli, Compiano, Condostavli, Coressi, Corpi, Damalà, D'Andria,
Dapei, De Campi, Della Rocca, De Marchi, De Portu, Devia, Domestici, Doria, Facci,
Filippucci, Fornetti, Frandalisti, Galiani, Gambiacco, Garchi, Garetti, Garpa, Giudici,
Giavanini, Graziani, Grimaldi, Leoni, Longhi, Machetti, Macripodi, Mainetti, Maloni,
Mamabri, Marcopoli, Marneri, Moscardito, Massimi, Montarussi, Motacotti, Moroni,
Ottaviani, Parodi, Pascarini, Pigri, Pisani, Portofino, Pretti, Ralli, Rastelli,
Recanelli, Rendi, Reponti, Remoti, Rochi, Rubei, Salvago, Sangallo, Serini, Serra,
Soffetti, Spinola, Stella, Testa, Timoni, Tubini, Valaperghi, Vegetti, Velati, Vernati,
Viviani.
Molti Giustiniani di Chios si distinsero anche al di fuori del Dodecaneso. Nicolò Banca
nel 1393 è console a Costantinopoli, Ottobono Campi è capitano di ventura nella guerra
di Ventimiglia, Francesco Campi è ambasciatore presso limperatore Sigismondo, dal
quale è nominato conte palatino per il casato dei Giustiniani il 15 maggio 1413, come
Gabriele Recanelli l8 dicembre 1417. Antonio Longo nel 1390 è ambasciatore e
plenipotenziario della Repubblica e paciere nella disputa tra guelfi e ghibellini. Pietro
Giustiniani, Ammiraglio della flotta dei Cavalieri di Malta e Gran Priore dellOrdine
durante la battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 (
.Uluj Alì, con il
vento in poppa, aggredì da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta,
al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine. La Capitana venne circondata da
sette galee. Uluj Alì catturò il vessillo dei Cavalieri di Malta, fece prigioniero
Giustiniani, che era stato ferito sette volte, e prese a rimorchio la
Capitana.
attraverso il racconto di un marinaio della nave cristiana
"San Teodoro", narrato da Gianni Granzotto nel libro: "La battaglia di
Lepanto").
La maggior parte dei rami discendenti di questa nobile famiglia, dopo il 1566 anno della
conquista Ottomana di Chios si sono estinti nel corso dei secoli.
Genova con la caduta di Chios sparisce dal novero delle potenze coloniali, continuando il
declino coloniale cominciato nel 1475, ma invece che la decadenza ritrova una inaspettata
prosperità. Non nel campo politico ma nel campo imprenditoriale. Nel XVI secolo le navi
ed i marinari liguri si possono paragonare ai Greci del XIX secolo che si incontrano in
tutti i mari e in tutti i porti stranieri più facilmente di quelli a casa loro. Con
grande incremento dellattività mercantile Genova seppe affermarsi fin da subito
nella nuova attività destinata ad affermarsi nei secoli a venire: le banche.
Le colonie commerciali perdono la funzione di teste di ponte verso un mondo che ormai ha
acquistato sicurezza e sviluppo spontaneo, dove i latini sono visti ora come concorrenti
piuttosto che come collaboratori. I Veneziani mantennero i loro possedimenti nel levante
più a lungo dei Genovesi soprattutto per la maggior presenza dei coloni veneti, al
contrario di Genova che non riuscì mai a facilitare grosse emigrazioni verso le colonie.
Un eccezionale testo sulla storia di Chios fu la "Istoria di
Scio" scritta nell'anno 1586 scritta da Hieronimo Giustiniani (maonese - o
dei Signori di quelle et Isole circonvicine e paese adiacente nell'Asia Minore), un
eccezionale documento d'epoca con una descrizione puntuale e dettagliata della geografia
dell'isola, Qui sono riproposti l'introduzione e i primi due libri come riportati nell'opera di P.P. Argenti:
Introduzione -
Libro primo -
Libro secondo - della descrizione,
et historia dell'isola di Scio -
Libro
terzo
Un altro importante testo sulla storia di Chios
"LA SCIO SACRA DEL RITO LATINO DESCRITTA DALL'ABATE MICHELE GIVSTINIÀNI PATRITIO GENOVESE DE' SIGNORI DI SCIO
(scaricabile interamente e gratuitamente da google book) di cui si riporta
l'estratto iniziale in pdf riguardante la
storia della presenza dei
Giustiniani a Chios (descritta dall'Abate Michele Giustiniani)
Sempre disponibili integralmente su google libri due testi molto dettagliati sulla presenza Genovese in Grecia ed in Oriente disponibili integralmente e gratuitamente su google:
-
DEL DOMINIO DEI GENOVESI NELLA GRECIA
di Carlo Pagano, Genova, tipografia Fratelli Pagano, 1846.
-
DELLA COLONIA DEI GENOVESI A GALATA
di Ludovico Santi, Torino 1831
Lochio drito
de la cità nostra de Zenoa Il problema della difesa di Chio negli ultimi anni
del dominio Genovese. di Enrico Basso tratto dal sito dell'Associazione di studi storici militari
L’isola col turbante. I Giustiniani di Chio tra Greci e Turchi (XIV-XV secolo) (di Daniele Tinterri)
Fonti e
problemi della storia del commercio mediterraneo nei secoli XI-XIV di Marco Tangheroni
tratto dal Portale di Archeologia
Mediovale dell'Università di Siena
LA FORTEZZA DI CHIOS
LA VITA AMMINISTRATIVA DEI
GIUSTINIANI A SCIO L'organizzazione della colonia di Chios e i nomi di tutti i
podestà Genovesi.
Le colonie Genovesi durante l'avanzata
Turca (1453-1473) di Giustina Olgiati (in inglese).
Nuclei famigliari da Genova a Chio nel
quattrocento
Il questo link uno studio di Laura Balletto su come i Giustiniani seppero interessare allo
sviluppo dei commerci di Chios anche i nativi isolani, che si sentirono così
gradualmente, per così dire, genovesizzati, anche attraverso vincoli familiari. Oltre a
tutto ciò, lisola di Chios divenne ben presto meta dun notevole afflusso
immigratorio, che vide arrivare in loco non solo gente proveniente da Genova e dalla
Liguria, ma altresì da altre regioni italiane ed anche extra italiane. Ed uno degli
elementi che caratterizzò questa immigrazione e che storicamente appare fra i più
importanti ed interessanti è rappresentato dallafflusso nellisola di
Chio di più membri di un medesimo gruppo familiare, i quali talvolta, dopo un certo
tempo, rientrarono in patria e talvolta, invece, restarono colà vita natural durante, vi
defunsero e vi vennero sepolti. Gli esempi che, circa questo fenomeno, si possono trarre
dalla lettura di anche soltanto una parte dei numerosissimi atti notarili pervenutici,
redatti da notai genovesi e/o liguri nellisola di Chios nel Quattrocento, sono molti
e si riferiscono ai più diversi livelli della scala sociale.
Dall'opera di P.P. Argenti "Chius
Vincta" alcuni estratti in inglese (Rapporti tra Maona, Bizantini e Turchi
)
sui rapporti tra: la Maona di Chios fino al 1500 con i Bizantini e l'Impero Ottomano, le
condizioni dell'isola di Chios prima dell'occupazione Turca del 1566 e sulla conquista
Turca del 1566.
Χρίστος Στεργ. Μπελλές: Οι Γενοβέζοι κατακτητές – δυνάστες της Χίου Giustiniani (1346 – 1566) και το προϊόν της μαστίχας
(di Cristo Sterg. Belles, in lingua greco moderna: I conquistatori genovesi, dinasti di Chios Giustiniani (1346 – 1566) e il commercio del mastice)
Gli orizzonti aperti. Profili
del mercante medievale , a cura di G. Airaldi, Torino 1997 © degli autori e
dell'editore. (Indice. - Gabriella Airaldi, Introduzione. Per la storia dellidea di
Europa: economia di mercato e capitalismo. - Jacques Le Goff, Nel Medioevo: tempo della
Chiesa e tempo del mercante. - Roberto S. Lopez, Le influenze orientali e il risveglio
economico dellOccidente. - Eliyahu Ashtor, Gli ebrei nel commercio mediterraneo
nellalto medioevo (secc. X-XI). - Abraham L. Udovitch, Banchieri senza banche:
commercio, attività bancarie e società nel mondo islamico del Medioevo. - Nicolas
Oikonomides, Luomo daffari. - Armando Sapori, La cultura del mercante
medievale italiano. - David Abulafia, Gli italiani fuori dItalia. - Gabriella
Airaldi, Modelli coloniali e modelli culturali dal Mediterraneo allAtlantico. -
Jacques Heers, Il ruolo dei capitali internazionali nei viaggi di scoperta nei secoli XV e
XVI. - Gabriella Airaldi, Leco della scoperta dellAmerica: uomini
daffari italiani, qualità e rapidità dellinformazione)
LE MONETE A CHIOS AL TEMPO DEI
GIUSTINIANI (Si ringrazia in particolar modo il Prof. Andreas Mazarakis per il suo
contributo alla stesura di questo paragrafo)
MONNAIS INEDITES DE CHIO di P.
Lambros, Parigi 1877 (testo in francese)
La vera "bibbia" delle monete genovesi delle colonie Genovesi nel levante è
l'opera di Giuseppe Lunardi ora disponibile online su internet dalla Biblioteca
digitalizzata della Società Ligure di Storia Patria:
Le Monete delle colonie
Genovesi di Giuseppe Lunardi Atti della Società Ligure di Storia Patria Nuova serie, XX fascicolo primo
(1980).
Documenti della Maona di Chio (secc. XIV-XVI) a cura di Antonella Rovere in Atti della Società Ligure di Storia Patria, nuova serie, XIX/II (1979)
LA ZECCA DI SCIO DURANTE IL DOMINIO GENOVESE di Domenico Promis, Torino 1865.
La successione dei Vescovi Cattolici a Chios dal XIV al XX secolo
LEVANTINE HERITAGE diversi
contributi in inglese sulla storia delle famiglie levantine.
I GENOVESI A CHIO (1346-1566).
LA FORMAZIONE DI UNA SOCIETÀ PLURALE di Chiara Ravera (tesi di laurea
magistrale 2013-14, Università di Pisa Dipartimento di civiltà e forme del sapere, Corso di Laurea Magistrale in Archeologia),
un opera veramente completa e riccamente documentata, con un'ampia bibliografia, che oltre a trattare la storia della presenza genovese sull'isola, ne
descrive gli aspetti economici, amministrativi, linguistici, religiosi e
giuridici del periodo genovese oltre ad un capitolo con le foto e le
trascrizioni delle epigrafi presenti sull'isola.
The Latin Monuments of Chios di F. W. Hasluck inThe Annual of the British School at Athens Vol. 16 (1909/1910), pp. 137-184 (52 pages)
Leone dei Giustiniani Parole dette il VI Maggio nei giardini del Pelagio di Andrea Doria, ricevendo in dono il gesso del leone Tergestino che è murato in una casa dei Giustiniani (G. D'Annunzio)
LA DISCENDENZA DEI GIUSTINIANI A ROMA DAL 1566 AI GIORNI NOSTRI
Con la fine del dominio della Maona a Chios nel 1566 e la liberazione dei superstiti
internati in Crimea dai Turchi alcuni Giustiniani ritornarono a Chios altri in Italia o in
Grecia. Le famiglie originarie della Maona del 1362 restarono quasi tutte fino al 1566,
anno della fine della dominazione Genovese su Chios, ed erano: Caneto de Lavagna (usciti
nel 1369), Campi, Arangio (usciti nel 1413), S.Teodoro (usciti nel 1369), Adorno, Banca,
Longo, De Forneto, Negro, Oliverio e Garibaldi. Cui si aggiunsero al posto dei Caneto e
degli Arangio nel 1369, Rocca, Fregosi, Recanelli e Forneti. Nel tempo molte altre
famiglie furono iscritte alla Maona e presero il cognome di Giustiniani: Castro, Pagano,
Moneglia, Ciprocci, Mari, Paterio, Maruffo, Ughetti. Altre ne fecero parte per brevi
periodi.
I rami Giustiniani che tornarono a Roma furono quelli dei Banca e i Negro che ottennero
con molta facilità di entrare nella corte Pontificia per occuparvi un posto degno delle
glorie passate. A ciò contribuì senza dubbio lalta posizione di Vincenzo Banca Giustiniani (Chios 1519-Roma 1582) che aveva preso i voti contro il parere dei genitori.
Entrato nellordine dei Domenicani vi aveva percorso una brillante carriera, nel 1558
a soli 38 anni, ne era generale, nonché qualche anno dopo tra i più autorevoli
partecipanti al Concilio di Trento. Creato cardinale da Pio V, alcune fonti lo danno anche
fra i papabile del conclave del 1572 che vide lelezione di Gregorio XIII Boncompagni
(L.Cardella, Memorie storiche dè cardinali della Santa Romana Chiesa, Roma, 1973 pp
146-48). Quando morì venne sepolto in Santa Maria sopra Minerva, dove aveva già fondato
una cappella, dedicandola a S.Vincenzo dè Ferrari (Basilica di Santa Maria alla
Minerva alcune foto della Cappella Giustiniani sul sito dell'Australian
National University e alche su
Cappella Giustiniani
).
Il primo cardinale della famiglia Vincenzo Giustiniani, era cognato di
Giuseppe Giustiniani Banca Negro (1521-1600)
e zio
dellomonimo Vincenzo (1564-1638) futuro collezionista e di Benedetto(1554-1621),
laltro cardinale. Quando nel 1566, Giuseppe Giustiniani, futuro acquirente del
palazzo, fu costretto ad abbandonare lisola di Chio, si rivolse appunto a Vincenzo,
suo cognato, giacché fratello della moglie Geronima.
Giuseppe, sottoposto a vessazioni e soprusi da parte dei turchi, dopo le tappe di un
esilio che è poi un fuga, prima a Malta, poi a Messina, quindi a Napoli ed infine a
Civitavecchia, venne a Roma, con grandi ricchezze e con cinque figli: due maschi,
Benedetto e Vincenzo e tre femmine: Angelica (ritratta a qui a destra. Sulla tovaglia, lo
stemma bipartito della famiglia Giustiniani e Monaldeschi - Pittore genovese del XVII
secolo - collezione privata), Virginia e Caterina, che maritò nobilmente e con molta
dote: la prima a casa Bandini, la seconda a casa Monaldeschi, la terza in casa Massimi.
A Roma, tramite laiuto del cognato, fu introdotto con la sua attività negli affitti
o nei negozi camerali riuscendo ad aumentare prodigiosamente le sue sostanze.
Lesperienza di più generazioni dedite al commercio e ai cambi, saldamente acquisita
da Giuseppe, non poteva passare inosservata nella dinamica Roma di Gregorio XIII. Dove
dimorassero i Giustiniani fino a quel periodo non è chiaro, ciò fino al 1590 quando
acquistarono il palazzo, forse nel vicino palazzo di S.Salvatore alle Coppelle posseduto
dal cognato Giorgio Giustiniani. Nel 1590 acquistò il palazzo che a Roma porta ancora il
nome della famiglia e di due ville situate, una nella zona di Porta Flaminia in Roma (Casale Cenci Giustiniani) non
più esistente il cui portale e stato impiantato allingresso di Villa
Celimontana
sempre a Roma (su cui capeggia liscrizione di Giuseppe Giustiniani)) e unaltra
al Laterano che è considerata uno dei gioielli dellarchitettura Romana (Villa Giustiniani Massimi a San Giovanni). Inoltre acquisisce i latifondi di Bassano. Giuseppe Giustiniani si occupa
anche di beneficenza con copiosi lasciti ad opere di bene tra cui a Società dei XII
APOSTOLI, ancora attiva oggi, ed altre anchesse presenti, con la particolare
raccomandazione di assistere i profughi di Chios con varie attività, tra cui alcune
considerate oggi anacronistiche come la dote alle zitelle sciote illibate (in
particolare il Ministero dell'interno: Riconoscimento della personalità giuridica di
diritto privato della fondazione "Opere pie dotalizie raggruppate Giustiniani,
Falconi e Marcolini del Pio istituto di Dotazione del SS.mo Rosario", in Roma GU n.
275 serie generale parte prima del 24.11.98).
Benedetto figlio maggiore, studiò legge a Perugia, poi a Padova e a Genova e, in pochi
anni entrò a far parte dellamministrazione pontificia. Sisto V lo nominò nel 1585
Tesoriere generale e il 17 dicembre 1586 a soli 32 anni Cardinale. e nel 1586 fu fatto
cardinale da Sisto V. Svolse un ruolo significativo nella politica ecclesiastica di quegli
anni; si ricorda in particolare la sua opera per il riavvicinamento del re di Francia
Enrico IV di Borbone alla Chiesa cattolica. Dal 1606 al 1611 fu Legato pontificio a
Bologna, assolvendo la propria carica con grande fermezza e rigore, come attestano le
fonti contemporanee e come dimostra il Bando generale promulgato a Bologna nel 1608. La
sua passione per larte fu tale al punto da far sostituire di nascosto il S.
Sebastiano del Francia nella Chiesa di S. Maria della Misericordia a Bologna con una
copia, testimoniata, in particolare, dagli scritti del bolognese Carlo Cesare Malvasia, il
quale ci parla dellamore del cardinale per la pittura "tenebrosa" e ci
descrive il suo carattere "ritroso e severo" e impulsivo. Della sua
abilità di inserirsi nel tessuto politico e sociale dell'epoca è testimonianza una sua
biografia anonima che lo definisce così: "è officioso et efficace per l'amici.
Ha molta solertia et è gran captatore di benevolenza con i grandi, perché gli lusinga et
si mostra tenace de loro interessi, et sa facilmente interessarli conche s'ha
guadagnata la confidenza del Papa
". Il cardinale Benedetto fu ritratto da
Caravaggio, in un dipinto finora sconosciuto menzionato nell'inventario della sua
collezione.
Il secondo figlio di Giuseppe Giustiniani, Vincenzo I (Chios 1564 Roma
1637), ereditò dal padre il feudo di Bassano, della Diocesi di Sutri, acquistato il 12
giugno 1595 e da Paolo V il 22 novembre del 1605 elevato a titolo di Marchesato, è
listitutore del fedecommesso. Uomo educato alle arti. Dimostrò un grande
eclettismo e una grande passione per le scienze. Accorto collezionista dotato di fine
intuito si accostò alle correnti più innovative della pittura del suo tempo, sostenendo
nel suo ruolo di mecenate la diffusione del realismo di matrice caravaggesca e dimostrando
in più occasioni un'apertura alle novità che pochi suoi contemporanei seppero
condividere. Al contempo, Vincenzo coltivò una viva passione per l'antico, accumulando
una straordinaria quantità di sculture e bassorilievi che letteralmente invasero tutti
gli spazi delle sue residenze. La natura eclettica dei suoi interessi è dimostrata dall'
inventario della sua biblioteca, nel quale sono elencati volumi di storia, di filosofia,
ma anche di astrologia, medicina e divinazione. La sua passione per le arti e le scienze
lo portò a scrivere una serie di saggi che verranno pubblicati postumi con il titolo di
Discorsi sulle arti e sui mestieri (ripubblicati qualche anno fa nelle edizioni
Città del Silenzio con una
prefazione di Lauro Magnani) . Essi denotano una grande conoscenza della pittura, della
scultura, della musica e delle costruzioni civili. (preliminari all'edizione critica del
Discorso sopra la musica de' suoi tempi di Vincenzo Giustiniani (1628)
a cura di
Gennaro Tallini).
Nel 2021 grazie al lavoro delle professoresse Silvia
Danesi Squarzina e Luisa Capoduro, sono stati portati alla luce altri "discorsi"
del del marchese Vincenzo non ancora conosciuti, pubblicati per la Tipografia della Biblioteca Apostolica Vaticana
SCRITTI EDITI E INEDITI.
I "Discorsi" di Vincenzo sono di fondamentale importanza, non soltanto per la comprensione del suo gusto
artistico ma anche per le molte informazioni che se ne possono trarre. Nel 1606 Vincenzo
intraprese un viaggio nel Nord Europa che, passando per la Germania, lo condusse fino in
Inghilterra e quindi, sulla via del ritorno, in Francia. Le tappe del suo itinerario, i
luoghi e gli incontri che lo colpirono maggiormente, sono riportati nel diario che ne dà
il resoconto.
Almayden parlando del Marchese Vincenzo I Giustiniani e delle sue doti di sapiente,
mecenate e viaggiatore, lo descrive così: "cavaliere di virtù e meriti
incomparabili, noti a tutto il mondo
Non vidi mai tale ingegno al mondo
. Di
tutto sintendeva, di tutto discorreva, anche delle scienze più recondite; e con
essere affabile aveva ridotto in casa sua una conversatione di cavalieri et uomini
letterati
. Fece mobilissimo viaggio in tutta Europa, il quale pose in carta e
diresse a me (pubblicato da un Cod. Ottoboniano della Vaticana).
Il Casato Giustiniani, fu decorato con il titolo di nobile. Con il conferimento di
marchese
a Vincenzo Giustiniani, il casato acquisiva anche questo prestigioso titolo. La
giurisdizione del Marchesato si estendeva sulla "marca", ovvero paese di
confine, i Marchesi avevano ai loro ordini un buon numero di armati per difendere i
territori contenuti nella "marca"; furono perciò chiamati "Custodes
limitum", poi Marchiones, Marchisii, ed infine Marchesi. Il titolo di Marchese
era già allepoca puramente onorifico e gentilizio.
Vite che non sono la tua: il marchese Vincenzo Giustiniani
Podcast audio de "Rai play sound" del 1 giugno 2019 (di Costantino D'Orazio)
Queste sono le linee genealogiche dei Giustiniani in base alle risultate dell'Archivio di Stato di Genova
di Carl Hopf:
Alberi Genealogici dei Giustiniani (edito nel 1873)
NOTIZIE ARALDICHE E VICISSITUDINI
STORICHE DELLE FAMIGLIE DI ORIGINE GENOVESE A CHIOS DOPO IL 1566
I Genovesi d'Oltremare i primi coloni
moderni
STORIA DELLA CITTA DI GENOVA DALLE
SUE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA MARINARA
LINEE GUIDA DELLA STORIA GENOVESE
1339-1528
Presso la Libreria
Bozzi
di Genova si può trovare un ricco assortimento di testi sulla storia della Città e
Ligure
LA BATTAGLIA DI LEPANTO 7 OTTOBRE 1571
(Pietro
Giustiniani, Veneziano, Ammiraglio della flotta dei Cavalieri di Malta e Gran Priore
dellOrdine).
STORIA DI GENOVA, DEL REGNO DI
SPAGNA IN ITALIA DAL 1600 AL 1750
Memorie di Genova (1624 -
1647) di Agostino Schiaffino a cura e con introduzione di Carlo Cabella in Prima
edizione nei "Quaderni di Storia e Letteratura": Settembre 1996. Opera completa.
IL REGNO VENEZIANO DI MOREA E
LULTIMA GUERRA CRISTIANA CONTRO I TURCHI A SCIO DEL 1695
Pirati e pirateria nel Mediterraneo
medievale: il caso di Giuliano Gattilusio di Enrico Basso. Stampa in Praktika
Synedriou Oi Gatelouzoi tìs Lesbou, 9-11 septembríou 1994, Mytilini, a cura
di A. Mazarakis, Atene 1996 (Mesaionikà Tetradia)©
dellautore - Distribuito in formato digitale da Reti Medievali
Histore de la République
de Gênes di Émile Vincens, un testo in francese del 1843, scaricabile gratuitamente
su internet
Gli archivi notarili del
dominio Genovese nella seconda metà del settecento di Ausilia Roccatagliata
I Giustiniani quattro secoli di ricchezze di Giovanni Assereto
Governare la città.
Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale di Giovanna Petti
Balbi. Firenze, Reti Medievali - Firenze University Press, 2007. Le strategie politiche, le dinamiche sociali, il linguaggio
delle istituzioni e degli uomini che le esprimono concorrono a delineare gli instabili
assetti di una città che tenta, senza riuscirvi, di approdare nel Quattrocento a forme di
governo e di autorappresentazione pari a quelle maturate in altri ambiti italiani.
LOccidente, Bisanzio e il Mar Nero
nel XIII secolo , Mediterraneo, Bisanzio e il Mar Nero di Michel Balard, distribuiti in formato digitale da
Itinerari Medievali.
CASTIGATISSIMI ANNALI DELLA
REPUBBLICA DI GENOVA di Agostino Giustiniani, versione integrale del libro
La Bibbia Giustiniani
lo Psalterium
Hebraeum, Graecum, Arabicum, et Chaldaeum, cum tribus Latinis interpretationibus et
glossis di
Agostino Giustiniani
Il sito di Christopher Long interessante la
sezione storica dedicata a Chios.
XIAKA di Alexander Vlastos, The History of the Island of
Chios from its earliest times down to its destruction, by the Turks in 1822 (in
inglese)
Parparia una storia dimenticata: tis
Annas tis Mouzouros un interessantissimo sito di Stavros Stefanidis in Inglese
ricco di approfondimenti storici su Chios, ricco di materiale storico e mappe in generale
sull'isola
Storia architettonica di un isola
della Grecia Bizantina di Piero Cimbolli Spagnesi, un abstract sullo studio
dellarchitettura bizantina sullisola di Chios. La necessità di studiare
larchitettura del mondo bizantino per aree omogenee quanto a cultura e
caratteristiche geo-morfologiche, fa infatti di questa un osservatorio privilegiato.
Perché non solo essa ebbe una lunga storia medioevale ed unimpareggiabile
continuità di documentazione, ma la sua particolare posizione nel mare Egeo a nord di
Creta e di fronte allAsia Minore, ne fece un approdo cardine per le rotte lungo il
Bosforo verso il Mar Nero, oltre che una base navale sicura nel Mediterraneo orientale e
la porta dingresso verso est dellintera penisola anatolica.
Inoltre, Chios si
caratterizzò a lungo per la fioritura nella zona sud di mastice per uso medico e
alimentare, il che la rese luogo esclusivo di produzione e base davvio di commerci
fiorenti. Nel proporre un modo di intendere larchitettura del Medioevo greco
aderente alle consuete scansioni temporali (proto-bizantino, bizantino medio e tardo,
post-bizantino), lopera guarda ad esse anche come momenti inscindibili di
ununica mentalità. Il suo studio a ritroso è reso necessario dal fatto che le
trasformazioni occorse dopo lavvio dellavanzata turca alla metà del XV secolo
hanno cancellato quasi completamente tante testimonianze precedenti. Ciò è emblematico
proprio a Chios dove, pensando alle trasformazioni dei villaggi bizantini, sono
rintracciabili i segni tangibili di ogni momento passato, con una continuità tale da
rendere lisola particolarmente adatta a servire da documento fondamentale per una
storia più vasta delle diverse realtà di religione cristiano-ortodossa del Mediterraneo
centro-orientale.
Storia di
Chios in greco moderno
Segnalo inoltre un breve, ma interessante romanzo storico sulla genova del trecento per la
Fratelli Frilli Editore di Roberto Dameri:
Gelindo Lercaro: una
storia genovese del 1300. Attraverso le vicende d'amore e di guerra del
protagonista, riviviamo la storia della Genova del Trecento e del primo Quattrocento.
Conosciamo la vita quotidiana di un genovese che acquistava la carne al Molo o ai macelli
di Soziglia, mentre il pesce veniva comperato a Caricamento presso la "clapa
piscium" o "ciappa" in dialetto, un lastrone di pietra che veniva usato
anche per bastonare i condannati per reati comuni. Rivediamo i palazzi di Genova, le sue
chiese, i vicoli stretti e maleodoranti percorsi giornalmente da asini, buoi, cavalli ma
non da carretti, allora vietati in città. Senza dimenticare i dogi di allora, compreso
Simone Boccanegra che nel 1339 viene eletto a vita, mentre nel 1340 nasce la
"compagnia del caravano", la prima corporazione dei camalli. Ecco la storia
della Lanterna e del Banco di San Giorgio ed alcuni avvenimenti riguardanti le colonie
genovesi della Sardegna, Corsica e del Mar Nero. Emergono le tante battaglie tra Genova e
Venezia, nonché le lotte intestine tra le varie classi sociali, con alcune famiglie che
non esitarono a vendersi allo straniero pur di emergere sulle rivali. E lincubo
della terribile peste nera del 1347, portata in Italia dai marinai genovesi provenienti da
Caffa, sul Mar Nero.
Nuclei famigliari da Genova a Chios nel quattrocento di Laura Balletto
L’ISOLA DI CHIOS E L’INFLUSSO LESSICALE
GENOVESE IN GRECIA: UNA SINTESI di Fiorenzo Toso
I Genovesismi del dialetto di Chio di Fiorenzo Toso e Davide Bozzo
La Finanza genovese e il sistema imperiale spagnolo di
Manuel Herrero Sánchez, Universitá Pablo de Olavide, Siviglia
Bartolomeo Colonna da Chioo il greco genovese che portò la stampa nelle Marche
STAMPA:
La
Dynasty dei Giustiniani da azionisti a principi - Il Secolo XIX del 25.2.2004 di Marco Giacobbe
I Giustiniani a Roccapassa: dogi, vescovi, scrittori e martiri - Il Messaggero del 10.2.2005 di Andrea Liparoto
Dalla Maona alla prima popolare - Milano Finanza del 5.4.2005 di Guido Crapanzano
I GIUSTINIANI, UNA NOBILE FAMIGLIA GENOVESE NELL'AMATRICIANO, DA PIAZZA LONGA A ROCCAPASSA
(Phasar edizioni Firenze)
di Enrico Giustiniani
(il testo è acquistabile direttamente dal sito della casa editrice Phasar al
prezzo di € 12,00)
Seppur apparentemente curioso, ma una delle "dodici" famiglie
che formarono l'Albergo Giustiniani, quella dei "Longo", ormai estinta da oltre un
secolo a Genova, ebbe una feconda discendenza nella “villa” di Roccapassa, attuale frazione del comune di Amatrice in provincia di Rieti.
Il ramo "Longo" è tra i più importanti della famiglia
dei
Giustiniani: oltre Giovanni
difensore di Costantinopoli, ricordiamo tre Dogi: Gianandrea (nel biennio 1539-1541), Alessandro (nel biennio 1611-1613) e Luca (nel 1644)
ed il corsaro Brizio il cui sepolcro si trova nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli (Napoli) nella cappella di famiglia decorata da Giovanni da Nola.
Carlo Giustiniani olim Longo nato a Genova
il 7 marzo 1697,
terzogenito di Luca doge di Genova e Livia Balbi, si trasferisce a Roccapassa dove vi muore il 1 maggio 1766. Tumulato nella locale Chiesa di Santa Maria della Presentazione, il suo sepolcro è ornato dallo stemma di famiglia e dalla scritta: «D. CAROLUS LUCAE COSMO FILIUS EX JUSTINIANEA JANUENSI FAMILIA». Uno degli ultimi discendenti di questo ramo
Roberto Giustiniani, fu sepolto nel 1967 nella cappella gentilizia nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva insieme ai “grandi” della famiglia del ramo Negro-Banca
(lapide qui a destra).
Nel testo la storia della famiglia Giustiniani "ramo" Longo da Genova a Roccapassa e le vicende giudiziarie del pio legato di Vincenzo Giustiniani marchese di Bassano istituito nel 1631 che ha interessato, nel corso di oltre tre secoli, tutti i discendenti delle dodici famiglie Giustiniani, fino alla definitiva liquidazione avvenuta nel 1958.
Oltre alle osservazioni di carattere prettamente storico e documentale riguardanti la storia dei Giustiniani,
l'autore aggiunge delle annotazioni intimistiche, e per alcuni versi romantiche, sulla “villa” di Roccapassa.
ARMA DEL CASATO: Di rosso al mastio dargento esagonale, merlato alla
guelfa, torricellato di tre pezzi, quella di mezzo più elevata e più tozza, aperto e
finestrato nel campo; col capo doro carico di unaquila coronata del campo di
nero uscente dalla partizione (Conte Alessandro Franchi Verney, Armista delle famiglie
nobili e titolate della monarchia Sabauda, Torino 1853, vol 4, S. XII: I Giustiniani di
Genova). Laquila nera imperiale rivolta a destra e coronata doro del blasone,
fu aggiunta nel 1413, quando lImperatore Sigismondo, per i meriti di Francesco Campi
Giustiniani, ambasciatore, nominato dallo stesso conte Palatino. In un altra descrizione
si aggiunge che il castello sia fondato nel mare d'azzurro fluttuoso d'argento, a
simboleggiare il dominio della famiglia sull'isola di Chios.
Stemma della famiglia Giustiniani e
cognomi aggregati nel suo albergo contenuta nellalbo di Vittorio Gropallo e Luciano Lenzi sul Patriziato
Genovese e le famiglie nobili di Sarzana, edito da Sturli nel 1992. Ledizione
originale era il libro che Agostino Fransone scrisse nel 1636. I cognomina delle famiglie nobili aggregate allalbero dei
Giustiniani come riportate nella tavola XXVII erano 43:
Longhi, Arangi, Campi, Oliviero, Rocca, Maruffa, Negro, Pagana, Ughetto, Castello,
Reccanello, Moneglia, Fornetto, Garibaldo, Bancha, S. Theodoro, Sestri, Vegetti, Rebuffi,
Mongiardina, Argiroffo, Leonardo, Boniventa, Silvarezza, Ponte, Cavatorta, Ciocchia,
Figalla, Vallarana, Corsa, Bona, Massona, Murchia, Arena, Roccatagliata, Prato, Briandata,
Prandi, Novara, Vallebona, Bonfante, Passana e Moneglia.
C. Hopf nella sua
I Giustiniani dinastia di Chios (qui il testo in francese), riporta come il motto dei
Giustiniani di Scio: SI JE PUIS, SUPREMA REQUIRO (Se posso
esigo il massimo).
Il motto è quello adottato dal Cardinale Benedetto nel suo stemma (a sinistra
nella Biblioteca Archiginnasio di Bologna): "suprema requiro; iustitia et pax propter te sese osculatae sunt; advocavit Bononia te coelum de sursum" (Esigo il massimo; la giustizia e la pace si sono unite per te; Bologna ti ha chiamato paradiso dall'alto).
Nell'epigrafe sotto lo stemma: ADVOCAVIT BONONIA TE COELVM DE SVRSVM II IVSTITIA ET PAX PROPTER TE SESE OSCVLATAE SVNT// AVDIVIT ET LOETATA EST TERRA ET EXVLTAVIT POPVLVS/QVONIAM BENEDICTVS IVSTINIANVS NOBILISS. GENVEN./EX DOMINIS INSVLAE CHII ACER IVRIVM ECCLESIAE/PROPVGNATOR EST QVI VENIT A LATERE. IVSTE IVSTINIANVS/GVBERNAT. EXPANDIT ALAS SVAS, ET SVPER NOS VOLITANS,/IN SAPIENTIA SVRGIT. BONON. PONIT MENSAM NOVISSIMA/PROVIDENDO
("Bologna ti chiamò sommo cielo. Giustizia e pace vicino a te si baciarono. Udì l'annunzio e se ne rallegrò la terra ed esultò il popolo: colui che viene "a latere" è Benedetto Giustiniano, patrizio genovese, dei signori dell'isola di Chio, il forte difensore dei diritti della Chiesa. Il Giustiniano governa da giusto, apre le sue ali e, sopra noi volando, grandeggia in saviezza. A Bologna pone la sua sede, guardando molto lontano").
Nella "sala del Parnaso" nella Villa Giustiniani a Bassano Romano dove si
trovano gli affreschi di Genova e Chios per testimoniare le origini della famiglia sono
riportati quattro motti latini due relativi all'aquila dello stemma IUSTA
SUM ET CUM IUSTIS MANEO e IUPPITER ME
MISIT CUM IUSTIS ad evocare la virtù della "giustizia"
(Imperatore Giustiniano - il famoso codice di leggi - famiglia Giustiniani) e due relativi
al castelloSIC ANIMO IN ADVERTIS e
GLORIA
ET DIVITIE IN DOMO EIUS ad evocare la virtù della
"fortitudine". Allegorie della "giustizia" e della
"fortitudine" sono anche presenti nell'affresco nella stessa Villa di Bassano
nella sala dei Cesari (la foto che vedete proprio ad inizio sito).
Ricordo infine che oltre al cognome Giustiniani potrebbero essere riconducibili alla
stessa casata i cognomi: Giustinian, Zustinian o Ziustinian (specie in Veneto);
Giustiniano, Giustignani, Justiniano, Justiniani; Iustinianis, Justinijanovic (in Slovenia
e Jugoslavia), Gioustinianis o Goustianis (in Grecia) in Greco:
IOUSTINIANHE o GIUSTINIANI.
Comunicato stampa del 27 maggio 2024
I vincitori del Primo Premio Letterario Vincenzo Giustiniani
sabato 25 maggio 2024 – Sala Amore e psiche, Palazzo Giustiniani, Bassano Romano (VT)
La Presidente della giuria dott.ssa Federica Zalabra, storica dell’arte unitamente al Presidente dell’Accademia organizzatrice del concorso dott. Enrico Giustiniani, ringraziando i numerosi partecipanti, sottolineando l’ottima qualità letteraria degli elaborati pervenuti, ha proclamato i vincitori delle sezioni a concorso:
Narrativa:
· PRIMO CLASSIFICATO: Dodici Modi di Dipingere il Buio (Rosario Mattia Moniaci)
· SECONDO CLASSIFICATO: Dipinto dietro la tela (Luca Attina)
· TERZO CLASSIFICATO: La regola del viaggio (Flavio Fragassi)
Poesia:
· PRIMO CLASSIFICATO: Buio (Olga Rapelli)
· SECONDO CLASSIFICATO: Caravaggio (Angelo Zito)
· TERZO CLASSIFICATO: Musica in divenire (Paolo Cattolico)
Menzioni speciali:
· Il viaggio etico del Marchese Giustiniani (Giovanni Castellotti)
· L’irriducibilità dell’arte nel tempo (Matteo Bonomi – sezione scuole)
· Amore e Psiche (Livia Fontana Scramoncin – sezione scuole)
L’evento, che ha avuto luogo sabato 26 maggio 2024, nella prestigiosa cornice della sala di “amore e psiche” di Palazzo Giustiniani di Bassano Romano, è stato patrocinato dall’Ambasciata di Grecia in Italia, la Direzione Regionale Musei Lazio, dalla Regione Lazio, il Comune di Bassano Romano, Rossini Editore e dall’Associazione “Mercatini del seicento”. Sono intervenuti: Irene Kioulati primo segretario dell’Ufficio di Diplomazia Pubblica dell’Ambasciata Greca, il vice-sindaco e assessore alla cultura del comune di Bassano Romano Ugo Pierallini, la delegata alle Pubblica Istruzione del comune di Bassano Romano Angela Capece, al Professoressa Maria Crista De Angelis per l’IIS Bassano Romano e la dott.ssa Federica Zalabra, storica dell’arte e Presidente dalla giuria del concorso. La premiazione è stata preceduta dalla presentazione del libro “L’Ultimo Costantino” (Rossini Editore) di Luigi Oriani, romanzo storico sulla caduta di Costantinopoli del 1453 che ha visto tra i protagonisti il generale genovese Giovanni Giustiniani Longo. Ha dialogato con l’autore il dott. Antonio Iannaccone. Ha allietato la giornata il violino del maestro Samuele Ricci.
Dal passato al presente attraverso la Storia. Attraverso la narrazione. Questo è stato questo il filo conduttore della giornata, iniziata dopo i saluti istituzionali, con la presentazione del libro “L’ultimo Costantino” (Rossini editore) di Luigi Oriani che, insieme allo storico Antonio Iannacone ci hanno riportato a Costantinopoli, nell’anno del Signore 1453, tra le fila dei soldati, dei governanti, ci hanno fatto respirare l’ansia dei giorni precedenti, la paura, la rassegnazione, la forza e l’arroganza. Un mix di sentimenti ed emozioni che ci ha trascinato lì, che ci ha preso per mano portandoci in un’altra epoca, un altro mondo.
Nella storia tra la Storia. E il pubblico attento ha ascoltato ogni parola, ogni emozione. E tra le parole, la musica che potente, delicata, poetica, ha saputo accarezzare persone ed immagini che hanno fatto da cornice a questo splendido pomeriggio.
A seguire la premiazione del I Concorso Letterario dedicato a Vincenzo Giustiniani di cui siamo stati felici e orgogliosi della partecipazione di tanti giovani, segno che la figura del Marchese, che l’Arte e la Storia possono essere ispirazione di narrativa, poesia e soprattutto di vita. Un grazie quindi in primis a tutti quelli che hanno partecipato al Concorso, grazie alle scuole, all’IIS di Bassano Romano, con la promessa, per il prossimo anno scolastico, di un coinvolgimento maggiore e migliore. Grazie a tutta la Giuria che ha selezionato gli elaborati, al presidente Federica Zalabra, un gradito ritorno nelle sale del museo di cui è stata direttrice, che ringraziamo per aver accettato l’incarico e per la sua presenza, nonostante i numerosi impegni, e grazie a tutti gli altri membri. Grazie a Luigi Oriani che, insieme ad Antonio Iannacone, ha accettato di presentare il proprio libro nella “casa” di un altro Giustiniani. Grazie a Irene Kioulafi, Primo Segretario dell’Ufficio di Diplomazia Pubblica dell’Ambasciata di Grecia per la sua presenza e parole che hanno rinsaldato, nel nome della famiglia Giustiniani, il legame che unisce l’Italia alla Grecia, Bassano a Chios. Grazie alla Direzione Regionale Musei Lazio e alla Direzione di Villa Giustiniani per averci concesso il museo per questo evento. E un grazie particolare al personale presente sempre gentile e disponibile. Grazie all’assessore alla Cultura del Comune di Bassano Romano Ugo Pierallini per le sue parole di apprezzamento e stimolo e al consigliere con delega alla Scuola Angela Capece per la sua presenza. Grazie a tutti voi che siete venuti per trascorrere un bel pomeriggio nelle sale stupende di Villa Giustiniani, tra Storia, Arte, Letteratura e Musica.
"l'intentione mia è che tutte le statue e tutti li quadri di pittura
et altri come sopra [di ricamo e di rilievo, di marmo e di metallo] che
al presente sono e saranno nel punto della mia morte nel mio palazzo nel
quale abito et in altro ove abitassi e che saranno negli miei giardini e
nella mia terra di Bassano e tutti gli altri che saranno nelle botteghe
de scultori o scalpellini o pittori et in ogni altro luogo,..restino per
mia memoria perpetuamente per ornamento del palazzo e giardini miei come
ho detto".
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L'incredulità di S.Tommaso di Caravaggio - collezione Giustiniani
|
"cavaliere di virtù e meriti
incomparabili, noti a tutto il mondo … Non vidi mai tale ingegno al
mondo …. Di tutto s’intendeva, di tutto discorreva, anche delle scienze
più recondite; e con essere affabile aveva ridotto in casa sua una
conversatione di cavalieri et uomini letterati …. |
C'era un luogo,a Roma, dove i viaggiatori e gli appassionati d'arte
potevano toccar con mano, attraverso splendidi capolavori, la nascita, lo sviluppo,
l'articolarsi della pittura del Seicento. Questo luogo era il palazzo Giustiniani, di
fronte a San Luigi dei Francesi, dove erano raccolti circa 600 memorabili dipinti,
purtroppo dispersi all'inizio dell'Ottocento e finiti nei musei di varie nazioni.
A quattro secoli dalla sua formazione, nel 2001, il nucleo fondamentale della collezione
Giustiniani ritornò nel palazzo di famiglia, oggi sede della Presidenza del Senato
della Repubblica Italiana riproponendo il magico rapporto
che, in una antica collezione, legava le opere allo spazio che la conteneva.
Proprio in quell'occasione, le sale del palazzo furono
aperte per la prima volta al pubblico, offrendo l'immagine
di uno spazio privato ed esclusivo, lontano dagli sfarzi delle grandi sale barocche,
rivelando, in un percorso senza precedenti, l'atmosfera appartata di una cultura di
raffinati conoscitori, sensibili all'arte come alla musica, al teatro ed alla letteratura,
ma anche aperti alle suggestioni affascinanti della scienza galileiana. L'esposizione ha
permesso di ammirare settanta opere dei grandi protagonisti della pittura del XVI e XVII
secolo: Lorenzo Lotto, Veronese, I Carracci, Poussin, maestri italiani, francesi e
olandesi, e, soprattutto, le tele di Caravaggio, di cui Vincenzo Giustiniani fu il primo e
forse il più grande estimatore e collezionista. Qui di seguito le opere presentate la descrizione delle opere presentate alla mostra:
Gli oggetti e i quadri di familia
I quadri antichi
La scuola Bolognese
Caravaggio e i Caravaggeschi
Annibale Carracci
Gli oggetti della collezione
neoclassica
L'antica collezione Giustiniani
Podcast audio de "Il Sole 24 ore" del 3 dicembre 2022
Alla scoperta delle meraviglie artistiche dell'antica collezione Giustiniani, tra sculture antiche, bassorilievi, molte opere di Caravaggio oggi disseminate per mezzo mondo.
Alcuni link sulla "collezione Giustiniani":
Vanta questa Casa di havere quaranta quadri grandi per Altari
Sulla collezione Giustiniani di Stefano Pierguidi in Studi Romani Anno LIX - NN. 1-4 Gennaio-Dicembre 2011.
I fratelli Benedetto e Vincenzo Giustiniani
Vincenzo e Benedetto, avevano raccolto l’aspetto più bello e nobilitante dell’eredità paterna: l’amore per l’arte, che coltivarono accrescendo la piccola preesistente collezione con scelte innovative ed intelligenti. La loro attività mecenatistica andò oltre la scoperta di nuovi talenti, come in un certo modo avvenne proprio per Caravaggio, e fu in grado di creare occasioni di lavoro per gli stessi artisti emergenti, procurandogli committenze, alimentando così il nascente mercato dell’arte.
Nell’inventario di Vincenzo del 1638 si contano: 1.867 sculture, circa 600 dipinti e 15 tele del Caravaggio, tra cui l’Amore Vincitore che il Marchese copriva con un drappo, essendo opera di una tale bellezza che i visitatori di rango dell’epoca, da lui accolti ben volentieri, si sarebbero fermati solo lì davanti e non avrebbero visto altro.
Quest’amore per il bello porterà Vincenzo a diventare uno dei più grandi collezionisti romani del primo Seicento. Come scrisse di lui Theodor Ameyden
«…di tutto discorreva, di tutto s'intendeva, anche delle scienze più recondite».
Vincenzo era un gentiluomo coltissimo, di un’originalità vitale e profonda, umana soprattutto. É inoltre autore di una serie di scritti sulle arti e sui mestieri, elaborati in forma di lettere discorsive indirizzate all’amico Theodor Ameyden (1586-1656) , di fondamentale importanza, non soltanto per la comprensione del suo gusto artistico, ma anche per le molte informazioni che se ne possono trarre. “Discorsi”: sulla pittura, sulla scultura, sulla musica e sull’architettura, ma anche sulla caccia, sull’arte di viaggiare, sugli usi e costumi di Roma e Napoli e sull’arte di servire in tavola. Dalla loro lettura se ne ricava l’immagine di un uomo accorto agli affari, ma in realtà tutto proiettato sulla piacevolezza del vivere e sulle soddisfazioni dell’intelletto.
Alcuni discorsi del marchese Vincenzo, non ancora conosciuti, sono stati
recentemente pubblicati a cura di Silvia Danesi Squarzina e Luisa Capoduro per la Tipografia della Biblioteca Apostolica Vaticana SCRITTI EDITI E INEDITI (vedi anche: Vincenzo Giustiniani Scritti editi e inediti di Maria Giulia Aurigemma).
Il manoscritto è il più ricco e completo fra quelli contenenti i Discorsi
di Vincenzo Giustiniani già pubblicati, raccogliendo otto Discorsi inediti insieme a sette degli otto
già noti del Marchese che, in tarda età, nella tranquillità della grande dimora
di Bassano volle riordinare, correggendo di suo pugno, e completando
testi e pensieri che avevano attraversato la sua intera esistenza. Viaggi,
vita di corte, antichità di Roma (l’inedito più importante), pittura, scultura,
architettura, conversazione, musica, il gioco del pallamaglio, i puledri
nel dialogo tra Renzo romano et Aniello napolitano, mura di Genova,
podagra, caccia, cavalli, cani (da lui molto amati), sono gli argomenti via
via trattati con semplicità e sapere, destinati a intrattenere uno scelto pubblico
di amici. Il prezioso documento aggiunge spessore a un personaggio
già famoso per la sua straordinaria raccolta di dipinti che sono capisaldi della nostra storia dell’arte. Discorsi (parola di per sé eloquente)
che ci fanno penetrare in
un mondo non solo di immagini ma anche di idee, un mondo conviviale,
dove la musica, l’arte, la letteratura (conosciamo i libri che componevano la
sua ricca biblioteca del gentiluomo) erano i temi di una elitaria conversazione
rivolta a una cerchia irripetibile. Nella serie dei Discorsi pubblicati da Squarzina-Capoduro si legge l’itinerario interiore di
un uomo che comprese lo spirito del tempo e, con discrezione e rigore
assoluti, seppe influenzare la cultura artistica romana (e non solo) della
prima metà del Seicento. Sulla sinistra il brevissimo testo (biblioteca Apostolica
Vaticana 12670, f.268r) fa in qualche modo da preambolo a tutti i discorsi del marchese Vincenzo che sembrano avere un destinatario unico anche se alcuni sono indirizzati nel preambolo a persone diverse, probabilmente il nipote Camillo Massimi con cui il marchese aveva un grande affetto e affinità sia intellettuale sia per i gusti collezionistici.
Vincenzo Giustiniani manoscritti ed edizioni di Maria Giulia Aurigemma (in "Caravaggio e i Giustiniani Toccar con mano una collezione
del Seicento" a cura di Silvia Danesi Squarzina edizioni Electa 2001)
Recensione al volume Vincenzo Giustiniani Scritti editi e inediti in "Storia dell'arte" in tempo reale
Anticipazioni e ricerche in corso, affacci sull'attualità, scoperte, nuove letture di Maria Giulia Aurigemma
ALLE RADICI DELLA STORIA DEI MUSEI
NAZIONALI: IL COLLEZIONISMO ROMANO DEL SEICENTO
Il mecenatismo dei Giustiniani a Genova di Mariolina Manca
Per le dimore e il collezionismo dei Giustiniani a Genova Tra il cardinale Vincenzo Giustiniani olim Banca (1519-1582)
e il mercante Luca Giustiniani olim Longo (1513-1583) di Andrea Leonardi - Studia Ligustica 2 Biblioteca Franzoniana 2012 (ISBN 978-88-98246-01-4)
Tutta l'opera del Caravaggio: una mostra
impossibile
Il progetto Giove
sulla Collezione Giustiniani di Silvia Danesi Squarzina
Il cannone Giustiniani grazie al
contributo di Renato G. Ridella
Christina Strunck: Lhumor
peccante di Vincenzo Giustiniani Linnovativa presentazione
dellAntico nelle due gallerie di Palazzo Giustiniani a Roma (1630-1830 circa)
Il mitra di Kriton e la copia della
Collezione Giustiniani a cura di Claudia Valeri (presente nel giardino di Palazzo
Giustiniani a Bassano Romano).
"CARAVAGGIO IN PRUSSIA"
questo
il titolo della mostra a Berlino svolta nel giugno-settembre 2001 che a Roma si chiamava
"Caravaggio e i Giustiniani"
Vanta questa Casa di havere
quaranta quadri grandi per Altari. Sulla collezione Giustiniani
di Stefano Pierguidi, sulle pale d'altare della Collezione Giustiniani in "Studi Romani" Anno LIX - NN. 1-4 Gennaio-Dicembre 2011,
Tra le pitture pregiatissime vanta questa Casa di havere quaranta quadri grandi per
Altari, ove sia la Vergine Santissima, ed altri Santi tutti originali di pittori primarii
(P. de’ Sebastiani, Viaggio curioso de’ Palazzi e Ville più notabili di Roma, Roma 1683,
p. 32)
Cortine e tavolini articolo di Serenella Rolfi sull'inventario della Collezione Giustiniani del 1638 e
le collezioni seicentesche
Per le dimore e il collezionismo dei Giustiniani a Genova.
Tra il cardinale Vincenzo Giustiniani olim Banca (1519-1582)
e il mercante Luca Giustiniani olim Longo (1513-1583)
di Andrea Leonardi. (storia Ligustica - Biblioteca Franzoniana 2012). Questo studio s’inserisce in un più ampio disegno volto alla valutazione dei connotati residenziali e
dell’abitare genovese. Vivere da collezionisti a Genova tra Sei e
Settecento.
Giustiniani, l’arte dell’occhio nelle stanze dei quadri antichi di Stefano Pierguidi (Il Manifesto 17 settembre 2023)
L'artista e il banchiere Caterina Terzaghi racconta
dell’incontro artistico tra Michelangelo Merisi e la nobile famiglia romana.
LE INCISIONI DALLA GALLERIA GIUSTINIANI DI CHARLES PAUL LONDON
CATALOGUE FIGURE Des Tableaux de cette célèbre Galerie, transportée d'Italie en France ; accompagné d'Observations critiques et historiques, et de soixante - douze Planches gravées au trait , contenant environ
cent cinquante sujets; Rédigé par C. P. LANDON , Peintre , ancien pensionnaire de l'Académie de France à Rome
Mentre la pubblicazione della raccolta delle incisioni tratte dai marmi antichi di proprietà Giustiniani, produsse larga risonanza in tutta Europa come testimonia l’apprezzamento di Rubens, venendo a costituire uno tra i primi cataloghi
grafici organici che, ancora oggi, costituisce una fonte sostanziale circa il Museo non più accorpato delle antiche sculture. Nelle riproduzioni della Galleria cartacea non figura la quadreria della collezione, ma la presenza di otto tavole con riproduzioni dei dipinti trovate nelle
edizioni settecentesche, lascia facilmente ipotizzare il progetto di altri volumi purtroppo mai realizzato a causa della dispersione del patrimonio originario.
Nel 1812 la pubblicazione curata dal pittore, editore e raffinato conoscitore d’arte, Charles Paul Landon, contenente 155 incisioni di traduzione dai dipinti della collezione Giustiniani, offre un dato sensibile riguardo all’alienazione di parte dei beni della famiglia genovese avvenuta a Parigi.
Questa selezione di incisioni intitolata "Galerie Giustiniani, ou catalogue figuré des Tableaux de cette
célèbre Galerie, transportée d’Italie en France" rappresenta un vero e proprio
catalogo di vendita; inoltre, come riportato nella sezione introduttiva del testo,
le opere al tempo della stampa erano già state comprate in blocco. L’acquisto
fu probabilmente condotto dal pittore e mercante d’arte Féreol Bonnemaison
per conto di un ricco acquirente straniero – per il quale fu stampato il catalogo illustrato – e da questi successivamente venduto al re di Prussia Federico
Guglielmo III. Costui, intenzionato a impreziosire la scarna collezione reale
d’arte e i musei di Berlino, non comparabili con la maestosità e ricchezza del
Musée Napoleon, acquisì nel 1815 l’intero blocco dei dipinti Giustiniani presenti nella capitale francese.
Il catalogo prospettato da Landon diviene per tale motivo parte imprescindibile di questa vicenda artistica e testimonianza di una congiuntura storica
ove la conoscenza e la diffusione delle opere italiane è alla base della realizzazione dei Musei europei.
Come chiarisce Landon nel suo Avertissement iniziale, l’opera ha valore essendo la prima trasposizione figurata su carta dell’insieme dei dipinti Giustiniani, antica e prestigiosa collezione meritevole, agli occhi del critico francese,
di essere conosciuta in tutta Europa.
tratto da: Caravaggio: le incisioni dalla Galerie Giustiniani
di Charles Paul Landon di Stefania Macioce, Michela Gianfranceschi in "dal Razionalismo al Rinascimento per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina" - Campisano Editori (2011)
I PALAZZI GIUSTINIANI DI ROMA E DI GENOVA
Tra i numerosi palazzi appartenuti ai diversi rami della famiglia Giustiniani, i più rappresentativi sono sicuramente quelli di Roma e Genova.
Palazzo Giustiniani a Roma è situato in via della Dogana Vecchia 29, così denominata dai primi del Settecento allorché gli Uffici della Dogana. La struttura originaria di palazzo Giustiniani risale al 1585, quando monsignor Pietro Vento, probabilmente su progetto dei fratelli Fontana o di Carlo Maderno, inglobò alcune case preesistenti in un grande edificio. Fu alla morte di Pietro Vento (1588) che con ogni probabilità Giuseppe Giustiniani e il cardinale Benedetto, il maggiore dei suoi figli, presero residenza nel palazzo, dapprima in qualità di affittuari e poi come proprietari (1590).
Nel 1600, alla morte di Giuseppe Giustiniani, i figli Benedetto e Vincenzo ereditarono il palazzo e continuarono ad abitarlo insieme.
I Giustiniani fecero ampliare l’edificio su un progetto di Francesco Borromini del 1653, anche se molto probabilmente l’attuazione non fu opera del grande architetto. I lavori infatti furono terminati nel 1677, dieci anni dopo la morte del Borromini, ad opera del capomastro muratore Sebastiano Fonti e sotto la direzione di Domenico Legendre. Ma l’anno dopo, nel 1678, i lavori proseguirono con il Legendre per la nuova sistemazione dell’atrio e del cortile, dove furono collocati i rilievi e le sculture della collezione del marchese Vincenzo Giustiniani poi venduta e dispersa nel corso dei secoli successivi ed oggi rappresentata solo dai bassorilievi murati nella parte orientale del cortile, la cui tentata rimozione fu bloccata dal Comune di Roma nel 1908.
Il Palazzo appartenne ai Giustiniani fino al 1898, quando parte del palazzo fu espropriata dalla cassa di Risparmio di Roma agli eredi del marchese Domenico Ottone Recanelli Giustiniani. Seguirono complesse vicende, e al contempo modifiche sostanziali del volto del palazzo, sopraelevato più di una volta. Dall’inizio del Novecento divenne proprietà e sede della massoneria del Grande Oriente d’Italia, Il Gran Maestro era, all’epoca, il sindaco di Roma Ernesto Nathan. Durante il fascismo la massoneria fu sciolta (1925) ed il palazzo fu confiscato. Mussolini aderì alla richiesta dell’allora Presidente del Senato del Regno Tommaso Tittoni, e concesse l’utilizzo di palazzo Giustiniani (acquistato nel 1943) al Senato, che soltanto nel 1988 ne acquisì la quasi totale disponibilità dell’immobile. Risalgono al 1938 i lavori con cui l’edificio fu collegato a Palazzo Madama, per il tramite di un passaggio sotterraneo tuttora esistente. Dopo il 2 giugno 1946 fu sede del Capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola. Nella biblioteca del palazzo, fu firmata la Costituzione repubblicana il 27 dicembre 1947. Attualmente il palazzo è sede della Presidenza del Senato.
Più che di Palazzo Giustiniani a Genova, dovremmo parlare di più palazzi in quanto diverse dimore in città furono per più tempo di proprietà di alcuni membri della famiglia. Sulla Piazza Giustiniani ne insistono due, uno al civico 6, caratterizzato soprattutto dagli interventi di Marco Aurelio Giustiniani ed un altro meno vistoso su Via dei Giustiniani al civico 11.
Il Palazzo principale è quello sulla piazza omonima al civico 6, restaurato nel corso del 2004 ad opera della fondazione Franzoni, porta proprio nel nome del suo committente il segno del forte legame che ha unito Roma e Genova in età barocca: esso fu costruito alla fine del Cinquecento dal cardinale Vincenzo Giustiniani (1519-1582), generale dell’ordine dei domenicani. La piazza sulla quale affaccia il palazzo è di forma rettangolare di circa 12x26 metri e ricalca le orme del tracciato urbano cinquecentesco, a sua volta erede dell’assetto medievale.
Il palazzo fece ripetutamente parte dei Rolli della Repubblica di Genova, le liste delle dimore nobiliari che venivano precettate per ospitare corti e ambasciatori stranieri. Nelle vie adiacenti le case delle famiglie che facevano parte del cosiddetto "albergo" dei Giustiniani, formando un vero e proprio quartiere posto lungo l’asse stradale della Via “chiavica” o Clavica (attuale Via dei Giustiniani), secondo l’antico toponimo che indicava la presenza di un rivo poi interrato, estendendosi a quelli paralleli del Carrubeo Crucis (attuale Via di Canneto il Lungo) e della Platea Longa (attuale Via di San Bernardo), nell’area compresa tra la cattedrale di San Lorenzo, la collina di Castello e l’antico porto, con il fulcro nella piazza che ancor oggi porta il loro nome.
L'aspetto unitario del palazzo è dovuto ad una serie di interventi che la famiglia Giustiniani, nella figura di Marcantonio, realizza tra XVII e il XVIII secolo con l'acquisto e l'accorpamento dell'ala nord di proprietà di Filippo Scaglia, eredi di Giovanni, elencato solo nel 1599; forse lo stesso di Agostino Giustiniani Campi, doge nel 1591. È sul prospetto di quest'ultimo che si vede ancora un bassorilievo con il leone di San Marco, portato da Pola D'Istria nel 1380 dopo l'ultima sconfitta di Venezia.
Sulla piazza, ampliata, sopraelevata di alcuni gradini nel XV secolo e chiusa da bassi paramuri per segnare i limiti di proprietà della famiglia, si affacciano due piani nobili, segnale della presenza di due linee ereditarie come per i palazzi Rosso e Bianco di Strada Nuova. Se l'impianto medievale è ancora riconoscibile nei corsi in pietra del basamento, le facciate di bella quadratura monocroma con finestre coronate dall'arme giustiniana, l'atrio a padiglione lunettato e il portale esterno sono chiaramente secenteschi, così come i portali interni in pietra nera sormontati da busti marmorei, opere dei maestri Bartolomeo Spazio e Daniele Solaro.
Nella prima metà del XIX secolo si sopraeleva l'edificio di un piano e si chiude la Loggia dei Giustiniani che, sull'angolo con la via omonima, era stata assorbita nella ristrutturazione di Gio. Antonio Ricca (1690), e costituiva, insieme alla piazza, un noto e autorevole luogo d'incontro nella vita quotidiana di antico regime.
Utilizzato nel XX secolo come grande magazzino di stoffe e poi di mobili, palazzo Giustiniani è stato adattato alle nuove esigenze attraverso la sostituzione di solai in legno con quelli in cemento armato oltre che con la riduzione dei grandi saloni originari. L'edificio, nel centro storico genovese, a pochi passi dalla cattedrale di San Lorenzo, oggi è un condominio privato, conservando comunque un organismo architettonico simmetrico unitario ben visibile.
Nel 1514 l’allora trentanovenne Michelangelo, già assoluto ed indiscusso protagonista del Rinascimento Italiano, si impegna con gruppo di gentiluomini Romani, tra cui Metello Vari, a consegnare: “una fighura di marmo d’un Christo, grande quanto el naturale, ingnudo, ritto, chor una chroce in braccio, in quell’attitudine che parrà al detto Michelagniolo,”. Un lavoro che si rivelò alquanto tormentato che vide la creazione non di una ma di due statue. La più nota, esposta a sinistra dell’Altare Maggiore della Chiesa romana di S. Maria sopra Minerva, è in realtà una “seconda versione” di una prima creduta ormai perduta, abbandonata dal maestro che mentre la scolpiva si accorse di una vena nera nel marmo proprio all’altezza del volto: “... reuscendo nel viso un pelo nero hover linea…".
Grazie ad un attento lavoro documentale della Professoressa Silvia Danesi Squarzina, la prima versione del Cristo Portacroce Michelangiolesco fu “ritrovata” nella sacrestia della Chiesa di S. Vincenzo Martire a Bassano Romano solo nel 1999. L’opera incompiuta era stata acquistata, dagli eredi di Metello Vari agli inizi del XVII secolo, da Vincenzo Giustiniani, grande collezionista e mecenate di grandi artisti tra cui Caravaggio. Il Cristo alto poco più di due metri, ha la forma di un uomo nudo, maturo, nel pieno del vigore fisico che tiene nella destra la Croce e nella sinistra il suo sudario.
Possiamo Immaginare lo stupore e lo sconcerto di Michelangelo nel trovare quella vena nera sulla guancia sinistra che avrebbe inficiato irrimediabilmente la perfezione del volto del Cristo, dopo aver sicuramente già impostato la figura nelle sue proporzioni e contorni, tanto è che tutte le fonti parlano di un “Cristo nudo con la croce”.
La statua incompiuta verrà poi regalata dal maestro allo stesso Metello Vari che la pone in grande evidenza nel suo “orticello” di Via del Gesù, vicinissimo alla Chiesa di Santa Maria sopra Minerva, dove è collocata la “seconda versione”: “Questa sarà per onor mio, havendola, che la terrò como si fusse de oro”.
Dell'opera si perde ogni traccia documentaria fino al 1607, quando alcune lettere inviate da Roma da Francesco Buonarroti a Michelangelo il Giovane ne segnalano la presenza sul mercato dell'arte ("... il Signor Passignano [...] vuole ch'io vadia a vedere una borza di marmo di mano di Michelangelo del Cristo della Minerva dello stesso, ma in diversa positura, et a lui gli piace, e crede che il prezzo sarà poco più che la valuta dello stesso marmo, la figura come sapete è grande al naturale...").
Un Cristo che non passa certamente inosservato, tanto è che quando agli inizi del seicento viene messo in vendita, Vincenzo Giustiniani lo “soffia” al cardinale Maffeo Barberini, futuro Urbano VIII, al prezzo di trecento scudi. Un artista di fiducia del marchese ne completa l’opera, coprendone anche le nudità con un perizoma bronzeo poi integrato con un drappo rosso.
L'opera viene descritta come "una borza di marmo" e paragonata, per il suo stato di incompiutezza, ai Prigioni ed al S. Matteo di Firenze. Di fronte al prezzo elevato richiesto dall'ignoto venditore (300 scudi), Francesco Buonarroti rinuncia all'acquisto dopo essersi consigliato con Ludovico Cigoli e con il Passignano.
Le lettere del 1607 assumono nel contesto della presente attribuzione un'importanza essenziale poiché, oltre ad informarci della possibilità di acquistare il marmo michelangiolesco in questi anni, aggiungono due notizie cruciali per la sua identificazione: il fatto che la prima versione presentasse una "diversa positura" rispetto al Cristo oggi visibile nella Chiesa della Minerva, ed il fatto, peraltro già implicito nella descrizione dell'Aldrovandi, che Michelangelo aveva abbandonato il blocco ad uno stato di lavorazione piuttosto avanzato o comunque tale per cui la figura della statua era già ben delineata. A tutto ciò va aggiunto il fatto che negli stessi anni in cui l'opera risulta in vendita i Giustiniani andavano costituendo la loro collezione di statue antiche e moderne e che per il tramite del Passignano, molto legato alla famiglia, avrebbero potuto acquistarla con facilità.
La statua viene citata nell'inventario della statue di palazzo Giustiniani stilato nel 1638, dopo la morte del marchese Vincenzo.
Che il Cristo della Minerva avesse per il marchese di Bassano un significato particolare è dimostrato da un breve passo del suo Discorso sopra la scultura, nel quale Vincenzo Giustiniani paragona l'opera di Michelangelo al cosiddetto “Adone dei Pichini”, oggi nei Musei Vaticani, che: “pare che spiri, e pur è di marmo come le altre, è particolarmente il Cristo di Michelangelo che tiene la Croce che si vede nella chiesa della Minerva, ch’è bellissima ma pare statua mera” .
Vincenzo da risalto all’opera ponendola nel suo Palazzo in Via della dogana vecchia “Nella stanza abaso canto alla Porta [grande del palazzo] verso San Luigi [àll'uscir à man dritta, dove sono de bassi rilievi], Un Christo in piedi nudo con panno traverso di metallo moderno, che abbraccia con la dritta un tronco di Croce con corda e Spongia e trè pezzi di Croce in terra alto palmi 9. in circa”.
La statua incompiuta fu fatta completare dallo stesso Vincenzo da uno scultore di sua fiducia (forse uno dei tanti che lavorarono per lui in qualità di restauratori) che ne coperse la nudità ormai divenuta "oltraggiosa" per i canoni del decorum seicentesco. Suggestiva l’idea del Professor Christoph Luitpold Frommel che identificherebbe nel giovane Gian Lorenzo Bernini colui che, a metà del seicento, rifinisce leggermente l’espressione del volto e delle labbra dell’opera per conto del Giustiniani. Per la prima volta nella storia dell’arte, dunque, la stessa opera porterebbe la firma di due geni assoluti di tutti i tempi: Michelangelo e Bernini.
La Statua verrà successivamente (nel 1644) verrà portata nella Chiesa di S. Vincenzo Martire a Bassano Romano da Andrea, figlio adottivo di Vincenzo, in osservanza alle disposizioni lasciate dal marchese.
Come noto, fu lo stesso Vincenzo, "architetto dilettante", a progettare la costruzione della chiesa che ancora oggi si impone visivamente sulla valle sottostante: la statua del Cristo di Michelangelo, originariamente posta sull'altare maggiore del Santuario all'interno di una gigantesca nicchia riprodotta nella Galleria Giustiniana, poteva dominare così l'intero paesaggio. Numerosi sono gli interrogativi che questa scoperta può suscitare, soprattutto rispetto alle implicazioni che essa comporta in termini di storia del collezionismo. Il fatto che negli inventari Giustiniani la statua non venga mai menzionata come opera di Michelangelo non deve affatto sorprendere: non soltanto era prassi che tali inventari, redatti fondamentalmente come documenti fiscali, sottacessero informazioni importanti relative al valore economico dei beni, ma nel caso specifico della collezione Giustiniani le statue vengono semplicemente indicate come "moderne" o "antiche".
La proprietà del Mausoleo passerà dai Giustiniani agli Odescalchi nel 1854, poi nel 1942 all’ordine dei Benedettini Silvestrini quando ormai l’intero complesso già versava in gravissime condizioni di manutenzione. Nel 1979 il Cristo viene trasferito dall’altare maggiore nella sacrestia e celato al pubblico. Nel 1999 viene finalmente “riscoperto”. Nel 2001 il restauratore Rossano Pizzinelli lo ripulisce e toglie quello che resta della vecchia e consumata “fascia d'ormesino rosso con merlettino d'or”. Le pudenda integre del Cristo tolgono l’ultimo dubbio sulla mano Michelangiolesca dell’opera: è veramente il “Cristo nudo con la croce” della collezione Giustiniani. Dopo che la statua fu riportata a Roma nel 2001 a Palazzo Giustiniani in occasione della mostra: “Caravaggio e i Giustiniani - Toccar con mano una collezione del Seicento” curata da Silvia Danesi Squarzina, oggi è ammirabile nella sua collocazione definitiva nella cappella a destra dell’altare maggiore della Chiesa di S. Vincenzo martire a Bassano Romano.
L'iconografia del Cristo Giustiniani, con il braccio sinistro disteso lungo la gamba e il destro piegato a stringere gli strumenti del martirio, si può ben ricollegare all'immagine del cosiddetto "Uomo dei dolori": in segno di mortificazione Cristo abbassa gli occhi e volta il capo a distogliere lo sguardo dalla propria nudità.
Ammirando l’opera Michelangiolesca, il Simulacrum Resurrectionis: il mistero del Cristo sofferente e il Cristo glorioso, non si può non intuire: “qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui gli artisti di ogni tempo hanno ammirato l'opera del loro estro, avvertendovi
quasi l'eco di quel mistero della creazione a cui Dio”
Il "Terzo Cristo Giustiniani" il progetto di Pablo Damian Cristi.
L'artista Italo-argentino sta intraprendendo un viaggio internazionale per presentare il
suo Terzo Cristo Giustiniani al mondo, attraverso eventi dal vivo e conferenze.
il progetto scultoreo (al centro nel fotomontaggio a destra insieme
agli altri due di Michelangelo) di Pablo Damian Cristi
(qui nella foto a sinistra) consiste nella realizzazione di una scultura in marmo statuario di Carrara con inserimenti di dettagli significativi in ardesia di Lavagna
raffigurante un Cristo Porta croce sullo stile di quelli Michelangioleschi della Minerva e di Bassano Romano.
L'artista intende idealmente completare la "trilogia Michelangiolesca" (fu lo stesso Michelangelo
che nel 1520 scrisse la sua intenzione di fare una "terza" statua di un Cristo
Portacroce al suo committente Metello Vari), ispirandosi al concetto della Trinità, dove il
"primo Cristo" di Bassano Romano rappresenterebbe idealmente il “Padre”, per la consapevolezza che lascia intravedere nella staticità della sua postura accanto alla croce. Il
"secondo" della Minerva, rappresenterebbe il “Figlio”, il Cristo che nella rotazione del braccio sinistro sembra allontanarsi dalla Croce, come in un momento di distacco tra la sofferenza terrena del Cristo-uomo e quella celeste del Cristo-Dio che esce risorto dal sepolcro. Il
"terzo" Cristo dell'artista Italo-Argentino rappresenterà lo “Spirito Santo”, il soffio vitale di Dio, guida carismatica che conduce il popolo verso i cambiamenti e le nuove prese di coscienza. L’uomo si fonde con il “manto” che lo avvolge, e lo lega indissolubilmente alla croce, la quale torna all’uomo in una spirale infinita, simbolo di vita eterna.
Il progetto ha avuto l’interesse di prestigiosi sponsor e del Museo CARMI di Carrara.
L'opera che sarà alta quasi tre metri, sarà terminata nell'estate del 2024, quando
partirà per un tour in alcuni paesi europei per arrivare poi in Argentina patria
dello scultore. Attualmente l'opera è in corso di lavorazione en plein
air, dopo il primo abbozzo a Carrara ed una prima rifinitura a Moneglia (GE)
presso la "tenuta Bollo", ora il "Terzo Cristo Giustiniani" è a Londra presso il prestigioso Royal Exhange Center,
in lavorazione sotto il colonnato del prestigioso palazzo, fino al 30 dicembre
2023.
Pablo Damian Cristi scolpirà il "Terzo Cristo Giustiniani" al prestigioso Royal Exchange di Londra in collaborazione con red8 gallery fino al 30 dicembre 2023
Il working in progess del Terzo Cristo Giustiniani si sposta a Londra dal 20
novembre al 31 dicembre 2023. L'artista Italo-Argentino Pablo Damian Cristi
scolpirà la sua scultura en plein air nell'atrio del prestigioso Royal Exchange
di Londra (davanti alla fermata metro BANK). Partner dell'operazione la REDEIGHT Gallery che ha aperto le sue porte al processo creativo dello scultore, consentendo al pubblico di testimoniare la fonte di ispirazione, resilienza ed emozioni
vive dell'artista. Questa iniziativa è progettata per creare una profonda connessione tra il pubblico e sia l'opera d'arte che il suo creatore.
In un movimento verso una maggiore accessibilità e inclusività. REDEIGHT Gallery ha anche annunciato un prossimo tour della statua del "Terzo Cristo Giustiniani" che toccherà Europa, Stati Uniti e America Latina.
"La vena nera - una storia michelangiolesca"
Romanzo storico di Enrico Giustiniani e Gianni Donati (Sagep Editori, Genova, 2021)
Il diario di un prete corso rivoluzionario, vissuto nel XVII secolo, narra le vicende di un “Cristo Portacroce” iniziato da Michelangelo e poi da lui abbandonato per la presenza di una “vena nera” apparsa nel biancore del marmo a livello del volto. La statua fu poi rifinita nel 1620 da un giovane Gian Lorenzo Bernini per conto del marchese Vincenzo Giustiniani. Nel 1644 fu portata nella Chiesa di San Vincenzo a Bassano Romano e lì rimase dimenticata, ignorata perfino dai nazisti in ritirata nel 1944, fino al 1999 quando fu finalmente
riattribuita a Michelangelo.
Intorno alla Statua ruoterà una storia d’amore tra una giovane ex prostituta di nome Clelia e Gian Lorenzo Bernini.
Nell’estate del 2016, due giovani: Åsa e Davide, con l’aiuto di un anziano abate, riusciranno a riannodare i fili spezzati che legarono una grande scoperta e una storia d’amore incompiuta che avrà un ultimo atto di… “resurrezione”.
Il libro è stato presentato a Genova il 29 giugno 2021 a Palazzo Ducale nella Sala del Minor Consiglio,
in concomitanza della mostra "Michelangelo Divino Artista" dove era presente la
statua del Cristo Giustiniani. Oltre gli autori, è intervenuta Serena Bertolucci direttrice del Palazzo Ducale, la violinista Katarzyna Wanisievicz
e lo scultore
Pablo Damian Cristi. Durante la presentazione sono stati letti alcuni brani del libro da Claudia Pavoletti.
recensione "La vena nera, una storia michelangiolesca" su www.HDE.press
La vena negra, una historia Miguelangelesca
Novela histórica de Enrico Giustiniani y Gianni Donati (Phasar Editori, Firenze, 2024)
Una estatua “magnética” que se quedó intacta tras el paso de los Lansquenetes en el siglo XVI, de las hordas Jacobinas, de las tropas napoleónicas y, sobre todo, de los nazis del general Kesserling…¿Por qué?
El diario de un cura corso revolucionario que vivió en el siglo XVII cuenta la historia de un Cristo Portacruz empezado por Miguel Ángel y por él mismo dejado inacabado por la presencia de una veta negra en el mármol a la altura del rostro. La estatua fue acabada en 1620 por Gian Lorenzo Bernini por cuenta del marqués Vincenzo Giustiniani. En 1644 fue colocada en la Iglesia de San Vincenzo en Bassano Romano y allí se quedó, olvidada y abandonada hasta 1999, cuando fue atribuida a Miguel Ángel. En torno a la estatua se desarrollará una historia de amor entre Clelia, una joven ex prostituta, y Gian Lorenzo Bernini.
En el verano de 2016, dos jóvenes, Asa y Davide, con la ayuda de un anciano abad volverán a juntar todas las piezas de un gran descubrimiento, sacando a la luz también una historia de amor inacabada que florecerá como un acto de resurrección…
The black vein. The Michelangelo mystery
Historical novel by Enrico Giustiniani and Gianni Donati (Phasar Editori, Firenze, 2024)
A "magnetic" statue, which remained intact during the passage of the Landsknechts in the sixteenth century, then of the Jacobin hordes, of Napoleon's troops but, above all, of General Kesserling's Nazis... Why?
The diary of a revolutionary Corsican priest, who lived in the 17th century, tells the story of a Christ Carrying the Cross begun by Michelangelo and then abandoned by him because of the presence of a "black vein" which appeared in the white marble at the level of the face. The statue was later finished in 1620 by a young Gian Lorenzo Bernini on behalf of the Marquis Vincenzo Giustiniani. In 1644 it was taken to the Church of San Vincenzo in Bassano Romano and there it remained forgotten and ignored until 1999 when it was finally attributed to Michelangelo.
Interwoven with the story of the statue will be a tale of love between a young ex-prostitute named Clelia and Gian Lorenzo Bernini.
In the summer of 2016, two young people: Åsa and Davide, with the help of an elderly abbot, will reconnect the broken threads that linked a great discovery and an unfinished love story that will have a final act of resurrection...
“IL SOMMO POETA ED IL CANTICO DEI DICIOTTO GIOVINETTI DI CHIOS"
E' stata presentata il 18 settembre 2022 a Genova (Palazzo Ducale, Sala
del minor consiglio) la grande tela (olio ed oro su tela cm 200 X cm 400, incorniciato in stile barocco oro per complessivi cm 230 X cm 430),
dell'artista contemporaneo Bruno Giustiniani
che reinterpreta il tema del "massacro dei Giustiniani a Chios del 1566"
commissionato dai Giustiniani a Francesco Solimena. L’iconografia della tela vede i diciotto giovinetti in cammino per la loro nuova meta attesi dal Cristo che abbandona la sua croce per accoglierli nel suo regno. Sono ad osservare
il loro arrivo Dante e Giustiniano così come narrato nel sesto capitolo del Paradiso dantesco,
accanto a loro ci saranno alcuni tra i personaggi principali delle famiglie
genovese e veneziani in un'ideale Pantheon, i veneziani: San Lorenzo Giustiniani
e la beata Eufemia
ed i genovesi: Giovanni Longo, Leonardo da Chio (arcivescovo di Mitilene) i
vescovi Angelo (Ginevra), Agostino (Nebbio), Giulio (Ajaccio), Vincenzo (Gravina
di Puglia) ed i cardinali Benedetto e Vincenzo Giustiniani.
La tela è stata presentata il 18 settembre 2022 a Genova (Palazzo Ducale, Sala
del minor consiglio) in occasione delle Giornate Europee del patrimonio, ed è
attualmente visibile insieme ad altre opere dell'artista, nella personale "Sol omnibus lucet"
nel coro della Chiesa di Santa Maria di Castello a Genova.
L'accordo di amicizia tra il Comune di Salerno e quello di Genova
Si è svolta il 9 giugno 2023 la cerimonia di atto di amicizia tra le Città di Genova e di Salerno che precederà quella di gemellaggio vero e proprio che avverrà in data da convenirsi
presso il Salone di rappresentanza del Palazzo Doria Tursi sede del Comune di Genova. Il patto, che nasce da un legame storico, culturale e di tradizione tra le due comunità, entrambe a vocazione marittima, è finalizzato alla promozione turistico-culturale dei territori, alla creazione di scambi di esperienze e progettualità tra i due enti.
Erano presenti per Salerno il Sindaco Arch.Vincenzo Napoli, la Vice Sindaca Dott.ssa Paky Memoli e l'Assessore alle attività produttive ed al Turismo Dott Alessandro Ferrara e per Genova
l'Assessore al Commercio, Artigianato, Pro loco e Tradizioni cittadine la Dottssa Paola Bordilli,
oltre ad una folta rappresentanza di personalità della cultura genovese tra cui gli architetti Alessandro Casareto e Paolo Falabrino,
gli ambasciatori di Genova nel Mondo AnnaMaria Campello ed il Maestro d’orchestra e violinista Eliano Calmaro, il Prof Lorenzo Rixi e la Signora Laura Casanova Rixi presidente del Cif di Genova,
la signora Mariella Garbero, suo marito e la signora Dina Unali del Gruppo storico di Voltri che hanno presenziato insieme ad un nutrito gruppo di quella della città di Salerno.
Il sindaco di Salerno Architetto Vincenzo Napoli ha voluto donare un onorificenza ad otto Consoli di Salerno nel Mondo, a due Ambasciatori di Genova nel Mondo ed all’assessore di Genova Paola Boldilli.
Tale gemellaggio è stato fortemente voluto dalle singole istituzioni con il lavoro continuo del Professor Bruno Giustiniani e dell’ambasciatrice di Genova nel Mondo Anna Maria Campello.
Nel Santuario SS. Cosma e Damiano (Eboli - Salerno), le preziose opere artistiche di Bruno Giustiniani
fanno ora parte di una Cappella Giustiniani. Le tele contribuiscono ad ispessire la riflessione teologica sui misteri della fede cristiana e sulla salvezza eterna grazie alla corredentrice, la Vergine Maria, ritratta al centro di una gigantesca tela.
L'artista Bruno Giustiniani ha donato all’Amministrazione comunale di
Salerno, nell'ambito dei festeggiamenti del Santo Patrono Matteo, una delle sue opere pittoriche più importanti, “Il San Matteo Evangelista”
(sopra a destra). La cerimonia si è svolta il 19 settembre 2023 a Palazzo di Città
nel Salone del Gonfalone, alla presenza del sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, del vicesindaco Paky Memoli, dell'Arcivescovo
di Salerno-Campagna-Acerno, Monsignor Andrea Bellandi.
CONVEGNI INTERNAZIONALI SULLA FAMIGLIA GIUSTINIANI |
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DAI GIUSTINIANI ALL'UNIONE EUROPEA UN PERCORSO
CONTINUO
Si è svolto il 17 aprile 2004, a Bassano Romano (Viterbo) in collaborazione con
l'Amministrazione Comunale e la Lega lo-Ellenica, il convegno dal tema:
"DAI
GIUSTINIANI ALL'UNIONE EUROPEA UN PERCORSO CONTINUO". All'evento hanno partecipato i Comuni Italiani di: Mirano (Venezia), Ortona (Chieti),
Caprarica (Lecce), Amelia (Terni), Lari (Pisa), il Comune Francese di Bastia, i comuni
Greci di Chios ed Homiroupolis. Il convegno è stato patrocinato dal Senato della
Repubblica, dal Sovrano Militare Ordine di Malta delegazione Granpriorale Ligure, dalla
Regione Lazio e dalla Provincia di Viterbo
INDICE DEGLI ATTI
Redazionale con foto sul
Convegno a Bassano Romano Il codice ICCU del libro nel database delle Biblioteche Italiane è IT\ICCU\IEI\0241428 Gli Atti sono acquistabili presso la tipografia: Tipografia Pioda Viale Borelli, 15 Tel: 06 44701500 Fax: 06 4451 862 - info@pioda.it
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ANTICHI LEGAMI E NUOVI PERCORSI NELLO SPIRITO EUROPEO
nell'ambito del progetto europeo di gemellaggio tra Bassano Romano, Aghios Minàs e Kampohòra di Chios Nell'ambito del
gemellaggio tra il
Comune di Bassano Romano, nella Tuscia Viterbese, e quelli dei Comuni di Aghios Minàs e Kampohòra
dellisola Greca di Chios dal 6 al 10 settembre 2006 si è
svolto il secondo convegno internazionale di
studi storico-scientifici, presentato in italiano e in greco, svolto nella
suggestiva Sala dei Cesari del Palazzo Giustiniani. I relatori, rappresentanti della
Pubblica Amministrazione e studiosi, hanno ripercorso gli antichi legami che
uniscono le comunità Italo-Greche intervenute. Nelle prime pagine del presente volume dAtti, vengono presentati brevemente i tre
Comuni e immagini dagli archivi dei relatori, nonchè i saluti dei Sindaci e dei membri
della Pubblica Amministrazione. Segue un breve intervento del Presidente del Comitato
Organizzatore Enrico Giustiniani, sul progetto di partenariato Europeo della Rete
Giustiniani e la cittadinanza Europea attiva. La sezione di carattere scientifico
del convegno apre con il testo di Cecilia Mazzetti di Pietralata, storico dellarte,
relativo allopera dei fratelli mecenati Vincenzo e Benedetto Giustiniani, nati a
Chios nella metà del XVI secolo, i cui palazzi a Roma e a Bassano, furono dei veri e
propri luoghi darte - Accademie - dove oltre ad ammirare la splendida
collezione di statue e dipinti, gli artisti cercavano atmosfere e spunti per la loro
ispirazione; un crocevia di incontri artistici nel seicento, dal Nord Europa al
Mediterraneo, un patrimonio culturale di enorme valore, lasciato in eredità ai posteri. Segue lo studio analitico di Paraskevi Papacosta dedicato alle architetture dei
Giustiniani di Chios a Bassano Romano. La relatrice enfatizza il valore urbanistico del
complesso territoriale ed alcuni caratteri peculiari comuni che ricollegano Bassano a
Chios. Attraverso questa nuova lettura panoramica dellinsieme, basata
sullanalisi diretta e su ricostruzioni storiche, contribuisce al processo di
conservazione e valorizzazione del sito storico. INDICE DEGLI ATTI Gli atti sono stati presentati il 12 maggio 2007 a Bassano Romano dal
Prof. Francesco Broglia e dallArch. Michele Campisi con il patrocinio della
Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Lazio (Redazionale presentazione di Bassano
Romano a cura di Domenico Vittorini - Gazzetta Bassanese n. 124
giugno 2007). A Roma il 28 novembre 2008 nella sala Capitolare presso il
Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva Senato della Repubblica. La Sala,
costruita per volontà di Vincenzo Giustiniani, generale dei Domenicani, nel XVII secolo,
ancora conserva sul soffitto gli stemmi della famiglia Giustiniani. Il codice ICCU del libro nel database delle Biblioteche Italiane è IT\ICCU\IEI\0284266, Gli Atti sono acquistabili presso la tipografia: Tipografia Pioda Viale Borelli, 15 Tel: 06 44701500 Fax: 06 4451 862 - info@pioda.it
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Si è svolto il 21 ottobre 2006 un interessante giornata di studi sulla presenza dei
Giustiniani nella Lunigiana. Le relazioni hanno esaminato uno dei molteplici aspetti della
storia della grande famiglia albergo genovese, un aspetto che può forse inquadrarsi in un
più ampio fenomeno che interessò il ceto dirigente della Repubblica: linsediamento
dallantica Dominante alla periferia nel corso del XVIII secolo. In particolare,
infatti, un ramo dei Giustiniani Recanelli, si stabilì in Lunigiana, dove acquistò i
resti di un antico monastero restaurandoli ed edificando lattuale castello, con
annessa cappella, di Ceparana (Comune di Bolano) e acquisendo poi, per via ereditaria,
anche il castello di Vezzano Ligure, ancora proprietà della famiglia.
INDICE DEGLI ATTI Il codice ICCU del libro nel database delle Biblioteche Italiane è IT\ICCU\RML\0185300 Gli Atti di questo convegno inseriti nel Giornale storico dell'Accademia Lunigianese sono acquistabili anche online tramite EDIZIONI GIACCHE' via Zagora, 3 - La Spezia 19122 - Italia tel 0187 23212 - fax 0187 750238. redazione@edizionigiacche.com Il Libro è stato presentato a Bolano a Vezzano Ligure e alla Spezia nell'ambito della manifestazione "Libriamoci" e il 28 gennaio 2010 presso l' Archivio di Stato di Genova, in via di Santa Chiara 28r con il commento del Professor Carlo Bitossi, Docente di Storia Moderna, Università degli Studi di Ferrara, Giorgio Rossini, Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria, ed il coordinamento scientifico di Alfonso Assini, Archivio di Stato di Genova
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DOCUMENTARIO SUI GIUSTINIANI
Grazie all'iniziativa dell'Assessore al patrimonio della municipalità Francese di
Bastia, è stato realizzato a gennaio 2008, prodotto da Vision Internationale e da
France 3 per la regia di Andrè Waksman il documentario "Les Giustiniani une saga
méditerranéenne". Il documentario di circa un ora, che ha richiesto quasi due anni di lavori; l'opera, in francese (con alcuni brani
in Italiano sottotitolati) traccia il lungo percorso antropologico e storico della
famiglia Giustiniani, toccando le località dove più si è sentita la presenza di questa
famiglia: Genova, il levante ligure, Chios, Roma, Palermo, la Corsica e Bassano Romano.
Il film, apparso sulla trasmissione "Orizzonti" su France3-Corse il 10 maggio
2008.
Il film è stato rielaborato, integrato e riadattato da Paraskevi Papakosta
in un nuovo
documentario sui Giustiniani.
IL PROGETTO DELLA
RETE GIUSTINIANI
Un filo rosso unisce alcuni piccoli comuni Italiani ed Europei, la presenza
nel corso dei secoli della Famiglia Genovese dei Giustiniani, importanti
tracce architettoniche ed antropologiche da valorizzare e da collegare nel
tempo e nello spazio, percorsi turistici comuni per uno scambio di idee e
confronti per riallacciare gli antichi legami in uno spirito Europeista. Intervento di ENRICO GIUSTINIANI
sulla
Rete Giustiniani
BASSANO ROMANO "L'ANTICO FEUDO DEI GIUSTINIANI"
Bassano Romano è un comune del Lazio in provincia di Viterbo, distante
circa 60 km. da Roma. Il feudo fu acquistato dai Giustiniani dagli Anguillara nel 1595.
Nel 1605 divenne per mano di Papa Innocenzo X, il Marchesato Giustiniani e Principato dal
1644 al 1854, data in cui viene acquistato dalla famiglia Odescalchi (documento dove è riportata la data
dellatto di vendita) che lo cede nel 2001 alla Sovraindendenza delle Belle Arti
dello Stato Italiano.
Il Palazzo domina il paese di Bassano, il piano interrato e il piano terra del palazzo
presentano una planimetria a C aperta con vista sui giardini all'italiana, secondo i
canoni architettonici del '500.Da un'analisi delle cornici, marcapiani, aperture,
impostazione planimetrica, la progettazione si può attribuire alla scuola dei Sangallo.
Il portale di ingresso a "bugnato" è simile al portale del palazzo Farnese a
Roma progettato da Antonio da Sangallo. Nel 1595 il palazzo diviene proprietà della
famiglia Giustiniani. Vincenzo Giustiniani, grande mecenate e collezionista d'arte, inizia
i lavori di trasformazione e completamento del complesso architettonico, aggiungendo alle
strutture preesistenti il piano nobile collegandolo con i giardini all'italiana tramite un
ponte levatoio e attuando l'ampliamento dei giardini con un casino di caccia e un parco
ricco di fontane, viali e giochi d'acqua, oggi purtroppo in cattive condizioni. Il cortile
è affrescato con scene di trionfi e allegorie da Antonio Tempesta nel 1604. Dal cortile
per mezzo di una scalinata si accede al loggiato affrescato con grottesche della scuola
degli Zuccari. Nelle nicchie erano collocate statue antiche, e in quella della più grande
della parete di fondo troneggia la statua di un imperatore romano. Dal loggiato si accede
al piano nobile. Gli affreschi dell'ala sud sono opera di Bernardo Castello (1605)
"Amore e Psiche"; quattro sale intitolate alle stagioni sono opera della scuola
degli Zuccari e presentano richiami stilistici agli affreschi di Caprarola. Quelli
dell'ala nord sono opera di Paolo Guidotti Borghese (1610) con l'allegoria "Felicitas
aeterna", Domenico Zampieri detto il Domenichino (1609) con l "Historia di
Diana", e Francesco Albani (1609) autore del "Concilio degli Dei" e la
"Caduta di Fetonte". Dal palazzo si può accedere ai giardini interni di cui
ammirare, dagli archi del loggiato, un bellissimo scenario con scale elissoidali tra le
verdi spalliere e lo sfondo delle alte e secolari piante del parco. Esso si compone di
lunghi e ombrosi viali di alberi ad alto fusto come leggi, abeti, querce, castagni e
lecci. In fondo al viale principale domina il casino di caccia detto "La Rocca".
Questo castello a cinque torri merlate riproduceva nelle sue linee architettoniche una
parte dello stemma Giustiniani. Un piccolo forte perso nel verde dove sembra che la
famiglia trascorresse la maggior parte del loro tempo a Bassano. Particolare l'incredibile
somiglianza di questa "rocca" con le fortificazioni della terra natia del
Marchese Vincenzo Giustiniani, Chios. Un legame con la terra greca di oltremare che si
trova in uno degli affreschi del palazzo dove c'è una veduta seicentesca dell'isola di
Chios e una veduta del porto di Genova. Ancora nel palazzo al piano terra con accesso
diretto dal Salone dei Cesari un grazioso teatrino privato, con due file di palchi in
legno probabilmente tappezzati da drappi in origine. Questo teatrino è unico nel suo
genere nel Lazio all'interno di una dimora patrizia e se ne contano pochissimi nel resto
d'Italia. Attualmente il Palazzo è
aperto al pubblico per le visite guidate gratuite al piano nobile tutti i sabati dalle ore 10 alle ore 13. Ma Bassano non è soltanto un esempio di identificazione riuscita con la mole nobiliare,
ma anche espressione di una ricca produzione artistica ed architettonica. Nel centro
storico la chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo del XVI secolo sorge sui resti di una
primitiva cappella di forma romanica. Linterno a croce latina conserva il palchetto
dove pregavano i Giustiniani e la reliquia di San Gratiliano, racchiusa in un busto
dargento. Il Santo viene festeggiato il 12 agosto, data del suo martirio a Falerii
nel Viterbese. Nelle vicinanze del paese, presso il borgo di San Filippo, sorge il
santuario della Madonna della Pietà. Notevole, lungo la strada per la stazione
ferroviaria, il grandioso complesso del monastero di San Vincenzo, dove è allestita una
casa per laccoglienza e per i pellegrinaggi. La monumentale chiesa omonima venne
eretta per volere di Vincenzo Giustiniani intorno al 1630, come mausoleo gentilizio,
probabilmente su progetto di Carlo Maderno e Francesco Borromini. Questultimo, dal
carattere assai eclettico, portatore di un nuovissimo linguaggio architettonico, troppo
moderno rispetto ai canoni dellepoca e allestetica predominante, fu
schiacciato da una personalità altrettanto importante e, soprattutto, stimata dalla
committenza papale che gli affida le opere più importanti della Città Eterna: Gian
Lorenzo Bermnini. Nella sacrestia si custodisce una statua marmorea del
Cristo Portacroce di Michelangelo. Sullaltare del transetto di
sinistra è collocata una tela di scuola fiamminga con San Vincenzo martire. Il
vasto monastero fu costruito nellimmediato dopoguerra dallabate Ildebrando
Gregori (dellordine dei Benedettini-Silvestrini) per laccoglienza e
listruzione dei bambini meno abbienti. Da evidenziare anche lattività
legata alla produzione della ceramica, svolta con egregia bravura dalla famiglia Terchi;
che da Siena si trasferisce a Bassano, lasciando, tra laltro, una mirabile maiolica
rappresentante una Madonna con bambino, realizzata da Bartolomeo Terchi nel 1748. Allo
stato attuale, è conservata nelledicola sacra sita sul seicentesco ponte detto
delle vasche, voluto dai Giustiniani. Ponte che avrebbe dovuto collegare il
borgo alla zona agricola e al centro di San Vincenzo, solo in parte realizzato.
Una mappa di Palazzo Giustiniani di Bassano Romano
Romano
Bassano Romano Villa Giustiniani Tour Virtuale 360 gradi
Il Monastero di S.Vincenzo a Bassano
Romano
Trascrizione di alcuni documenti
storici della Famiglia Giustiniani reperiti nella Parrocchia di Bassano Romano
Testamento di Vincenzo Giustiniani e
documenti storici Estratto del testamento del Marchese Vincenzo Giustiniani riguardante
il feudo di Bassano Romano e alcuni documenti storici della Famiglia Giustiniani reperiti
nella Parrocchia di Bassano Romano.
Identità vere e finte nel programma decorativo del Palazzo di Bassano: Albani, Domenichino, Tempesta, Castello e Guidotti dipingono per Vincenzo Giustiniani
a cura di Christina Strunck estratto da a Villa di Vincenzo Giustiniani a Bassano Romano : dalla storia al restauro a cura di Agostino Bureca
La responsabilità di Palazzo Giustiniani è di competenza della Direzione
Regionale dei Musei del Lazio - Polo Museale, c'è stato nel 2017 un bando per la
concessione in uso di Palazzo Giustiniani a Bassano Romano
al fine di realizzare un progetto di gestione del bene che ne assicuri la
corretta conservazione, l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore
valorizzazione, ma non è andato a buon fine (Avviso pubblico per la concessione in uso di beni immobili statali).
In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio del 2021, le sale e le decorazioni navigabili e commentate sia su desktop che su dispositivi mobili e visori 3D, grazie a #ItalyArt, sponsor tecnico del Museo e del progetto “Grand Tour” del Ministero della Cultura,
dedicato all’inclusione digitale. Per la visita virtuale il link dedicato: Palazzo Giustiniani Virtual tour
IL GLADIATORE GIUSTINIANI
Nel 1957 l'archeologo Giovanni Becatti, giunto a Bassano per studiare il gruppo scultoreo del
cosiddetto "Gladiatore che uccide il leone", collocato sull'orlo della peschiera
del parco Giustiniani, rimane colpito dallo stato di conservazione della scultura. Egli
nota una patina di grigio e di nero su tutta la superficie dell'opera e si augura che
possa "venir tolta dallo squallido abbandono attuale e ripulita ..., poiché ormai
soltanto i due cani marmorei all'ingresso del ponte rimangono a guardia di quello che fù
un tempo lo splendido giardino Giustiniani...".
Oggi non on c’è più traccia
dei numerosi vasi e statue che decoravano il giardino e il parco; gli abeti, i
cipressi e i lecci sono cresciuti senza conoscere più nessuna cura, ma
l'attenzione sui reperti scomparsi non è mai diminuita, tanto che recentemente:
"Il Gladiatore" di epoca romana ha ritrovato il suo leone seicentesco. L’opera è un pastiche tardo rinascimentale, composta da frammenti antichi e moderni riuniti e fatti integrare dal marchese Giustiniani secondo il gusto del tempo: una testa di leone e un antico torso romano. In origine, la parte romana, di cui resta il torso, raffigurava il dio Mitra che uccide il toro. Mitra teneva fermo l’animale poggiandogli sul dorso un ginocchio, con la mano sinistra tirava verso di sé la testa e con la destra era pronto a colpire con un coltello. Con l’aspetto di un gladiatore che uccide un leone, invece, si presentava nel Seicento. I
due reperti furono poi smontati e trafugati, il torso originale romano era stato acquistato dal Getty museum di Los Angeles e solo nel 1999, grazie al riconoscimento di uno studioso e all’azione dei Carabinieri tutela patrimonio culturale, la scultura romana venne restituita all’Italia.
Il leone invece era stato rubato dalla villa di Bassano nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 1966 e ritrovato soltanto ad aprile 2016 dai Carabinieri all’interno di una villa sull’Appia antica,
acquistata nel 2002 dalla Soprintendenza.
I due pezzi sono oggi finalmente "riuniti" e dopo il restauro, sono restituiti nel 2022 al comune di Bassano Romano ed esposti nella Villa Giustiniani nella
"Sala di Amore e Psiche".
(LE AVVENTURE DEL
“GLADIATORE-MITRA”
GIUSTINIANI di Rita Paris e Claudia Valeri).
LA MADONNA DEI DEBITORI di Bassano Romano tra misticismo e devozione. «In gremio Matris sedet Sapientia Patris»
Un dipinto Seicentesco raffigurante una Madonna con Bambino, chiamato “la Madonna dei debitori”
(qui sinistra), sicuramente non di grande scuola, è stato rinvenuto intorno al 2004 a Bassano Romano, paese vicino il Lago di Bracciano a circa 50 km da Roma, in seguito alla ristrutturazione di alcune
"grotte" (così vengono chiamate a Bassano le cantine tufacee presente sotto i
palazzi del centro storico) in piazza Gramsci, da parte di Gilberto Di Benedetto, psicologo romano, artista ed ora possessore del quadro in questione. Sembrerebbe che quella grotta fosse conosciuta in paese fin dal Seicento e che nel 1784 a seguito dell'invasione Napoleonica, la popolazione avesse li nascosto gli oggetti di culto perché essi non venissero distrutti dai francesi.
La grotta (così vengono chiamate le cantine in tufo di Bassano Romano) in cui fu trovata la tela apparteneva alla famiglia Valle, dalla cui sono prevenuti diversi cappellani della Chiesa
Maria Santissima Assunta sulla Piazza di Bassano (collegata attraverso una loggia alla Villa Giustiniani). Sono ancora oggetto di ricerche e di riscontri storici,
se la tela della "Madonna dei debitori" appartenesse alla famiglia
Giustiniani e se in qualche modo facesse parte della Collezione del Marchese
Vincenzo o dei suoi successori. Sappiamo che l'iconografia Mariana era molto cara al Marchese tanto che ne riprodusse ben sei "Madonne" nel secondo volume della sua
Galleria Giustiniana.
Non ci deve nemmeno sorprendere il nesso tra Vincenzo Giustiniani e la particolare iconografia della "Madonna
dei debitori". Il marchese Vincenzo oltre ad essere devotissimo, fu un
personaggio incline ad accogliere senza pregiudizi, le novità culturali della sua epoca. Nell'inventario della sua biblioteca (riportati nell'inventario redatto nel 1638
alla sua morte) oltre a trattati filosofici d'impostazione neostoica, compaiono volumi concernenti l'astrologia, le scienze naturali, l'astronomia e testi scientifici d'argomento esoterico ed occulto. L'interesse per l'occultismo
di Vincenzo è testimoniato dalla presenza di un volume sulle profezie di Nostradamus.
Il Marchese è aggiornato sulle scoperte di Galilei: conosce il Dialogo sui massimi sistemi e, dopo l’abiura, lo incoraggia a pubblicare le sue ricerche sul moto. Inoltre questa passione per la cultura scientifica trova conferma anche negli affreschi presenti nel palazzo di Bassano.
La volta della "Galleria" dipinta da Francesco Albani raffigura pianeti, costellazioni e segni zodiacali. La composizione iconografica delle grottesche affrescate nelle stanze delle stagioni suscita, invece, sensazioni esoteriche
ed occulte.
Il quadro della "Madonna dei debitori" rappresenta una Madonna che regge con la mano destra sollevata tre rose viste come simbolo di amore, sapienza e conoscenza. Dalla fronte e dalle labbra della Vergine sgorga sangue, inteso come una sorta di purificazione del pensiero e della parola, senza le quali l’anima non può manifestare il suo contatto col Divino. Il Bambino da lei tenuto in grembo, con un’aureola dalla croce inscritta, pone l’indice verso le rose ad indicare la direzione cui affidarsi. Il tutto si chiude con un cartiglio sottostante la figura, che recita in latino:
«In gremio Matris sedet Sapientia Patris» ("Nel grembo della Madre risiede la Sapienza del Padre").
La
Madonna rappresentata a Bassano sembra essere un'interpretazione originale e
mistica di due rappresentazioni Mariane
"Madonna del sangue"
(immagine in alto destra) del Santuario di Re sul Lago Maggiore, che
fu oggetto di ispirazione di molti pittori soprattutto nella prima
metà del Seicento e quella della Madonna del Ruscello
(immagine in basso a destra)
nel Santuario omonimo di Vallerano sempre in provincia di Viterbo a soli trenta
kilometri da Bassano Romano.
Il culto della "Madonna del sangue"
avvenne a seguito del miracolo avvenuto nel 29 aprile 1494, quando alcuni
giovani si ritrovarono di fronte alla chiesetta per giocare ad un tradizionale
gioco di paese, la piodella, che consisteva nel lanciare un sasso appiattito
contro un cilindro di legno su cui era posizionata una moneta. Uno di loro,
particolarmente sfortunato nel gioco, si adirò e lanciò il suo sasso verso la
chiesa, colpendo proprio il ritratto della Madonna.
Il mattino seguente
l’affresco della Madonna iniziò a sanguinare dalla fronte e continuò a sgorgare
abbondantemente per circa venti giorni e molti ammalati e infermi, dopo aver
rafforzato la devozione nei confronti della Madonna di Re, guarirono grazie a
veri e propri miracoli, riconosciuti ufficialmente anche dalle autorità civili e
religiose dell’epoca. A seguito dell’afflusso dei tantissimi fedeli, attirati
dalla notizia del miracolo, fu costruito un primo santuario già nel 1627.
Il culto della Madonna del Ruscello risale invece al 1604, al pittore Stefano Menicucci (un giovane pittore romano, che godeva ai tempi di una discreta fama, al servizio del cardinale Odoardo Farnese), fu commissionato il restauro di un dipinto posto in un’edicola, raffigurante la Madonna in trono col Bambino
opera di un modesto artista locale (sull'argomento
l'articolo su Tusciaweb del 27 marzo 2014:
Restaurate le cappelle Marcucci e Paesani). Il 5 luglio dello stesso anno il pittore, dopo aver ripulito la trascurata immagine, si stava per accingere ad inserire dello stucco in una fessura creatasi proprio sulla bocca della Vergine Maria. Fu proprio in quel momento che accadde il miracolo: dalla sua bocca iniziò a fuoriuscire del sangue che imbrattò gli strumenti e le mani del pittore.
La notizia dell’evento si diffuse in fretta e presto iniziarono ad arrivare pellegrini con offerte in visita dai territori vicini e lontani. Fu così deciso di erigere, proprio sul luogo del miracolo, un tempio ad eterno ricordo dell’accaduto. Il quadro è ancora oggi visibile al pubblico all’interno dell’edificio e sulla bocca della Madonna permane una macchia dalla forma stretta ed allungata.
Curioso annotare che il Santuario che la ospita, fu eretto tra il 1604 e il 1609 (come attesta l’iscrizione “MDCIV Inceptum – MDCIX Absolutum”) su progetto di Vignola (Jacopo Barozzi da Vignola),
lo stesso che probabilmente progettò l'ammodernamento di Palazzo Giustiniani e
forse la Chiesa di San Vincenzo a Bassano Romano,
molto simile nella forma architettonica,
fatta costruire dal marchese Vincenzo a partire dal 1620 e finito dal suo
successore Principe Andrea nel 1645 (anche se l'iscrizione attesta il 1630
"VINCENTIUS IUSTINIANUS IOSEPHI FIL. FECIT MDCXXX").
Tornando alla Madonna Bassanese la cui iconografia sviluppa un messaggio in una
maniera del tutto originale probabilmente non destinato al culto popolare
proprio per la presenza del sangue dalla fronte e dalla bocca difficilmente
comprensibile dal volgo. La Madonna, con il suo volto sereno, sembrerebbe farsi
carico della purificazione del pensiero ("sangue dalla bocca"), e di pacificazione
tra gli uomini (il "sangue dalla fronte" come simbolo di
speranza di pace per il sangue versato dagli uomini per le guerre) in quanto
redentrice, insieme al Signore, e portatrice di salvezza. Anche il cartiglio,
che in chiave cattolica si può interpretare che nel ventre di Maria sta l’opera
compiuta del Padre, ossia il figlio Gesù Cristo.
Intorno alla Sacra Tela, successivamente consacrata nella Chiesa Melchita di San Basilio in Roma, è stata costituita L’Associazione “Madonna dei debitori” , su iniziativa anche del padre gesuita Ernesto Santucci, scomparso nel
2021, che si occupa di diffondere il nuovo messaggio Mariano. Così, nel volgere di poco tempo, la Madonna dei debitori è diventata il vessillo di molti di coloro che si battono per sopravvivere alla crisi economica.
L'Associazione si è posta un obiettivo ''rivoluzionario'': l’indizione periodica di un giubileo fiscale per i debitori, in occasione del quale, lo Stato le banche e i singoli cittadini dovrebbero azzerare o ridurre almeno di un terzo i debiti a coloro che per ragioni obiettive e indiscutibili non sono in grado di onorarli. Potrebbe sembrare un'invocazione di condono in salsa religiosa, ma per i promotori non sarebbe affatto così. A muoverli, a loro dire, sarebbe esclusivamente il ritorno a una forma di solidarietà che, oltre a liberare i debitori da una vera e propria schiavitù, permetterebbe all'economia di ripartire.
Gilberto Di Benedetto afferma che il nome "Madonna dei debitori" fu dato da Navarro Vals, già portavoce di papa Woitjla, nel 2009, quando andavano entrambi spesso a pregare presso la chiesa di Santa Teresa d’Avila a corso d’Italia a Roma. Un giorno lo psicologo nel salutare Navarro Vals alla fine della funzione religiosa gli chiese alcuni minuti di disponibilità per ascoltare la storia di un misterioso ritrovamento di questa Madonna che era stata sognata da una persona che aveva prestato Trecento mila euro mai restituiti dal suo debitore. La Madonna in sogno invitò a rimettere il debito del debitore affermando: "se tuo fratello non ti può pagare devi rimettere il debito". Particolarmente colpito nel sentire la storia, Navarro Vals invitò psicologo a chiamarla “la Madonna dei debitori”.
A Notte di a Memoria di Bastia et I Mercatini del seicento de Bassano-Romano : Jumelage effectif
(Rédigé par Charles Monti le Dimanche 24 Mars 2019 Corsenetinfos.corsica
)
Bastia : Les Giustiniani traits d'union entre deux associations corse et italienne
(Rédigé par Philippe Jammes le Vendredi 19 Juillet 2019 Corsenetinfos.corsica
)
Bastia : L'association du comité du patrimoine signe une charte de jumelage avec l'Italie
(Rédigé par Livia Santana le Samedi 20 Juillet 2019
Corsenetinfos.corsica
)
Bassano-Romano et Bastia : l'Histoire en héritage
(Rédigé par Charles Monti le Mercredi 31 Juillet 2019
Corsenetinfos.corsica
Una delegazione di Bastia in vistia a Bassano Romano (Tuscia web)
Patto di Amicizia tra Bassano Romano e Bastia (Corsica) (NewTuscia.it)
Si è svolta il 6 e 7 maggio 2005 la celebrazione del 50° anniversario
dellincoronazione della Sacra Effigie della Madonna della Pietà. Strade, vicoli e
piazze arricchite da migliaia di fiori di carta, fontane e giardini costruiti qua e là.
Era il 1955 quando il Cardinale Valeri, dopo una richiesta alle autorità ecclesiastiche
da parte dei bassanesi, con una solenne cerimonia appose una corona sul capo della Madonna
della Pietà. E Bassano fu addobbato con fiori di carta e ogni 25 anni le festività per
adorare la Sacra Immagine hanno un carattere straordinario. La Pia Unione della Madonna
della Pietà, composta dai Fratelli, coordina anche le due suggestive processioni, quella
votiva del sabato sera e quella solenne della domenica mattina. Chiude la processione la
macchina della Madonna trasportata a spalla. (Le foto della manifestazione:
Bassano
Romano addobbato a festa).
Il
GEMELLAGGIO tra Bassano Romano -
Aghios Minas e Kamphokora.L'Unione Europea ha finanziato il progetto di gemellaggio presentato dal Comune di
Bassano Romano con il Comune greco di Aghios Minas (DG EAC N. 25/05 Incontri tra cittadini
- fase 3).
Progetto
06/2082. La manifestazione che ha coinvolto sia il comune Chiota di Aghios Minas
che di Kamphokora, si è svolta a Bassano Romano dal 6 al 10 settembre 2006.
CHIOS IL CUORE DELLE ISOLE GRECHE NELL'EGEO NORD ORIENTALE
La tradizione attribuisce il suo nome al figlio di Poseidone, Chio nato durante una
tempesta di neve sullisola a simboleggiare larrivo degli Ioni nellanno
1000 ac. Una altra leggenda al mito di Oniopione e di sua figlia Chiona. Onipione era
figlio di Dionisio e Ariadne regina di Creta. Chiona loro figlia, nata sullisola, da
stirpe Cretese, simboleggia larrivo dei Minoici ed il fiorire della loro civiltà
ancora presente nellisola. Ma prima ancora era stata chiamata lisola dei
serpenti, lisola grigia o isola lunga.
Chios è una mezza luna di terra rossa, di foreste, di sabbie nere di lava bagnate da un
mare azzurro intenso.
Qui la leggenda vuole la nascita di Omero che insegnava a Daskalopetra (Pietra del
Maestro) località vicina a Chòra dove si trova l'enorme pietra che il poeta usava come
sedia durante l'insegnamento.
Regina degli oceani e del mare con le sue innumerevoli navi ed impavidi naviganti.
Infatti, gli storici dicevano che vincerà la guerra colui che avrà come alleato Chios in
mare.
Chios è lisola del mastice. Quando i Romani presero Agios Isidoros per
accompagnarlo sul luogo dell'esecuzione, il Santo esausto si mise a piangere, e le sue
lacrime, cadendo, sul selciato, divennero l'aromatica masticha.
Così spiegano il perché lo stesso albero il lentisco, che esiste in molti altri luoghi
del mediterraneo, produce mastice solo a Chios; per accaparrarsene il commercio Chios ha
subito le invasioni dei Macedoni, Romani, Bizantini, Veneziani, Genovesi e dalla metà del
'500 fino al 1912 una lunga dominazione ottomana.
Chios è famosa per le sue architetture mediovali, costruite durante la dominazione dei
Genovesi dal XIII fino al 1566 che gli conferiscono un fascino particolare, con le strette
viuzze dei villaggi medievali in pietra bianca e nera ricordano i "caruggi" di
Genova, le pareti dei vicoli sono abbellite con una rarissima tecnica decorativa,
costituita da disegni grigi raschiati sul fondo bianco.
In tutta lisola sono presenze tracce di dimore patrizie e di torri fortificate. I
Genovesi la chiamarono Chios per la sua bellezza Paradiso dellEst.
Nonostante la varietà paesaggistica e i motivi di interesse, Chios rimane ancora fuori
dall'attenzione del turismo e dei viaggi organizzati, soprattutto dallItalia. Nessun
tour operator Italiano offre pacchetti completi per questa meta.
Le strutture turistiche sono quasi tutte di piccola dimensione, circa 2500 posti letto nei
pochi alberghi e altrettanti della ricettività familiare, rendono problematica
l'accoglienza di grandi numeri di invasori stagionali, che comunque a Chios, per fortuna,
non arrivano. Ma gli intenditori ritornano anno dopo anno, trasportati da memorie vive,
che hanno i nomi delle persone e dei luoghi di Chios.
Chios offre una gran varietà di situazioni
paesaggistico - ambientali e architettoniche la
cui originalità è rinomata in tutta la Grecia. A Chios, in effetti, si sposano oriente e
occidente in modo unico e irripetibile: impronte bizantine, genovesi e veneziane si
mescolano a tracce arabesche dando vita a paesaggi urbani estremamente suggestivi.
Grande ben 848km2 (pari a circa 8 volte lisola dElba), con 213 km. di coste la
quinta più grande di tutta la Grecia. E a poche miglia nautiche dalla Turchia. Capo
Pounda sulla penisola di Erythraia (Tsesme) distano solo 3,5 miglia nautiche
La sua popolazione è di circa di 50.000 abitanti, la maggior parte concentrati nel
capoluogo, i restanti negli altri 64 villaggi. Qui il clima è sempre mite, raramente
supera i 30 gradi d'estate e scende sotto i 10 d'inverno.
CREATING QUALITY VISITOR EXPERIENCES:
A BEST PRACTICE MANAGEMENT CASE AT THE PALAZZO GIUSTINIANI IN CHIOS, GREECE di Dorothea Papathanassiou-Zuhrt e Maria Doumi
http://www.giustiniani.info/chios.html
(Il mio sito su Chios. La guida in italiano più completa
sullisola).
E' stato pubblicato in francese da "Les Cahiers du Bosphore"
("Les éditions ISIS Istanbul") il libro di Rinaldo Marmara su "Chio - Le
tremblement de terre de 1881 d'après les rapports de l'époque" contenente gli
indice dei registri dei battezzati delle Chiese Cattoliche di Tinos e Chios dal 1707 al
1727 e dal 1814 al 1988 che ci portano indicazioni preziose sull'origine delle famiglie
stabilitesi su quest'isola ed il capitolo "I Giustiniani di Chios" di Enrico
Giustiniani (nel testo in Italiano). |
Palazzo Giustiniani, atrio, Roma. Lo stemma marmoreo dei Giustiniani sormonta una lastra lapidea d'epoca romana rappresentante una caccia al leone |
A destra lo stemma della famiglia Giustiniani e cognomi aggregati nel suo albergo contenuta nell’albo di Vittorio Gropallo e Luciano Lenzi sul “Patriziato Genovese e le famiglie nobili di Sarzana”, edito da Sturli nel 1992. L’edizione originale era il libro che Agostino Fransone scrisse nel 1636. I “cognomina” delle famiglie nobili “aggregate” all’albero dei Giustiniani come riportate nella tavola XXVII erano 43 (come si legge nello stemma sopra riportato da destra in alto, in senso orario, prima il giro interno, poi il giro esterno): Longhi, Arangi, Campi, Oliviero, Rocca, Maruffa, Negro, Pagana, Ughetto, Castello, Reccanello, Moneglia, Fornetto, Garibaldo, Bancha, S. Theodoro, Sestri, Vegetti, Rebuffi, Mongiardina, Argiroffo, Leonardo, Boniventa, Silvarezza, Ponte, Cavatorta, Ciocchia, Figalla, Vallarana, Corsa, Bona, Massona, Murchia, Arena, Roccatagliata, Prato, Briandata, Prandi, Novara, Vallebona, Bonfante, Passana e Moneglia.
A sinistra lo stemma dei Giustiniani a Chios sulla torre settentrionale della città fortificata